Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 32076 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 32076 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18119/2022 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in MILANO INDIRIZZO DOM DIG, presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 1188/2022 depositata il 23/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
RAGIONE_SOCIALE con ricorso notificato il 13 luglio 2022, illustrato da successiva memoria, propone ricorso per cassazione della sentenza n. 1188/2022 della Corte d’appello di Bologna depositata il 23 maggio 2022. RAGIONE_SOCIALE ha notificato controricorso, illustrato da successiva memoria.
RAGIONE_SOCIALE nell’anno 2017, conveniva in giudizio avanti il Tribunale Civile di Piacenza RAGIONE_SOCIALE per sentirla condannare ex art. 2043 c.c. al pagamento della somma complessiva di € 21.168,87, comprensiva delle spese del consulente tecnico d’ufficio e dei compensi della procedura di accertamento tecnico preventivo, a titolo di risarcimento danni subiti a seguito del rifiuto ingiustificato della convenuta di intervenire sulla macchina utensile ( sega a nastro continuo) di sua produzione e da questa acquistata dal suo avente causa (un fallimento). Acquisita una CTU e assunte le prove orali dedotte dalle parti, la causa veniva decisa dal Tribunale di Piacenza con sentenza di accoglimento della domanda.
La sentenza veniva impugnata dalla RAGIONE_SOCIALE innanzi alla Corte d’appello di Bologna che, dando una diversa interpretazione dei fatti di causa e della stessa CTU, riformava la sentenza di prime cure rilevando come, in primo luogo, in capo alla appellante non poteva gravare alcun obbligo contrattuale tale da costringerla a prestare assistenza tecnica in favore della RAGIONE_SOCIALE, in ragione del fatto che nell’ ordinamento non è rinvenibile una norma imperativa che
obblighi ad offrire la propria assistenza tecnica in favore di terzi, operando la garanzia del produttore unicamente nei casi di malfunzionamento del prodotto dovuto a difetti di fabbricazione. Rilevava, inoltre, che lo stesso CTU aveva escluso che il fermo macchina conseguente al mancato intervento fosse dipeso da vizi o difetti di progettazione, accertando, invece, che fosse da ricondursi esclusivamente ad un problema di sovratensione riconducibile ad uno sbalzo di tensione elettrica nella rete o ad un fenomeno atmosferico, di talché alcuna responsabilità poteva essere riconosciuta in capo a RAGIONE_SOCIALE per non essere intervenuta sull’impianto a riparare l ‘hardware , comunque reperibile nel mercato, e nessun intervento di assistenza tecnica poteva essere preteso.
Motivi della decisione
Con un unico motivo la ricorrente denuncia il vizio di motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Sostiene la ricorrente che, sia dalla CTU che dalle dichiarazioni dei testi, si evince che la società convenuta, odierna intimata, fosse l’unico soggetto in grado di intervenire per la riparazione del bene, posto che il nesso causale, nel caso di specie, non si qualifica tra un vizio del bene fornito e il fermo tecnico (pacificamente verificatosi per una sovratensione proveniente dl circuito di alimentazione elettrica verosimilmente per uno sbalzo di tensione della rete di distribuzione oppure per effetto di una scarica atmosferica), ma tra il fermo tecnico e il rifiuto ingiustificato della venditrice di intervenire sul bene, perdurato per settimane, essendo quest’ultima l’unica azienda in grado di ripararlo, e non essendo possibile -in thesi -sostenere la riparabilità del bene da parte di altra azienda, data la specificità e personalizzazione del
software installato dalla fornitrice, da cui dedurre l’ingiustificato rifiuto.
Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello, in merito al nesso causale tra condotta ed evento di danno, ha escluso la responsabilità della società fornitrice del bene per essersi rifiutata di intervenire sul bene sull’assunto che il fermo tecnico lamentato per il negato intervento riparatore non fosse riconducibile a vizi o difetti di progettazione e che, sempre alla luce della CTU, fosse risultato possibile reperire sul mercato ricambi dell’ hardware equivalenti, anche se con maggiori oneri. Da tutte queste circostanze, tratte dalla relazione del CTU, ha ritenuto che non potesse sostenersi che la società fornitrice avesse una posizione di dominanza sul mercato rilevante solo per il fatto che il suo intervento fosse economicamente più conveniente rispetto al cambio dell’ hardware che, altrimenti, si imponeva in capo all’acquirente con maggiorazione di oneri e spese.
Quanto alla CTU, invero, la circostanza in tesi omessa è stata diversamente valutata dal giudice dell’appello relativamente agli effetti sia sull’economia del contratto che giuridici, escludendo che vi fosse stato un ingiustificato rifiuto di intervenire sulla macchina da parte della fornitrice, dopo un primo intervento effettuato in sede di ATP a pagamento del committente.
Difatti, non avendo ravvisato la Corte di merito alcun obbligo giuridico di intervento in capo alla controricorrente (per l’assenza sia di una posizione di dominanza nel mercato, sia di un obbligo giuridico di intervenire per effettuare un intervento riparatore al di fuori del periodo di garanzia), la circostanza ‘ che quest’ultima fosse l’unica in grado di riparare la macchina utensile ‘ non può essere ritenuta non vagliata, risultando invece essere stata certamente considerata, ma ritenuta come un dato neutro ai fini del decidere.
Deve pertanto escludersi che, nel caso di specie, sia stata correttamente prospettata l’ipotesi contenuta nella censura quale omissione di un fatto rilevante ai fini della decisione; peraltro, anche là dove tale omissione si traduca in un travisamento della prova, quest’ultimo implica, non una differente valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale non valutato dal giudice (Sez. U -, Sentenza n. 5792 del 05/03/2024; Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 1163 del 21/01/2020; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10749 del 25/05/2015). Il che è da escludere nel caso in cui il CTU abbia diversamente valutato un fatto.
Conclusivamente il ricorso è inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese , che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a favore della parte resistente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese , liquidate in € 2.500,00, oltre € 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13 .
Così deciso in Roma, il 25/10/2024.