Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11469 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11469 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/05/2025
INGIUSTIFICATO ARRICCHIMENTO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10112/2022 R.G. proposto da COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 1674/2021 del TRIBUNALE DI VENEZIA, depositata il giorno 23 agosto 2021 , e l’ordinanza n. 363/2022 della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA, depositata il 14 febbraio 2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio 2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso monitorio, NOME COGNOME domandò la condanna della RAGIONE_SOCIALE (in sigla e per brevità, in appresso: RAGIONE_SOCIALE) al pagamento della somma di euro 407.003,03 (o della minor somma di euro 92.125,81), a titolo di debito per responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ. ovvero, in subordine, per arricchimento senza causa ex art. 2041 cod. civ..
In punto di fatto, rappresentò:
-) di aver stipulato, nel febbraio 2008, una convenzione urbanistica con il Comune di Venezia, finalizzata a dare attuazione al Programma integrato di riqualificazione urbanistica edilizia e ambientale (PIRUEA) dell’area del c.d. ‘ INDIRIZZO ‘ in località INDIRIZZO;
-) che in detta convenzione, si era previsto che i costi inerenti alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, il cui obbligo gravava sulla parte attuatrice, una volta sostenuti e stimati, sarebbero stati dalla parte attuatrice portati a scomputo degli oneri di urbanizzazione ai sensi dell’art. 16 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380;
-) di avere, con contratto preliminare del 25 settembre 2008, promesso in vendita a NOME COGNOME (il quale prometteva di acquistare per sé o per persona da nominare), al prezzo di 1.450.000, un appezzamento di terreno edificabile incluso nel PIRUEA, dando atto il promittente acquirente del proprio impegno a completare le opere di urbanizzazione e senza pattuire cessione del diritto allo scomputo;
-) di aver stipulato, nel giugno 2010, con il Comune di Venezia accordo integrativo, con modifica delle opere di urbanizzazione, sì da includere interventi per la messa in sicurezza idraulica, con previsione, in aggiunta al diritto di scomputo, del diritto di portare gli ulteriori costi « in compensazione di quanto dovuto per costo di costruzione »;
-) di avere, con contratto del 21 settembre 2011, trasferito alla RAGIONE_SOCIALE il terreno promesso in vendita a NOME COGNOME per il
prezzo stabilito, senza convenire alcuna cessione del diritto allo scomputo né del diritto pattizio alla compensazione;
-) di aver appreso che, con il rilascio del permesso di costruire del 6 giugno 2016, il Comune di Venezia aveva autorizzato la S.RAGIONE_SOCIALE a realizzare sul proprio terreno un intervento di nuova costruzione e che la RAGIONE_SOCIALE non aveva versato il contributo di costruzione, ma aveva beneficiato dello scomputo « come da accordo per l’attuazione del PIRUEA Canevon » per il complessivo importo, liquidato dal Comune, di euro 407.003,03 (di cui euro 139.201,59 per oneri di urbanizzazione primaria, euro 175.675,63 per oneri di urbanizzazione secondaria ed euro 92.125,81 per quota proporzionale al costo di costruzione), con ciò realizzando un « impiego non autorizzato (né concordato) dei diritti pecuniari spettanti » al ricorrente in via monitoria.
Emesso decreto ingiuntivo in conformità all’istanza dall’adito Tribunale di Venezia, la società ingiunta propose opposizione ex art. 645 cod. proc. civ., la quale venne accolta (con revoca del decreto) dalla sentenza n. 1674/2021, resa all’esito del giudizio di prime cure.
L’appello interposto da NOME COGNOME è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di appello di Venezia con la ordinanza n. 363/2022, emessa ai sensi dell’art. 348 -ter cod. proc. civ..
Avverso la sentenza di primo grado e quest’ultima ordinanza NOME COGNOME ricorre per cassazione, sulla base di cinque motivi.
Resiste, con controricorso, la RAGIONE_SOCIALE
Ambedue le parti hanno depositato memoria illustrativa.
I l Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di cui al secondo comma dell’art. 380 -bis. 1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia « nullità e/o erroneità della sentenza » di primo grado « per manifesta contraddittorietà intrinseca della motivazione ex artt. 132 cod. proc. civ. e 111 Cost. », poiché recante
« due statuizioni antitetiche ed obiettivamente inconciliabili tra loro: da un lato, una formula di ‘apertura’ secondo la quale ‘l’opposizione al monitorio è infondata e dev’essere rigettata’; dall’altro lato, una formula di netta ‘chiusura’ per la quale ‘l’ opposizione va integralmente accolta e il decreto ingiuntivo revocato’ ».
