Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19330 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19330 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME , rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata –
Avverso la sentenza dalla Corte di Appello di Bari n. 1023/2021, pubblicata il 3.6.2021, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4.7.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. ─ Con atto di citazione la RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione avverso il decreto n. 2043/2011 del
Oggetto: pagamento Assegno bancario
Tribunale di Bari, dichiarato provvisoriamente esecutivo, con cui le veniva ingiunto di pagare la somma di € 51.645,69, oltre interessi legali dalla domanda e spese di procedura, in favore di NOME, per il credito portato da n. 2 assegni di conto corrente, tratti entrambi su Credito Emiliano, il primo di £ 50.000.000 avente il n. NUMERO_DOCUMENTO e la data di emissione dell’11.10.2001, il secondo di £ 50.000.000 avente il n. NUMERO_DOCUMENTO e la data di emissione del 12.11.2001. L’opponente eccepiva: l’abusivo riempimento degli assegni di conto corrente in epoca successiva a quello di traenza degli assegni; la prescrizione dell’azione cartolare e, con riguardo all’azione causale, l’infondatezza della pretesa creditoria.
2 .-Il Tribunale di Bari accoglieva l’opposizione per quanto di ragione e, per l’effetto, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava la società opponente al pagamento della complessiva somma di € 25.822,84, oltre interessi legali dalla data del deposito del ricorso monitorio . L’attuale ricorrente proponeva gravame dinanzi alla Corte di appello di Bari. Con la sentenza qui impugnata la Corte adita ha rigettato l’appello principale del ricorrente e ha accolto l’appello incidentale, accogliendo per l’intero l’opposizione al d.i. confermando la revoca dello stesso . Per quanto qui di interesse la Corte ha statuito che:
a) è stato accertato nel giudizio penale che i due assegni erano stati rilasciati senza apposizione della data, quindi in bianco limitatamente alla data, e che le date di emissione apposte sui due assegni erano date false, apposte solo al fine di evitare gli effetti della prescrizione; b) le sentenze di merito nel processo penale spiegano effetti, nel giudizio civile nei confronti di NOME COGNOME, in ordine alla sussistenza dei descritti fatti materiali in concreto accertati, anche se il giudizio penale si è concluso con la dichiarazione di prescrizione del reato per tentata truffa aggravata;
c) quando l ‘ assegno è azionato quale promessa di pagamento, il giorno dal quale far decorrere il termine prescrizionale non può essere se non quello in cui la promessa di pagamento è stata assunta
dall’ emittente, coincidente con quello in cui è avvenuta la sottoscrizione e la consegna dell’assegno ;
d) ne consegue che il giorno di decorrenza del termine prescrizionale della promessa di pagamento, per ciascuno dei due assegni posti a fondamento del decreto ingiuntivo, non può essere ritenuto quello risultante dalle date apposte a mezzo timbro sui due titoli in quanto è stato accertato nel giudizio penale che i due assegni erano stati rilasciati senza apposizione della data, e che le date di emissione apposte su di esse erano date false, apposte al fine di evitare gli effetti della prescrizione;
ne discende che il termine prescrizionale decorre per entrambi gli assegni oggetto di giudizio dalla fine del mese di novembre dell’ anno 2000;
nel giudizio penale è legittimato al l’azione civile, ai sensi dell’ art. 74 c.p.p., chi chiede la condanna dell’imputato alle restituzioni, o la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni. Il presente giudizio ha ad oggetto, invece, la pretesa creditoria avanzata da NOME COGNOME con il ricorso monitorio; pertanto in questo giudizio la RAGIONE_SOCIALE, convenuta in senso sostanziale, si è limitata a resistere alla detta pretesa, senza avanzare alcuna domanda di restituzione o di risarcimento dei danni; per cui, non vi era alcuna domanda da trasferire nel processo penale.
3 . ─ NOME ha presentato ricorso per cassazione con sei motivi, ed anche memoria.
RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce :
-Con il primo motivo: Violazione dell’art. 360, n. 3, c.p.c. con riferimento agli artt. 342 e 343 c.p.c. con riferimento all’appello incidentale spiegato da COGNOME atteso che esso si traduceva in una ricostruzione dei fatti, ma senza contestazione delle circostanze di fatto e di diritto accertate dalla sentenza di primo grado.
4.1 -La censura è generica e non autosufficiente, poiché si limita a fare semplici dichiarazioni sul contenuto dell’atto accolto dalla Corte d’appello. Perché il principio di autosufficienza, con la «specifica indicazione» richiesta dall’articolo 366, n. 6, c.p.c., possa dirsi osservato, occorre, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sul piano contenutistico, che il ricorso per cassazione esponga tutto quanto necessario a porre il giudice di legittimità in condizione di avere completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonché di cogliere il significato e la portata delle censure contrapposte alle argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti edotti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass., n. 31082/2017; Cass., n. 1926/2015; Cass., n. 7825/2006; da ult. tra le tante Cass., n. 12191/2020; Cass., n. 10143/2020; Cass., n. 12481/2022).
La censura contesta, inoltre la statuizione relativa alla inefficacia della diffida del 13.9.2011 evocando giurisprudenza di questa Corte che avallerebbe il fondamento della censura. Il mezzo, però, omette di precisare quale sia il contenuto della missiva in oggetto impedendo qualsiasi valutazione da parte di questa Corte, ove ciò sia possibile in generale rispetto alla valutazione degli esiti probatori in sede di legittimità.
-Con il secondo motivo: Violazione dell’art. 360, n. 3, c.p.c. con riferimento alla violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2909 c.c. in relazione al ragionamento seguito dalla Corte di merito barese nell’individuare la data di inizio della prescrizione con quella di chiusura del conto corrente sul quale erano stati tratti i due assegni.
5.1 ─ L a censura è in parte inammissibile ed anche in parte infondata, poiché la censura si limita a dichia rare l’esistenza del giudicato interno senza alcuna allegazione che consenta la valutazione della questione.
-Con il terzo motivo: Violazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c. con riferimento agli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. con riguardo alla circostanza che l’opponente/appellata avendo eccepito che
l’efficacia dei titoli era prescritta ex art. 2946 c.c. aveva l’onere di dimostrare la data di decorrenza dell’eccepita prescrizione e quindi su una presunta diversa data di emissione degli assegni che riportavano la relativa obbligazione.
6.1 -La censura è inammissibile, poiché le doglianze sono quasi esclusivamente rivolte al contenuto dell’appello incidentale e non alla ratio decidendi della Corte. Il collegio non ha deciso in base alle regola del riparto dell’onere della prova che si assume violata, ma ha ricostruito le evidenze probatorie e le risultanze rinvenienti dal giudizio penale pervenendo ad una decisione con una motivazione ampia e adeguata alla fattispecie.
-Con il quarto motivo: Violazione dell’art. 2946 c.c. con riguardo agli atti interruttivi della prescrizione ex art. 2943 c.c. ed in particolare alla racc.ta del 13.9.2001, quale atto interruttivo della prescrizione.
7.1 -Il motivo è inammissibile perché generico in prospettiva di autosufficienza. R ipropone le censure già delineate nell’ultima parte del primo mezzo. L’assenza della trascrizione della missiva impedisce in ogni caso di apprezzare la coerenza delle indicazioni giurisprudenziali indicate specificamente in questo ulteriore mezzo.
– Con il quinto motivo: Violazione dell’art. 360, n. 3, c.p.c. con riferimento all’art. 645 c.p.c. ed all’art. 75 c.p.p. con riferimento alla costituzione di parte civile di COGNOME nel processo penale di cui in atti.
8.1 -La sentenza citata da controparte per sostenere che nel processo penale e in quello civile erano state azionati due diversi aspetti della stessa domanda – «opposizione al pagamento somme -risarcimento danni» – contiene la fissazione di un principio, tra l’altro in materia fallimentare, di contenuto diverso. Infatti, la massima enuncia che: la costituzione di parte civile del curatore fallimentare nel procedimento penale per bancarotta fraudolenta a carico del fallito (nella specie, a carico degli amministratori della società fallita) non determina l’estinzione del giudizio civile
precedentemente introdotto ai sensi dell’art. 64 della legge fall., né la sospensione di quello introdotto successivamente, neppure nel caso in cui il curatore sia stato autorizzato ad estendere la domanda risarcitoria, fondata sui medesimi fatti, al terzo convenuto nel giudizio civile, in qualità di responsabile civile, in quanto si tratta di domande diverse ed, anzi, aventi “cause petendi” opposte, dato che la domanda risarcitoria si fonda su di un fatto illecito-reato e l’altra riguarda un atto lecito, che può essere dichiarato inefficace e anche qualora al disponente ed al beneficiario non si possa rimproverare alcunché; inoltre, il “petitum” dell’azione risarcitoria è rivolto a conseguire la reintegrazione del patrimonio del soggetto depauperato dall’illecito mediante la corresponsione dell’equivalente pecuniario del pregiudizio subito, mentre, nella fattispecie di cui all’art. 64 della legge fall., l’azione ha per oggetto la sanzione di inefficacia del pagamento eseguito dal “solvens” e la restituzione della somma pagata assume carattere strumentale al fine della ricostituzione della massa fallimentare nella consistenza originaria.
Sulla tematica questa Corte ha sempre ribadito che la proposizione in sede penale e civile dell’azione risarcitoria comporta il trasferimento nel processo penale dell’azione civile soltanto se vi è effettiva coincidenza delle azioni per “petitum” e “causa petendi”, in quanto l’azione promossa in sede civile è fondata su fatti diversi e più ampi rispetto a quelli oggetto del processo penale (Cass., n. 34529/2019).
La Corte del merito, di converso, ha adeguatamente interpretato le due domande qui rilevanti, e ne ha ravvisato una differenziazione con una motivazione logicamente coerente che non è in alcun modo censurata nel mezzo.
Da qui la conseguenza che il mezzo è da un lato generico e, dall’altro, non è coerente rispetto alla ratio della sentenza.
9. – Con il sesto motivo: Violazione dell’art. 360, n. 3, c.p.c. con riferimento all’art. 96 c.p.c. per aver sostenuto, anche con toni
inutilmente offensive, tesi del tutto prive di pregio e fondamento sia in fatto che in diritto.
9.1 -La censura evidenzia aspetti che riguardano un presunto contenuto offensivo dell’atto di appello che non ha alcuna rilevanza rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata. Aggiunge anche una domanda di condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. che non risulta essere stata proposta nei giudizi di merito e che non ha alcuna attinenza col giudizio di legittimità dove la controparte, per quanto intimata, non è risultata soccombente.
10. -Per quanto esposto, il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione