Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5882 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5882 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
Oggetto: fideiussione bancaria
ORDINANZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO con patrocinio a spese dello Stato ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
Contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Marino, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari n. 543/2019, pubblicata il 4.3.2019, nel giudizio r.g. n. 1353/2014, non notificata. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27.10.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato in data 16.11.201,0 COGNOME NOME proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 122/2010 con cui il Tribunale di Lucera gli aveva ingiunto il pagamento, in favore di COGNOME NOME, di complessivi € 30.000 , oltre spese di protesto, interessi e spese della procedura monitoria.
La pretesa monitoria si fondava su tre assegni bancari a firma dello COGNOME e all’ordine di COGNOME NOME, tutti ritornati insoluti e protestati. Il ricorrente contestava la validità di detti titoli e l’esistenza di un rapporto sostanziale giustificativo dell’emissione degli assegni, sostenendo essere stati firmati gli stessi nel gennaio -febbraio 2008 parzialmente in bianco, senza indicazione della data di emissione, e consegnati al COGNOME a garanzia di un debito di € 20.000 della Eurogiò Cereali sRAGIONE_SOCIALE, società di cui lo RAGIONE_SOCIALE era socio dipendente. Sosteneva che il debito era stato saldato mediante emissione, nel periodo giugno-luglio dello stesso anno, di 2 assegni da parte della Eurogiò tratti sul Banco di Napoli di Troia nonché mediante altro assegno dell’importo di € 5.000,000, regolarmente incassati dal controricorrente, che aveva agito per il recupero del credito cartolare in violazione del patto di non presentazione stipulato al momento della consegna del titolo.
Parte opposta non contestava che gli assegni fossero stati emessi senza la data ed in funzione di garanzia, ma per un prestito di € 30.000 effettuato in contanti, direttamente in favore di COGNOME NOME, nel periodo compreso tra il mese di ottobre 2007 ed i primi mesi del 2008. Il Tribunale adito rigettava l’opposizione.
L’attuale ricorrente proponeva gravame dinanzi alla Corte di Appello di Bari che, con la sentenza impugnata, ha rigettato l’appello.
Per quanto qui di interesse la Corte statuiva:
che l’accordo sulla mera f unzione di garanzia dei titoli comporta soltanto la nullità del patto stesso e non degli assegni che, seppur privi di efficacia cartolare, conservano la loro natura di promessa di pagamento ex art. 1988 c.c., se emessi senza data di emissione;
pertanto il creditore è dispensato dall’onere di provare il rapporto fondamentale che si presume fino a prova contraria esistente;
dagli esiti probatori risultava che l’attuale ricorrente non aveva mai rinunziato ad avvalersi di tale vantaggio probatorio;
la diversa prova sul diverso contenuto degli accordi sottostanti è ritenuta insufficiente sia per le contraddizioni in cui è incorso il teste padre del ricorrente, sia per le ulteriori argomentazioni di ordine logico basate sulla documentazione acquisita agli atti.
COGNOME NOME ha presentato ricorso con tre motivi ed anche memoria.
COGNOME NOME ha presentato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
Con il primo motivo si denuncia: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per errata ricostruzione dei fatti controversi, e conseguente omessa pronuncia su tutta la domanda ovvero su fatti decisivi della controversia; Violazione e falsa applicazione dell’art. 1322 c.c., dell’art. art. 31, comma 2, nn.1 e 2 r.d. n. 1736/1933 ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. in quanto la Corte di Appello ha effettuato una errata ricognizione dei fatti e circostanze controversi e delle norme ad essi applicate ed applicabili.
Con il secondo motivo si denuncia: Violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 c.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697, 2721 ss. c.c. e dell’art. 112 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.
2.1 Il primo e il secondo motivo sono correlati e possono essere trattati unitariamente. Le censure sono in parte infondate ed in parte inammissibili.
L a Corte d’appello ha accertato, in fatto, che i tre assegni – posti all’incasso dal COGNOME ed allegati da questi al ricorso per decreto ingiuntivo, poiché protestati – erano stati emessi dallo COGNOME senza data e luogo di emissione, ed a garanzia di un prestito ricevuto dal
medesimo ed erogato dal COGNOME. S ulla base dell’istruttoria espletata ha, per vero accertato che tutti e tre gli assegni – anche il terzo, contrariamente a quanto assume il ricorrente -erano stati consegnati privi degli elementi essenziali della data e del luogo, sebbene pacificamente muniti della sottoscrizione dello COGNOME. La Corte ha, quindi, ritenuto – condividendo le affermazioni del Tribunale in proposito – che, sebbene il patto di garanzia fosse nullo per violazione di norme imperative (artt. 1 e 2 r.d. n. 1736/1933), i titoli in questione fossero validi come promesse di pagamento.
Al riguardo, il giudice di seconde cure ha ritenuto, altresì, irrilevante il mancato rideposito dei titoli suddetti nel giudizio di opposizione incardinato dallo COGNOME, non costituendo il «contenuto formale» di tali assegni – quindi il loro essere stati emessi compilati, ma senza data e luogo di emissione – «fatto controverso», ed essendo, quindi, inammissibile la tardiva censura mossa, in relazione al loro contenuto, dallo COGNOME solo in comparsa conclusionale, ed essendo stati, ad ogni buon conto, tali assegni prodotti dallo stesso opponente in copia, oltre che, successivamente dal COGNOME. La Corte ha, inoltre, accertato, in fatto, che la rinuncia al beneficio dell’astrazione processuale dalla causa, insito nella promessa di pagamento ex art. 1988 c.c., non era stata effettuata dal COGNOME, avendo il medesimo dedotto l’efficacia degli assegni come promesse di pagamento, con ogni conseguenza di legge, fin dalla comparsa di risposta del giudizio di primo grado. Il giudice di secondo grado ha, infine, accer tato – sulla base di una ampia e logica motivazione, fondata sull’esame della documentazione in atti e delle risultanze della prova testimoniale – che lo COGNOME non aveva in alcun modo fornito la prova contraria alla presunzione di esistenza di una causa debendi, ai sensi dell’art. 1988 c.c.
Tanto premesso, va osservato che -secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità- l’emissione di un assegno in bianco o postdatato, cui di regola si fa ricorso per realizzare il fine di garanzia – nel senso che esso è consegnato a garanzia di un deb ito e deve
essere restituito al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento -, è contrari a alle norme imperative contenute negli artt. 1 e 2 del R.D. 21 dicembre 1933 n. 1736 e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume enunciato dall’art. 1343 cod. civ.. Pertanto, non viola il principio dell’autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 cod. civ. il giudice che, in relazione a tale assegno, dichiari nullo il patto di garanzia e sussistente la promessa di pagamento di cui all’art. 1988 cod. civ. (Cass., n.4368/1995; Cass., n.10710/2016; Cass., n.143//2021).
Quanto alla pretesa rinuncia, da parte del creditore COGNOME, al beneficio dell’inversione dell’onere della prova, questa Corte ha affermato che, in tema di promesse unilaterali, la ricognizione di debito non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, venendo ad operarsi, in forza dell’ art. 1988 c.c., un’astrazione meramente processuale della “causa debendi”, comportante una semplice “relevatio ab onere probandi” per la quale il destinatario della promessa è dispensato dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria, a meno che egli non rinunci, anche implicitamente, al vantaggio dell’inversione dell’onere della prova (Cass., n. 7787/2010; Cass., n. 18259/2006). Questa rinuncia, né implicita né esplicita, nel caso concreto non vi è stata, avendo la Corte territoriale accertato, per contro, che il beneficio in parola era stato invocato dall’opposto COGNOME, fin dal primo grado del giudizio di opposizion e, essendosi fatto carico l’opponente COGNOME, ma senza esito, di fornire la prova contraria alla presunzione di esistenza di un rapporto fondamentale (mutuo) a fondamento dell’emissione degli assegni.
I due motivi di ricorso, sono infondati, poiché investono statuizioni del tutto corrette sul piano giuridico, ma si traducono, al contempo, in un inammissibile tentativo di sovvertire le valutazioni di merito operate dal giudice di appello. È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici o delle risultanze istruttorie operata dal giudice di merito (Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 04/04/2017, 8758; Cass., 02/08/2016, n. 16056; Cass. Sez. U., 27/12/2019, n. 34476; Cass., 04/03/2021, n. 5987).
Con il terzo motivo si denuncia: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per errata ricostruzione dei fatti controversi, e conseguente omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione sull’eccezione di mancata pronuncia sulla domanda riconvenzionale di condanna al risarcimento dei danni.
3.1 La censura è inammissibile. Il giudice di appello non ha omesso di pronunciare, e tanto meno è incorso in omessa motivazione, sulla domanda di danni, avendola semplicemente ritenuta assorbita (quarto motivo di appello), avendo trovato conferma in giudizio la pretesa creditoria del Po mpa, da cui conseguiva l’inesistenza di un ingiusto pregiudizio ai danni dello COGNOME. Il vizio d’omessa pronuncia, configurabile allorché manchi completamente il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, deve essere escluso, pur in assenza di una specifica argomentazione, in relazione ad una questione implicitamente o esplicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza (Cass., 26/01/2016, n. 1360; Cass., 25/02/2005, n. 4079; Cass., n. 2334/2020).
Con istanza presentata insieme alla memoria del 17.10.2023 la parte chiedeva la liquidazione delle spese del patrocinio gratuito. Sul punto si precisa che la Corte di cassazione non è competente alla
liquidazione dei compensi al difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio, atteso il tenore dell’art. 83, comma 2 del d.P.R. n. 115 del 2002, senza che conclusioni diverse possano trarsi dal comma 3 bis del medesimo art. 83 – introdotto dall’art. 1 della l. n. 208 del 2015 – che nell’imporre al giudice l’adozione del decreto di pagamento “contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta”, esplicita solo una finalità acceleratoria senza incidere sulle regole di competenza per la liquidazione (Cass., n. 11677 del 16/06/2020).
Per quanto esposto, il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 5.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% dei compensi ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione