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Assegnazione casa coniugale: quando decade il diritto

Una società acquista un immobile all’asta, gravato da un provvedimento di assegnazione della casa coniugale a favore della precedente proprietaria e del figlio. Il Tribunale, pur riconoscendo l’opponibilità iniziale del provvedimento, ha stabilito la cessazione del diritto. La decisione si fonda sul principio di autoresponsabilità del figlio, ormai maggiorenne da anni e con un percorso di studi concluso, ritenendo che il suo interesse a permanere nell’immobile sia recessivo rispetto al diritto di proprietà del terzo acquirente, che ha subito il vincolo per quasi sedici anni.

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Assegnazione Casa Coniugale: Quando il Diritto Cessa a Danno del Terzo Acquirente

Il tema dell’assegnazione casa coniugale rappresenta uno dei punti più delicati nelle controversie familiari e immobiliari. Una recente sentenza del Tribunale di Bergamo fa luce su un caso complesso: cosa succede quando un immobile, assegnato a un coniuge, viene acquistato da un terzo all’asta? E, soprattutto, fino a quando dura tale diritto se i figli diventano maggiorenni? La decisione analizza il delicato equilibrio tra la tutela della famiglia e il diritto di proprietà, offrendo spunti fondamentali.

I Fatti di Causa: Una Lunga Vicenda Giudiziaria

La vicenda ha origine da un provvedimento di assegnazione casa coniugale del 2006 a favore di una madre, in virtù della convivenza con il figlio allora minorenne. Anni dopo, l’immobile viene pignorato e venduto all’asta a causa di un’ipoteca iscritta dal creditore prima ancora del provvedimento di assegnazione. Una società acquista la proprietà nel 2009 con un decreto di trasferimento che, tuttavia, menziona esplicitamente l’esistenza del vincolo di assegnazione.

La nuova proprietaria, dopo anni di attesa, avvia una procedura per ottenere il rilascio dell’immobile, sostenendo che i presupposti per l’assegnazione sono venuti meno. La madre e il figlio, ormai 22enne, si oppongono, rivendicando la validità del loro diritto di abitazione.

Assegnazione Casa Coniugale e Diritto del Terzo Acquirente

Il primo nodo cruciale affrontato dal Tribunale riguarda l’opponibilità del provvedimento di assegnazione al nuovo proprietario. La regola generale vorrebbe che un’ipoteca anteriore prevalga su un’assegnazione trascritta successivamente. Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che se il bando d’asta e il decreto di trasferimento specificano che l’immobile è venduto “gravato” dal diritto di abitazione, l’acquirente ne è consapevole e deve rispettarlo. In questo caso, il decreto menzionava l’occupazione, rendendo il diritto di assegnazione casa coniugale opponibile alla società acquirente.

La Cessazione dell’Assegnazione Casa Coniugale per Figli Maggiorenni

Il punto di svolta della causa è un altro: anche se opponibile, il diritto di assegnazione non è eterno. Esso esiste per tutelare i figli minori o maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti. Ma cosa significa “non autosufficienti”?

Il Principio di Autoresponsabilità del Figlio Adulto

Il Tribunale sposta il focus sul principio di autoresponsabilità. Il figlio, nato nel 2003, ha 22 anni e ha completato il suo percorso di studi professionali da tre anni. La giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere che, superata una certa età e terminata la formazione, il figlio adulto ha il dovere di attivarsi per trovare un’occupazione, anche ridimensionando le proprie aspirazioni iniziali. L’onere di provare la propria incolpevole mancanza di indipendenza economica ricade su di lui.

Il Bilanciamento degli Interessi tra Famiglia e Proprietario

La Corte opera un bilanciamento tra gli interessi in gioco: da un lato, l’interesse del figlio maggiorenne a rimanere nella casa familiare; dall’altro, il diritto del proprietario, estraneo alle vicende familiari, di godere pienamente del suo bene. Dopo quasi sedici anni di vincolo, l’interesse del proprietario diventa prevalente. Mantenere ulteriormente l’occupazione si tradurrebbe in un “ingiustificato, durevole, pregiudizio” al diritto di proprietà, tutelato anche dalla Costituzione.

Le motivazioni

Il giudice ha ritenuto che i presupposti per il mantenimento del provvedimento di assegnazione casa coniugale siano venuti meno. La combinazione di fattori come il lungo tempo trascorso (quasi vent’anni dall’assegnazione), l’età del figlio (22 anni), e il completamento del suo percorso formativo da tre anni, inducono a dare preponderanza al principio di autoresponsabilità. Il tribunale ha considerato insufficiente la generica affermazione del convenuto di essere “alla ricerca di un lavoro coerente con le proprie aspirazioni”, in un mercato del lavoro che, secondo i dati ISTAT prodotti in giudizio, offriva elevate possibilità occupazionali.

Di conseguenza, l’interesse del figlio maggiorenne, non più ritenuto bisognoso di tutela abitativa a carico di un terzo, è stato considerato recessivo rispetto al diritto del proprietario di rientrare nel pieno possesso del suo immobile. La protrazione del vincolo costituirebbe una violazione del diritto di proprietà, come sancito dall’art. 832 c.c. e dall’art. 42 della Costituzione.

Le conclusioni

La sentenza accoglie la domanda della società proprietaria. Dichiara cessati i presupposti per l’assegnazione casa coniugale, legittimando la procedura di rilascio dell’immobile. Madre e figlio vengono condannati a liberare l’abitazione e a rifondere le spese legali alla controparte. Questa decisione ribadisce un principio fondamentale: il diritto all’abitazione nella casa familiare è una tutela temporanea legata a specifiche esigenze di protezione della prole, non un diritto a vita che possa comprimere indefinitamente il diritto di proprietà di terzi.

Il diritto di assegnazione della casa coniugale è sempre opponibile al nuovo proprietario che ha acquistato l’immobile all’asta?
No, non sempre. Se l’ipoteca del creditore è stata iscritta prima della trascrizione del provvedimento di assegnazione, il creditore potrebbe vendere il bene come “libero”. Tuttavia, se nel decreto di trasferimento che assegna la proprietà all’acquirente è specificato che l’immobile è occupato in virtù del diritto di assegnazione, allora tale diritto diventa opponibile e l’acquirente deve rispettarlo, come avvenuto nel caso di specie.

Quando cessa il diritto di abitare nella casa coniugale assegnata se i figli sono diventati maggiorenni?
Il diritto cessa quando vengono meno i presupposti che lo giustificano, ovvero la necessità di tutelare i figli. Secondo la sentenza, questo avviene quando il figlio maggiorenne, raggiunta una certa età (nel caso in esame, 22 anni) e completato il suo percorso formativo (da tre anni), non dimostra di essersi attivamente e incolpevolmente adoperato per raggiungere l’indipendenza economica. Prevale in tal caso il principio di autoresponsabilità.

Chi deve provare che il figlio maggiorenne è o non è economicamente indipendente?
Inizialmente, il genitore che chiede il mantenimento del diritto deve provare che sussistono le condizioni. Tuttavia, con il passare del tempo e il raggiungimento di un’età adulta da parte del figlio, l’onere della prova si inverte. È il figlio maggiorenne (o il genitore con cui vive) a dover dimostrare, con prove concrete, di essersi impegnato attivamente nella ricerca di un lavoro ma di non esserci riuscito per cause a lui non imputabili. Una semplice dichiarazione di intenti non è sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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