Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19186 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19186 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Brescia, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia n. 1666/2019, pubblicata il 19.11.2019, notificata il 18.5.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4.7.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Oggetto: Assegno bancario posdatato in garanzia
1. ─ La RAGIONE_SOCIALE ha stipulato con la RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE, un contratto di vendita in esclusiva in data 10.2.2010 (con il quale la RAGIONE_SOCIALE medesima ha concesso alla ricorrente il diritto esclusivo di vendere prodotti contraddistinti dal marchio “Diadora” e “Sergio Tacchini”). Il contratto prevedeva, originariamente, la corresponsione da parte della società appellante, quale corrispettivo, di una percentuale di royalty del 20% da calcolarsi sulle vendite nette dei prodotti. La durata di detto contratto decorreva dal 1.4.2010 ed avrebbe dovuto cessare in data 31.3.2013. Inoltre, è stato stipulato altro contratto di produzione (con decorrenza dal 1.7.2010 e cessazione in data 30.6.2012) con il quale la RAGIONE_SOCIALE ha affidato alla RAGIONE_SOCIALE la fabbricazione diretta e/o indiretta dei prodotti secondo le modalità specificate nel contratto medesimo ed in conformità alle richieste di produzione trasmesse, di volta in volta, dalla RAGIONE_SOCIALE medesima.
In relazione al primo contratto avente ad oggetto il diritto di vendita in esclusiva, la RAGIONE_SOCIALE ha anticipato alla RAGIONE_SOCIALE una serie di versamenti per royalties.
2 .-Risulta, inoltre pacifico, che in realtà la merce di cui alla fattura n.950/Y/2010 è stata pagata dalla RAGIONE_SOCIALE, ma successivamente restituita alla medesima RAGIONE_SOCIALE che ha “scontato”, sul pagamento ricevuto, le royalties di settembre, ottobre, novembre e dicembre 2012 per complessivi € 254.000 .
È parimenti incontestato che la ricorrente vantava nei confronti della RAGIONE_SOCIALE un credito di € 581.515,71, in relazione al contratto di vendita in esclusiva, e un credito per complessivi € 339.015,59 quanto al contratto di produzione come risultante dalle fatture con relativo documento di trasporto indicate nella comparsa di costituzione in primo grado.
3.Il credito complessivo vantato dalla NOME alla data di deposito del ricorso monitorio era, quindi, pari a complessivi € 920.531,30 oltre interessi. La stessa società ha dedotto che a garanzia della predetta situazione debitoria il signor COGNOME
NOME, nella sua qualità di socio della RAGIONE_SOCIALE, aveva rilasciato in favore della RAGIONE_SOCIALE, assegni bancari per la somma complessiva di € 316.874,62. Non avendo il COGNOME onorato i predetti pagamenti la società ha proposto, sulla base dei predetti titoli, ricorso monitorio.
COGNOME si è opposto al decreto ingiuntivo emesso. Il Tribunale di Brescia ha accolto l’opposizione.
4.Avverso la sentenza la società ha proposto gravame dinanzi alla Corte di Appello di Brescia. Con la sentenza qui impugnata la Corte adita ha accolto il gravame. Per quanto qui di interesse la Corte di merito ha statuito che:
gli assegni sono stati emessi a garanzia e non per il pagamento di specifiche prestazioni. Si può presumere che siano stati emessi senza data al fine di consentire il loro incasso al momento del configurarsi di una posizione creditoria;
il sottostante patto di garanzia è nullo, i titoli conservano la natura di promessa di pagamento ai sensi dell’art. 1988 c.c. con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del debitore sull’inesistenza della relativa obbligazione ;
il debitore COGNOME non ha dimostrato efficacemente l’inesistenza, invalidità o estinzione del rapporto sottostante e, a monte che questo fosse costituito dal solo rapporto di vendita e non anche da quello di produzione;
le parti hanno stipulato un accordo transattivo in data 24.1.2012 precisando che a quella data esisteva una consistente esposizione debitoria della RAGIONE_SOCIALE;
non vi è corrispondenza tra gli importati portati dalle fatture emesse in relazione al contratto di vendita e quelle portate dai titoli;
la scrittura del 24.1.2012 ha valore di riconoscimento del debito e, sebbene in essa venga previsto un piano finanziario, nulla si dice con riferimento agli assegni;
la società ha trattenuto gli assegni a riprova della sussistenza di ragioni creditorie sottese alle promesse di pagamento di cui agli
assegni stessi e la prova contraria da parte del debitore non può essere raggiunta con l’assunzione di prova per testi perchè incompatibile con fatti provati documentalmente e contradetti in parte anche dalla predetta scrittura privata quantomeno fino al 21.12.2012.
5 . ─ COGNOME NOME ha presentato ricorso per cassazione con otto motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha presentato controricorso ed anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce :
-Con il primo motivo: Nullità della sentenza impugnata in relazione agli artt. 24 e 101, comma 2, Cost., 183, comma 4, c.p.c. ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. nella parte in cui è stata rilevata “d’ufficio” causa di nullità senza alcuna previa segnalazione alle parti e senza aver promosso alcun contraddittorio in ordine ad essa.
6.1─ La censura è infondata perché questa Corte ha più volte ribadito che nel caso in cui il giudice esamini d’ufficio una questione di puro diritto, senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di essa l’apertura della discussione (c.d. terza via), non sussiste la nullità della sentenza, in quanto (indiscussa la violazione deontologica da parte del giudicante) da tale omissione non deriva la consumazione di altro vizio processuale diverso dall'”error iuris in iudicando” ovvero dall'”error in iudicando de iure procedendi”, la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato: qualora invece si tratti di questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, la parte soccombente può dolersi della decisione, sostenendo che la violazione di quel dovere di indicazione ha vulnerato la facoltà di chiedere prove o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini, con la conseguenza che, ove si tratti di sentenza di primo grado appellabile, potrà proporsi specifico motivo di appello solo al fine di rimuovere alcune
preclusioni (specie in materia di contro-eccezione o di prove non indispensabili), senza necessità di giungere alla più radicale soluzione della rimessione in primo grado, salva la prova, in casi ben specifici e determinati, che sia stato realmente ed irrimediabilmente vulnerato lo stesso valore del contraddittorio (Cass., n. 20935/2009; Cass., n. 8936/2013, Cass., n. 2984/2016).
-Con il secondo motivo: Nullità della sentenza impugnata in relazione all’art. 112 c.p.c. ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per intervenuto mutamento “d’ufficio” del titolo della pretesa, in assenza di domanda in tal senso della parte.
7.1 ─ La censura non è fondata poiché la domanda non è mutata: l a natura e le finalità degli assegni sono stati sin dall’inizio dell’opposizione al decreto ingiuntivo la base anche della difesa dell’attuale ricorrente che sosteneva, però, che la garanzia era limitata al solo credito derivante dal contratto di vendita (per i quali non esisteva alcuna obbligazione inadempiuta) e non potevano essere posti a base del pagamento dei diversi crediti derivanti dal contratto di produzione.
-Con il terzo motivo: Violazione di legge in relazione all’art. 1424 c.c. ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per essere stata d’ufficio operata conversione del negozio ritenuto nullo, in assenza di istanza di parte in tal senso.
8.1 -La censura non coglie la ratio decidendi, che si è limitata ad applicare alla fattispecie quanto previsto dall’art. 1988 c.c. per le ipotesi di contrarietà alle norme imperative regolate negli artt. 1 e 2, r.d. n. 1736/1933
-Con il quarto motivo: Violazione di legge in relazione agli artt. 1988 e 2697 c.c. ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. nella parte in cui è stato ritenuto che in ipotesi di “promessa di pagamento” l’onere della prova incombente sul “promittente” debba estendersi a debiti ulteriori rispetto a quello connesso a rapporto fondamentale che sia stato, e da unico, indicato dal promissario/creditore.
-Con il quinto motivo: Violazione di legge in relazione agli artt. 1988, 1418 e 2697 c.c. ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. nella parte in cui, in costanza di una previamente ritenuta nullità di “patto di garanzia” sottostante la emissione di assegni postdatati – ed emessi a garanzia del debito di terzi -, il debito del “promittente” è stato ricondotto al debito del “terzo ‘.
10.1 -E ntrambi i motivi si fondano sull’affermazione che il ricorrente avrebbe efficacemente provato che i titoli erano stati emessi a garanzia di obbligazioni relative ad un rapporto per il quale «risultava agli atti riscontrata (siccome dal Giudice ritenuta) la invalidità (connessa alla dichiarata nullità». Ne conseguirebbe che la prova sul diverso rapporto che potesse giustificare dovrebbe essere resa dal creditore. Secondo la censura la nullità del patto di garanzia travolge anche il sottostante rapporto garantito. L ‘interpretazione non è coerente con la ratio decidendi poiché l’accertata presenza del patto di garanzia fa soltanto presumere, all’inverso, l’esistenza di un valido sottostante rapporto obbligatorio rendendo il debitore onerato della prova contraria e questa non può essere la connessione logica, non corretta tra l’invalidità del patto di garanzia e l’invalid ità del relativo sottostante rapporto garantito. Il motivo, pertanto, è inammissibile.
11 .-Con il sesto motivo: Nullità della sentenza impugnata ex art. 112 c.p.c. ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per omessa pronuncia in ordine ad eccezione di decadenza-estinzione della garanzia ex art. 1957 c.c., caratterizzata da decisività.
11.1 -La censura si fonda sulla qualificazione dell’emissione degli assegni a garanzia da parte del ricorrente come fideiussione e lamenta che la Corte non avrebbe statuito sull’applicabilità dell’art. 1957 c.c. La censura, però, non considera la ratio decidendi della sentenza impugnata che si fonda sulla ricostruzione della fattispecie in esame come promessa di pagamento che ha una natura meramente ricognitiva e il suo effetto è limitato a confermare un rapporto obbligatorio con l’unico effetto dell’inversione della prova.
La Corte ribadendo la sola natura di promessa di pagamento dei titoli emessi ha implicitamente escluso che si tratti di fideiussione, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente anche nel giudizio di merito.
-Con il settimo motivo: Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. Precisamente, l’omesso esame e considerazione di un duplice fatto decisivo -l’oggetto della garanzia e la non intervenuta insorgenza del debito garantito -, benché dal Giudicante ritenuto “non contestato” e, come tale, “pacifico”.
12.1 – La censura è inammissibile perché è carente di specificità rispetto alla reale contestazione sulle motivazioni su cui si fonda la sentenza impugnata. La Corte ha valutato i fatti considerati omessi e li ha considerati in correlazione agli altri esiti probatori ritenuti determinanti nella decisione (pp. 6 e 7 della sentenza impugnata).
13 .-Con l’ottavo motivo: Violazione di legge in relazione agli artt. 2727 -2729 c.c. ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per essere stata, la norma di cui all’art. 2729 c.c., applicata a fattispecie concrete che non risultavano effettivamente ascrivibili alla fattispecie astratta e/o per essersi il Giudice limitato a negare valore indiziario a singoli elementi acquisiti in giudizio senza accertarne la effettiva rilevanza ovvero ad attribuire valore indiziario a singoli elementi in realtà privi di effettiva rilevanza.
13.1 -La censura tende ad una rivalutazione degli esiti probatori,e come tale non è ammissibile in sede di legittimità. È indubitabile che oggi si pretenda una diversa valutazione degli esiti istruttori. Il motivo omette di considerare, così, che il predetto apprezzamento è riservato al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove, ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a fondare la decisione (Cass., n. 16467/2017; Cass., n. 11511/2014; Cass., n. 13485/2014; Cass., n. 16499/2009).
-Per quanto esposto, il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 12.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione