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Assegno in garanzia: nullo ma vale come promessa

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5882/2024, ha chiarito la natura giuridica dell’assegno in garanzia. Un soggetto si opponeva a un decreto ingiuntivo basato su tre assegni, sostenendo che fossero stati consegnati in garanzia per un debito aziendale poi saldato. La Corte ha stabilito che, sebbene il patto di garanzia tramite assegno sia nullo per violazione di norme imperative, l’assegno stesso non perde validità ma si converte in una promessa di pagamento ai sensi dell’art. 1988 c.c. Di conseguenza, si verifica un’inversione dell’onere della prova: non è il creditore a dover dimostrare l’esistenza del debito, ma il debitore a dover provare il contrario. Non essendo stata fornita tale prova, il ricorso è stato respinto.

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Assegno in garanzia: nullo l’accordo, ma il debito resta. La parola alla Cassazione

L’utilizzo di un assegno in garanzia, ovvero un assegno postdatato o privo di data consegnato per assicurare un futuro adempimento, è una pratica diffusa ma giuridicamente complessa e rischiosa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 5882 del 5 marzo 2024) ha ribadito principi fondamentali in materia, chiarendo la sorte di tali titoli e, soprattutto, su chi ricada l’onere di provare l’esistenza del debito. La sentenza offre spunti cruciali sia per i creditori che per i debitori che si trovano a gestire situazioni simili.

I Fatti del Caso: Tre Assegni per un Prestito Contestato

La vicenda trae origine dall’opposizione a un decreto ingiuntivo emesso a favore di un creditore per una somma di 30.000 euro, basato su tre assegni bancari emessi da un debitore, risultati insoluti e protestati.

Il debitore si opponeva sostenendo che i tre assegni erano stati firmati parzialmente in bianco (senza data) e consegnati al creditore non per un debito personale, ma come garanzia per un debito di 20.000 euro di una società di cui era socio. A suo dire, tale debito era stato integralmente saldato successivamente, rendendo illegittima la richiesta del creditore, che avrebbe dovuto restituire i titoli.

Il creditore, d’altra parte, ammetteva che gli assegni fossero stati emessi senza data e in funzione di garanzia, ma per un prestito personale di 30.000 euro, erogato in contanti direttamente al debitore.

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello respingevano l’opposizione del debitore, confermando la validità della pretesa creditoria. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte: l’assegno in garanzia e la sua duplice natura

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del debitore, confermando le decisioni dei giudici di merito. Il principio cardine ribadito dalla Corte è il seguente: l’accordo con cui le parti decidono di utilizzare un assegno con funzione di garanzia è nullo, ma l’assegno stesso non perde ogni valore. Esso, infatti, si converte in una promessa di pagamento.

Questa ‘conversione’ ha una conseguenza processuale di enorme importanza: l’inversione dell’onere della prova. Vediamo nel dettaglio le motivazioni alla base di questa consolidata interpretazione giuridica.

Le Motivazioni: perché l’assegno in garanzia si trasforma in promessa di pagamento

La Corte di Cassazione ha spiegato che l’emissione di un assegno in bianco o postdatato a scopo di garanzia è contraria a norme imperative (in particolare, gli artt. 1 e 2 del R.D. n. 1736/1933, la c.d. ‘Legge Assegno’). La legge, infatti, concepisce l’assegno esclusivamente come uno strumento di pagamento a vista, non come uno strumento di credito o di garanzia. Pertanto, qualsiasi patto che ne alteri questa funzione è da considerarsi nullo.

Tuttavia, la nullità del patto non travolge automaticamente il titolo. Sebbene privo della sua tipica efficacia di titolo esecutivo, l’assegno irregolare conserva il valore di una promessa di pagamento, secondo quanto previsto dall’art. 1988 del Codice Civile. Quest’articolo stabilisce che chi riconosce un debito o promette un pagamento è dispensato dall’onere di provare il rapporto fondamentale, la cui esistenza si presume fino a prova contraria.

Questo meccanismo, noto come relevatio ab onere probandi, sposta il carico della prova dal creditore al debitore. In pratica:
1. Il creditore che possiede l’assegno non deve dimostrare la causa del debito (ad esempio, l’esistenza di un contratto di prestito).
2. Spetta al debitore che ha emesso l’assegno fornire la prova contraria, ovvero dimostrare che il debito non è mai esistito, che è stato estinto o che deriva da una causa illecita.

Nel caso specifico, la Corte ha accertato che il debitore non era riuscito a fornire tale prova. Le sue argomentazioni e le testimonianze prodotte non sono state ritenute sufficienti a superare la presunzione di esistenza del debito derivante dalla consegna degli assegni.

Le Conclusioni: implicazioni pratiche per creditori e debitori

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande rilevanza pratica. Le conclusioni che possiamo trarre sono le seguenti:

* Per il debitore: Emettere un assegno in garanzia è una pratica estremamente rischiosa. Anche se l’accordo di garanzia è nullo, il titolo rimane nelle mani del creditore come una potente arma probatoria. In caso di contenzioso, sarà il debitore a dover sostenere il difficile onere di dimostrare l’inesistenza o l’estinzione del debito.
* Per il creditore: Ricevere un assegno a garanzia, sebbene configuri un patto nullo, fornisce una solida base per un’azione legale. Il titolo, pur non essendo immediatamente esecutivo come un assegno regolare, si trasforma in una promessa di pagamento che inverte l’onere della prova a suo favore, semplificando notevolmente il recupero del credito in giudizio.

In definitiva, la Corte di Cassazione ribadisce che la funzione dell’assegno non può essere snaturata. Chi accetta di deviare da questa funzione, in particolare il debitore, lo fa a proprio rischio, esponendosi a conseguenze processuali significativamente svantaggiose.

Un assegno dato in garanzia è valido?
L’accordo (il cosiddetto patto di garanzia) con cui si consegna un assegno come garanzia è nullo, perché contrario alle norme che definiscono l’assegno come strumento di pagamento. Tuttavia, il titolo cartaceo non perde completamente il suo valore: si converte in una promessa di pagamento.

Se ricevo un assegno in garanzia, devo dimostrare il motivo del debito per agire in giudizio?
No. Secondo la Corte, l’assegno, valendo come promessa di pagamento ai sensi dell’art. 1988 c.c., inverte l’onere della prova. Si presume che il debito esista, e spetta al debitore che ha emesso l’assegno dimostrare il contrario, cioè che il debito non è mai sorto, è stato pagato o è nullo.

Cosa succede se un assegno viene emesso senza data per essere usato come garanzia?
Anche se emesso senza data, l’assegno consegnato a scopo di garanzia non è nullo. Perde la sua efficacia di titolo esecutivo, ma conserva il suo valore come promessa di pagamento, con la conseguente inversione dell’onere della prova a carico del debitore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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