Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22848 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22848 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 20596/2021, proposto da
COGNOME, elett.te domic. in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO , dal quale è rappres. e difeso, unitamente agli AVV_NOTAIOti AVV_NOTAIO COGNOME e NOME COGNOME, per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
COGNOME NOME, in persona dell’amministratore di sostegno, NOME COGNOME, elett.te domic. n Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO , dal quale è rappres. e difesa, per procura speciale in atti;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 589/ 21 della Corte d’appello di Milano depositata il 22.2.2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4.07.2024 dal Cons. rel., dottAVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME proponeva opposizione al decreto emesso dal Tribunale di Milano nel 2015, con il quale le era stato ingiunto di pagare immediatamente la somma di euro 1.870.000,00 oltre interessi e spese, in favore di NOME COGNOME, quale importo oggetto di assegno bancario tratto su conto corrente coi ntestato all’attrice opponente e al di lei marito, NOME COGNOME, presso la banca CFM Monaco, ed indicante, quale beneficiario, il convenuto opposto.
Seco ndo quanto allegato da quest’ultimo , il predetto assegno, datato 8.1.14, era stato a lui consegnato dalla COGNOME il 6.6.13 in Milano, a garanzia di un accordo concluso con NOME COGNOME (figlio del beneficiario) per il rilancio della sua azienda agricola al fine di evitarne il fallimento, poi dichiarato il 24.2.17 dal Tribunale di Verbania, a causa dell’ingiustificata risoluzione, da parte dell’intimata, dCOGNOME acc ordi conclusi l’11.6.13 tra le parti.
NOME COGNOME eccepiva, invece, che l’assegno da lei sottoscritto e consegnato in bianco al COGNOME avrebbe dovuto essere utilizzato da quest’ultimo esclusivamente per il pagamento di una serie di fornitori del figlio dell’opposto e della RAGIONE_SOCIALE, pagamenti poi eseguiti dall’opponente con bonifici bancari il 13.1.14 per la somma complessiva di euro 26.177,00 con richiesta dii distruzione dell’assegno da parte del marito dell’opponente.
Con sente nza del 22.2.21 la Corte d’appello di Milano revocava il decreto ingiuntivo, e respingeva ogni altra domanda, osservando che: il Tribunale aveva correttamente premesso che l’assegno in bianco
costituiva promessa di pagamento tra traente ed ordinatario, con inversione dell’onere della prova dell’inesistenza del rapporto causale; il vizio di nullità colpiva l’accordo di garanzia, ma non anche il titolo o il contratto nell’ambito del quale tale ac cordo era stato raggiunto; diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, NOME COGNOME non poteva dirsi legittimato alla pretesa del credito portato dal titolo, COGNOME il titolo non era a lui destinato, se non dimostrando il rapporto giuridico da cui tale credito derivava, dimostrazione che però non era stata fornita; l’appellante non aveva dimostrato l’esistenza d i un accordo con il COGNOME per la restituzione, da parte sua, delle somme corrisposte con i richiamati bonifici, avendo sul punto articolato capitoli di prova generici e valutativi; non ricorrevano i presupposti dell’interruzione del giudizio dato che solo nella comparsa conclusionale COGNOME aveva fatto riferimento alla nomina di un suo amministratore di sostegno. NOME COGNOME ricorre in cassazione avverso la suddetta sentenza con due motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione dCOGNOME artt. 1988 e 2697, c.c., ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione conseguente all’ omesso esame di fatti decisivi, per aver la Corte d’appello negato che l’assegno esonerasse il suo beneficiario dall’onere di dimostrare che la promessa di pagamento fosse a lui diretta, e per aver affermato che l’assegno era stato tratto in bianco, non indicando il suo prenditore. Il secondo motivo deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per omesso esame di fatti decisivi, come desumibili dalle prove testimoniali acquisite che avevano dimostrato l ‘insussistenza dell’abusivo riempimento dell’assegno in bianco e l’esistenza
dell’obbligazione gravante sulla COGNOME, sottostante all’assegno , nei riguardi del ricorrente.
I due motivi, esaminabili congiuntamente perché tra loro connessi, so no inammissibili perché diretti a ribaltare l’int erpretazione dei fatti della Corte territoriale , che ha escluso che l’assegno potesse fungere da promessa di pagamento a favore del COGNOME COGNOME COGNOME COGNOME era indicato quale prenditore del titolo, non a lui destinato in quanto emesso in bianco al fine di garantir e l’attività imprenditoriale di suo figlio, NOME COGNOME.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il mero possessore di un assegno bancario, il quale non risulti prenditore o giratario dello stesso (nella specie, mancante dell’indicazione del beneficiario), non è legittimato alla pretesa del credito ivi contenuto se non dimostrando l’esistenza del rapporto giuridico da cui deriva tale credito, COGNOME il semplice possesso del titolo non ha un significato univoco ai fini della legittimazione, non potendo escludersi che l’assegno sia a lui pervenuto abusivamente; né l’assegno può comunque valere come promessa di pagamento, ai sensi dell’art. 1988 c.c., atteso che l’inversione dell’onere della prova, prevista da tale disposizione, opera solo nei confronti del soggetto a cui la promessa sia stata effettivamente fatta, sicché anche in tal caso il mero possessore di un titolo all’ordine (privo del valore cartolare), non risultante dal documento, deve fornire la prova della promessa di pagamento a suo favore (Cass., n. 731/2020). Al riguardo, non è condivisibile la doglianza sulla mancata applicazione del richiamato principio, per il quale l’assegno vale come promessa di pagamento se indica il beneficiario. Infatti , la Corte d’appello ha escluso che l’assegno in questione indica sse il nome del beneficiario, affermando che era incontestato tra le parti il fatto che la promessa di pagamento, mediante la consegna dell’assegno in bianco a NOME
COGNOME, era stata fatta o, comunque destinata da NOME COGNOME a NOME COGNOME, figlio di NOME, al fine di confermare l’ effettiva volontà di adempiere gli accordi tra questi ultimi intercorsi, cioè a un soggetto diverso da colui il quale era stato poi indicato come prenditore.
La Corte di merito ha altresì escluso che il ricorrente abbia dimostrato l’esistenza del rapporto sottostante all’assegno in questione, ritenendo lo stesso non legittimato alla pretesa del credito portato da titolo.
Tale apprezzamento di fatto, fondato anche sulle dichiarazioni dello stesso ricorrente in primo grado, è insindacabile in questa sede.
Al riguardo, il ricorrente si duole che il giudice di secondo grado abbia omesso di esaminare le prove testimoniali escusse che avrebbero invece dimostrato che: l’assegno firmato dalla COGNOME indicava il nome del COGNOME quale beneficiario ed era stato allo stesso contestualmente consegnato; l’obbligazione assunta dalla controricorrente , sottesa all’assegno, era volta a consentire che i beni immobili intestati al figlio del COGNOME, una volta espropriati nelle procedure esecutive pendenti a suo carico, rimanessero nell’ambito della famiglia COGNOME (ciò al fine di realizzare il programma oggetto dell’accordo del 6.6.13) , ed era altresì diretta a pagare i lavori da eseguire.
Va osservato che, in tema di ricorso per cassazione, l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito – e che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa (o meno) del fatto che si intende provare – non è sindacabile nel giudizio di legittimità- a differenza dell’errore di percezione che, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., per violazione
dell’art. 115 del medesimo codice, il quale vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. n. 7187/22; n. 27033/18).
Nella specie, il ricorrente deduce un vizio di motivazione, che sarebbe consistito in un omesso esame di fatti decisivi del tutto insussistente, avendo la Corte territoriale esaminato il complesso dCOGNOME elementi istruttori, pervenendo alla decisione impugnata fondata su una sostanziale, sebbene implicita, chiara valutazione di irrilevanza delle dichiarazioni testimoniali trascritte nel ricorso.
La conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ. non richiede l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina dCOGNOME elementi di giudizio posti a base della decisione o di quelli non ritenuti significativi, essendo sufficiente, al fine di soddisfare l’esigenza di un’adeguata motivazione, che il raggiunto convincimento risulti da un riferimento logico e coerente a quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie vagliate nel loro complesso, che siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo, in modo da evidenziare l'”iter” seguito per pervenire alle assunte conclusioni, disattendendo anche per implicito quelle logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 8294/1; n. 3126/21).
Invero, come esposto, la Corte d’appello ha escluso che il ricorrente sia stato il destinatario della promessa di pagamento contemplata dall’assegno sottoscritto dalla controricorrente , ponendo a fondamento della statuizione le stesse difese delle parti; d’altra parte, le dichiarazioni testimoniali richiamate nel ricorso non sono neppure decisive in quanto afferenti al fatto che l’assegno sarebbe stato consegnato al ricorrente, senza che ciò dimostri che lo stesso era il destinatario della promessa di pagamento.
Quanto, infine, al riferimento alla necessità che l’assegn o dovesse essere utilizzato anche per consentire al ricorrente di acquisire in sede esecutiva la proprietà dell’impresa intestata al figlio, va osservato che la circostanza si configura irrilevante in cassazione, trattandosi di profilo di puro merito, oltre tutto non riscontrato in sentenza.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 18.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio in data 4 luglio 2024.