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Assegno in bianco: quando vale come promessa di pagamento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22848/2024, ha chiarito la valenza probatoria di un assegno in bianco. Il caso riguardava un decreto ingiuntivo per quasi due milioni di euro, basato su un assegno. La Corte ha stabilito che il mero possessore di un assegno in bianco, privo dell’indicazione del beneficiario, non è legittimato a pretenderne il pagamento. Per far valere il titolo come promessa di pagamento, il possessore deve dimostrare l’esistenza del rapporto giuridico sottostante da cui deriva il credito, in quanto la semplice detenzione del titolo non è sufficiente a provarne la titolarità.

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Assegno in Bianco: La Cassazione Chiarisce Chi Deve Provare il Credito

L’assegno in bianco rappresenta uno strumento tanto diffuso quanto rischioso, spesso utilizzato come garanzia in accordi commerciali e privati. Ma cosa succede quando il possessore del titolo non è la persona a cui la promessa di pagamento era originariamente destinata? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sulla ripartizione dell’onere della prova, stabilendo principi chiari a tutela del debitore.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dall’opposizione a un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale per il pagamento di una somma ingente, pari a 1.870.000,00 euro. Il credito era fondato su un assegno bancario che l’opponente aveva sottoscritto e consegnato al beneficiario del decreto.

Secondo la versione del creditore, l’assegno era stato consegnato a garanzia di un accordo finalizzato al rilancio dell’azienda agricola del proprio figlio. A seguito della risoluzione ingiustificata di tale accordo, il creditore aveva posto all’incasso il titolo.

Di contro, la debitrice sosteneva che l’assegno, consegnato in bianco, fosse destinato esclusivamente a coprire i pagamenti di alcuni fornitori dell’azienda del figlio del creditore. Tali pagamenti, affermava la debitrice, erano stati poi da lei stessa effettuati tramite bonifici, con la conseguente richiesta di distruzione dell’assegno, che invece era stato abusivamente riempito e presentato per l’incasso.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, ha revocato il decreto ingiuntivo. I giudici di secondo grado hanno ritenuto che il creditore non fosse legittimato a pretendere la somma. Sebbene un assegno costituisca una promessa di pagamento con inversione dell’onere della prova, tale principio non si applica automaticamente quando il titolo non era originariamente destinato al possessore.

La Corte ha osservato che era pacifico tra le parti che l’assegno fosse stato emesso in bianco e che la promessa sottostante non fosse diretta al padre (il possessore), ma legata a un’operazione imprenditoriale del figlio. Pertanto, spettava al possessore dimostrare il rapporto giuridico specifico che lo legittimava a pretendere quella somma, prova che, nel caso di specie, non era stata fornita.

Il Ricorso in Cassazione e l’Onere della Prova sull’Assegno in Bianco

Il creditore ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione delle norme sulla promessa di pagamento (art. 1988 c.c.) e sull’onere della prova (art. 2697 c.c.). A suo avviso, l’assegno avrebbe dovuto esonerarlo dal dimostrare il rapporto sottostante, e la Corte d’Appello avrebbe errato nel negare la sua legittimazione.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto l’impostazione della Corte territoriale. Gli Ermellini hanno ribadito un principio giurisprudenziale consolidato (richiamando Cass. n. 731/2020): il mero possessore di un assegno bancario, che non risulti né come prenditore né come giratario, non è legittimato a esigere il credito se non dimostra l’esistenza del rapporto giuridico da cui tale credito deriva.

Il semplice possesso del titolo, infatti, non ha un significato univoco. Potrebbe derivare da una consegna abusiva o illecita. Di conseguenza, l’inversione dell’onere della prova prevista dall’art. 1988 c.c. opera solo nei confronti del soggetto a cui la promessa di pagamento è stata effettivamente fatta.

Nel caso specifico, era incontestato che l’assegno in bianco era stato consegnato per garantire gli accordi presi con il figlio del ricorrente. La promessa di pagamento era quindi destinata a un soggetto diverso da colui che poi era stato indicato come prenditore. In assenza della prova di un rapporto diretto tra la traente e il ricorrente, quest’ultimo non poteva avvalersi della presunzione legata alla promessa di pagamento. La Corte ha inoltre giudicato insindacabile l’apprezzamento delle prove testimoniali effettuato dal giudice di merito, che aveva escluso l’esistenza di un’obbligazione diretta verso il ricorrente.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un importante principio di cautela nell’uso dell’assegno in bianco come strumento di garanzia. La decisione chiarisce che la tutela offerta dalla promessa di pagamento non è assoluta e non si estende a chiunque entri in possesso del titolo. Il creditore che riceve un assegno non originariamente a lui intestato deve essere pronto a dimostrare, con prove concrete, il fondamento della sua pretesa. Per il debitore, ciò rappresenta una garanzia contro possibili abusi nel riempimento e nell’utilizzo di un titolo firmato in bianco, riequilibrando le posizioni delle parti e ancorando la validità del credito alla sua causa effettiva.

A chi spetta l’onere di provare il rapporto sottostante in caso di un assegno in bianco senza indicazione del beneficiario?
Spetta al mero possessore del titolo, che non risulti essere il prenditore originario, dimostrare l’esistenza del rapporto giuridico da cui deriva il credito. La semplice detenzione dell’assegno non è sufficiente.

Un assegno in bianco può valere come promessa di pagamento per chiunque lo possegga?
No. Secondo la Corte, l’assegno vale come promessa di pagamento, con l’inversione dell’onere della prova, solo nei confronti del soggetto a cui la promessa è stata effettivamente fatta. Se il possessore è un soggetto diverso, deve fornire la prova del proprio diritto.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove testimoniali valutate dalla Corte d’Appello?
No, la valutazione delle prove, come le testimonianze, costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito. In sede di legittimità, la Cassazione non può riesaminare tali prove, ma solo verificare la correttezza logico-giuridica della motivazione della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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