Lamenta il ricorrente come detta insanabile contraddittorietà della motivazione, tale da rendere illegittimo il dispositivo di accoglimento, sia stata « sbrigativamente superata dal Giudice d’appello attraverso il ricorso allo strumento della ‘correzione dell’errore materiale’ ».
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Parte ricorrente imputa ai giudici territoriali di avere erroneamente ritenuto che « il diritto allo scomputo spetterebbe, in ogni caso, al proprietario dei lotti edificabili e titolare del permesso di costruire, indipendentemente da chi abbia effettivamente realizzato le opere di urbanizzazione »: sostiene, per contro, che l’art. 16, secondo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 esprima una « chiarissima correlazione del c.d. ‘diritto allo scomputo’ non già con il titolo abilitativo in quanto tale, bensì con l’eccezionale impegno del privato a realizzare le opere di urbanizzazione ».
Conclude nel senso che il diritto allo scomputo spetta unicamente al soggetto attuatore che, con il consenso del Comune, si impegni ad eseguire le opere di urbanizzazione, qui individuabile nel ricorrente; evidenzia poi che, nella specie, siffatto diritto di credito non è stato mai ceduto alla RAGIONE_SOCIALE, la quale tuttavia se n’è ugualmente avvalsa.
Con il terzo motivo, ancora per violazione e falsa applicazione dell’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, l’impugnante denuncia la « inaccettabile commistione tra oneri di urbanizzazione e costo di costruzione » operata nei provvedimenti gravati.
Deduce, per converso, che l’istituto dello scomputo è circoscritto ai soli oneri di urbanizzazione e non è applicabile al costo di costruzione; nel caso, peraltro, con l’accordo integrativo del giugno 2010, il Comune di Venezia aveva riconosciuto a NOME COGNOME « un ulteriore diritto di credito di fonte esclusivamente contrattuale », avente ad oggetto il costo di costruzione, da opporre in compensazione alle pretese del Comune, diritto di credito che invece era stato « sfruttato » dalla S.I.F.IRAGIONE_SOCIALET., non versando il costo di costruzione e così adducendo « a fini compensativi un credito altrui ».
Con il quarto motivo, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 cod. civ., parte ricorrente contesta la negata configurabilità di un illecito aquiliano nella condotta della RAGIONE_SOCIALE
Ravvisa, invece, un contegno connotato da dolo o colpa della predetta società, consistito nell’aver « unilateralmente ritenuto, in modo evidentemente arbitrario (e contro le ragioni dell’odierno ricorrente), di non dover pagare gli oneri di urbanizzazione né addirittura il costo di costruzione », produttivo, con nesso di causalità, di un danno ingiusto, individuato nella diminuzione dei diritti di credito spettanti al Melinato, costretto, « allorquando richiederà altri titoli edilizi » a versare « nelle casse del Comune, in tutto o in parte, il contributo concessorio dei permessi futuri ».
Il quinto motivo, formulato in via subordinata rispetto al quarto, richiede la cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda proposta ai sensi dell’art. 2041 cod. civ..
Assume che « azionando sine titulo i crediti del sig. COGNOME, la RAGIONE_SOCIALE, senza aver « realizzato alcuna opera di urbanizzazione nell’ambito del PIREUA nè aver sostenuto il benché minimo costo per la realizzazione dell’ambito », ha « conseguito l’effetto di risparmiare integralmente » il contributo concessorio in pregiudizio del ricorrente,
così realizzando un tipico arricchimento senza causa, da indennizzare ex art. 2041 cod. civ., in difetto di altra o diversa azione.
Il primo motivo è infondato.
L’aporia denunciata dal ricorrente consiste (e, ad un tempo, si esaurisce) nell’enunciato « l ‘opposizione al monitorio è infondata e deve essere rigettata », posto in incipit della parte motivazionale della sentenza (pag. 7, penultimo capoverso): ad esso, tuttavia, segue sviluppata in maniera ampia ed articolata nelle successive due pagine e mezzo l’esposizione di argomentazioni, in fatto ed in diritto, tutte univocamente e concordemente giustificanti l’accoglimento della opposizione, pronunciato infine in parte dispositiva.
Il principio di unità strutturale della sentenza – in forza del quale il significato di essa va desunto dalla lettura coordinata e complessiva delle parti che la compongono rende allora palese come l’enunciato su cui si appunta la doglianza in esame integri, in tutta evidenza, un mero lapsus calami , un errore materiale agevolmente riconoscibile, senza determinare alcuna insanabile contraddittorietà (ma nemmeno una minima incertezza sul tenore precettivo) del provvedimento.
Logicamente preliminare è, rispetto alle altre censure formulate, lo scrutinio del quarto motivo di ricorso.
Anch’esso non merita accoglimento.
7.1. Onde dar conto della testé enunciata conclusione, occorre ripercorrere, in sintesi, i passaggi argomentativi essenziali con i quali la gravata sentenza ha negato, sotto vari profili, la sussistenza di un illecito aquiliano perpetrato dalla RAGIONE_SOCIALE (e, per l’effetto, disatteso la domanda risarcitoria a siffatto titolo avanzata).
A tal fine, il Tribunale ha, in primis, negato la qualificabilità come illecita della condotta tenuta dalla RAGIONE_SOCIALE, sul rilievo della titolarità in capo a quest’ultima del diritto allo scomputo dagli oneri concessori del valore delle opere di urbanizzazione:
« n ell’ambito di un piano urbanistico attuativo, il diritto allo scomputo -peraltro nella sola misura relativa alla superficie o cubatura oggetto del titolo abilitativo e non rispetto alla complessiva area del piano (i.e. 4.000 mq a fronte di un’area di 10.000 mq) -matura in capo al titolare del permesso di costruire (ovvero RAGIONE_SOCIALE, quale avente causa del convenuto opposto), rimanendo peraltro del tutto indifferente che sia il titolare del permesso di costruire o un terzo (ovvero il Melinato) nell’ambito di una convenzione urbanistica , ad obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione ; ciò che rileva, ai fini dello scomputo del contributo dovuto per il rilascio del titolo edilizio da parte del suo titolare, è infatti la sola realizzazione, in fatto, delle opere di urbanizzazione su quella determinata area oggetto dell’intervento di costruzione, in forza di una convenzione urbanistica.
Il meccanismo dello scomputo si applica automaticamente a favore del titolare del titolo edilizio in relazione all’area urbanizzata oggetto del titolo medesimo e, proprio perché è connesso direttamente al titolo edilizio, non può che beneficiarne il suo titolare ».
Ha, in secondo luogo, escluso la sussistenza di un danno ingiusto per il Melinato causalmente riconducibile allo scomputo effettuato dal Comune a favore di RAGIONE_SOCIALE
« egli ha ancora la proprietà di 6.000 mq edificabili, da sfruttare in proprio e/o da cedere eventualmente in tutto o in parte a terzi; ne consegue che, laddove volesse sfruttare per sé i terreni, potrebbe ragionevolmente beneficiare dello scomputo calcolato sui 6.000 mq dagli oneri dovuti per il rilascio del permesso di costruire in ragione delle opere di urbanizzazione sugli stessi realizzate. Il COGNOME, sul punto, non ha offerto alcuna prova circa la futura impossibilità di ottenere il beneficio dello scomputo sull’area rimasta di sua proprietà né ha offerto elementi precisi per provare, con la necessaria esattezza,
la reale diminuzione patrimoniale che lo stesso subirebbe per effetto della compensazione oggetto di lite ».
7.2. Ciò posto, il quarto motivo di ricorso, nella parte in cui assume la sussistenza del danno ingiusto, non si confronta con le motivazioni svolte sul punto dalla gravata sentenza, formulando censure non pertinenti rispetto alla (sopra riassunta) ratio decidendi .
Ed invero, a fronte del duplice deficit probatorio evidenziato dal giudice territoriale (« circa la futura impossibilità di ottenere il beneficio dello scomputo sull’area rimasta di sua proprietà » e circa un concreto e determinato vulnus arrecato al suo patrimonio dallo scomputo riconosciuto alla S.I.G.I.T.), parte ricorrente si limita a sostenere di disporre « per ora di diritti di credito limitati » poiché « allorquando egli richiederà altri titoli edilizi, il Comune di Venezia non rileverà altre opere da quantificare ai fini della compensazione ».
Così opinando, tuttavia, non coglie (cioè non attinge criticamente) il presupposto su cui la sentenza fonda il disconoscimento del danno, ovvero che il Melinato potrà usufruire dello scomputo sull ‘ area ancora in sua proprietà e per le opere su tale area realizzate: ma non avendo egli quantificato (né indicato elementi per una quantificazione) tale (futuro ed eventuale) scomputo , sulla misura di quest’ultimo, non è, in ultima analisi, provata un’incidenza negativa (ovvero decrementativa) cagionata, con nesso eziologico immediato e diretto, dal beneficio accordato alla S.I.G.I.T..
Ragionamento non scalfito dalle considerazioni del ricorrente.
Definitivamente acclarata, con la reiezione del quarto motivo, l’insussistenza di un danno ingiusto, diviene superfluo lo scrutinio -sollecitato con il secondo, il terzo motivo ed il quarto motivo nella residua parte relativa all ‘asserita illiceità della condotta della RAGIONE_SOCIALE
-sull’esistenza degli altri elementi costitutivi della fattispecie di
responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. proc. civ.: detti motivi sono dunque assorbiti.
Il quinto motivo è infondato.
9.1. Requisiti essenziali per il felice esito dell’azione generale di arricchimento contemplata dall’art. 2041 cod. civ. sono costituiti dall’ arricchimento di un soggetto e dalla diminuzione patrimoniale di un altro soggetto collegati da un nesso di causalità nonché dal difetto di un titolo specifico (ovvero la mancanza di qualsiasi altra azione) in favore dell ‘ impoverito per ottenere la reintegrazione patrimoniale ( ex plurimis, Cass., Sez. U, 05/12/2023, n. 33954).
Per quanto concerne, più in particolare, il nesso di correlazione tra arricchimento e impoverimento, per consolidato indirizzo esegetico di nomofilachia (espresso sin dalla risalente Cass., Sez. U, 02/02/1963, n. 183) esso postula necessariamente la unicità del fatto causativo: richiede, perché possa configurarsi il diritto all ‘ indennizzo ex art. 2041 cod. civ., che l ‘ impoverimento e l’ arricchimento derivino, in via immediata, dal medesimo fatto causativo, con la conseguenza che il fondamento dell ‘ indennizzo viene meno qualora lo spostamento patrimoniale tra due soggetti, pur se ingiustificato, sia determinato da una successione di fatti che hanno inciso su due diverse situazioni patrimoniali soggettive, in modo del tutto indipendente l ‘ uno dall ‘ altro.
Da ciò deriva l’esclusione , in linea di principio, della ristorabilità dell’arricchimento c.d. indiretto, nel quale cioè ad avvantaggiarsi dell’attribuzione patrimoniale è una persona diversa dal destinatario d ella prestazione dell’impoverito, dacché, in tal caso, l’arricchimento costituisce soltanto un effetto indiretto o riflesso della prestazione eseguita (da ultimo, Cass. 13/03/2024, n. 6735; Cass. 18/10/2024, n. 27008; Cass. 27/02/2023, n. 5865).
E tuttavia, in considerazione dello scopo di equità che innerva e connota l’azione di ingiustificato arricchimento, questa Corte (a partire
da Cass., Sez. U, 08/10/2008, n. 24772) ha ritenuto -per quanto qui interessa – esperibile il rimedio in questione anche nei confronti del terzo che abbia conseguito a titolo gratuito (ovvero di fatto) l’indebita locupletazione in danno dell’impoverito (in questo ordine di idee, anche Cass. 22/10/2021, n. 29672; Cass. 26/01/2021, n. 1708).
9.2. Di questi princìpi ha fatto buon governo la gravata sentenza.
Essa ha infatti disatteso l’azione ex art. 2041 cod. civ. sulla base del corretto rilievo che il (supposto) arricchimento avrebbe favorito un soggetto (la S.I.G.I.T.) diverso da quello (il Comune di Venezia) cui in thesi era destinata la prestazione dell’impoverito (NOME COGNOME, obbligato verso il Comune a opere di urbanizzazione) e che, comunque, lo spostamento di ricchezza era stato determinato da una successione di fatti incidenti su distinte situazioni patrimoniali soggettive ciascuno sorretto da causa autonoma (prima la convenzione tra Melinato e Comune, poi la vendita tra Melinato e RAGIONE_SOCIALE, infine lo scomputo nei rapporti tra quest’ultima e Comune).
Né ad infirmare la conformità a diritto di tale argomentazione giova asserire -come opinato in ricorso -che il prospettato arricchimento della SRAGIONE_SOCIALE sia avvenuto a titolo « totalmente gratuito » dacché, detto vantaggio -se per astratta ipotesi reputato sussistente – sarebbe derivato (in via mediata) dalla stipula della precedente compravendita con il Melinato, dunque da un atto negoziale a carattere oneroso.
10. Il ricorso è rigettato.
La complessità delle questioni giuridiche affrontate e la novità del caso esaminato giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
Atteso l’esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass., Sez. U, 20/02/2020, n. 4315) per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente ai sensi dell’art.
13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis .
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione