Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8289 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8289 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 27/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 10748-2018 r.g. proposto da:
NOME COGNOME (cod. fisc. CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (cod. fisc. CODICE_FISCALE), rappresentate e difese, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia in Roma, INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
–
ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME , quale titolare dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (cod. fisc. CODICE_FISCALE), con sede in Milano, alla INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante pro tempore il curatore fallimentare AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’ AVV_NOTAIO, con il quale elettivamente
domicilia in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
-controricorrente –
avverso il decreto del Tribunale di Milano, depositato in data 28.2.2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/2/2024 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE
1.Con ricorso ex artt. 98 e 99 l. fall. NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano opposizione allo stato passivo del RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE ed avverso il provvedimento del g.d., con il quale era stata decretata la loro esclusione quasi integrale del credito vantato nei confronti del COGNOME. Tale credito -secondo le deduzioni difensive delle opponenti -sarebbe ammontato ad euro 2.274.092,49 e sarebbe derivato dal diritto ad ottenere in restituzione 604.000 euro di apporti versati in INDIRIZZO, 36.196,75, oltre interessi, per partecipazione agli utili del 2011, in sede chirografaria, ed euro 1.617.910, a titolo di risarcimento danni conseguenti all’inadempimento del contratto di associazione in partecipazione stipulato data 10.03.2012, sempre in sede chirografaria.
Il Tribunale di Milano, con il decreto qui oggetto di impugnazione, ha rigettato la proposta opposizione, confermando pertanto il provvedimento reso dal g.d.
Il Tribunale ha rilevato che: (i) la vicenda contrattuale e la richiesta di ammissione del credito insinuato ruotavano intorno alla conclusione in data 10.3.2002 del contratto di associazione in partecipazione relativo alla detta RAGIONE_SOCIALE, tra l’associante , AVV_NOTAIO COGNOME, e le associate COGNOME, con il fine di supportare finanziariamente la RAGIONE_SOCIALE, partecipando al sostenimento delle perdite, al godimento degli utili con partecipazione effettiva delle associate alla gestione della RAGIONE_SOCIALE, anche tramite il rilascio di una procura generale; (ii) l’asserita pretesa economica delle opponenti nasceva dunque dall’asserito totale inadempimento del COGNOME rispetto al predetto contratto di associazione in partecipazione, inadempimento che avrebbe altresì anche causato il dissesto finanziario della RAGIONE_SOCIALE e poi il suo fallimento; (iii) non
vi era tuttavia la prova del grave inadempimento del COGNOME al predetto contratto associativo, posto che quanto accertato nel lodo arbitrale irrituale era stato poi smentito in due provvedimenti cautelari emessi dal Tribunale di Milano, innanzi al quale il lodo era stato impugnato, ed in particolare in una prima ordinanza cautelare monocratica ed in quella collegiale successiva, nelle quali era stata accertata la nullità della procura generale, il cui rilascio era stato previsto nel contratto di associazione in favore delle RAGIONE_SOCIALE, prevedendo tale procura compiti gestori generali in favore delle associate incompatibili con la normativa pubblicistica di settore (artt. 11 l. 362/1991 e 12 l. n. 475/1968), che invece impone la gestione diretta dell’azienda al farmacista abilitato, per ragioni di sicurezza sanitaria; (iv) il provvedimento cautelare collegiale aveva addirittura negato il diritto delle associate alla consegna di tutta la documentazione contabile della RAGIONE_SOCIALE, con riferimento all’incarico professionale a tempo indeterminato da assegnare ad un consulente, affinché tenesse la contabilità aziendale e ponesse in essere tutti gli adempimenti connessi; (v) occorreva pertanto escludere che sussistesse un inadempimento riguardante il conferimento della procura, la concessione dei poteri amministrativi in capo alle due associate ed anche l’obbligo di consegna di tutta la documentazione contabile e fiscale alle medesime associate; (vi) per quanto atteneva all’obb ligo di rendiconto, occorreva concludere nel senso che anche l’utile di circa 110.000 euro maturato al 2013 dovesse ritenersi una posta contabile di cui le opponenti avevano avuto contezza negli anni precedenti; (vii) non era rintracciabile neanche un inadempimento relativo alla mancata distribuzione degli utili, posto che nel periodo coperto dal contratto di associazione in partecipazione non erano comunque maturati utili da distribuire; (viii) non poteva neanche essere riconosciuto alle associate il danno per gli asseriti atti di mala gestio del RAGIONE_SOCIALE, in quanto le condotte addebitate a quest’ultimo erano state descritte in modo generico e non poteva alle stesse neanche essere ascritto il dissesto finanziario della RAGIONE_SOCIALE, che invece doveva essere ricondotto alla generale crisi del settore farmaceutico verificatosi in quel periodo.
Il decreto, pubblicato il 28.2.2018, è stato impugnato da NOME COGNOME e NOME COGNOME con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Le ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo le ricorrenti lamenta no ‘ motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile su un fatto decisivo controverso e decisivo in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5, per aver il Tribunale erroneamente ritenuto che il sig. COGNOME non fosse inadempiente rispetto agli impegni assunti ovvero e comunque per aver programmaticamente disatteso l’accertamento dei fatti rilevanti ai fini della prova dell’inadempimento ‘.
1.1 Il motivo così formulato è all’evidenza inammissibile.
1.1.1 Le ricorrenti lamentano, in primo luogo, l’erroneità del decreto impugnato laddove lo stesso aveva affermato che ‘se non si rinvengono gli estremi per la dichiarazione di risoluzione non vi sono gli elementi per la condanna accertativa del danno’, af fermando invece esse ricorrenti che, anche un inadempimento inidoneo ai fini risolutori potrebbe aver cagionato un danno risarcibile.
1.1.2 Le doglianze così proposte non sono condivisibili ed anzi scontano una superficiale lettura del decreto impugnato.
Emerge invero dall’esame del predetto provvedimento che erano state le stesse ricorrenti ad aver esplicitamente richiesto al Tribunale, nel loro ricorso in opposizione ex artt. 98 e 99 l. fall., di riformare il provvedimento di parziale esclusione del credito assunto dal g.d., assumendo in tale sede essere intervenute da parte dell’associante RAGIONE_SOCIALE gravi violazioni al contratto di asso ciazione in partecipazione del 10 marzo 2012 e formulando per l’effetto domanda di risoluzione di tale contratto, ricorrendo la gravità dell’inadempimento , ai sensi dell’art. 1455 c .c.
Ne consegue che correttamente il Tribunale di Milano si è pronunciato su tale domanda di risoluzione, non ritenendo sussistente, sulla base di un accertamento in fatto, tale inadempimento.
1.2 Sempre nel primo motivo le ricorrenti assumono, inoltre, che il Tribunale, nel negare l’inadempimento del COGNOME al predetto contratto di associazione in partecipazione, avrebbe fatto riferimento alle risultanze dei provvedimenti resi dal Tribunale di Milano in data 4 aprile 2014 e del 13 agosto 2014, senza esaminare ‘la decisiva circostanza fattuale, oggetto ab initio di ampio dibattito processuale’, e cioè che ‘con successivo provvedimento … del 14 maggio 2015’ e con altra ordinanza dell’8 aprile 201 5 lo stesso Tribunale avrebbe, in buona sostanza, riconosciuto tale inadempimento.
1.2.1 La doglianza così formulata è inammissibile.
Sotto l’egida applicativa del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., le ricorrenti pretendono invero un riesame del contenuto dei documenti acquisiti in giudizio, scrutinio che invece esula dal sindacato del giudice di legittimità che, invece, evocato tramite il vizio sopra ricordato, può solo verificare se sia stato omesso dai giudice del merito l’esame di un ‘fatto storico’, discusso nel contraddittorio processuale e decisivo per la definizione della lite. Nella fattispecie in esame, invece, le ricorrenti sollecitano la Corte di legittimità ad una rilettura dei singoli atti istruttori, peraltro neanche rappresentati in modo autosufficiente, come richiederebbe l’art. 366, n. 3 e n. 6, c.p.c., proponendo pertanto doglianze che si pongono ben al di là del perimetro delimitante la cognizione del giudizio di legittimità (Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).
1.3 A ciò va aggiunto che i sopra richiamati provvedimenti interinali emessi dal Tribunale di Milano -del cui omesso esame ora si dolgono le ricorrenti -oltre a non integrare ‘fatti storici’ denunciabili ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., ma semplici atti istruttori di natura documentale, rappresentano ordinanze cautelari rese in giudizi che non si sono neanche conclusi con accertamenti definitivi perché interrotti dalla declaratoria di fallimento medio tempore intervenuta.
Con il secondo mezzo si deduce ‘ violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 98 e 99 r.d. 267/1942, nonché 1175 e 1375 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. , per aver il Tribunale posto a fondamento della decisione le prove addotte dalle parti e il comportamento del signor COGNOME nell’esecuzione del contratto’.
2.1 Il motivo risulta anch’esso, all’evidenza , inammissibile già nella formulazione contenuta nella sopra ricordata rubrica.
2.1.1 Occorre infatti ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09/06/2021).
In realtà, le ricorrenti censurano il provvedimento impugnato laddove il Tribunale ‘ripercorrendo i fatti di causa’, avrebbe ‘fatto riferimento a circostanze processuali insussistenti, peraltro obliterando numerosi e consistenti produzioni documentali’. Se condo le ricorrenti, il Tribunale avrebbe infatti affermato che non sussistevano gli estremi per addebitare la produzione del dissesto della RAGIONE_SOCIALE al COGNOME, stante la mancanza di cassa per euro 371.000, dovuta invece ad esse ricorrenti, mentre vi sarebbe stata l’evidenza documentale, non specificatamente contestata dal fallimento ex art. 115 c.p.c., che tali importi costituivano invece prelevamenti dello stesso COGNOME. Il Tribunale, inoltre, avrebbe omesso -aggiungono le ricorrenti -di ‘scrutinare le numerose e consistenti produzioni’ di esse ricorrenti e in tal modo non avrebbe rilevato che la potenzialità produttiva dell ‘azienda farmaceutica non era stata compromessa da esse ricorrenti, bensì ‘solo ed esclusivamente dalla scriteriata conduzione azi endale del sig. COGNOMECOGNOME nel periodo compreso tra marzo 2011 ed aprile 2015.
2.1.2 Non v ‘è chi non veda come le ricorrenti, sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, pretendono un nuovo esame della fattispecie concreta, senza prospettare invero alcun profilo di erronea interpretazione ovvero falsa applicazione di una norma di legge, solo in tal
modo legittimando lo scrutinio di questa Corte nell’odierno giudizio (così, Cass., Sez.1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017).
2.1.3 E ciò senza neanche contare che le censure sopra riportate peccano di un ulteriore difetto di inammissibilità, in ragione della loro evidente non autosufficienza, non avendo le ricorrenti compiutamente riprodotto, nel ricorso introduttivo, la documen tazione di cui lamentano l’erronea lettura da parte dei giudici del merito.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato per la ‘nullità del decreto per violazione degli artt. 112, 132 comma 2 n. 4 cod. proc. civ., e 99 comma 11 r.d. 267/1942 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ., per aver il Tribunale omesso di pronunciarsi in merito alla domanda di ammettere il credito da conferimenti avuto riguardo all’importo documentalmente provato, anziché a quello annotato in contabilità, a prescindere dalla questione della decurtazione della quota parte delle perdite asseritamente a carico delle associate’.
3.1 Il motivo così formulato è inammissibile.
3.1.1 Le ricorrenti censurano, infatti, il provvedimento impugnato, lamentando che il Tribunale di Milano avrebbe, per un verso, omesso di pronunciarsi sulla domanda di ammissione al passivo fallimentare del loro credito da conferimento in misura corrispondente a quanto da esse effettivamente versato (euro 604.000), anziché nel minor importo esposto in contabilità (euro 537.513,56). Per altro verso, le ricorrenti imputano al Tribunale di aver omesso di affrontare la questione dell ‘ illegittimità dell’operata decurtazione del credito da conferimento della somma di euro 432.292,29, corrispondente alla quota di 2/3 delle perdite che, pur contabilizzate in epoca successiva al 2011, si assumevano come imputabili ad esse associate.
3.1.2 Va subito osservato che non risulta neanche prospettabile in astratto il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., nel senso denunciato dalle ricorrenti nel motivo di ricorso qui in esame, in quanto il mancato integrale accoglimento della domanda di restituzione del conferimento potrebbe integrare un error in iudicando , diversamente impugnabile, ma non già
l’omissione della pronuncia sulla domanda così avanzata, domanda sulla quale invece il Tribunale si è pronunciato, sebbene con una declaratoria di accoglimento parziale della pretesa creditoria delle odierne ricorrenti.
3.1.3 Sotto altro profilo, le ulteriori doglianze sollevate dalle ricorrenti sono inammissibili per difetto di autosufficienza, non avendo le stesse riprodotto in modo compiuto gli atti ed i documenti solo evocati nel ricorso e dei quali dunque questa Corte non può conoscere in relazione ai vizi denunciati.
Il quarto mezzo deduce ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e illogicità della motivazione del decreto in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., per aver il Tribunale ritenuto ‘assodata l’assenza di utili anche per il 2012 e 2013 ‘ salvo poi affermare che ‘la società era già in perdita … salvo brevi periodi (due, 2011 e 2013), sul rilievo che il Tribunale avrebbe avuto una ‘percezione tutt’altro che chiara dei termini della questione relativa agli utili di competenza delle associat e’ , avendo il Tribunale affermato che in relazione all’esercizio 2013 risultava un utile ante imposte di euro 110.000 e che l’assenza di utili era stata assodata anche per il 2012 e 2013.
4.1 Anche il quarto motivo è inammissibile perché volto ad un nuovo scrutinio della quaestio facti e perché lo stesso denuncia in buona sostanza solo un vizio di insufficienza della motivazione che tuttavia non rientra più nel paradigma applicativo delineato dal novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento, in favore del fallimento controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 15.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 13.2.2024