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Assegno senza data: la sua validità come promessa

Una sentenza analizza il caso di un’opposizione a un decreto ingiuntivo basato su un assegno senza data. L’assegno era stato emesso come garanzia in una compravendita immobiliare. A seguito dell’inadempimento del venditore, l’acquirente ha chiesto il doppio della caparra. Il Tribunale ha respinto l’opposizione, confermando che un assegno senza data, sebbene nullo come titolo di credito, costituisce una valida promessa di pagamento, invertendo l’onere della prova a carico del debitore, che non è riuscito a dimostrare l’estinzione del debito.

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Assegno Senza Data: Nullo Come Titolo, Valido Come Promessa

Un assegno senza data è un titolo nullo, ma la sua emissione può avere conseguenze legali significative. Invece di essere carta straccia, la giurisprudenza lo considera una promessa di pagamento, con importanti implicazioni sull’onere della prova in un eventuale contenzioso. Una recente sentenza del Tribunale di Pescara ha riaffermato questo principio, facendo luce sulla tutela del creditore in un complesso caso di compravendita immobiliare finita male.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine dalla stipula di un contratto preliminare per l’acquisto di un immobile in costruzione. L’acquirente versava una cospicua caparra confirmatoria di 70.000,00 euro. A garanzia degli impegni assunti, la società costruttrice, per mezzo di un suo esponente, consegnava all’acquirente un assegno bancario di pari importo, privo però della data di emissione.

Successivamente, la società costruttrice comunicava l’impossibilità di procedere alla vendita definitiva, adducendo come motivazione la non congruità del prezzo pattuito rispetto ai valori di mercato e a una perizia di parte. Di fatto, si trattava di un ripensamento, probabilmente dovuto alla possibilità di vendere l’immobile a un prezzo superiore. La società offriva la restituzione della caparra con gli interessi legali.

L’acquirente, ritenendo tale comportamento un grave inadempimento contrattuale, esercitava il proprio diritto di recesso e, come previsto dall’art. 1385 del codice civile, richiedeva il pagamento del doppio della caparra, per un totale di 140.000,00 euro. Di fronte al mancato pagamento, l’acquirente otteneva due decreti ingiuntivi: uno contro la società per 70.000,00 euro (che veniva pagato), e un altro contro il firmatario dell’assegno senza data per i restanti 70.000,00 euro. È proprio contro quest’ultimo decreto che il firmatario proponeva opposizione.

L’Assegno Senza Data e la Promessa di Pagamento

Il punto centrale della controversia ruota attorno al valore giuridico dell’assegno senza data. Secondo la legge, un assegno privo di uno dei suoi requisiti essenziali, come la data, è nullo e non può essere utilizzato come titolo esecutivo per avviare un pignoramento.

Tuttavia, la giurisprudenza consolidata, richiamata anche in questa sentenza, stabilisce che un assegno nullo può valere come promessa di pagamento ai sensi dell’art. 1988 del codice civile. Questo significa che, pur non potendo essere incassato direttamente, il documento costituisce una prova del debito. L’effetto principale è l’inversione dell’onere della prova: non è più il creditore a dover dimostrare l’esistenza del rapporto sottostante, ma è il debitore che deve provare che il debito non è mai sorto, è stato modificato o si è estinto.

Le Motivazioni della Decisione

Il Tribunale ha rigettato l’opposizione e confermato il decreto ingiuntivo. Il giudice ha ritenuto che il firmatario dell’assegno (l’opponente) non avesse fornito alcuna prova dell’inesistenza o dell’estinzione del debito.

In primo luogo, il giudice ha qualificato il comportamento della società venditrice come un chiaro inadempimento contrattuale. Le giustificazioni addotte – la presunta antieconomicità dell’operazione basata su dati OMI o perizie di parte – sono state ritenute irrilevanti. Le parti, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, avevano liberamente pattuito un prezzo e non potevano ritrattare unilateralmente sulla base di un semplice ‘ripensamento’. Tale inadempimento ha legittimato pienamente la richiesta dell’acquirente di ottenere il doppio della caparra.

In secondo luogo, il pagamento di 70.000,00 euro effettuato dalla società in esecuzione del primo decreto ingiuntivo non ha estinto l’intera obbligazione. Quel pagamento copriva solo la metà del credito totale dell’acquirente, che ammontava a 140.000,00 euro. L’assegno, quale promessa di pagamento, garantiva l’altra metà del credito. Poiché l’opponente non è riuscito a dimostrare che il debito sottostante alla promessa fosse inesistente, è stato condannato al pagamento.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce due principi fondamentali. Il primo è che un contratto preliminare ha forza di legge tra le parti e non può essere risolto unilateralmente per un ‘pentimento’ legato a mutate condizioni di mercato. Il secondo, e più rilevante, è che un assegno senza data, sebbene nullo come titolo di credito, conserva una sua efficacia giuridica come promessa di pagamento. Chi lo emette si assume la responsabilità di dover provare, in un eventuale giudizio, le ragioni per cui il pagamento non sarebbe dovuto. Questa decisione rafforza la tutela del creditore, che può contare su uno strumento probatorio efficace per recuperare il proprio credito anche in presenza di un titolo formalmente imperfetto.

Un assegno senza data ha qualche valore legale?
Sì. Sebbene sia nullo come assegno bancario e non possa essere incassato, ha il valore di una promessa di pagamento. Questo significa che il creditore può usarlo in tribunale per dimostrare l’esistenza di un debito, e spetterà al debitore provare il contrario.

Il venditore può ritirarsi da un contratto preliminare se ritiene che il prezzo pattuito sia diventato troppo basso?
No. Secondo la sentenza, il semplice ‘ripensamento’ o la valutazione che il prezzo non sia più conveniente rispetto ai valori di mercato non costituisce una giusta causa per risolvere il contratto. Tale comportamento è considerato un inadempimento contrattuale.

Cosa può fare l’acquirente se il venditore, dopo aver ricevuto la caparra, si rifiuta di stipulare il contratto definitivo?
L’acquirente può esercitare il diritto di recesso dal contratto e chiedere la restituzione del doppio della caparra versata, come previsto dall’articolo 1385 del codice civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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