Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24631 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24631 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31410/2020 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE CON SOCIO UNICO , in persona del legale rappresentante pro tempore domicilio digitale presso PEC EMAIL, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
COMUNE SAN BENEDETTO DEL TRONTO , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato
Oggetto: Pubblica amministrazione -Appalto opere pubbliche -Crediti da corrispettivo di appalto – Enti locale -Cessione credito nel corso del contratto -Efficacia nei confronti del ceduto -Legge n. 142/1990 – Regime ex art. 69, comma 3, r.d. n. 2440/1923 -Art. 9 Legge n. 2248/1865, all. E
R.G.N. 31410/2020
Ud. 26/06/2025 CC
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO ANCONA n. 566/2020 depositata il 12/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 26/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 566/2020, pubblicata in data 12 giugno 2020, la Corte d’appello di Ancona, decidendo in sede di rinvio ex art. 384 c.p.c. a seguito della sentenza di questa Corte n. 20739/2015, depositata in data 14 ottobre 2015, ha respinto l’appello proposto avverso la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno n. 7/2002.
La prima parte dello svolgimento del giudizio era stata da questa Corte già sintetizzata nella propria precedente decisione.
‘ 1. L’impresa edile COGNOME RAGIONE_SOCIALE, parte contraente con il Comune di San Benedetto del Tronto di un contratto di appalto per la realizzazione di un’opera pubblica (una strada di collegamento tra la zona artigianale e la SS n. 16), emetteva, nel corso dell’anno 1993 – nei confronti della stazione appaltante – due fatture il cui importo veniva anticipato dal Banco di Napoli (ora Intesa SanPaolo S.p.A.), dietro cessione, in proprio favore, del relativo credito.
1.1. Malgrado la rituale comunicazione della cessione in proprio favore del credito vantato verso l’ente pubblico, il Comune aveva pagato il dovuto all’impresa che, trovandosi in stato d’insolvenza, era stata sottoposta a procedura concorsuale.
1.2. La Banca, pertanto, ha tratto a giudizio il Comune, chiedendone la condanna al pagamento della somma oggetto di cessione, con gli accessori.
1.3. Il Comune, costituendosi in giudizio, ha eccepito l’invalidità ed inefficacia della cessione, sotto due distinti profili: a) ai sensi dell’art. 69, 3 0 co., RD n. 2440 del 1923, che subordina l’efficacia della cessione all’adozione della forma solenne; b) secondo gli artt. 9 e 338 L. n. 2248 del 1865, che richiede – a pena d’inefficacia l’adesione dell’amministrazione debitrice.
Il Tribunale di Ascoli Piceno – sez. dist. di San Benedetto del Tronto ha respinto la domanda in quanto, sebbene non ritenesse applicabile la prima delle due richiamate disposizioni (l’art. 69 menzionato), alla stregua del diritto vigente ratione temporis (i menzionati artt. 9 e 338 della L. n. 2248 del 1865, per essere il fatto anteriore alla entrata in vigore della legge n. 109 del 1994), risultava decisiva la mancata adesione da parte dell’ente pubblico debitore.
2.1. Né avrebbe avuto rilievo la circostanza dell’esaurimento del rapporto contrattuale, perché eccepita dalla banca solo con la comparsa conclusionale e, comunque, infondata nel merito.
La sentenza è stata impugnata in via principale dalla Banca e, in via incidentale, dal Comune.
3.1. La Corte territoriale ha dichiarato inammissibile gli appelli: a) quello principale, proposto dalla Banca; b) quello incidentale, proposto dal Comune, per difetto di interesse; e c) compensato le spese del giudizio.
3.2. Secondo il giudice distrettuale, la sentenza di prime cure andava confermata, sia pure con una diversa motivazione.
3.2.1. Infatti, la cessione del credito sarebbe stata effettuata, anche con riferimento all’attività degli enti diversi dallo Stato, con modalità mancanti delle forme prescritte dalla legge applicabile (l’art. 69, 3 °co., del RD n. 2440 del 1923) la quale ne esige la redazione per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, la cui mancanza
inciderebbe sull’efficacia dell’atto negoziale. Perciò, risultando improduttiva di effetti la cessione, il pagamento del Comune aveva avuto effetti liberatori del proprio obbligo verso l’appaltatore.
3.3. In questa motivazione, la Corte territoriale ha ritenuto assorbita la questione dell’avvenuto esaurimento del rapporto contrattuale. ‘ .
Proposto ricorso da parte di Intesa SanPaolo RAGIONE_SOCIALE quale procuratrice e mandataria di RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE, divenuta nelle more cessionaria del credito, questa Corte, con la già citata sentenza n. 20739/2015 aveva accolto il ricorso, cassando con rinvio la decisione impugnata ed enunciando il seguente principio di diritto: ‘ In tema di cessione dei crediti da corrispettivo di appalto vantati nei confronti degli enti locali, effettuata dopo l’entrata in vigore della legge n. 142 del 1990, sull’ordinamento delle autonomie locali, ma prima del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 -che all’art. 115 prevede espressamente la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata e la notifica alle Amministrazioni pubbliche debitrici ai fini dell’efficacia ed opponibilità alle stesse – non si applica l’art. 69, terzo comma, del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, che pure richiede la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata e la notificazione alla P.A. della cessione del credito, in quanto tale norma riguarda la sola Amministrazione statale, stante il mancato esplicito richiamo nell’ordinamento degli enti locali, e non può essere applicata in via analogica, in ragione del carattere eccezionale rispetto al regime generale della cessione dei crediti (artt. 1260 e segg. cod. civ.). Né il richiamo, operato dall’art. 59 della legge n. 142 del 1990 agli artt. 87 e 140 del RD n. 383 del 1934, consente il recupero normativo contenuto nel RD n. 2440 del 1923, in quanto esso attiene
esclusivamente alle procedure di evidenza pubblica di scelta del contraente e non certo alla struttura ed alla vicenda contrattuale che, sulla base della scelta del contraente, poi il Comune abbia con questi stipulato. ‘
Riassunto il giudizio da parte di RAGIONE_SOCIALE e regolarmente costituitosi il COMUNE DI SAN BENEDETTO DEL TRONTO, la Corte d’appello di Ancona, richiamato il principio espresso da questa Corte, ha nuovamente disatteso il gravame proposto dalla cessionaria del credito, ritenendo applicabile l’art. 9, Legge n. 2248/1865 All. E .
Conseguentemente, la Corte territoriale ha dichiarato l’inefficacia dell’originaria cessione in quanto posta in essere senza adesione dell’amministrazione quando il contratto era ancora in corso esecuzione.
5 . Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Ancona ricorre RAGIONE_SOCIALE CON SOCIO UNICO.
Resiste con controricorso COMUNE DI SAN BENEDETTO DEL TRONTO.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’unico motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 384 c.p.c.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la decisione impugnata sarebbe illegittima in quanto la Corte territoriale avrebbe esaminato nuovamente tutti i motivi di impugnazione contenuti nell’originario atto di appello, compresi quelli assorbiti e respinti con la prima decisione d’appello , in tal modo omettendo di conformarsi al principio
di diritto formulato da questa Corte con la sentenza n. 20739/2015, nella quale questa Corte avrebbe stabilito che alla cessione di credito erano applicabili in via esclusiva gli artt. 1224 e segg. c.c.
2. Il ricorso è infondato.
È la stessa ricorrente ad evidenziare -riproducendo i passaggi più rilevanti della relativa motivazione -che nella prima decisione della Corte d’appello di Ancona – poi cassata da questa Corte -il tema dell’applicabilità dell’art. 9, Legge n. 2248/1865 All. E era stato espressamente dichiarato assorbito dalla stessa Corte territoriale, la quale aveva ritenuto prevalente il profilo del mancato rispetto della forma richiesta dall’art. 69, terzo comma, r.d. n. 2440/1923 -in accoglimento, sul punto, della tesi del COMUNE DI SAN BENEDETTO DEL TRONTO, appellante incidentale -ed aveva anzi adottato esplicitamente una motivazione diversa da quella espressa dal giudice di prime cure, il quale aveva invece ritenuto di dare applicazione proprio al l’art. 9, Legge n. 2248/1865 All. E .
La declaratoria di assorbimento enunciata nella sentenza cassata -ed evidenziata anche da questa Corte al paragrafo 3.3 della motivazione della sentenza n. 20739/2015 -è venuta a determinare – a seguito della cassazione della decisione della Corte territoriale l’applicabilità dei principi enunciati da questa Corte in tema di assorbimento improprio, del resto invocati, ma impropriamente, anche dalla stessa ricorrente.
Si deve, allora, rammentare che questa Corte ha costantemente affermato il principio per cui, in tema di assorbimento c.d. improprio, nel caso di rigetto di una domanda in base alla soluzione di una questione di carattere esaustivo che rende vano esaminare le altre, sul soccombente non grava l’onere di formulare sulla questione assorbita alcun motivo di impugnazione, ma è sufficiente, per evitare
il giudicato interno, che censuri o la sola decisione sulla questione giudicata di carattere assorbente o la stessa statuizione di assorbimento, contestando i presupposti applicativi e la ricaduta sulla effettiva decisione della causa (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 48 del 04/01/2022; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14190 del 12/07/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17219 del 09/10/2012).
Alcun onere di impugnazione -si osserva per completezza avrebbe potuto ritenersi gravare sull’odierno controricorrente, in quanto lo stesso era comunque risultato vincitore anche nel giudizio di appello, al punto che un suo eventuale ricorso incidentale sarebbe stato destinato alla declaratoria di inammissibilità, in ragione del fatto che le questioni dichiarate assorbite, in caso di accoglimento del ricorso principale -come è avvenuto nel caso in esame -avrebbero potuto essere riproposte davanti al giudice di rinvio (Cass. Sez. U, Sentenza n. 14382 del 08/10/2002; Sez. 5 – Ordinanza n. 29662 del 25/10/2023; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22501 del 19/10/2006; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17201 del 28/08/2004; Cass. Sez. L, Sentenza n. 12680 del 29/08/2003; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9637 del 16/07/2001).
Alla fattispecie, allora, deve applicarsi il principio per cui, in materia di procedimento civile, in ordine alle censure sollevate nel giudizio di merito e non riproposte in sede di legittimità all’esito della declaratoria di relativo assorbimento emessa dal giudice dell’impugnazione di merito, non si forma giudicato implicito, non potendo le questioni dichiarate “assorbite” essere proposte nel giudizio di cassazione neanche mediante ricorso condizionato, in difetto di una anche implicita statuizione sfavorevole in ordine alle medesime, da ciò conseguendo che, poiché la forza preclusiva della sentenza di cassazione ha per oggetto soltanto le questioni che
costituiscono il presupposto necessario e logicamente inderogabile della pronunzia cassata, ben possono le suddette questioni essere riproposte e decise nell’eventuale giudizio di rinvio (Cass. Sez. 5 Sentenza n. 14813 del 26/05/2023; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1566 del 24/01/2011; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 26264 del 02/12/2005).
Erra, quindi, la ricorrente nell’affermare che, in sede di rinvio alla Corte territoriale sarebbe stato precluso ogni ulteriore esame della questione concernente l’applicabilità dell’art. 9, Legge n. 2248/1865 All. E, e ciò in quanto alla precedente decisione di questa Corte non poteva ricollegarsi alcun effetto preclusivo dell’esame di tale questione, non avendo quest’ultima costituito in alcun modo né oggetto della pronuncia cassatoria né -ancor prima -presupposto necessario e logicamente inderogabile della pronuncia cassata.
Al contrario, correttamente la Corte d’appello in sede di rinvio ha ritenuto che il profilo dell’applicabilità dell’art. 9, Legge n. 2248/1865 All. E ben potesse essere valutato ex novo , non sussistendo sul punto alcun vincolo derivante dal principio di diritto precedentemente enunciato da questa Corte.
Il ricorso -che, si osserva per completezza, alcuna censura ha formulato in relazione al governo che la Corte territoriale ha fatto del l’art. 9, Legge n. 2248/1865 All. E -deve pertanto essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13,
se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 10.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima