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Associazione in partecipazione: Cassazione inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di due associate in un contratto di associazione in partecipazione per una farmacia, le quali chiedevano l’ammissione al passivo del fallimento dell’associante. La Corte ha stabilito che i motivi del ricorso miravano a un inammissibile riesame dei fatti e delle prove, compito che esula dalle funzioni del giudice di legittimità, confermando la decisione del Tribunale che aveva escluso un grave inadempimento contrattuale da parte dell’associante.

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Contratto di Associazione in Partecipazione e Fallimento: l’Ordinanza della Cassazione

L’ordinanza in esame offre un importante spaccato sulle dinamiche contrattuali e processuali legate al contratto di associazione in partecipazione, specialmente quando una delle parti viene dichiarata fallita. Con la sua decisione, la Corte di Cassazione ribadisce i confini invalicabili del giudizio di legittimità, dichiarando inammissibile un ricorso che mirava a un riesame del merito della controversia.

La Vicenda: Dalla Collaborazione al Contenzioso

La vicenda trae origine da un contratto di associazione in partecipazione stipulato nel 2012 tra il titolare di una farmacia (l’associante) e due socie (le associate). Queste ultime si impegnavano a supportare finanziariamente l’attività in cambio di una partecipazione agli utili. Tuttavia, il rapporto si deteriora e, a seguito del fallimento dell’associante, le associate presentano opposizione allo stato passivo per vedere riconosciuto un cospicuo credito, derivante da apporti versati, mancata partecipazione agli utili e risarcimento danni per inadempimento contrattuale.

Il Tribunale di Milano, però, rigetta l’opposizione, confermando la quasi totale esclusione del credito delle associate. Secondo i giudici di merito, non sussisteva un grave inadempimento da parte dell’associante che potesse giustificare la risoluzione del contratto e le conseguenti pretese economiche.

L’Associazione in Partecipazione e la Decisione del Tribunale

Il Tribunale ha basato la sua decisione su diversi punti chiave. In primo luogo, ha evidenziato che alcune clausole del contratto erano problematiche, come quella che prevedeva il rilascio di una procura generale in favore delle associate. Tale procura, secondo il giudice, attribuiva compiti gestionali incompatibili con la normativa di settore, che impone la gestione diretta della farmacia al farmacista abilitato per ragioni di sicurezza sanitaria. Di conseguenza, il mancato conferimento di tali poteri non poteva essere considerato un inadempimento.

Inoltre, il Tribunale ha ritenuto non provati gli altri inadempimenti lamentati, come la mancata distribuzione degli utili (che non sarebbero stati maturati nel periodo di riferimento) e gli atti di mala gestio. Il dissesto finanziario della farmacia è stato attribuito, piuttosto, a una crisi generale del settore farmaceutico in quel periodo.

I Motivi del Ricorso e l’Inammissibilità in Cassazione

Le associate hanno impugnato la decisione del Tribunale dinanzi alla Corte di Cassazione, articolando quattro motivi di ricorso. La Suprema Corte, tuttavia, li ha dichiarati tutti inammissibili, senza entrare nel merito della questione. Le ragioni di questa decisione sono prettamente procedurali ma fondamentali per comprendere il funzionamento del nostro sistema giudiziario.

Il Divieto di Riesame dei Fatti

Il primo e il quarto motivo del ricorso lamentavano una motivazione perplessa e contraddittoria, criticando il modo in cui il Tribunale aveva valutato le prove e ricostruito i fatti. La Cassazione ha ricordato che il giudizio di legittimità non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare le prove. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge, non stabilire se i fatti si siano svolti in un modo o in un altro. Chiedere alla Corte di rileggere documenti o rivalutare prove, come hanno fatto le ricorrenti, equivale a sollecitare un’attività che le è preclusa.

Violazione delle Norme sulla Valutazione delle Prove

Con il secondo motivo, le ricorrenti denunciavano la violazione degli articoli 115 e 116 del codice di procedura civile, sostenendo che il Tribunale avesse ignorato prove documentali decisive. Anche in questo caso, la Corte ha rilevato che, dietro la formale denuncia di una violazione di legge, si celava in realtà una critica all’apprezzamento delle prove operato dal giudice di merito, attività che rientra nella sua piena discrezionalità e non è sindacabile in sede di legittimità.

Carenza di Autosufficienza e Omessa Pronuncia

Infine, il terzo motivo è stato giudicato inammissibile per difetto di autosufficienza. Le ricorrenti lamentavano che il Tribunale avesse omesso di pronunciarsi su una parte della loro domanda, ma non hanno riprodotto nel ricorso gli atti e i documenti necessari a dimostrare tale omissione. Il principio di autosufficienza impone che il ricorso contenga tutti gli elementi per essere deciso, senza che la Corte debba ricercarli altrove. La Corte ha inoltre precisato che il mancato accoglimento integrale di una domanda non costituisce un’omissione di pronuncia, ma un rigetto parziale, ovvero un error in iudicando da impugnare con motivi diversi.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione di inammissibilità su principi cardine del processo civile. In primo luogo, ha riaffermato la netta distinzione tra il giudizio di merito, dove si accertano i fatti, e il giudizio di legittimità, dove si controlla solo la corretta applicazione del diritto. I ricorrenti hanno tentato di trasformare la Cassazione in un terzo grado di merito, chiedendo una nuova valutazione delle prove documentali, attività estranea alle competenze della Corte.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato l’importanza del principio di autosufficienza del ricorso. Le censure che si basano su specifici documenti processuali devono riportare integralmente il contenuto di tali documenti, per permettere alla Corte di valutare la fondatezza della critica senza dover accedere ad altri fascicoli. La mancata osservanza di questo onere processuale conduce inevitabilmente all’inammissibilità del motivo.

Infine, è stato chiarito che la critica alla valutazione delle prove non può essere mascherata da una denuncia di violazione di legge (artt. 115 e 116 c.p.c.). Tale violazione sussiste solo se il giudice fonda la sua decisione su prove inesistenti o ignora fatti non contestati, non quando semplicemente attribuisce un diverso peso probatorio a un documento rispetto a quanto auspicato dalla parte.

Le conclusioni

L’ordinanza consolida l’orientamento secondo cui il ricorso per cassazione deve essere redatto con estremo rigore tecnico e procedurale. Non è sufficiente essere convinti delle proprie ragioni nel merito; è indispensabile formulare le censure nel rispetto dei limiti imposti dal codice di procedura civile. La decisione finale è la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese legali. Per le associate, ciò significa la conferma definitiva della decisione del Tribunale e la chiusura della loro vicenda giudiziaria relativa al contratto di associazione in partecipazione e al fallimento dell’associante.

Può la Corte di Cassazione riesaminare i fatti di una causa in un contratto di associazione in partecipazione?
No, la Corte ha ribadito che il suo ruolo è limitato al giudizio di legittimità, ovvero alla corretta applicazione delle norme di diritto, e non può procedere a una nuova valutazione dei fatti o delle prove documentali, che spetta esclusivamente ai giudici di merito.

Cosa significa “autosufficienza del ricorso” e perché è stata decisiva in questo caso?
Significa che il ricorso deve contenere tutti gli elementi necessari per essere deciso, senza che la Corte debba cercare informazioni in altri atti. In questo caso, le ricorrenti hanno menzionato documenti senza riprodurli integralmente nel ricorso, impedendo alla Corte di valutare la fondatezza dei loro motivi e rendendoli, di conseguenza, inammissibili.

Un inadempimento contrattuale che non giustifica la risoluzione può comunque dare diritto a un risarcimento del danno?
In linea di principio sì. Tuttavia, in questo caso specifico, la richiesta delle ricorrenti al Tribunale era fondata sulla domanda di risoluzione per grave inadempimento. Poiché il Tribunale ha accertato in fatto l’insussistenza di un inadempimento di tale gravità, ha correttamente rigettato la domanda complessiva. La Cassazione ha ritenuto corretto l’iter logico-giuridico seguito dal giudice di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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