LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Associazione in partecipazione: nullità della clausola

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 308/2024, ha confermato la nullità di una clausola in un contratto di associazione in partecipazione che riconosceva all’associato una quota del valore patrimoniale dell’azienda. Tale previsione, secondo la Corte, snatura la causa tipica del contratto, assimilandolo a un rapporto societario che, nel caso specifico di una farmacia, era vietato dalla legge all’epoca dei fatti. La decisione ribadisce i limiti dell’autonomia contrattuale e la distinzione netta tra associazione in partecipazione e società.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Associazione in partecipazione e limiti dell’autonomia contrattuale: il caso della farmacia

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi sulla natura e sui confini del contratto di associazione in partecipazione, stabilendo principi chiari sull’autonomia delle parti. La decisione analizza la validità di una clausola che riconosce all’associato, al termine del rapporto, non solo la restituzione dell’apporto e una quota degli utili, ma anche una parte del valore patrimoniale dell’azienda. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.

Il caso: una clausola contestata nel contratto di associazione

La controversia nasce da un contratto di associazione in partecipazione stipulato nel 1990 per la gestione di una farmacia. Anni dopo, una delle parti ha avviato un’azione legale chiedendo, tra le altre cose, che venisse dichiarata la nullità del contratto, sostenendo che dissimulasse un mutuo usurario.

Il punto cruciale della disputa riguardava la clausola n. 8 del contratto. Questa clausola prevedeva che, alla cessazione del rapporto, agli associati sarebbe stato riconosciuto un importo calcolato non solo sulla base del capitale apportato, ma anche in relazione al valore patrimoniale dell’azienda. La Corte d’Appello di Bari aveva già dichiarato la nullità di questa specifica clausola, ritenendola una deviazione dalla causa tipica del contratto di associazione in partecipazione.

La natura dell’associazione in partecipazione secondo la Cassazione

La Suprema Corte, nel respingere il ricorso principale, ha colto l’occasione per ribadire i tratti distintivi dell’associazione in partecipazione. Questo contratto si caratterizza per:

1. Carattere sinallagmatico: l’associante attribuisce una quota di utili e l’associato conferisce un apporto.
2. Mancanza di un soggetto nuovo: non si crea una nuova società né un patrimonio autonomo.
3. Esclusività della gestione: l’impresa e l’affare rimangono di esclusiva pertinenza dell’associante, che gestisce, assume obbligazioni verso terzi, si appropria degli utili e subisce le perdite.
4. Partecipazione mediata dell’associato: l’associato non partecipa direttamente all’impresa. Il suo diritto si concretizza in un credito verso l’associante per la liquidazione della quota di utili e la restituzione dell’apporto (in caso di risultati positivi).

L’associato, quindi, non acquisisce diritti sui beni aziendali, ma solo un diritto di credito.

La decisione della Corte: perché la clausola è nulla

Sulla base di questi principi, la Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, rigettando il ricorso dell’associante. La nullità della clausola n. 8 è stata motivata da due ragioni fondamentali.

La deviazione dalla causa tipica

Prevedere che l’associato partecipi agli incrementi di valore del patrimonio dell’associante è, secondo i giudici, “completamente distonico” rispetto alla disciplina tipica dell’associazione in partecipazione. Una tale previsione riflette lo schema di un rapporto societario, dove il socio partecipa al patrimonio sociale, e non quello di una semplice associazione in cui la partecipazione è limitata agli utili.

La violazione di norme imperative

La Corte ha sottolineato un aspetto decisivo: all’epoca della stipula del contratto (1990), la legge vietava espressamente la gestione di farmacie in forma societaria. La clausola contestata, riproducendo di fatto un modello contrattuale societario, si poneva in diretto contrasto con una norma imperativa. L’autonomia contrattuale delle parti, pur ampia, non può spingersi fino a eludere divieti di legge.

Il ricorso incidentale e la sua inammissibilità

Anche il ricorso incidentale, proposto dall’associata, è stato respinto. L’associata chiedeva che la nullità fosse estesa all’intero contratto, sostenendo che la clausola n. 8 ne fosse un elemento essenziale. La Corte ha dichiarato il motivo inammissibile, ricordando che la valutazione sull’essenzialità di una clausola ai fini della nullità totale del contratto è un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità se non per vizi specifici che non erano stati dedotti.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla netta distinzione tra la causa del contratto di associazione in partecipazione e quella del contratto di società. Nel primo, l’apporto dell’associato serve a finanziare l’impresa dell’associante in cambio di una remunerazione (gli utili). L’associato non condivide il rischio d’impresa se non nei limiti del proprio apporto e non partecipa alla proprietà dei beni aziendali. Nel contratto di società, invece, i soci conferiscono beni e servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili, creando un patrimonio comune e una condivisione del rischio e della gestione. La clausola che riconosce all’associato una quota del valore aziendale, compresi avviamento e incrementi patrimoniali, travalica la funzione del contratto di associazione e invade quella societaria. La Corte ha ritenuto che tale deviazione, unita al divieto normativo specifico per il settore delle farmacie, rendesse la clausola contraria a norme imperative, determinandone la nullità ai sensi dell’art. 1418 cod. civ.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito per chi redige contratti di associazione in partecipazione. L’autonomia privata non è senza limiti e non può essere utilizzata per creare figure contrattuali atipiche che, di fatto, aggirano divieti di legge o snaturano la funzione economico-sociale di un istituto giuridico. La distinzione tra partecipazione agli utili e partecipazione al patrimonio rimane un discrimine fondamentale: il primo è l’essenza dell’associazione in partecipazione, il secondo è il tratto distintivo del rapporto societario. Confondere questi due piani può portare alla nullità delle pattuizioni e a complesse controversie legali.

È possibile prevedere in un’associazione in partecipazione che l’associato abbia diritto a una quota del valore dell’azienda alla fine del rapporto?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che una clausola di questo tipo è nulla perché snatura la causa tipica del contratto. L’associato ha diritto solo a una quota degli utili e alla restituzione del suo apporto, non a una parte del patrimonio dell’associante.

Perché una clausola che riconosce all’associato una quota del patrimonio aziendale è considerata nulla?
Perché riproduce uno schema tipico del rapporto societario. Nel caso specifico, all’epoca dei fatti, la legge vietava la gestione di farmacie in forma societaria. Pertanto, la clausola violava una norma imperativa e i limiti all’autonomia contrattuale delle parti.

La nullità di una singola clausola essenziale comporta sempre la nullità dell’intero contratto?
Non automaticamente. La valutazione se la clausola nulla fosse così essenziale da invalidare l’intero contratto è un’indagine sulla volontà delle parti che spetta al giudice di merito. In Cassazione, tale valutazione non è riesaminabile se non per vizi specifici non sollevati nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati