Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20696 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20696 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
SEZIONE TERZA CIVILE
composta dai signori magistrati:
dott. NOME COGNOME
Presidente
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere relatore
dott. NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 11776 del ruolo generale dell’anno 2022, proposto da
RAGIONE_SOCIALE socio unico (C.F.: P_IVA, in persona dell’Amministratore Unico , legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE
-ricorrente-
nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore
-intimata- per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Roma n. 992/2022, pubblicata in data 14 febbraio 2022; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del
10 luglio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
RAGIONE_SOCIALE ha ottenuto un decreto ingiuntivo per l’importo di € 141.109,44 nei confronti di RAGIONE_SOCIALE a titolo di canoni dovuti per la locazione di un immobile destinato ad uso commerciale sito in Viterbo, in relazione al periodo dal 1° aprile 2004 al 31 luglio 2010.
Oggetto:
AZIONE DI ARRICCHIMENTO SENZA
CAUSA
Ad. 10/07/2025 C.C.
R.G. n. 11776/2022
Rep.
L’opposizione della società ingiunta è stata accolta dal Tribunale di Viterbo, che ha revocato il decreto ingiuntivo opposto e, al tempo stesso, ha condannato la società ingiunta al pagamento dell’importo di € 84.665,66 , in accoglimento della domanda avanzata a titolo di ingiustificato arricchimento dalla società opposta in corso di causa.
La Corte d’a ppello di Roma ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorre RAGIONE_SOCIALE sulla base di tre motivi.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede la società intimata.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « inammissibilità della domanda in via riconvenzionale di arricchimento ingiustificato formulata dalla opposta RAGIONE_SOCIALE: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 36, 167 e 645 c.p.c. e 2041 – 2042 c.c. in relazione all’ art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. insussistenza del nesso di dipendenza tra domanda riconvenzionale della opposta e titolo dedotto in giudizio alla luce di giudicati formatisi in due diversi giudizi tra le stesse parti: violazione degli artt. 2909 c.c., 324 c.p.c. e 2041 – 2042 c.c. in relazion e all’ art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. ».
Il motivo è infondato.
La società RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo per il pagamento di canoni di locazione.
L a società ingiunta, con l’opposizione al decreto ingiuntivo, aveva eccepito l’inadempimento della locatrice al contratto di locazione e, addirittura, l ‘ avvenuta risoluzione dello stesso. La società opposta, nel costituirsi in giudizio per resistere all’opposizione, ha proposto una nuova domanda, in via subordinata ed eventuale, per ottenere, in caso di accogliento dell’opposizione stessa, il pagamento della medesima somma a titolo di ingiustificato arricchimento, sull’assunto che la società opponente aveva comunque occupato l’immobile locato e gliene aveva pertanto sottratta la disponibilità per il periodo indicato. È, quindi, evidente che la proposizione della nuova domanda, a titolo di ingiustificato arricchimento, è da ritenersi conseguente alle difese svolte dall’opposta in sede di opposizione, in quanto resa necessaria dalla contestazione del titolo (locazione) posto a base di quella avanzata in sede monitoria (e ciò a prescindere dalla sua fondatezza, della quale si dirà oltre).
La decisione impugnata è, in definitiva, sul punto, conforme agli indirizzi, ormai consolidati, di questa Corte, secondo i quali « in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, il convenuto opposto può proporre, con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata, una domanda nuova, diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui l ‘ opponente non abbia proposto una domanda o un ‘ eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni, chiedendo la revoca del decreto opposto, qualora tale domanda si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso sostanziale bene della vita e sia connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta, ciò rispondendo a finalità di economia processuale e di ragionevole durata del processo e dovendosi riconoscere all ‘ opposto, quale attore in senso sostanziale, di avvalersi delle stesse facoltà di modifica della domanda riconosciute, nel giudizio ordinario, all ‘ attore formale e sostanziale dall ‘ art. 183
c.p.c. » (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 32933 del 27/11/2023; Sez. 1, Sentenza n. 9633 del 24/03/2022; Sez. 3, Ordinanza n. 27183 del 22/09/2023) e « nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell ‘ art. 183, comma 6, c.p.c., qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta » (per tutte, cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 22404 del 13/09/2018).
Con il secondo motivo si denunzia « insussistenza del requisito della sussidiarietà dell’azione di arricchimento senza giusta causa di SORAGIONE_SOCIALE.: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1316, 2041 e 2042 c.c. in relazione all’ art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.- violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1458 c.c. in relazione all’ art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. in relazione all’ art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. ».
Con il terzo motivo si denunzia « i due giudicati disattesi: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. in relazione all’ art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. ».
Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, essendo intimamente connessi sul piano logico e giuridico.
Essi sono fondati, per quanto di ragione.
2.1 Va premesso, in fatto, che, come risulta dalla stessa sentenza impugnata, sulla base di precedenti pronunzie intervenute tra le parti del presente giudizio e già passate in giudicato (in particolare, le sentenze della Corte d’ appello di Roma n. 6550 del 2013 e n. 7400 del 2018, prodotte in atti), è stato ormai incontrovertibilmente accertato che la stipulazione del contratto di locazione dell’immobile per cui è causa, tra la
locatrice NOME COGNOME e NOME COGNOME, la cessione di tale contratto in favore di RAGIONE_SOCIALE e la stipulazione della locazione del medesimo bene ( recte : sublocazione) tra quest’ultima e RAGIONE_SOCIALE, sono avvenute in data successiva a quella del pignoramento che aveva colpito, in tutto o in parte, l’immobile locato e che, di conseguenza, i frutti civili dell’immobile pignorato erano compresi fra i beni pignorati per legge (art. 2912 c.c.), onde esclusivamente il custode di tali beni, nominato in quella sede (e poi l’aggiudicatario, dopo l’emissione del decreto di trasferimento in suo favore e la relativa notificazione), poteva ritenersi legittimato ad esigere tali frutti, vale a dire i canoni o, comunque, il corrispettivo o l’indennità dovuta per l’occupazione dell’immobile pignorato (legittima o illegittima che fosse: è appena il caso di osservare che, sotto questo aspetto, non vi è differenza, in quanto anche l’indennità per occupazione illegittima deve considerarsi rientrare nella nozione di ‘frutti civili’ dell’immobile pignorato). Il contratto di (sub)locazione è stato, comunque, dichiarato risolto per inadempimento della parte (sub)locatrice. Per il periodo successivo alla notificazione al debitore del decreto di trasferimento, risulta, d’altra parte, pronunciata anche una sentenza di condanna al pagamento dell’ indennità di occupazione in favore degli aggiudicatari (anche se non vi è prova del passaggio in giudicato di tale decisione).
In uno alla memoria per l’adunanza , la ricorrente ha prodotto, altresì, la copia di una ulteriore sentenza (n. 780 del 2023 del Tribunale di Viterbo), con attestazione di passaggio in giudicato, affermando che, con tale sentenza, sarebbe stata rigettata l’ azione di arricchimento senza causa proposta nei suoi confronti.
Anche a prescindere dalla regolarità e tempestività della suddetta produzione, va, comunque, rilevato che la copia prodotta in atti della sentenza in questione è incompleta (mancano tutte
le pagine pari) e non è, pertanto, possibile stabilire con certezza se essa costituisca giudicato esterno in relazione alla domanda proposta nel presente giudizio: parrebbe anzi, che essa abbia ad oggetto la pretesa indennitaria esclusivamente in relazione alla metà dell’immobile che si assume oggetto di pignoramento, mentre nel presente giudizio la medesima pretesa avrebbe ad oggetto l’altra metà.
2.2 Tanto premesso in fatto, vanno in primo luogo richiamati i principi generali di diritto applicabili nella presente fattispecie, con riguardo ai rapporti tra pignoramento e locazione del bene pignorato.
In caso di contratto di locazione stipulato dal debitore (o anche da altro soggetto, a sua volta non legittimato, come nella specie) dopo il pignoramento del bene immobile oggetto della locazione, essendo tale contratto di locazione inopponibile ai creditori procedenti ed intervenuti -e, naturalmente, anche al futuro aggiudicatario -i frutti civili dell’immobile ( tra cui, in generale, quanto deve pagare il terzo che occupi l’immobile, per tale occupazione, legittima o illegittima che essa sia) spettano solo a questi ultimi e la relativa legittimazione ad esigerli spetta esclusivamente al custode e non al proprietario/locatore (o, in generale, al terzo non legittimato che ha stipulato la locazione). In tale situazione, sussistendo l’obbligazione del soggetto che occupa l’immobile , di pagamento del corrispettivo (o dell’indennità di occupazione), nei confronti dei soggetti indicati e non nei confronti del debitore esecutato, ovvero del proprietario e, comunque, del locatore non legittimato, questi ultimi non possono certamente pretendere il pagamento del relativo debito, neanche a titolo di ingiustificato arricchimento, nei confronti dell’occupante, il quale , a sua volta, non potrebbe considerarsi, ovviamente, tenuto a pagare due volte a due soggetti differenti il medesimo debito.
Il diritto del custode (più precisamente: dei creditori, a mezzo del custode) di ottenere il pagamento del canone e/o dell’indennità di occupazione esclude che tale diritto spetti al locatore (per quanto detto, non legittimato né alla stipula del contratto, né alla percezione del corrispettivo) ed esclude anche, evidentemente, che possa parlarsi di un arricchimento ingiustificato del terzo occupante e di un correlativo impoverimento del locatore stesso.
In altri termini, il diritto dei creditori procedenti ed intervenuti a conseguire i frutti civili del bene pignorato (per soddisfarsi su di essi), diritto che si esercita a mezzo del custode, al tempo stesso, implica: a) la legittimazione esclusiva del custode (e poi dell’aggiudicatario) ad esigere i canoni di locazione e/o l’indennità di occupazione dovuti per l’immobile pignorato ; b) l’esclusione della concorrente legittimazione del locatore; c) l’esclusione, altresì, di un ingiustificato arricchimento de ll’occupante e di un correlativo impoverimento del locatore , ai sensi dell’art. 2041 c.c..
Ciò implica, inevitabilmente, che, nella specie, almeno in astratto:
RAGIONE_SOCIALE sarebbe tenuta a pagare, dapprima al custode nominato nell’ambito della procedura esecutiva (fino alla notificazione del decreto di trasferimento, affinché la somma sia distribuita ai creditori) e, poi, all’aggiudicatario (quanto meno dopo la notificazione del decreto di trasferimento) le somme dovute (a qualunque titolo) per l’occupazione dell’immobile pignorato ed oggetto del contratto di (sub)locazione stipulato con RAGIONE_SOCIALE, legittima o illegittima che sia tale occupazione;
sotto tale aspetto, non rileva se si tratti di canoni di locazione o di una eventuale indennità dovuta per l’occupazione illegittima, in quanto non fondata su un valido ed efficace contratto di locazione: il credito per i frutti civili dell’immobile pignorato
spetta comunque ai creditori procedenti e intervenuti in sede esecutiva e la relativa legittimazione spetta al custode e poi all’aggiudicatario, senza soluzione di continuità;
di conseguenza, non vi può essere alcun arricchimento (né, tanto meno, alcun arricchimento senza causa) da parte di RAGIONE_SOCIALE , in virtù dell’occupazione dell’immobile pignorato, sia o meno fondata sul contratto di locazione e, di contro, non vi può essere nessun correlativo impoverimento della RAGIONE_SOCIALE, la quale non può vantare alcun diritto in ordine alle somme dovute dai terzi per l’occupazione dell’immobile, cioè in or dine ai ‘frutti civili’ dello stesso, semplicemente perché non è titolare del relativo credito, che spetta invece ai creditori e all’aggiudicatario in virtù del precedente pignoramento.
Va opportunamente precisato che, sotto tale aspetto, il fatto che la posizione della RAGIONE_SOCIALE non sia, in realtà, quella della proprietaria/locatrice, ma quella di una mera conduttrice e sublocatrice dell’immobile pignorato, non muta le conclusioni esposte, anzi le rafforza: una volta stabilito che la legittimazione ad esigere i frutti civili dell’immobile pignorato (o, comunque, per intero assoggettato all’espropriazione) spetta esclusivamente al custode e che l’occupante solo a quest’ultimo deve pagarli, ciò esclude in radice la possibilità di una fattispecie riconducibile a quella dell’ingiustificato arricchimento prevista dall’art. 2041 c.c..
2.3 Va, peraltro, considerato che, nel presente giudizio, la domanda risulta proposta (più esattamente, risulta limitata, in corso di causa) dalla società ricorrente in relazione alla sola ‘ parte dell’immobile ‘ non assoggettata a pignoramento e in tali limiti accolta.
Ciò, peraltro, non determina necessariamente conclusioni di- verse da quelle fin qui esposte, per le ragioni che seguono.
In primo luogo, deve premettersi che, com’è noto, pure in ipotesi di pignoramento in sola quota, il bene resta comunque
assoggettato alla procedura esecutiva e, salva la eventuale vendita della mera quota ideale pignorata, la sua liquidazione ha luogo previo giudizio di divisione del cespite, ovvero, in caso di bene in comunione legale, addirittura mediante vendita del l’intero, salvo il diritto dei titolari dei diritti reali non assoggettati ad esecuzione a conseguire la corrispondente quota sulla somma ricavata.
In secondo luogo, deve considerarsi che, a ben vedere, almeno per quanto emerge dagli atti, non risulta esservi una vera e propria ‘ parte ‘ (intesa, in senso fisico, come superficie utile occupata) dell’immobile locato non assoggettata all’esecuzione, della quale RAGIONE_SOCIALE abbia potuto ottenere e mantenere il pacifico godimento. Non vi è alcuna chiara evidenza (sempre per quanto emerge dagli atti legittimamente consultabili dal Collegio) che il pignoramento abbia avuto ad oggetto solo una parte dell’ immobile locato, fisicamente individuata come separata da altra ed intesa in senso materiale, come superficie utile occupata, in modo tale che fosse possibile il pacifico godimento di un’altra sua parte, non assoggettata ad espropriazione , e non una mera quota ideale dello stesso.
Inoltre, nelle decisioni passate in giudicato tra le parti e già richiamate (n. 6550/2013 e n. 7400/2018 della Corte d’ appello di Roma) risulta definitivamente esclusa la sussistenza di un credito della RAGIONE_SOCIALE per i canoni di locazione dell’immobile (sub)locato: in tali decisioni si nega, cioè, che essa sia legittimata a riscuotere l’intero canone di locazione preteso, spettando integralmente al custode la legittimazione ad ottenere i suddetti frutti civili dell’immobile pignorato (cioè i canoni stessi, ovvero l’indennità dovuta per l’occupazione del bene) , per essere assegnati ai creditori (e poi all’aggiudicatario) .
Tali decisioni appaiono genericamente riferite a tutti i frutti civili dell’immobile, vale a dire all’intero corrispettivo e/o indennità dovuti dalla RAGIONE_SOCIALE per l’occupazione dell’intero
immobile e non solo alla metà di quel credito (e non rileva, nella presente sede, stabilire se tale conclusione fosse conforme o meno a diritto, stante il giudicato tra le parti, che impedisce ogni ulteriore considerazione sul punto).
D ‘altra parte, neanche emerge, dalla sentenza impugnata, chi fosse il titolare della eventuale quota dell’immobile non pignorata (o se, addirittura, si trattasse di un immobile in comunione legale, il che avrebbe determinato conseguenze del tutto diverse , sul piano giuridico, rispetto all’ipotesi di comunione ordinaria, come già chiarito) e, tanto meno, risulta a che titolo ne avessero potuto disporre, dapprima la proprietaria COGNOME (locando l’intero immobile al la COGNOME, che poi aveva ceduto il contratto di locazione alla RAGIONE_SOCIALE e poi la stessa RAGIONE_SOCIALE, nel sublocarlo alla RAGIONE_SOCIALE Neanche emerge con certezza l’esatto esito della procedura esecutiva e le ragioni di detto esito.
È vero che, in linea generale, non è necessario essere proprietari dell’immobile per stipulare un contratto di locazione, ma, nella peculiare situazione in esame, occorre pur sempre stabilire se vi sia stato un ingiustificato arricchimento della parte sub-conduttrice, e ciò richiede almeno che quest’ultima abbia goduto liberamente e gratuitamente dell’immobile (o, almeno di una parte di esso, in senso fisico) senza averne titolo, con conseguente impoverimento della sub-locatrice.
Onde, per stabilire se ed in che termini un siffatto arricchimento (con correlativo impoverimento) si sia eventualmente -e senza causa -verificato, in danno della sub-locatrice, si dovrebbe, quanto meno, escludere che la sub-conduttrice fosse semplicemente tenuta a pagare i canoni di locazione ovvero l’indennità di occupazione ad un altro soggetto in luogo che alla stessa sub-locatrice.
Pertanto, l’esistenza di decisioni passate in giudicato tra le parti in cui si statuisce che erano il custode giudiziario e poi
l’aggiudicatario e non la sub-locatrice a poter vantare il diritto al pagamento integrale di tali canoni e/o di tale indennità, ben potrebbe escludere, in radice, l’arricchimento della sub -conduttrice.
In definitiva, le statuizioni contenute nelle sentenze passate in giudicato tra le parti, nella misura in cui abbiano riconosciuto al custode nominato nell’ambito del processo di espropriazione dell’immobile (sub)locato il diritto ad esigere integralmente i frutti civili di tale immobile, escludendo integralmente il diritto ad esigere tali frutti in capo alla società (sub)locatrice RAGIONE_SOCIALE, potrebbero essere addirittura idonee a rendere, nella specie, irrilevante la circostanza che il pignoramento de ll’immobile locato fosse eventualmente avvenuto solo in quota, il che sarebbe decisivo anche ai fini del l’azione di ingiustificato arricchimento, pur se limitata alla quota di tali frutti relativa alla eventuale parte (o quota) di immobile non oggetto di pignoramento (e ciò senza contare il possibile rilievo dell’esito finale della procedura esecutiva).
2.4 Tanto premesso, in linea generale e con specifico riguardo alla situazione sostanziale e processuale alla base della presente controversia, la Corte osserva che le censure formulate nei motivi di ricorso, con le quali si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c., nonché quelle con le quali si deduce la violazione del giudicato, proprio alla luce di quanto sin qui esposto, risultano fondate.
2.4.1 L a corte d’appello ha, infatti, ritenuto ammissibile e fondata l’azione di arricchimento s enza causa proposta dalla RAGIONE_SOCIALE, sul mero presupposto che quest’ultima non aveva a sua disposizione l’azione contrattuale derivante dalla (sub)locazione, essendo stata tale azione rigettata, con le precedenti sentenze passate in giudicato tra le parti, ritenendo per ciò solo integrat i i presupposti dell’azione di ingiustificato arricchimento
di cui all’art. 2041 c.c., ivi incluso il requisito della cd. sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c..
Ma tale considerazione, per quanto in precedenza ampiamente chiarito, certamente non poteva considerarsi sufficiente a tal fine: se l’azione per il pagamento dei frutti civili , dovuti a qualunque titolo per l’occupazione dell’immobile pignorato , spettava in realtà ad altro soggetto (cioè, a l custode, nell’interesse dei creditori procedenti ed intervenuti nel processo esecutivo), avrebbero dovuto ritenersi esclusi, in radice, sia l’arricchimento della società (sub)locatrice, sia l’impoverimento della società (sub)conduttrice, sia, come necessaria conseguenza, lo stesso requisito della sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., che non può ritenersi ovviamente integrato, o comunque non viene neanche in rilievo, nel caso in cui il bene della vita per cui l’attore chiede l’indennizzo spetta, in realtà, ad altro soggetto .
2.4.2 Nella sentenza di primo grado (integralmente confermata da quella di appello, impugnata nella presente sede), si afferma che la questione della legittimazione del custode ad esigere i canoni relativi all’immobile (sub)locato sarebbe superata in virtù della circostanza che l’azione di arricchimento senza causa riguarderebbe solo la metà dell’immobile non oggetto di pignoramento.
Il tribunale afferma, inoltre, che il pignoramento della metà dell’immobile costituiva comunque una turbativa al suo pacifico godimento, ma che « tale disagio » sarebbe stato « ampiamente compensato dal godimento senza corrispettivo per un così notevole periodo di tempo ». E tale ultima affermazione, benché per certi versi anche di non agevole comprensione nel suo preciso significato logico-giuridico e nelle sue implicazioni, non è in alcun modo fatta oggetto di riconsiderazione nella decisione di secondo grado impugnata.
Ma, in tal modo, i giudici di merito, in primo luogo, hanno del tutto omesso di considerare che, proprio nelle sentenze passate
in giudicato delle quali essi stessi hanno correttamente ritenuto doversi tenere conto, viene genericamente affermato che il corrispettivo per la locazione e/o l’occupazione senza titolo dell’immobile pignorato (cioè, i frutti civili dello stesso) doveva essere pagato al custode e non alla società (sub)locatrice RAGIONE_SOCIALE, senza alcuna limitazione di tale affermazione ad una sola quota di tali frutti civili.
D’altra parte, né nella sentenza impugnata, né in quella di primo grado (nella quale si afferma che il disagio derivante dal pignoramento dell’immobile locato sarebbe stato « ampiamente compensato dal godimento senza corrispettivo per un così notevole periodo di tempo »), risulta chiarito in che modo è stata determinata la somma riconosciuta alla società (sub)locatrice RAGIONE_SOCIALE a titolo di indebito arricchimento, né in che termini e per quali ragioni essa corrisponderebbe all’arricchimento della società (sub)conduttrice e, correlativamente, all’impoverimento della (sub)locatrice ( e neanche si chiarisce se essa corrisponda all’intero o a una quota, ed eventualmente a quale quota, de ll’importo dei canoni di locazione, cioè dei frutti civili dell’immobile pignorato ), tenuto conto della sussistenza del procedimento di espropriazione forzata.
2.5 In definitiva, la decisione impugnata non risulta conforme ai principi di diritto illustrati in precedenza, in materia di titolarità del credito per i frutti civili dell’immobile pignorato e, segnatamente, al principio per cui, nella misura in cui il terzo occupante dell’immobile pignorato sia tenuto a versare i frutti civili di tale immobile (canoni di locazione e/o indennità per l’occupazione dello stesso) al custode nominato nell’ambito della procedura esecutiva, al locatore del medesimo immobile non spetta l’azione di arricchimento senza causa per ottenere i medesimi frutti, difettando sia l’ingiustificato arricchimento dell’occupante, sia l’impoverimento del primo.
Inoltre, la suddetta decisione non è conforme ai principi di diritto che sanciscono l’efficacia vincolante del giudicato tra le parti, quanto meno per non avere la corte d’appello adeguatamente considerato che il giudicato formatosi tra le parti sulla inopponibilità della locazione alla procedura esecutiva e, di conseguenza, sulla legittimazione esclusiva del custode ad esigere integralmente i frutti civili dell’immobile , impedisce di ritenere sussistenti i presupposti dell’azione di indebito arricchimento in relazione a tutti tali frutti, e non solo in relazione a quelli imputabili alla quota di immobile eventualmente pignorata.
Essa va, di conseguenza, cassata affinché l’intera fattispecie sia rivalutata in sede di rinvio, alla luce di tali principi di diritto.
Sono accolti il secondo ed il terzo motivo del ricorso, rigettato il primo.
La sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’a ppello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Per questi motivi
La Corte:
-accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso, rigettato il primo e cassa, per l’effetto, la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del