Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30365 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30365 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/11/2024
COGNOME NOME ;
Oggetto:
associazione RAGIONE_SOCIALE partecipazione
AC – 14/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30360/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , elett.te domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende giusta procura allegata al ricorso, unitamente e disgiuntamente all’AVV_NOTAIO, giusta memoria di costituzione di nuovo difensore del 25 settembre 2024;
-ricorrente –
Contro
– intimato –
avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 660/2020, pubblicata il 20 febbraio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Venezia, in parziale accoglimento della sentenza del locale Tribunale, ha accertato il suo obbligo di restituire a NOME COGNOME la somma di euro 36.151,95, oltre accessori, in conseguenza della cessazione dell’ attività oggetto del contratto di associazione in partecipazione sottoscritto tra le parti in data 1° marzo 2000.
NOME COGNOME è rimasto intimato.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha osservato: a) che nessuna censura la sentenza di primo grado aveva ricevuto sul punto inerente alla qualificazione del rapporto esistito tra le parti come associazione in partecipazione (COGNOME associato e COGNOME associante, in relazione alla gestione da parte di quest’ultimo di una sala giochi), sì che sul punto nessun ulteriore accertamento era consentito; b) che il COGNOME non aveva provato alcuna perdita subita nella gestione della sua attività economica in qualità di associante (all’uopo non dimostrative dovendo ritenersi le pro ve addotte a sostegno di pretesi danni all’immobile); c) che non sussisteva alcuna ‘non contestazione’ dell’COGNOME sull’esistenza tra le parti di una società e non di un’ associazione in partecipazione, siccome le allegazioni del COGNOME inerenti alla pretesa erogazione di utili all’COGNOME e alla chiusura in passivo dell’attività erano tanto generiche da non consentire a quest’ultimo di dover prendere su di
esse specifica posizione; d) che vi era idonea prova in atti dell’ avvenuta corresponsione all’associante della somma di euro 36.151,95, di cui andava pertanto disposta la restituzione.
CONSIDERATO CHE
1. Il ricorso lamenta:
«1^motivo. Art. 360 1°comma n. 4 c.p.c.: nullità della sentenza per violazione del principio tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.», deducendo che la Corte di appello avrebbe ritenuto erroneamente che l’COGNOME abbia proposto in giudizio una domanda fondata sul contratto di associazione in partecipazione, che legittimava all’ applicazione anche della relativa disciplina prevista dal codice civile, laddove una simile prospettazione era stata introdotta solo tardivamente dall’COGNOME con le note conclusive in primo grado, come il Tribunale aveva correttamente rilevato.
b. «2^ motivo. Art. 360 1°comma n. 4 c.p.c.: nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio (art. 101 c.p.c.), del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e del principio del giusto processo (art. 111 c.p.c.)», deducendo la nullità della sentenza impugnata per aver deciso ‘a sorpresa’ sull’applicabilità alla fattispecie della disciplina del codice civile, laddove l’COGNOME aveva dedotto in lite la sola applicabilità delle previsioni del contratto stipulato tra le parti.
I primi due motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, non sono fondati. Non sussiste nella specie alcuna extra petizione da parte del giudice di appello, né tampoco è stata resa una pronuncia per conseguenza ‘a sorpresa’ rispetto alle difese che le parti hanno inteso introdurre nel processo in relazione al suo oggetto. Nel presente processo si
è sempre discusso di associazione in partecipazione. Tanto è dimostrato dal fatto che l’odierno ricorrente, nei motivi del ricorso, non contesta affatto l’affermazione, contenuta a pagina 8 della sentenza impugnata, secondo cui nessuna censura in appello sia stata mossa dalle parti alla qualificazione del rapporto tra di esse esistito nella disciplina dell ‘associazione in partecipazione. Oggetto di discussione, quindi, non è un preteso mutamento della domanda opera dell’COGNOME (nei suoi tratti distintivi di petitum e/o causa petendi ), bensì esclusivamente se, nel caso di specie, debbano applicarsi in toto le previsioni del codice civile che disciplinano l’associazione in partecipazione, ovvero siano state dedotte e provate circostanze idonee a dimostrare la pattuizione a opera delle parti di previsioni derogatorie alla disciplina generale, nei limiti in cui le stesse appartengano alla disponibilità delle parti nell’esercizio della loro autonomia contrattuale rispetto al modello legale di riferimento (sui limiti di tale derogabilità pattizia, si veda Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13968 del 24/06/2011). Ciò che esclude in radice qualsiasi vizio di extra o ultra petizione .
c. «3^motivo. Art. 360 1°comma n. 3 c.p.c.: violazione e falsa applicazione delle norme che disciplinano l’associazione in partecipazione (art. 2549 c.c. e segg.) e l’onere della prova (art. 2697 c.c.)», deducendo che la sentenza impugnata avrebbe, in ogni caso, erroneamente applicato la disciplina codicistica dell’ associazione in partecipazione , avendo gravato l’ associante convenuto e non già l’ associato attore dell’onere di provare il risultato dell’attività imprenditoriale, senza nemmeno aver domandato un eventuale rendiconto.
Il motivo è infondato. La sentenza impugnata, a pagina 10, dalla sussunzione del contratto concluso tra le parti nella disciplina dell’associazione in partecipazione ha correttamente dedotto che, nella normalità dei casi, l’ associato partecipa alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili; principio generale da cui la Corte territoriale ha fatto derivare altre due corrette conseguenze : a) che sia l’associato ad avere l’onere di provare l’ eventuale deroga pattizia a tale regola generale, attraverso la dimostrazione di una pattuizione tra le parti avente a oggetto un suo esonero inerente alla partecipazione dalle perdite; b) che, tuttavia, sia l’ associante a dover provare l’ ammontare di eventuali perdite che possano essere opposte alla domanda di restituzione dell’ apporto formulata dall’associato, entro il limite massimo del valore dell’ apporto (art. 2553 cod. civ.). Il criterio di riparto risulta nella specie, quindi, correttamente applicato, atteso che ciò che la sentenza impugnata ha escluso è che l’odierno ricorrente, associante, abbia provato perdite di attività opponibili alla richiesta di restituzione dell’apporto a opera dell’associato al momento in cui il co ntratto era, pacificamente, estinto per il venir meno dell’attività economica intrapresa dall’ associante.
«4^motivo. Art. 360 1°comma n. 3 c.p.c.: violazione e falsa applicazione del principio di non contestazione (art. 115 c.p.c.) della norma 116 c.p.c.», deducendo che la sentenza impugnata avrebbe, in ogni caso, erroneamente affermato che le allegazioni del ricorrente inerenti a perdite nella gestione dell’affare fossero generiche, di talché era preciso onere dell’COGNOME prendere su di ess e specifica posizione, ciò che
risultava essere avvenuta solo tardivamente nelle note conclusive di primo grado.
Il motivo è infondato. La ratio decidendi sul punto resa dalla sentenza impugnata è che, in astratto, il convenuto abbia l’onere di prendere specifica posizione solo sulle allegazioni attoree che siano specularmente specifiche, laddove tale onere non sussista in presenza di allegazioni generiche, sì da non potersi ritenere non contestati fatti e circostanze che non soddisfino il precitato requisito di specificità. Il principio è corretto in astratto (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22055 del 22/09/2017) e, in concreto, qualora la censura in esame volesse interpretarsi (a dispetto della rubrica), come deducente un error in procedendo inerente alla valutazione della genericità delle contestazioni in concreto effettuate sul punto dal COGNOME nella comparsa di costituzione in primo grado, non è certo confutata dalla trascrizione di siffatte contestazioni riportata a pagina 18 del ricorso. Le stesse appaiono, infatti, del tutto inconferenti, in quanto testualmente riferite a una pretesa società esistita tra le parti, laddove, come detto a commento dei primi motivi di ricorso, nella specie il rapporto esistito è stato qualificato come associazione in partecipazione e tale qualificazione non è stata oggetto di contestazione in fase di appello.
e. «5^motivo. Art. 360 1°comma n. 3 c.p.c.: Art. 360 1°comma n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione delle norme in tema di valutazione delle prove, tra cui gli arti. 2726 e 2729 c.c.», deducendo che la sentenza impugnata avrebbe, in ogni caso, contraddittoriamente ed erroneamente valutato le prove in atti, allorquando ha ritenuto provato il versamento della somma
oggetto di lite a opera dell’COGNOME, giacché alcuna presunzione sarebbe stata ricavabile dalle prove offerte in atti.
Il motivo è inammissibile perché, in assenza di alcun riferimento alla violazione o alla falsa applicazione dei canoni normativi di interpretazione, risulta totalmente versato in fatto, contrapponendo al giudizio valutativo delle prove effettuato dal giudice del merito una propria diversa valutazione della corretta interpretazione che, in tali termini, non può essere sottoposta al vaglio di questa Corte di sola legittimità.
Il ricorso va, quindi, complessivamente rigettato.
La mancata attività difensiva dell’intimato esonera la Corte dal dover provvedere a regolare le spese di lite del grado.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 novembre