Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23382 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23382 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30137/2020 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro COGNOME NOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 2488/2020 depositata il 22/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione COGNOME NOME conveniva in giudizio COGNOME NOME, in qualità di ordinante l’emissione di assegno circolare in suo favore, chiedendo il pagamento della provvista ovvero la riemissione dell’assegno in quanto non incassato dalla creditrice nei termini con conseguente prescrizione ex art. 84 L.A.. Si costituiva la convenuta chiedendo il rigetto delle domande.
Il Tribunale di Roma con sentenza n. 23378/2018 respingeva la domanda attorea sul presupposto della vigente operatività della sentenza del Tribunale di Roma sez. lavoro con la quale la COGNOME era stata condannata a pagare l’importo di € 1.200,00 a favore della COGNOME per differenze retributive relativamente alle quali era stato emesso l’assegno circolare per cui è causa.
Con sentenza n. 2488/20 del 22/05/2020 la Corte di Appello di Roma respingeva il gravame, rilevando la mancanza di prova da parte della appellante delle ragioni che avrebbero impedito il tempestivo mancato incasso del titolo.
La sentenza, non notificata, è stata impugnata da COGNOME, con ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, cui la COGNOME NOME non ha resistito.
La ricorrente depositava memorie chiedendo la pubblica udienza e ribadendo le censure formulate nell’atto introduttivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo ed unico motivo di ricorso la signora COGNOME deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. RD n. 1736/1933, 324 c.p.c. e legge n. 266/2005 in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. in
quanto la Corte d’Appello avrebbe ritenuto non sussistente la prova del mancato incasso dell’assegno, nonché delle ragioni del mancato incasso medesimo.
In particolare, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto non azionabile il diritto di credito contenuto nell’assegno circolare, da un lato per carenza di prova circa il suo mancato incasso, dall’altro per la mancata dimostrazione della condotta negligente della debitrice con riferimento al soddisfacimento del credito.
Ritiene la Corte il motivo infondato. Orbene, la ragione di rigetto delle domande in sede di appello risiede fondamentalmente nella carenza di prove in ordine alla negligenza del debitore in ordine al mancato incasso dell’assegno. Relativamente a tale profilo l’odierna ricorrente non si confronta con tale ratio decidendi contestandola specificamente, come avrebbe dovuto, soprattutto alla luce della giurisprudenza della Cassazione richiamata in motivazione dalla Corte territoriale.
Ed invero, il ricorso per cassazione deve contenere a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass., 25/02/2004, n. 3741; Cass., 23/03/2005, n. 6219; Cass., 17/07/2007, n. 15952; Cass., 19/08/2009, n. 18421; Cass. 24/02/2020, n. 4905). In particolare, è necessario che venga contestata specificamente, a pena di inammissibilità, la «ratio decidendi» posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass., 10/08/2017, n. 19989).
Ebbene, la ricorrente ha insistito con le deduzioni svolte in sede di appello e respinte dalla Corte di merito non contestando specificamente la motivazione della sentenza
nella parte in cui rileva la mancanza della allegazione di circostanze non imputabili che abbiano impedito la riscossione dell’assegno che evidenziano una condotta negligente del creditore contraria ai doveri di correttezza ex art 1175 c.c. gravanti anche su quest’ultimo.
In buona sostanza, l’odierna ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui rileva la carenza di prova della condotta del debitore che avrebbe impedito al creditore la riscossione che, pertanto, sarebbe stata determinata da una condotta omissiva del creditore stesso nel compimento degli adempimenti necessari affinché il titolo venisse pagato (vedi Cass. N. 33428/2019).
Peraltro, il motivo di ricorso è da ritenersi, altresì, infondato nella parte in cui contesta la violazione del RD n. 1736/1933, nonché della legge finanziaria per l’anno 2006 (legge n. 266/2005).
Al riguardo, la ricorrente richiama il principio affermato dalla Cassazione, nella sentenza n 5889 del 2018.
In quel caso è stato affermato che se un assegno circolare non è stato effettivamente riscosso dal beneficiario, il diritto al rimborso della provvista da parte del richiedente l’emissione del titolo si prescrive nell’ordinario termine decennale, che decorre dal momento in cui esso può essere fatto valere, cioè dalla scadenza del termine di tre anni previsto dall’art. 84 del r.d. n. 1736 del 1934, entro cui si prescrive l’azione del beneficiario dell’assegno contro l’istituto bancario emittente, come è confermato dall’art. 1, comma 345 ter della l. n. 266 del 2005, che prevede il versamento degli assegni circolari non riscossi al Fondo per indennizzare i risparmiatori rimasti vittime di frodi finanziarie, soltanto dopo che sia scaduto il detto
termine triennale. (Sez. 1 , Sentenza n. 5889 del 12/03/2018).
Orbene, ritiene la Corte la censura priva di pregio nella misura in cui la corte distrettuale non ha violato né le norme che stabiliscono nel caso di mancata riscossione da parte del beneficiario di un assegno circolare il diritto di quest’ultimo a richiedere nel termine di prescrizione decennale il rimborso da parte del debitore della provvista, né le norme che prevedono che dalla scadenza del termine triennale dalla emissione dell’assegno circolare il beneficiario non possa più ottenerne il pagamento.
Ed invero, la pronuncia impugnata non esclude il diritto al rimborso, ma evidenzia come non vi siano elementi per ritenere l’assegno non riscosso dal beneficiario. D’altra parte, la ricorrente è in possesso di un valido titolo giudiziale legittimante un’azione esecutiva finalizzata al soddisfacimento del credito consacrato nell’assegno circolare di cui è causa, con sottoposizione della debitrice a un pagamento del debito senza necessità di richiedere nuovamente il pagamento della provvista in sede giurisdizionale.
Più precisamente, la pronuncia richiamata dalla ricorrente e sopra citata si limita ad affermare che, trascorso il termine triennale, il beneficiario non può più ottenere il pagamento dell’assegno e che dallo spirare del triennio predetto decorre il termine decennale di prescrizione del diritto del rimborso della provvista da parte del richiedente l’emissione del titolo; nulla dice invece circa il preteso obbligo del richiedente l’assegno circolare di dover pagare la provvista o di riemettere l’assegno ormai scaduto, soprattutto, come nel caso di specie, in cui la
corte di merito ha accertato la mancata allegazione da parte della creditrice del mancato pagamento del titolo.
Inoltre, è da rilevarsi come la contestata violazione dell’art. 1, comma 343 della legge finanziaria 2006 (L. n. 266/2005) è priva di pregio in quanto la norma che attribuisce all’ordinante l’assegno circolare la facoltà di richiedere il rimborso della provvista relativa all’assegno circolare non pagato nei tre anni non esclude il diritto del beneficiario di richiedere il pagamento al debitore nel termine di prescrizione decennale, non rilevando l’eventuale rischio di un doppio pagamento del credito da parte del debitore.
In altri termini, la norma sul fondo di garanzia non condiziona il pagamento del debito originario alla richiesta da parte dell’ordinante l’assegno circolare scaduto di richiedere al predetto fondo la restituzione della provvista.
In conclusione, il ricorso va respinto.
In considerazione della mancata costituzione della intimata non si provvede sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26/06/2024 nella camera di consiglio