Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 35138 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 35138 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 29519-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE SOCIALE, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE
– intimati –
avverso la sentenza n. 390/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 30/04/2019 R.G.N. 1557/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
R.G.N. 29519/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 15/11/2024
CC
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE impugna la sentenza n. 390/2019 della Corte d’appello di Milano che ha respinto il gravame dalla stessa proposto avverso la pronuncia del Tribunale della medesima sede che aveva respinto il ricorso presentato per contestare il provvedimento di diniego all ‘applicazione degli incentivi per l’assunzione dei lavoratori iscritti nelle liste di mobilità ex artt. 8 e 25 della legge n. 223/1991, art. 4 del d.l. n. 148/1993, conv. nella legge n. 236/1993, art. 4 della legge n. 92/2012.
INPS è rimasto intimato.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 15 novembre 2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
La società propone due motivi di ricorso.
I motivo) violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della legge n. 1991 /1991 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. per avere la Corte ritenuto non sussistenti i requisiti di cui al comma 4 bis dell’articolo di cui sopra c ome aggiunto dall’art. 2, comma 1bis, del d.l. n. 299/1994, convertito dalla legge n. 451/1994.
II motivo) violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. per non avere la Corte svolto alcuna istruttoria.
I motivi sono inammissibili poiché, dietro lo schermo della violazione di legge, ciò che parte ricorrente in sostanza vorrebbe
è una nuova valutazione sul merito delle ragioni che hanno portato la Corte a respingere l’appello e le critiche mirano, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. SSUU n. 34476/2019).
Va premesso che il beneficio contributivo previsto all’art.8, comma 4, della legge n.223/91 è escluso quando, in base al comma 4 bis della stessa disposizione, i lavoratori siano stati assunti ‘da parte di impresa dello stesso o diverso settore di attività che, al momento del licenziamento, presenta assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell’impresa che assume, ovvero risulta con quest’ultima in rapporto di collegamento o controllo’.
Come già sottolineato da questa Corte, la norma ha riguardo alle ipotesi in cui le diverse società presentino assetti proprietari sostanzialmente coincidenti, ovverosia tutte le situazioni in cui consti la presenza di un comune nucleo proprietario in grado di ideare ed attuare operazioni coordinate di assunzione e licenziamento del medesimo personale (Cass.9662/2019). Si è precisato che gli assetti proprietari sostanzialmente coincidenti sono qualcosa di più e di diverso rispetto al concetto di stessa proprietà, avendo il legislatore volutamente utilizzato una espressione atecnica che facesse riferimento a tutte le ipotesi in cui l’impresa che assumeva non fosse del tutto estranea a quella che aveva licenziato (Cass.8988/2008, Cass.20499/2008).
Deve aggiungersi che non è necessario, ai fini della sostanziale coincidenza di assetti proprietari, che entro le due imprese figurino uno o più soggetti comuni a entrambe. Questa Corte ha infatti dato rilievo anche a legami di coniugio, di parentela, di affinità o finanche di collaudata e consolidata amicizia tra soci (così Cass.20499/2008), tali per cui tra le due imprese si instaurino una collaborazione e un comune agire sul mercato
capaci di realizzare un’operazione unitaria e coordinata comportante il licenziamento dei dipendenti da una impresa e la loro assunzione da parte dell’altra.
Tanto premesso, la decisione è contestata laddove ha confermato la pronuncia di primo grado, ravvisando un’ipotesi di esclusione dal diritto ai benefici contributivi ex art. 8, comma 4bis, cit. poiché l’impresa che aveva effettuato le assunzioni, ossia la odierna ricorrente, presentava assetti societari sostanzialmente coincidenti con quelli dell’impresa che aveva effettuato i licenziamenti.
La Corte meneghina è giunta a tale conclusione alla luce della documentazione presente in atti e non ha ammesso le prove orali dedotte, ritenendo la capitolazione superflua o inidonea, motivando compiutamente e diffusamente le ragioni che hanno portato alla non ammissione nonché a ritenere che i documenti fossero prova dell’assenza dei presupposti per fruire degli incentivi.
Le sentenze di primo e secondo grado hanno valorizzato gli stessi elementi di fatto al fine di affermare la presenza di assetti proprietari sostanzialmente coincidenti, ovvero la sovrapposizione degli oggetti sociali, il fatto che la sede legale dell’una società coincidesse con la sede operativa dell’altra, gli assetti proprietari facenti capo al medesimo nucleo familiare (cfr. sent. impugnata pag. 4,5).
La Corte ha analizzato le risultanze già in atti, segnatamente le visure CCIAA, e, alla luce di esse, ha confermato la superfluità di una istruttoria orale che non avrebbe potuto superare il dato documentale e si presentava con capitolazione inidonea ed inammissibile (pag. 7).
Al riguardo, va ribadito che «è al giudice del merito che spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge» e «l’omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui abbia determinato l’assenza di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito» (Cass. n. 18072/2024 e precedenti ivi richiamati).
Ciò che non si riscontra nella specie.
Inoltre, il richiamo agli artt. 115 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ. non è pertinente rispetto alle doglianze con cui la società lamenta il mancato svolgimento di istruttoria orale.
La violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. può essere ritualmente denunciata in sede di legittimità solo quando il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciuti dalla legge (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio). È inammissibile, per contro, la diversa doglianza che il giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, in quanto tale attività valutativa è consentita
dall’art. 116 cod. proc. civ. (Cass., S.U., 30 settembre 2020, n. 20867).
La violazione dell’art. 2697 cod. civ. può essere utilmente denunciata in sede di legittimità nella sola ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata in applicazione di detta norma, non anch e quando, a seguito di un’incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente assolto l’onere probatorio ad opera della parte su cui tale onere incombe. In questo caso, vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sin dacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (Cass. n. 17313/2020).
Nella specie, la Corte non ha ammesso i capitoli di prova ritenendo, con valutazione di merito immune da censure, che avessero ad oggetto circostanze non contestate o già provate documentalmente.
Non è stata denunciata una violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., nei termini rigorosi delineati dalla giurisprudenza di questa Corte: la Corte d’appello, in consonanza con quanto già affermato dal giudice di primo grado, ha valutato il materiale probatorio acquisito, senza attingere elementi di riscontro da prove non introdotte dalle parti e assunte d’uffi cio al di fuori dei casi che il codice di rito contempla. La doglianza, nel criticare il prudente apprezzamento che i giudici d’appello hanno compiuto, senza infrangere il divieto di cui all’art. 115 cod. proc. civ., si sostanzia in un’impropria richiesta di rivalutazione delle risultanze probatorie e non supera, pertanto, il vaglio di ammissibilità.
Alla medesima conclusione si deve giungere con riferimento alla paventata violazione dell’art. 2697 cod. civ. La sentenza
impugnata, lungi dal porre a carico della parte non onerata l’onere di dimostrare gli elementi costitutivi della domanda proposta, ha ritenuto che tale prova, nel caso concreto, sia stata offerta in modo persuasivo attraverso le risultanze documentali. Il motivo di ricorso, nel dolersi della violazione dei criteri che presiedono al riparto dell’onere della prova, tende in realtà a censurare l’apprezzamento delle prove che la Corte d’appello ha compiuto e si limita a contrapporre una diversa lettura dei dati probatori. La censura s’incentra, dunque, sull’incongrua valutazione delle prove raccolte, che esula dal paradigma della violazione dell’art. 2697 cod. civ. e può essere criticata nei ristretti limiti dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. per l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti. Vizio, nel caso di specie, neppure deducibile, a fronte d’una pronuncia d’appello che, per le medesime ragioni di fatto, ha confermato la pronuncia di primo grado.
Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nulla sulle spese, in assenza di attività difensiva da parte dell’ intimato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Dà atto che, attesa la declaratoria di inammissibilità, sussiste il presupposto processuale di applicabilità dell’art.13, co.1 quater, d.P.R. n.115/02, con conseguente obbligo in capo alla ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
Così deciso in Roma, ne ll’adunanza camerale del 15 novembre