Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 709 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 709 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 699/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO/O REGUS, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
AZIENDA SANITARIA RAGIONE_SOCIALE DI PESCARA, elettivamente domiciliata in Pescara INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 1511/2022 depositata il 26/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Il Tribunale di Pescara ha accolto la domanda di accertamento negativo del credito formulata dalla ASL di Pescara contro la società RAGIONE_SOCIALE con riferimento alle prestazioni indicate nella fattura n. 155 del 31.5.2010 e ha respinto le domande riconvenzionali formulate dalla società convenuta nei confronti della ASL, dirette a contrastare la domanda attorea e, al contempo, a richiedere il risarcimento dei danni per effetto del comportamento sleale e in malafede nella fase precontrattuale, in violazione della norme di correttezza e buona fede poste dalla legge a tutela del regolare svolgimento delle trattative, nonché, in subordine, ad ottenere l’indennizzo per ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.
Con la sentenza impugnata la Corte di appello de L’Aquila ha rigettato il gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE confermando la decisione di primo grado con aggravio di spese.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi al quale ha resistito con controricorso la ASL di Pescara.
Alla proposta di definizione anticipata del 17 maggio 2023, comunicata alle parti, è seguita la richiesta di decisione avanzata dalla società RAGIONE_SOCIALE al quale è stata allegata procura speciale ai sensi dell’art. 380 bis c.2 c.p.c.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
La causa è stata posta in decisione all’udienza del 21.12.2023.
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175, 1337, 1338 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.
Il motivo è inammissibile nella parte in cui deduce il vizio di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, in presenza di doppia pronuncia conforme di merito ai sensi dell’art. 348 ter, comma 5, c.p.c. fondata sulle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto (regola ora trasfusa nel comma 4 dell’art. 360).
Nella specie la Corte di appello si è limitata ad enunciare ulteriori argomentazioni ma non ha immutato le ragioni di fatto poste a base della decisione.
In ogni caso, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse. -cfr.Cass.n.26934/2023,Cass.n.5947/2023-.
Inoltre, non vi è nessun fatto decisivo il cui esame sia stato omesso, poiché la Corte di appello ha escluso in punto di fatto che alcun incolpevole affidamento fosse tutelabile in capo alla RAGIONE_SOCIALE in ordine ai presupposti di applicabilità della garanzia prevista dalla clausola sociale di cui all’art. 11 del contratto, avendo puntualmente rappresentato che nel corso della riunione del 27 gennaio 2007 alla quale prese parte anche la ricorrente insieme alla stazione appaltante venne espressamente discussa la questione relativa al subentro della RAGIONE_SOCIALE nei rapporti di lavoro intercorso con l’azienda uscente.
Peraltro, nel § 12, la Corte di appello ha infatti osservato: «neppure sussisterebbe responsabilità precontrattuale per avere la committente taciuto sulla maggiore consistenza della forza lavoro nell’impresa uscente ponendo il nuovo appaltatore nella difficile situazione di dover scegliere tra assunzioni onerose e non previste o la temuta risoluzione contrattuale; infatti, da un lato il capitolato speciale di appalto -ben noto all’offerente (che in base alla lettera di invito avrebbe dovuto essere riconsegnato firmato in ogni pagina) -conteneva il riferimento all’impegno negoziale espresso nella clausola in esame (art.11). In tale contesto, con la diligenza media ed anzi minima, richiesta ad un imprenditore del settore, questi era nelle condizioni, sia prima di fare l’offerta che prima
della firma del contratto, di acquisire gli elementi necessari per un’adeguata valutazione della situazione aziendale e del livello occupazionale dell’azienda uscente.»
Ed invero, l’art. 69 del d.lgs. 163 del 2006, applicabile ratione temporis, del resto prevedeva che le stazioni appaltanti potessero esigere condizioni particolari, attinenti a esigenze sociali o ambientali per l’esecuzione del contratto, purché compatibili con il diritto comunitario e, tra l’altro, con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, e purché precisate nel bando di gara, o nell’invito in caso di procedure senza bando, o nel capitolato d’oneri.
Ciò che rende all’evidenza infondata la censura esposta nel primo motivo.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c. e degli artt. 2 e 191 d.lgs. 267/2000 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c.
Il motivo è inammissibile laddove denuncia il vizio di omesso esame di fatto decisivo per le stesse ragioni sopra esposte.
Per quanto riguarda la denunciata violazione di legge -ravvisata nel fatto che le aziende sanitarie non costituirebbero enti locali ai fini dell’applicazione del comma dell’art. 191 del d.lgs. 267/2000 e della responsabilità obbligatoria diretta del funzionario, nel caso in cui vi è stata l’acquisizione di beni e servizi in violazione in assenza di impegno di spesa -il motivo non affronta e non confuta la principale ratio esposta dal provvedimento impugnato.
La Corte di appello, infatti, nel § 13 ha escluso che nel caso di specie siano state richieste «variazioni al progetto» e cioè richieste di prestazioni ulteriori e diverse rispetto a quelle originariamente pattuite, con accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, laddove consentito, come non è nella specie. E non riescono a superare tale affermazione e le argomentazioni espresse dalla ricorrente in
memoria, tese ad offrire un quadro fattuale antitetico a quello ritenuto, con accertamento insindacabile, dal giudice di appello.
Senza dire che le pretese e contestate prestazioni aggiuntive (trasporto di sacche di sangue, rifacimento dei letti del personale sanitario reperibile, portantinaggio) sarebbero state richieste, secondo gli assunti della ricorrente non già dal Direttore o da funzionari della ASL ma da personale infermieristico- caposala, come risulta dallo stesso ricorso per cassazione- pag. 3 e 4-.
Secondo la giurisprudenza della Corte, se pure il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, tuttavia, le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell’articolazione interna della P.A. trovano adeguata tutela nel principio di diritto comune del cd. “arricchimento imposto”, potendo, invece, l’Amministrazione eccepire e provare che l’indennizzo non è dovuto laddove l’arricchito ha rifiutato l’arricchimento ovvero non ha potuto rifiutarlo perché inconsapevole dell'”eventum utilitatis” (Sez. 3, n. 11209 del 24.4.2019; Sez. 1, n. 15415 del 13.6.2018). V. Cassazione civile, SS.UU., sentenza 26/05/2015 n.10798, ove si affermato che “Il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, esso potendo, invece, eccepire e provare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò, quindi, di “arricchimento imposto”.
Cosa questa che emerge dalla stessa deduzione della ricorrente a proposito delle richieste di prestazioni sanitarie provenienti non da amministratori funzionari ma da personale sanitario, come appunto evidenziato dalla Corte di appello-. Argomentazioni che non risultano confutate dalla ricorrente nella memoria dalla stessa depositata, invece impegnata nell’affrontare temi in fatto e in diritto che risultano inconferenti rispetto a quanto affermato nella proposta che questo Collegio condivide- quanto alla rilevanza dei principi espressi di recente dalle Sezioni Unite in tema di sussidiarietà dell’azione di arricchimento -Cass. S.U. n.33954/2023-.
Con il terzo motivo la ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 e 5 c.p.c. e motivazione assente e/o apparente e nullità della sentenza. La Corte di appello avrebbe omesso di considerare la diversità di prestazioni offerte dalla società rispetto a quelle oggetto del contratto di appalto, risultanti dalle prove testimoniali raccolte, dando luogo ad una motivazione apparente.
Il motivo è inammissibile anche in questo caso ex art. 348 ter, comma 5, c.p.c. e comunque per la mancata individuazione di un fatto storico decisivo che non sia stato esaminato dalla Corte di appello poiché la Corte territoriale ha considerato l’ambiguità dell’impugnazione proposta ed ha preso in considerazioni i fatti allegati in ordine alle prestazioni svolte dalla società RAGIONE_SOCIALE
Peraltro, nel ritenere che le prestazioni per le quali era stato richiesto il riconoscimento dell’arricchimento ingiustificato non potevano giustificare la fondatezza della pretesa sotto il profilo dell’art. 2041 c.c. ha svolto una motivazione che risponde sicuramente ai requisiti del c.d. minimo costituzionale -cfr. Cass. S.U. n.8053/2014-.
Sulla base di tali considerazioni, che resistono alle diverse prospettazioni esposte nella memoria depositata dalla ricorrente, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art.380 -bis, comma 3, c.p.c., se la parte ha chiesto la decisione dopo la comunicazione della proposta di definizione anticipata e la Corte definisce il giudizio in conformità alla proposta, debbono trovare applicazione il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 c.p.c., regola questa, a cui, in questo caso comunque non vi è ragione alcuna di derogare.
Secondo le Sezioni Unite di questa Corte (ordinanze n.28619, 27195 e 27433 del 2023) la novità normativa contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96 terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5.000,00 (art. 96 quarto comma); risulta così «codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale, tant’è che la opzione interpretativa, sulla disciplina intertemporale, ne ha fatto applicazione -in deroga alla previsione generale contenuta nell’art. 35 comma 1 del d.lgs. n. 149/2022 -ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1.1.2023 per i quali non era stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio; anche ai fini della reattività ordinamentale, l’istituto integra il corredo di incentivi e di fattori di dissuasione contenuto nella norma in esame (che sono finalizzati a rimarcare, come chiarito nella relazione illustrativa al D. Lgs. n. 149/2022, la limitatezza della risorsa
giustizia, essendo giustificato che colui che abbia contribuito a dissiparla, nonostante una prima delibazione negativa, sostenga un costo aggiuntivo)».
Il ricorrente deve quindi essere condannato al pagamento a favore della controparte, ex art. 96, comma 3, di una somma equitativamente determinata in misura pari all’importo delle spese processuali, nonché in favore della Cassa delle ammende, di una somma pari ad € 2.500,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore delle controricorrenti, liquidate nella somma di € 18.200,00 per compensi, comprensivi di esborsi, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge, nonché al pagamento della somma di € 18.000,00 ex art. 96, comma 3, c.p.c.
Condanna altresì il ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma pari ad € 2.500,00 ex art. 96, comma 4, c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione