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Assegnazione casa familiare: il diritto non si eredita

La Corte d’Appello ha confermato la condanna di una figlia a rilasciare la casa familiare di proprietà del padre e a risarcire i danni per occupazione senza titolo. Dopo la morte della madre assegnataria, il diritto all’assegnazione della casa familiare non si trasferisce al figlio maggiorenne, che non può vantare un valido titolo per permanere nell’immobile contro la volontà del genitore proprietario.

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Assegnazione Casa Familiare: il Diritto Non Si Trasmette al Figlio

Una recente sentenza della Corte d’Appello ha affrontato un tema delicato e di grande rilevanza pratica: la sorte dell’assegnazione casa familiare dopo la morte del genitore assegnatario. La decisione chiarisce che il diritto di abitare nell’immobile è strettamente personale e non si trasferisce automaticamente al figlio maggiorenne convivente, la cui permanenza contro la volontà del genitore proprietario diventa un’occupazione illegittima e fonte di risarcimento del danno.

I Fatti del Caso: una Controversia Familiare

La vicenda trae origine dalla separazione di due coniugi. Il Tribunale aveva assegnato la casa coniugale, di proprietà esclusiva del padre, alla madre, affinché vi coabitasse con i figli, all’epoca maggiorenni ma non ancora autosufficienti. Anni dopo, la madre veniva a mancare e la figlia continuava a vivere nell’immobile.

Il padre, trovandosi in difficoltà abitative, richiedeva alla figlia la restituzione della casa. Di fronte al rifiuto di quest’ultima, che riteneva di avere ancora diritto a permanervi, il padre avviava un’azione legale per ottenere il rilascio dell’immobile e il risarcimento dei danni per l’occupazione illegittima.

La Decisione del Tribunale di Primo Grado

Il Tribunale di primo grado accoglieva le richieste del padre. I giudici stabilivano che, con la morte della madre, il provvedimento di assegnazione aveva perso la sua efficacia. Di conseguenza, la figlia occupava l’immobile sine titulo, ovvero senza un valido titolo giuridico. Veniva quindi condannata non solo a rilasciare la casa, ma anche a versare al padre una somma a titolo di risarcimento del danno per il mancato godimento del bene, quantificata in base al valore locativo di mercato per tutto il periodo di occupazione illegittima.

L’Appello e i Motivi di Doglianza: la tesi della figlia

La figlia impugnava la sentenza, basando il suo appello su due motivi principali:
1. Litispendenza: Sosteneva che sulla stessa questione fosse già pendente un altro procedimento (di volontaria giurisdizione) relativo alla revisione delle condizioni di mantenimento, nel quale il padre aveva chiesto la revoca dell’assegnazione.
2. Legittimità della permanenza: Riteneva che il suo diritto a occupare l’immobile derivasse direttamente dal provvedimento di assegnazione originario, le cui condizioni, a suo dire, perduravano.

Le Motivazioni della Corte d’Appello: Analisi sulla assegnazione casa familiare

La Corte d’Appello ha rigettato integralmente l’appello, confermando la decisione di primo grado con argomentazioni chiare e precise.

Innanzitutto, i giudici hanno escluso la sussistenza della litispendenza. Hanno chiarito che l’istituto non è applicabile tra un procedimento contenzioso (come quello per il rilascio dell’immobile) e uno di volontaria giurisdizione (come quello per il mantenimento). I provvedimenti di volontaria giurisdizione, infatti, sono sempre modificabili e revocabili e non acquisiscono mai l’efficacia di giudicato definitivo.

Nel merito, la Corte ha ribadito un principio fondamentale in materia di assegnazione casa familiare. Tale diritto è uno speciale diritto di godimento attribuito al genitore per tutelare le esigenze personali dei figli. È un diritto strettamente personale del genitore assegnatario e non è trasmissibile. Con il decesso di quest’ultimo, il titolo che legittimava l’occupazione dell’immobile cessa di esistere.

Di conseguenza, la permanenza della figlia nella casa, contro la volontà del padre proprietario, integra a tutti gli effetti un’occupazione senza titolo. Il figlio, anche se maggiorenne e non ancora autosufficiente, non ‘eredita’ il diritto di abitazione della madre. Può, semmai, chiedere un’integrazione del contributo al mantenimento per far fronte alle proprie necessità abitative, ma non può pretendere di continuare a vivere nell’immobile del genitore proprietario.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La decisione in esame offre un importante chiarimento: il provvedimento di assegnazione della casa familiare è funzionale a proteggere la continuità abitativa dei figli in presenza del genitore collocatario. Quando questo genitore decede, il presupposto giuridico dell’assegnazione viene meno. Il figlio maggiorenne non può vantare un diritto autonomo a permanere nell’abitazione. La sua continua occupazione, se non autorizzata dal proprietario, è illegittima e obbliga al risarcimento del danno, che consiste nel pregiudizio economico subito dal proprietario per non aver potuto disporre del proprio bene.

Il diritto all’assegnazione della casa familiare si trasferisce al figlio maggiorenne dopo la morte del genitore assegnatario?
No. La sentenza chiarisce che l’assegnazione della casa familiare è un diritto personale di godimento attribuito al genitore. Con il decesso di quest’ultimo, il provvedimento di assegnazione cessa di avere efficacia e non si trasferisce al figlio, anche se convivente.

La permanenza del figlio nella casa familiare dopo la morte del genitore assegnatario è legittima?
No, non è legittima se avviene contro la volontà del genitore proprietario. La Corte ha stabilito che tale permanenza costituisce un’occupazione senza titolo (sine titulo), in quanto viene a mancare il presupposto giuridico che la giustificava.

Il genitore proprietario può chiedere un risarcimento del danno al figlio che occupa illegittimamente la casa familiare?
Sì. La Corte ha confermato il diritto del genitore proprietario a ottenere un risarcimento per il danno patrimoniale subito a causa della mancata disponibilità dell’immobile, derivante dall’occupazione senza titolo da parte del figlio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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