Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 147 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 147 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 10304/2021 proposto da:
COGNOME Antonio, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente – contro
COGNOME NOME quale coerede e Legale Rappresentante della comunione ereditaria di COGNOME NOME, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME Franco, COGNOME NOME e NOME;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 635/2020 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 20/01/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Su istanza di NOME COGNOME quale coerede e rappresentante della comunione ereditaria, il Tribunale di Oristano con decreto n. 53/2012 ingiungeva ad NOME COGNOME il pagamento della somma di euro 333.204,77 oltre interessi e spese a titolo di canoni arretrati, dovuti in forza del contratto di locazione concluso con il defunto NOME COGNOME in data 01.01.2007.
Avverso il suddetto decreto proponeva opposizione il Contu, che deduceva le seguenti circostanze:
-di avere ottenuto dall’amico di vecchia data NOME COGNOME nel giugno del 2000, un prestito di lire 120 milioni al tasso d’interesse passivo del 9% su base annua (a fronte di un tassosoglia che all’ epoca era, per i mutui bancari assistiti da garanzia rea le, dell’8,73%) per acquistare un’area su cui sarebbe dovuto sorgere un impianto di distribuzione di carburanti, avendo conseguito il rilascio della relativa concessione amministrativa;
-che lui -dopo aver avviata l’attività della RAGIONE_SOCIALE (società costituita per la gestione dell’impianto di distribuzione) era risultato debitore verso il Bonesu di lire 40 milioni nonché di lire 16 milioni verso la Banca Monte dei Paschi di Siena, ed obbligato, in forza di un contratto preliminare di compravendita dell’1.06.1998 con tale NOME COGNOME, alla stipulazione del definitivo di compravendita dell’area destinata a ospitare l’impianto, verso il saldo di lire 70 milioni;
-che lui, non disponendo di detta somma, nei primi mesi del 2001 aveva chiesto al Bonesu di rendersi acquirente del terreno al suo posto e questi aveva accettato, restituendogli l’acconto versato di ulteriori lire 70 milioni;
-che il COGNOME aveva quindi a lui concesso di godere dell’area a titolo gratuito, con l’accordo che, quando fossero terminati i lavori
relativi alla stazione di rifornimento e trascorso un anno dall’inizio dell’attività, gli impianti e l’area gli sarebbero stati concessi in locazione, verso un canone pari a lire 7 per ogni litro di carburante venduto;
-che i costi dei materiali e della manodopera per la costruzione della stazione di rifornimento erano stati sostenuti dal Bonesu, che aveva rimborsato a lui ed alla RAGIONE_SOCIALE la parte delle spese anticipata;
-che in seguito il Bonesu gli aveva concesso ulteriori lire 30 milioni a titolo di mutuo al tasso di interesse passivo annuo del 9% (il tasso-soglia per i mutui bancari assistiti da garanzia reale era a quel tempo pari al 10,23%), quindi altri euro 20.000,00 senza interessi;
-che, dunque, il Bonesu, approfittando della sua condizione di difficoltà economica, con una spesa di appena 440 milioni di lire era divenuto proprietario del terreno su cui era stata eretta la stazione di erogazione del gas nonché, esercitati i diritti di accessione ai sensi dell’art. 936 cod. civ., degli impianti ivi realizzati;
-che il 28.02.2002 aveva concluso con il Bonesu un contratto di locazione (rinnovato nel 2007 senza modifiche sostanziali), in forza del quale era stato pattuito che: a) lui, a decorrere dal 29.10.2001, in cambio del godimento degli immobili funzionali all ‘esercizio dell’attività di erogazione del carburante, si era impegnano a pagare un canone corrispondente al 35% della differenza di prezzo tra il gas acquistato franco distributore e il gas venduto, accollandosi, inoltre, i costi di manutenzione degli impianti; b) qualora per fatti indipendenti dalla volontà delle parti la proprietà degli immobili non fosse più stata in capo al Bonesu, lui avrebbe potuto riscattare la proprietà della stazione ‘pagandone in cinque rate annue, senza interessi, il valore in m isura pari al canone d’affitto, capitalizzato al 5%, calcolato sulla media degli
ultimi tre anni’, con deduzione degli ammortamenti fiscali e dei contributi pubblici in conto capitale goduti e con l’ulteriore accordo che ‘il mancato assenso del gestore al riscatto della proprietà comporterà risoluzione del contratto d’affitto ai sei me si dalla richiesta. La proprietà verrà trasferita all’atto del pagamento del saldo’;
-che, essendo deceduto il Bonesu in data 19.12.2007, lui -dopo aver per un primo periodo continuato a pagare con regolarità i canoni di locazione – su richiesta degli eredi del defunto, mossi da esigenze di risparmio fiscale – aveva temporaneamente sospeso i pagamenti, convenendo che questi riprendessero, con formula dilazionata, a partire dal gennaio 2009;
-che, tuttavia, nel dicembre del 2009 gli eredi del COGNOME, che fino ad allora non avevano chiesto alcunché, avevano da lui preteso il versamento, senza dilazione, di tutti i canoni arretrati;
-che in seguito, con atto notificato l’08.04.2010, lui aveva esercitato il diritto di riscatto, ma gli eredi COGNOME non avevano provveduto a trasferirgli la proprietà del terreno e degli impianti, disattendendo, inoltre, la sua richiesta di addivenire alla divisione di un adiacente terreno, acquistato in comunione con il defunto NOME COGNOME;
-che lui, non avendo ricevuto riscontro, aveva allora proposto agli eredi COGNOME o di rinegoziare le condizioni economiche della locazione o di rendersi affittuari dell’azienda, provvedendo, in tal modo, a gestire in prima persona l’attività di erogazione dei carburanti.
In sintesi, secondo l’opponente: a) i contratti conclusi con il Bonesu avevano concorso alla realizzazione di una complessa operazione negoziale unitaria (una locazione finanziaria), che per la notevole sproporzione fra le reciproche prestazioni aveva dato luogo alla configurazione del reato di usura, in quanto, senza sopportare il
rischio d’impresa, il COGNOME aveva percepito all’incirca il 70% degli utili complessivamente realizzati dall’azienda; b) sussistendo l’usura: in via principale, il contratto era nullo o, perlomeno, era nulla la clausola di riscatto, che prevedeva un sistema di capitalizzazione ingiusto e nessuna corrispettività di condizioni, essendo evidente che il COGNOME, già proprietario, non avrebbe mai avuto alcun interesse al riscatto. In subordine, il contratto era rescindibile ai sensi dell’art. 1448 cod. civ. e l’a zione non poteva ritenersi prescritta, dacché il termine di prescrizione seguiva quello del reato di usura. In ogni caso, il credito azionato in via monitoria era inesistente, perché i proprietari erano stati inadempienti sia alle obbligazioni discendenti dal disposto dell’art. 1575 cod. civ., non avendo gli stessi tenuto in buono stato di conservazione la cosa locata sì da garantire al conduttore di servirsene secondo l’uso, sia all’obbligo di trasferire in suo favore la proprietà del bene in conseguenza d ell’esercizio del riscatto, sia alla richiesta di procedere alla divisione del fondo, retrostante il distributore, che lui aveva acquistato in comproprietà col dante causa dei Bonesu; c) lui, ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., aveva diritto di ottenere dal la parte opposta, in caso di rigetto dell’opposizione, la prestazione di una garanzia idonea a tutelarlo contro eventuali, futuri danni derivanti da inadempimenti contrattuali.
Si costituiva in giudizio NOME COGNOME quale erede e rappresentante della RAGIONE_SOCIALE Bonesu, contestando la domanda attorea, della quale chiedeva il rigetto. In particolare,
-contestava che i rapporti intercorsi tra il genitore e il COGNOME fossero stati contraddistinti da condizioni usurarie, facendo rilevare che il proprio genitore: a) aveva acquistato il terreno destinato a ospitare gli impianti di erogazione del gas e del carburante su richiesta dello stesso COGNOME, che non disponeva delle risorse necessarie per
adempiere l’obbligo di concludere il contratto definitivo col COGNOME; b) aveva rimborsato al Contu le somme anticipate in funzione della contrattazione preliminare; c) si era fatto carico di tutte le spese connesse alla realizzazione degli impianti, provvedendo a rimborsare al Contu e alla RAGIONE_SOCIALE i costi, già sostenuti, di materiali e manodopera; d) aveva legittimamente esercitato il diritto di accessione in qualità di proprietario dell’area; e) nella fase iniziale dell’attività, aveva concesso il godimento del terreno e degli impianti, al Contu e alla Tirsogas, a titolo gratuito, soltanto in un secondo momento aveva stipulato l’affitto;
-deduceva inoltre che: a) il contratto, più che di affitto, avrebbe dovuto qualificarsi come contratto di compartecipazione, poiché in cambio del godimento dei beni funzionali all’esercizio dell’impresa, era stata convenuta la partecipazione del Bonesu a una quota degli utili; b) soltanto con il tempo, in funzione della maggiore redditività dell’impianto e del progressivo miglioramento della situazione economica del Contu, le condizioni negoziali dell’affitto erano state modificate; c) le varie operazioni economiche erano state realizzate mediante contratti separati e poste in essere lungo un arco temporale piuttosto ampio, sicché non potevano ritenersi fra di loro collegate; d) in ogni caso, non era ravvisabile alcuna forma di usura, giacché all’atto della conclusione del primo contratto di mutuo da lire 120 milioni, il tassosoglia dell’8,73% era quello applicabile, ratione temporis , ai contratti di mutuo conclusi con istituti bancari e assistiti da garanzia reale, mentre il tasso-soglia applicabile analogicamente al caso di specie -quello per il credito non assistito da garanzie, erogato da intermediari non bancari -era superiore al 20%; e) il Contu aveva goduto anche di un mutuo -di euro 20.000,00 -a titolo gratuito; f) l’azione di rescissione era prescritta, g) il riscatto comunque non
rituale giacché dopo la comunicazione dell’08.04.2010 il Contu, seppur saltuariamente, aveva continuato a pagare i canoni di affitto -doveva ritenersi inefficace, poiché da un lato esercitato oltre due anni dopo il decesso di NOME COGNOME e dall’altro le somme a cui le parti avevano scelto di condizionarne l’efficacia non era mai state pagate; la relativa clausola era comunque nulla, poiché, laddove le parti avessero inteso produrre l’acquisto della proprietà del bene in capo al Contu in funzione della morte del Bonesu, sarebbe risultato integrato un patto successorio; h) quanto al lamentato inadempimento, era inapplicabile l’art. 1575 cod. civ., giacché nel caso concreto si versava, al massimo, in un’ipotesi di affitto di bene produttivo, con applicabi lità degli articoli 1615 e seguenti cod. civ., e il Contu si era pattiziamente fatto carico dell’onere di manutenere l’impianto; i) infine, non poteva essere richiesta al creditore la prestazione di alcuna cauzione ex art. 1460 cod. civ. per eventuali, futuri inadempimenti.
Il giudice di primo grado concedeva la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto.
Successivamente, il Contu, ricevuta la notifica del precetto, proponeva giudizio di opposizione all’esecuzione, opponendo in compensazione un asserito controcredito di circa un milione e mezzo di euro, sull’assunto che, con il contratto di locazione del 01.01.2007 il COGNOME si fosse impegnato a rimborsargli le spese sostenute per l’esecuzione delle nuove opere acquistate in virtù dell’art. 936 cod. civ., rimanendo suo debitore di euro 197.607,24, e di avere diritto all’indennità di cui all’art. 34 della Legge n. 392/1978, atteso che gli eredi COGNOME, in seguito alla scadenza, il 31.12.2012, del contratto di locazione del 01.01.2007, avevano manifestato la volontà di non proseguire il rapporto e di continuare personalmente nella gestione dell’impresa, rest ando così tenuti a corrispondergli trentasei mensilità
del canone (quantificate in euro 1.367.256,24), calcolate facendo la media fra tutti i canoni pagati durante il rapporto fin dal 2001.
In quel giudizio il COGNOME: a) eccepiva, in ordine alla domanda di compensazione, la litispendenza, b) nel merito negava che il Contu potesse esigere il pagamento dell’indennità di avviamento, ricorrendo un affitto d’azienda o, al più, un contratto di comp artecipazione, con conseguente inapplicabilità della disciplina delle locazioni commerciali; c) quanto agli ulteriori costi, rilevava che una parte delle spese documentate era stata sostenuta oltre dieci anni prima, sicché il credito risultava prescritto e, in ogni caso, che le fatture avrebbero dovuto essere prodotte, per il rimborso, entro i termini contrattualmente convenuti, ampiamente decorsi. Inoltre, parte delle somme, riguardanti spese antecedenti al 31.10.2001, erano già state rimborsate in seguito all’esercizio dei diritti di accessione, altre somme non erano invece rimborsabili in quanto estranee alla realizzazione delle opere oggetto d’accessione; infine, dalle somme asseritamente rimborsabili avrebbero dovuto essere dedotti gli ammortamenti fiscali e i finanziamenti pubblici.
Il Tribunale di Oristano, disposta la riunione dei due giudizi, con ordinanza dell’08.08.2012 invitava le parti, ai sensi dell’art. 101, comma 2, cod. proc. civ., a prendere posizione sulla possibile nullità della clausola di riscatto contenuta nel contratto del 01.01.2007, siccome integrante un patto di opzione, e dunque carente, anche sotto il profilo della disciplina urbanistica, degli elementi essenziali del contratto traslativo della proprietà immobiliare.
La causa veniva istruita mediante produzioni documentali e consulenza tecnica d’ufficio.
Il Tribunale con sentenza n.356/2019 resa ai sensi dell’art. 429 c.p.c., nel rigettare l’opposizione, dichiarava definitivamente esecutivo,
ai sensi dell’art. 653 cod. proc. civ., il decreto ingiuntivo opposto, condannando il Contu a rifondere alla parte opposta le spese processuali, incluse quelle di CTU eventualmente anticipate.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello NOME COGNOME richiamando integralmente le conclusioni svolte in primo grado (riportate in epigrafe) e proponendo quattro motivi.
L’appellato resisteva al gravame.
La Corte di Appello di Cagliari con sentenza n. 635/2020 rigettava l’appello condannando il Contu alla rifusione in favore di parte appellata delle spese processuali relative al grado.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso il Contu
Ha resistito con controricorso il Bonesu, sempre nella qualità di coerede e di legale rappresentante della Comunione ereditaria di Bonesu Salvatore
Per l’odierna udienza il Difensore di parte ricorrente ha depositato memoria a sostegno del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il Contu antepone alla illustrazione dei motivi una premessa nella quale illustra il quid juris della impugnazione. In questa prospettiva:
-deduce di aver adito il Tribunale prima e la Corte d’Appello dopo, chiedendo, in via principale, di accertare che il rapporto contrattuale intercorso sin dal 2002 con il Bonesu fosse stato connotato dagli elementi che, conformemente all’art. 644 c.p., int egrano la fattispecie del reato di usura e, perciò, di dichiararne la nullità integrale o parziale ovvero pronunciarne la rescissione, con condanna alle restituzioni. Ciò, a prescindere dalla qualificazione giuridica dei contratti stipulati inter partes , di cui nessuno aveva mai messo in dubbio la natura di contratto sinallagmatico, a prestazioni corrispettive;
-sostiene che il giudice di primo grado, anziché accertare, nei fatti da lui esposti e documentati, mai contestati dai convenuti e risultati anche dalla CTU, il grave squilibrio delle prestazioni contrattuali rispettivamente a carico delle parti, si è dedicato preliminarmente alla ricerca di una qualificazione giuridica del contratto, come se l’usura non dipendesse dallo squilibrio sinallagmatico sproporzionato, ma dalla natura del rapporto. Per poi concludere, irragionevolmente e contra petitum , che, poiché il contratto sarebbe da qualificarsi come associazione in partecipazione, l’usura sarebbe concettualmente incompatibile; sicché, dichiarata non pertinente la CTU espletata, si è esonerato dall’accertamento dello squilibrio sinallagmatico delle prestazioni;
-osserva che la qualificazione del contratto – come contratto di locazione commerciale (come da lui sostenuto) o contratto di affitto d’azienda (come sostenuto dal Bonesu) – era sì venuta in discussione, nel corso del giudizio di primo grado, ma con riguardo ad una diversa e ulteriore sua domanda, e cioè al fine di decidere se gli spettasse oppure no l’indennità di fine rapporto locatizio (ex art. 34 l. 392/78);
-sottolinea che su tale aspetto era stato chiamato a pronunciarsi il Tribunale in formazione collegiale, in sede di reclamo avverso un’ordinanza di rigetto della sospensione della provvisoria esecuzione, e il Tribunale, ampiamente motivando, con ordinanza 19 luglio 2013 aveva stabilito trattarsi di un contratto di locazione commerciale;
-si duole che il giudice di primo grado -invertendo incomprensibilmente ed erroneamente l’ordine delle domande da lui formulate, senza tenere in alcun conto la decisione del Tribunale in sede di reclamo né la complessa istruttoria, che era stata svolta in conformità all’esito del reclamo stesso aveva innanzitutto deciso che, preliminarmente a ogni domanda dedotta in giudizio, occorresse
qualificare il contratto e lo aveva qualificato come contratto di associazione in partecipazione;
-si duole altresì che la corte territoriale nella impugnata sentenza: a) non fa che seguire, acriticamente, il percorso motivazionale della sentenza di primo grado, ignorando anch’essa la decisione del Tribunale in sede di reclamo e la conseguente istruttoria, e anteponendo dunque, a qualunque altra valutazione, la supposta esigenza di qualificare il contratto; b) qualifica anch’essa (erroneamente, in tesi difensiva) il contratto intercorso tra il Contu ed il Bonesu come contratto di associazione in partecipazione, facendo da ciò discendere: l’inapplicabilità dell’usura, la non rescindibilità per lesione ultra dimidium e l’inapplicabilità del diritto all’indennità di fine rapporto locativo; c) giunge ad affermare che la ‘corretta qualificazione del contratto, e, comunque, l’esclusione della locazione, sulla base dei dati fattuali rilevati, evidenzia come le stesse risultanze peritali siano fondate su parametri estranei alle accertate dinamiche dei rapporti fra le parti, prescindendo dall’effettiva realtà cont rattuale degli accordi e degli investimenti eseguiti’ (pag. 26): senza considerare che i quesiti posti ai CTU erano stati formulati dal giudice adito sulla base del convincimento già raggiunto in punto di natura del contratto in questione.
Fatta questa premessa, il Contu articola in ricorso sette motivi.
2.1.Con il primo motivo (pp. 1138), in relazione all’art. 360 primo comma n. 3, c.p.c., il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c.; artt. 1448, 2907 e 2947, co. 3°, c.c.; art. 644 c.p., nella parte in cui la corte territoriale non ha vagliato in concreto la ricorrenza, nel caso di specie, della fattispecie dell’usura.
Sostiene che la corte territoriale ha escluso l’usura sulla base di considerazioni per nulla pertinenti alla fattispecie considerata ed alle contestazioni mosse nell’atto di appello.
Censura la sentenza impugnata: in primo luogo perché lui non ha mai affermato che, a prescindere dalla qualificazione dei singoli negozi, questi, unitariamente considerati, potessero essere qualificati come locazione finanziaria; in secondo luogo, perché anche la corte territoriale non ha risposto (come d’altronde il giudice di primo grado) alla domanda, da lui proposta, diretta ad accertare se dal contratto, stipulato inter partes , emergesse la fattispecie di reato dell’usura, a prescindere dalla sua qualificazione (al riguardo sottolinea che nella fattispecie è intercorso tra le parti un contratto a prestazioni corrispettive, che l’apporto, fornitogli dal COGNOME, era consistito nel godimento di un immobile e delle attrezzature ivi presenti e che, a fronte di detto godimento, lui aveva dato ai COGNOME la somma di euro 2.235.639,02 euro); in terzo luogo, perché la corte territoriale, nel qualificare il contratto come associazione in partecipazione (e, quindi, nell’escludere gli estremi dell’usura), ha dato ril ievo al fatto (non corrispondente alla realtà) che il Bonesu aveva assunto il rischio di impresa nonché al fatto che la sua impresa aveva conseguito un risultato economico utile.
Censura ancora la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso gli estremi dell’usura soggettiva, in quanto non sarebbe stato provato lo stato di bisogno, non sarebbe applicabile al caso di specie la sproporzione (accertata dal ctu) tra le condizioni di mercato e quanto da lui dato e promesso ai Bonesu, non potrebbe essere equiparato allo stato di bisogno la carenza di risorse per realizzare un proprio qualsivoglia progetto. In definitiva, secondo il ricorrente, nel caso di
specie sussiste anche la usura concreta, peraltro aggravata dallo stato di bisogno e dalla veste imprenditoriale della vittima.
2.2.Con il secondo motivo (pp.- 3840), in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 e n. 5, denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1448, 1449 e 2947 c.c., nonché dell’art. 644 c.p., nella parte in cui la corte territoriale, errando, non ha riconosciuto i presupposti della rescindibilità del contratto (lesione ultra dimidium , stato di bisogno del Contu, conoscenza dello stato di bisogno da parte del Bonesu e approfittamento) ed ha ritenuto compiuto il termine di prescrizione annuale.
Sottolinea che nella specie sussistono tutti i presupposti dell’azione di rescissione, compitamente illustrati e documentalmente provati in entrambi i gradi di giudizio di merito, e, per tale ragione, configurando la condotta del Bonesu il reato di cui all ‘art. 644 c.p., non è maturata alcuna prescrizione, essendo l’ultimo pagamento da lui effettuato del 16 dicembre 2011 ed essendo stata introdotta la domanda di rescissione nel 2012.
2.3. Con il terzo motivo (pp. 4052), in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 e n. 5, denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1362 c.c. e ss. (cioè delle disposizioni che regolano l’interpretazione dei contratti) nonché degli articoli 2549 c.c. e ss., e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché il vizio di omesso esame di fatti decisivi e controversi, nella parte in cui la corte territoriale, omettendo l’esame delle prove e degli atti istruttori e comunque erroneamente valutandolo:
-ha erroneamente qualificato il contratto come associazione in partecipazione, mutando il petitum ; senza indagare che la comune intenzione delle parti al momento della stipula del contratto era quello di concludere una locazione commerciale (attraverso il quale lui, quale
assegnatario della concessione per l’impianto di carburante, potesse acquisire la disponibilità del terreno, che non era riuscito ad acquistare per il mancato supporto finanziario dei soci originariamente coinvolti), operazione questa invece compiuta dal Tribunale in sede di menzionata ordinanza collegiale 19 luglio 2013 (che aveva già statuito sulla natura del contratto e la cui motivazione, che il ricorrente ripercorre, aveva determinato e orientato l’intera istruttoria del giudizio di primo grado), e senza tener conto che il Bonesu, per addivenire alla stipula del contratto, aveva costituito una propria azienda avente ad oggetto locazione di immobili ed attrezzature, come rilevato dal ctu;
-ha erroneamente affermato che la mancata previsione di un canone minimo ‘comporta una alterazione della causa locativa tale da privarla di uno dei suoi tratti essenziali, dipendendo, in buona sostanza, il corrispettivo spettante, non solo nel quantum, ma anche nell’ an , dagli esiti positivi della gestione aziendale, finendo dunque, il rischio d’impresa, per connotare la causa del contratto stesso’; mentre nel caso di specie non vi era stata alcuna partecipazione ai costi di impresa e, conseguentemente, nessun rischio di impresa (gravando sul Bonesu un rischio del tutto analogo a quello del titolare di un immobile, cioè che questo rimanga sfitto)
Il ricorrente termina l’illustrazione del motivo, da un lato, riproponendo le domande formulate in appello come conseguenze dell’accoglimento dei primi due motivi di ricorso; e, dall’altro, nel caso di ritenuta nullità o rescindibilità dei contratti di cui è causa (o delle clausole portanti l’usura), insiste nella richiesta di restituzione di quanto pagato, oltre al risarcimento del danno non patrimoniali ed oltre agli interessi legali.
2.4. Con il quarto motivo denuncia (pp. 53-62), in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 e n. 5, violazione e/o falsa applicazione
degli articoli 1325, 1331, 1523, 1524, 1418, 1419 e 2932 c.c., dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 132, comma 2°, n.5, c.p.c:, nonché vizio di motivazione e omesso esame nella parte in cui la corte territoriale: da un lato, ha omesso di pronunciare sulla nullità della clausola di riscatto, di cui all’art. 12 delle disposizioni contrattuali, ed ha pronunciato ultra petita .
Deduce che nel giudizio di primo grado aveva sollevato eccezione di inadempimento nei confronti degli RAGIONE_SOCIALE per non avergli consentito di esercitare il riscatto del terreno attrezzato; che il giudice di primo grado, pur dichiarando la nullità di detta clausola, aveva escluso che detta nullità comportasse la nullità dell’intero contratto; che la corte territoriale è sul punto perplessa, ma, per il caso in cui abbia implicitamente confermato la sentenza di primo grado, non ha deciso sulle conseguenze di tale nullità.
Sostiene che sotto altro profilo la sentenza è erronea nella parte in cui con motivazione illogica e contraddittoria ha statuito: a) la carenza di requisiti del contratto da concludere; b) che lui avrebbe tenuto un comportamento incompatibile con la volontà di riscattare, dato il tempo trascorso dalla morte del COGNOME all’esercizio del diritto di riscatto; c) che lui con il riscatto non avrebbe offerto il prezzo dovuto.
Al riguardo, si duole che la corte territoriale, pur facendo propria la qualifica di opzione (dato alla clausola di cui all’art. 12 dal giudice di primo grado), ha introdotto di fatto un termine di decadenza per l’esercizio del diritto, non previsto da nes suna norma (né di legge né del contratto). Sostiene che, trattandosi di diritto di opzione, la regola è quella di cui all’art. 1331 secondo comma con la conseguenza che, non avendo mai chiesto i Bonesu la fissazione di un termine, il suo esercizio del diritto è stato tempestivo ed ha concluso il contratto, che manca solo dell’atto pubblico ai fini della trascrizione. Sottolinea che i
COGNOME nel giudizio di primo grado si erano lamentati che il riscatto da lui esercitato sarebbe stato non tempestivo, ma non avevano mai contestato l’inefficacia del riscatto per mancata indicazione del prezzo, con la conseguenza che la corte territoriale ha accolto eccezioni che, semmai, erano state formulate per la prima volta in grado di appello. In via subordinata, per il caso in cui non si ritenga formato il giudicato sulla natura della clausola di riscatto in termini di opzione della clausola e quindi si qualifichi il patto di riscatto in termini di obbligo a contrarre, rileva che nessun prezzo doveva essere da lui offerto stante il disposto di cui all’art. 2932 c.c.
2.5. Con il quinto motivo (pp. 6267), in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 e c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 Cost., 34 legge n. 392/1978 e 1362 ss. c.c. nella parte in cui la corte territoriale non ha accertato se l’in dennità di avviamento spetti anche nel caso in cui il contratto sia qualificato come associazione in partecipazione.
Sostiene che, dovendo il contratto essere qualificato come locazione, la sua domanda di riconoscimento del diritto all’indennità di avviamento avrebbe dovuto essere accolta. Sottolinea che i Bonesu gli avevano attribuito il diritto di godimento di un bene in cambio di un corrispettivo e che detta causa concreta è la causa tipica del contratto di locazione. Indica come non pertinente il richiamo alla giurisprudenza formatasi in tema di affitto di azienda, in quanto nel caso di specie il Bonesu non era stato mai titolare di alcuna azienda, mentre l’azienda era stata da lui creata ed avviata. In definitiva, secondo il ricorrente, o si riconosce come fondata la sua domanda di indennità o l’assetto contrattuale è discriminatorio nel senso che assicura ai Bonesu un immobile avviato senza aver mai corrisposto il prezzo di tale avviamento.
2.6. Con il sesto motivo (pp. 6769), in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 e c.p.c., denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., 116 c.p.c., nella parte in cui la corte territoriale ha omesso l’esame di risultanze istruttorie (com prese la espletata ctu) aventi carattere decisivo in punto di rimborsabilità delle spese. Rileva che il ctu aveva quantificato analiticamente le spese soggette a rimborso, che avevano inciso sul valore dell’immobile. Poiché lui in sede di atto di appello si era riportato alla quantificazione del ctu, il giudice di appello, avrebbe dovuto riconoscergli dette spese o al più avrebbe potuto decurtare alcune voci dall’importo complessivo richiesto, ma non avrebbe dovuto rigettare l’intera domanda.
2.7. Con il settimo motivo (pp.6971), in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 e n. 5 c.p.c., denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt.112 e 116 c.p.c. e dell’art. 111 Cost. nella parte in cui la corte territoriale , nell’escludere la sproporzione tra le prestazioni dedotte in contratto, violando il diritto al contraddittorio e al giusto processo, ha affermato (pp. 25-26) che: «una volta stabilito che le parti ebbero a stipulare un contratto di associazione in partecipazione nel febbraio 2002, reiterato con delle modifiche nel gennaio 2007, non può ragionevolmente sostenersi che il corrispettivo stabilito verso l’apporto dell’associato avesse carattere usurario sulla base dei parametri di valutazione utilizzati dai CTU, riferiti ad un ipotetico canone di locazione di mercato, correttamente non considerati dal Tribunale» ed ha aggiunto: «Non solo, ma la corretta qualificazione del contratto, e, comunque, l’esclusione della locazione, sulla base dei dati fattuali rilevati, evidenzia come le stesse risultanze peritali siano fondate su parametri estranei alle accertate dinamiche dei rapporti fra le parti, prescindendo dall’effettiva realtà contrattuale degli accordi e degli investimenti eseguiti».
Sostiene che i suddetti passaggi dimostrano che la corte non ha mai letto le relazioni del ctu e che comunque nel caso di specie si dà il paradosso di una ctu, che, pur essendo stata disposta dal giudice (che aveva formulato i quesiti), è stata considerata inattendibile in quanto i quesiti si riferivano a parametri di valutazione sbagliati.
Il ricorso è infondato.
3.1. I primi quattro motivi sono inammissibili, in quanto affastellano, in maniera invero disorganica e di non agevole intellegibilità, plurime e differenziate censure, in violazione del dovere di chiarezza dell’illustrazione (espressione della genuina funzione di un motivo di impugnazione in genere e in particolare in Cassazione).
Occorre al riguardo ribadire (cfr., di recente, Cass. n. 2679/2018) che <>
Alla considerazione che precede si aggiungono i rilievi che seguono.
Quanto alla censura di violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. contenuta nel primo motivo, nell’illustrazione non si coglie alcun riferimento a tali norme. In ogni caso, supponendo che ad esse voglia riferirsi la ‘prima censura’, illustrata alle pagg. 15 -16 si rileva che nell’argomentare non si coglie alcunché che sia riconducibile alla violazione e/o falsa applicazione di dette norme, posto che si ipotizza
una lettura dell’atto di appello che avrebbe ad esso attribuito una deduzione che esso non avrebbe fatto. Dunque, una erronea lettura di esso e non una omissione di pronuncia. Inoltre, resta oscuro l’assunto che quanto si evoca della motivazione della sentenza impugnata evidenzierebbe quell’errore.
Quanto a tutte le altre censure, che si illustrano con il primo motivo (dal paragrafo 1.4. al paragrafo 1.13), occorre qui ribadire (cfr., di recente, Cass. n. 640/2019) che: <>.
Orbene, le suddette censure, lungi dall’evidenziare direttamente la violazione delle norme evocate o la falsa applicazione di esse (cosa che supporrebbe l’assunzione della vicenda in fatto come ricostruita dalla sentenza impugnata e la dimostrazione che essa non è sussumibile sotto le norme indicate), si risolvono in una lunga serie di considerazioni -dalla pag. 16 sino elle prime sette righe della pag. 38 -volte a ricostruite la vicenda in fatto e solo all’esito a postulare vizi in iure . In tal modo si sollecita alla Corte un sindacato sulla ricostruzione della vicenda in fatto che Essa non può svolgere nella vigenza del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., prospettando che la vicenda avrebbe dovuto essere ricostruita dai giudici di merito nel modo che si auspica e che se così fosse stato fatto si sarebbero evidenziati i vizi in iure .
Il secondo motivo poi espressamente attribuisce (pag. 38, dove si dice che <>) rilievo dirimente allo scrutinio favorevole del primo motivo e, dunque, risente della sorte di esso.
L’inammissibilità del terzo motivo consegue anche dal fatto che il ricorrente: a) non denuncia la violazione e/o falsa applicazione delle norme evocate, ma sollecita sempre una rivalutazione della vicenda in fatto; b) deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. senza rispettare i criteri indicati da Cass. n. 11892/2016, successivamente ribaditi anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. n. 16598/2016, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, e, in massima, da Cass. n. 20867/2020); c) denuncia erroneamente come omesso esame di un fatto, rilevante ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., il mancato riferimento all’ordinanza resa dal Tribunale in sede di reclamo ed alle motivazioni in essa esposte.
L’inammissibilità del quarto motivo consegue anche dal fatto che con essa il ricorrente sollecita a questa Corte rivalutazioni della quaestio facti , ad Essa precluse.
3.2. Infondato è il quinto motivo.
Invero con esso il ricorrente deduce che l’indennità ex art. 34 l. n. 392 del 1978 spetterebbe pure per l’associazione in partecipazione, ma non svolge un ragionamento giuridico idoneo a giustificare l’assunto: il ricorrente afferma (p. 65) che ‘Non è chi non veda come tutte le condizioni individuate dal Giudice delle leggi sono presenti nell’associazione in partecipazione’, ma nulla spiega al riguardo a sostegno del suo assunto.
3.3. Infine, inammissibili sono il sesto ed il settimo motivo.
Invero, con essi il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione: dell’art. 116 c.p.c. sempre non tenendo conto dei criteri di cui alla giurisprudenza sopra richiamata; dell’art. 2697 c.c. senza rispettare i criteri indicati, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016, ribaditi ex multis , da Cass. n. 26769 del 2018.
Quanto infine all’art. 112 c.p.c., il ricorrente deduce come sua violazione e/o falsa applicazione l’omessa valutazione di risultanze istruttorie, mentre, per giurisprudenza consolidata (cfr. Cass. n. 11455/2004 e n. 14773/2003), la violazione di detto principio ricorre soltanto nei casi (non ricorrenti nella specie) in cui il giudice: a) si pronunci oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni delle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio; b) esorbitando dai limiti della mera qualificazione della domanda, proceda ad un mutamento della stessa, sostituendo la causa petendi, dedotta in giudizio, con una differente, basata su fatti diversi da quelli allegati dalle parti. Occorre qui ribadire che nessuna violazione del
principio è ravvisabile nel caso in cui il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti nonché in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida in euro 18.000 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge;
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, l’8 novembre 2023, nella camera di