Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20308 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20308 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 9239/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’amministratore giudiziario e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO il quale chiede di ricevere avvisi e comunicazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore; Regione Sicilia, in persona del presidente pro
tempore; Regione Sicilia -Assessorato Regionale Energia e Servizi di Pubblica Utilità, in persona dell’assessore pro tempore, succeduto all’Agenzia Regionale per i rifiuti alle acque
– intimati – avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo n. 1876/2018, depositata in data 24/9/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/1/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
La Regione Sicilia, proprietaria degli impianti di dissalazione dell’acqua di mare siti a Lipari ed a Porto Empedocle, dopo aver predisposto una gara ad evidenza pubblica il 7/6/2000, andata deserta per mancanza di offerenti, procedeva a trattativa privata.
Redigeva, dunque, convenzioni plurime in data 25/1/2001 con la società Di RAGIONE_SOCIALE in raggruppamento temporaneo di imprese, per la gestione degli impianti di dissalazione di Lipari e Porto Empedocle.
Nella Convenzione si prevedeva: la durata del rapporto per 10 anni; la redazione da parte di EAS di piani di utilizzo semestrali; la stipulazione di un contratto per regolare il rapporto di fornitura dell’acqua (art. 19 della Convenzione); la determinazione del corrispettivo per la cessione delle acque commisurato alle tariffe (art. 18 della Convenzione); l’emissione di due fatture mensili: la prima nei confronti della cessionaria EAS e l’altra nei confronti della Regione Sicilia.
La RAGIONE_SOCIALE, quindi, produceva e cedeva acqua dissalata in favore dell’Ente Acquedotti Siciliani (EAS) e del Comune di Lipari.
Il Comune di Lipari e l’EAS provvedevano a pagamenti sino all’anno 2005, senza pagare ulteriori somme sino all’anno 2009.
La RAGIONE_SOCIALE citava in giudizio l’EAS, il Presidente della Regione Sicilia e l’Agenzia regionale per i rifiuti e le acque, chiedendo la condanna dei convenuti, in solido tra loro, a pagare la somma di euro 938.284,53 per acqua dissalata dall’impianto di Lipari e di euro 61.483,79 per l’acqua dissalata dall’impianto di Porto Empedocle.
In subordine, chiedeva dichiararsi l’obbligo dell’Agenzia regionale per i rifiuti e le acque della Sicilia e della Regione Sicilia di garantire le obbligazioni assunte da EAS.
Chiedeva inoltre accertarsi la responsabilità di EAS ex art. 1337 c.c. per i danni da responsabilità precontrattuale.
In ulteriore subordine, chiedeva la condanna di RAGIONE_SOCIALE per ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.
Si costituiva in giudizio la Presidenza della Regione Sicilia eccependo il difetto di legittimazione passiva.
Si costituiva in giudizio anche l’Assessorato Regionale Energia e Servizi di pubblica utilità, succeduto all’Agenzia regionale rifiuti e acque, chiedendo il rigetto della domanda.
Con sentenza del 9/11/2012 il Tribunale di Palermo, per quel che ancora qui rileva, dichiarava il difetto di legittimazione passiva della Presidenza della Regione Sicilia.
Accoglieva la domanda nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, in quanto, pur non essendo stato stipulato un contratto scritto, tuttavia sussisteva l’obbligo di pagamento di EAS in favore della società RAGIONE_SOCIALE, derivando tale obbligo direttamente dalla legge.
Ed infatti, il corrispettivo era determinato dalle tariffe predisposte da organi pubblici. Quanto all’impianto di Lipari la somma da corrispondere era di euro 890.786,07, mentre con riferimento all’impianto di Porto Empedocle il corrispettivo era di euro 37.228,90.
L’Assessorato Regionale energia e servizi di pubblica utilità era tenuto a garantire l’EAS ex art. 23, comma 2, legge Regione Sicilia n. 15 del 2004.
Il Tribunale condannava, quindi, in solido tra loro, RAGIONE_SOCIALE e Assessorato Regionale, per la somma di euro 928.014,97.
Il Tribunale reputava non pertinente il richiamo all’art. 1337 c.c., poiché l’obbligo del pagamento delle tariffe derivava direttamente dalla legge.
Stante l’azione diretta, era inammissibile l’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., avente natura sussidiaria.
Avverso tale sentenza proponeva appello principale l’Assessorato Regionale energia e servizi di pubblica utilità, evidenziando l’assenza di un contratto scritto di fornitura tra la COGNOME e l’EAS. Non sussisteva neppure un obbligo derivante dalla legge. Inoltre, la legge regionale Sicilia n. 134 del 1982 prevedeva espressamente la stipulazione di un contratto tra il gestore dell’impianto (COGNOME) e gli utenti.
Proponeva appello incidentale condizionato la COGNOME NOME, reputando sussistere la legittimazione passiva della Presidenza della Regione Sicilia. Inoltre, a suo avviso, sussisteva la responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. di EAS. Sussistevano comunque i presupposti dell’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.
Proponeva appello incidentale l’EAS, chiedendo il rigetto delle domande articolate dalla Di Vincenzo. Eccepiva la prescrizione degli interessi ed aderiva all’appello principale dell’Assessorato Regionale, mancando il contratto scritto.
Si costituiva il 31/3/2017 l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, a seguito di provvedimento di confisca definitivo, facendo proprie le difese della COGNOME VincenzoCOGNOME
La Corte d’appello di Palermo, con sentenza n. 1876 del 2018, per quel che ancora qui rileva, accoglieva l’appello principale dell’Assessorato Regionale e l’appello incidentale di EAS, reputando insussistente l’obbligazione di Eas in quanto derivante direttamente ex lege , contrariamente a quanto statuito al Tribunale. Ai sensi dell’art. 3 della legge Regione Sicilia n. 134 del 1982, dunque, occorreva la stipulazione di un apposito contratto tra l’EAS e ciascun utente.
Ai fini dello scaturire dell’obbligazione in capo ad RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata necessaria una «convenzione stipulata fra le parti alle condizioni solo parzialmente imposte, quanto al corrispettivo e al destinatario della fornitura, in relazione alla peculiarità del servizio pubblico reso».
10.1. La Corte d’appello accoglieva solo in parte l’appello incidentale condizionato articolato dalla COGNOME. La Presidenza della Regione Sicilia non era parte del processo d’appello perché non era stata citata in giudizio.
Non vi era, poi, responsabilità diretta dell’Assessorato Regionale, in quanto la Regione Sicilia non era parte del contratto.
L’art. 19 della Convenzione del 25/1/2001 prevedeva che «il gestore, quale affidatario della Regione, si impegna a stipulare con gli enti (EAS e Comune) apposito contratto per regolare il rapporto di fornitura dell’acqua». Pertanto, «la ‘parte contrattuale’ della Società avrebbe dovuto essere l’EAS» e non la Regione Sicilia.
Non sussisteva la responsabilità precontrattuale di RAGIONE_SOCIALE, per la mancata formalizzazione del contratto con la Di Vincenzo, in quanto
«erano sorte perplessità sugli amministratori della società dal punto di vista della normativa antimafia».
Poiché Eas era ente pubblico non economico, sarebbe stato necessario stipulare un contratto in forma scritta. Tale circostanza era nota alla Di Vincenzo che, dunque, non poteva «imputarla all’EAS a titolo di responsabilità precontrattuale».
10.2. La Corte d’appello accoglieva invece la domanda di ingiustificato arricchimento ai sensi dell’art. 2041 c.c.
Era pacifico che la produzione dell’acqua avesse «comportato degli oneri e dei costi alla società; mentre l’EAS ha avuto un arricchimento, giacché (come è pacifico) ha provveduto a rivendere l’acqua agli utenti finali».
Tuttavia, l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. non poteva essere «pari al dedotto importo contrattuale fatturato», dovendosi liquidare «nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’imprenditore, e dovendo corrispondere i costi affrontati da quest’ultimo».
L’indennità spettante doveva essere, allora, depurata «dell’utile di impresa e di ogni altra posta volta garantire quanto l’imprenditore stesso si riprometteva di ricavare dall’esecuzione di un valido contratto» (si citava Cass. n. 11446 del 2017).
Aggiungeva la Corte di merito che «nella specie, in concreto, l’importo preteso va diminuito, per le voci di cui sopra, del 15%».
Pertanto, la somma spettante era di euro 788.812,73, ossia euro 999.768,32, da cui sottrarre il 15%, pari ad euro 139.202,24.
Non vi era responsabilità della Regione che, ai sensi dell’art. 23, comma 2, della legge regionale Sicilia n. 15 del 2004, si era limitata garantire «le obbligazioni assunte dall’EAS per l’approvvigionamento di acqua», restando dunque escluse le obbligazioni estranee all’attività negoziale dell’ente.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE in confisca definitiva.
Restavano intimati l’EAS in liquidazione, la Regione Sicilia e l’Assessorato Regionale energia e servizi di pubblica utilità, succeduto all’Agenzia regionale per i rifiuti e le acque, soppressa con legge Regione Sicilia n. 19 del 2008.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce, in via principale, la «violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 della legge regionale della Sicilia n. 134 del 15/1/1982 ‘Norme per la gestione degli impianti di dissalamento delle acque marine’, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Sarebbe errata l’affermazione della Corte d’appello, in contrasto con quanto ritenuto dal primo giudice, per cui non sarebbe sorta alcuna obbligazione ex lege , essendo necessaria la stipulazione di un contratto scritto.
La Corte territoriale, dunque, avrebbe «illegittimamente ed erroneamente applicato la legge regionale Sicilia n. 134 del 15/11/ 1982», vigente al momento della sottoscrizione delle convenzioni.
Per la Corte d’appello, dunque, in assenza della stipulazione di un apposito contratto tra la Di Vincenzo e l’EAS (ed il Comune di Lipari) «non sarebbe sorta alcuna obbligazione in ordine alla produzione e fornitura di acqua dissalata».
Inoltre – sempre ad avviso della Corte territoriale – la Regione Sicilia non sarebbe parte contrattuale della Di Vincenzo in forza delle convenzioni del 25/1/2001, stipulate in osservanza della legge Regione Sicilia n. 134 del 1982.
Tale affermazione sarebbe errata. Ad avviso della ricorrente «l’obbligazione tra la Di Vincenzo, l’EAS e la Regione Sicilia non ha fonte negoziale, ma normativa».
La natura di obbligazione ex lege deriverebbe da: l’art. 1 della legge Regione Sicilia n. 134 del 1982, in base al quale la Presidenza della Regione è autorizzata ad affidare in gestione a terzi gli impianti di dissalamento; l’art. 2 della legge regionale sopra richiamata, per cui «l’affidamento in gestione è ‘disposto mediante Convenzione”»; l’art. 3, comma 3, della medesima legge, per cui i comuni e gli acquedotti subdistributori sono tenuti a versare al gestore «la tariffa per la fornitura dell’acqua nella misura stabilita dal comitato provinciale prezzi», mentre l’eventuale differenza «tra la spesa di produzione dell’acqua dissalata e la tariffa determinata dei predetti organi è a carico della Regione».
Per tale ragione, l’omessa sottoscrizione di un disciplinare per la regolazione dei metri cubi di acqua da fornire non solleverebbe l’EAS dal pagamento della tariffa «per tutte le attività di dissalamento affidate ex lege e tradotte in apposite convenzioni».
Ne conseguirebbe anche la responsabilità in via solidale della Regione Sicilia, obbligata ex lege al pagamento della tariffa nella misura della «differenza indicata, ed in mancanza di un pagamento dell’EAS e dei comuni per l’intero, in quanto essa stessa ha affidato in gestione gli stabilimenti alla COGNOME, consegnandoli con appositi verbali del 26/1/2001».
Tra l’altro, tale solidarietà è stata prevista per la fase di liquidazione dell’ente con la legge Regione Sicilia n. 15 del 5/11/2004, che all’art. 23 stabilisce proprio che «la Regione garantisce in via solidale le obbligazioni assunte dall’EAS per l’approvvigionamento di acqua».
Del resto, trattandosi di servizio pubblico, il gestore non avrebbe potuto trattenere per sé o rivendere l’acqua prodotta a soggetti terzi estranei alla Convenzione. Lo stesso prezzo dell’acqua non è pari al prezzo di mercato e non è stato negoziato con EAS o il Comune di
Lipari, ma è pari alle tariffe imposte ex art. 3 della legge regionale Sicilia n. 134 del 1982.
La fonte dell’obbligazione per RAGIONE_SOCIALE è costituita dunque dalla legge Regione Sicilia n. 134 del 1982, mentre «l’apposito contratto per regolare il rapporto di fornitura dell’acqua (art. 19 delle convenzioni) tra gli enti e il gestore attiene soltanto alla regolazione dei metri cubi da fornire e non ha valore negoziale».
Il motivo è infondato.
2.1. Anche a voler prescindere dalla mancata indicazione esaustiva del contenuto delle convenzioni stipulate il 25/1/2001 dalla Regione Sicilia con il gestore degli impianti di dissalazione di Lipari e Porto Empedocle, società Di Vincenzo, la Corte d’appello, con adeguata e congrua motivazione, ha fornito una interpretazione plausibile del contenuto di tali convenzioni – si ripete non adeguatamente riportate nella loro trascrizione, ma limitatamente a talune singole disposizioni.
Ed infatti, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., 1/3/2019,
n. 6156; Cass., n. 5647 del 2019; Cass. n. 6125 del 2014; Cass. n. 16254 del 2012; Cass. n. 24539 del 2009; Cass., sez. 3, 17/7/2003, n. 11193).
2.2. Inoltre, deve osservarsi che, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Cass., 15/11/2017, n. 27136; Cass., sez. 1, 20/1/2021, n 995).
Tale onere di allegazione dei corretti criteri legali di maieutica contrattuale non è stato in alcun modo ottemperato da parte della ricorrente, benché la Corte d’appello abbia compiuto una adeguata interpretazione delle convenzioni del 25/1/2001 e delle clausole in esse contenute.
Gli elementi di fatto da cui muovere sono rappresentati da: gara ad evidenza pubblica indetta dalla Regione Sicilia, proprietaria degli impianti di dissalazione dell’acqua di mare di Lipari e Porto Empedocle, in data 7/6/2000; assenza di offerte per la partecipazione alla gara; trattativa privata conclusa con la società RAGIONE_SOCIALE quale facente parte di un raggruppamento temporaneo di imprese; convenzioni (non si conosce neppure il numero delle stesse, né il relativo contenuto) stipulate 25/1/2001; gestione degli impianti affidata alla Di Vincenzo; produzione e cessione di acqua dissalata da parte della COGNOME (gestore); assenza di un contratto scritto;
cessionari dell’acqua dissalata individuati in RAGIONE_SOCIALE (Ente acquedotti siciliani) e Comune di Lipari.
Il quadro normativo di riferimento è così rappresentato.
4.1 L’art. 1 della legge Regione Sicilia 15/11/1982 n. 134 stabilisce che «la Presidenza della Regione è autorizzata ad affidare la gestione degli impianti di dissalamento delle acque marine, trasferiti o in corso di trasferimento alla Regione dalla Cassa per il Mezzogiorno, ai sensi dell’art. 139 del d.p.r. 6 marzo 1978, n. 218, ad enti pubblici e privati, anche costituiti in forma societaria, a prevalente capitale pubblico, che abbiano adeguate capacità tecnica e finanziaria per assicurare la conduzione e l’esercizio degli impianti nonché la relativa manutenzione».
L’art. 2 della legge Regione Sicilia n. 134 del 1982 prevede espressamente la stipula di una convenzione ai fini dell’affidamento del servizio («l’affidamento della gestione è disposto mediante convenzione che dovrà prevedere, fra l’altro »).
L’art. 3 della legge Regione Sicilia n. 134 del 1982 prevede al primo comma che «il dissalamento dell’acqua è effettuato, nel pubblico interesse, secondo i parametri e le caratteristiche stabiliti dalla convenzione e con l’osservanza delle proporzioni risultanti dal piano di erogazione approvato dalla Presidenza della Regione e relativo alle varie utenze».
Al comma 2 dell’art. 3 si dispone che «l’acqua dissalata è ceduta alle utenze civili ed industriali con l’obbligo del gestore di stipulare con ciascun utente apposito contratto per regolare i rapporti derivanti dalle utenze».
È evidente, dunque, l’assoluto rilievo che la legislazione pone alla stipulazione del contratto tra il gestore ed il soggetto cessionario dell’acqua dissalata.
Di particolare rilievo è il contenuto dell’art. 3 della legge Regione Sicilia n. 134 del 1982, prima delle modifiche apportate dall’art. 88 della legge 16/4/2003, n. 4.
Si prevede, dunque, che «i comuni e gli acquedotti subdistributori sono tenuti a versare al gestore la tariffa per la fornitura dell’acqua nella misura stabilita dal Comitato provinciale prezzi o, per gli acquedotti inter-provinciali, dal Comitato interministeriale prezzi. L’eventuale differenza tra la spesa di produzione dell’acqua dissalata e la tariffa determinata dei predetti organi è a carico della Regione».
Il medesimo art. 3 della legge Regione Sicilia n. 134 del 1982, dopo le modifiche di cui all’art. 88 della legge 16/4/2003, n. 4, dispone che «a decorrere dalla data di attivazione della gestione dei sistemi acquedottistici sovrambito, la tariffa relativa alla fornitura dell’acqua dissalata per le utenze civili non può essere superiore a quella applicata dal soggetto gestore dello stesso sistema per la fornitura idropotabile all’ingrosso agli ambiti territoriali ottimali di pertinenza, di cui alla legge 5 gennaio 1994, n. 36. Le utenze civili costituite dei comuni, anche attraverso le società di gestione del servizio idrico integrato di pertinenza, e dalle società di gestione dei sistemi acquedottistici sovrambito sono tenute a versare al gestore dell’impianto di dissalazione la tariffa per la fornitura dell’acqua nella misura stabilita dal presente comma. L’eventuale differenza tra il costo di produzione dell’acqua dissalata e la tariffa come sopra determinata è a carico della Regione, che può erogare tale differenza anche attraverso una società pubblica da costituire, finalizzata alla perequazione delle risorse e delle tariffe idriche tra i vari ambiti territoriali ottimali».
Risultano, dunque, elementi pacifici del sistema idrico di dissalazione, da un lato, la Convenzione stipulata tra Regione e gestore, e
quindi la RAGIONE_SOCIALE, e, dall’altro, l’applicazione di tariffe per la fornitura dell’acqua.
Quanto alle tariffe, va menzionato l’art. 13 della legge 5/1/ 1994, n. 36, a mente del quale «La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico come definito all’art. 4, comma 1, lettera f)».
Con la precisazione nel comma 2 dell’art. 13 per cui «la tariffa è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento di esercizio».
Con il chiarimento di cui al comma 3 dell’art. 13 per cui «il Ministro dei lavori pubblici, d’intesa con il Ministro dell’ambiente, su proposta del comitato di vigilanza di cui all’art. 21, sentite le autorità di bacino di rilievo nazionale, nonché la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, elabora un metodo normalizzato per definire le componenti di costo e determinare la tassa di riferimento. La tassa di riferimento è articolata per fasce di utenza e territoriali, anche con riferimento a particolari situazioni idrogeologiche».
Al comma 4 dell’art. 13 della legge n. 36 del 1994 si stabilisce che «la tariffa di riferimento costituisce la base per la determinazione della tariffa nonché per orientare e graduare nel tempo gli adeguamenti tariffari derivante dall’applicazione della presente legge».
Ai sensi del comma 6 dell’art. 13 suddetto, poi, «la tariffa è applicata dai soggetti gestori, nel rispetto della Convenzione e del relativo disciplinare».
5.1. L’art. 154 del d.lgs. 3/4/2006, n. 152, si è occupato della determinazione della tariffa del servizio idrico integrato.
Al comma 1 dell’art. 154 si prevede che «La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell’autorità d’ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio ‘chi inquina paga’. Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo».
Risulta chiaro, dunque, che la tariffa, che costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato, va a coprire tutti i costi affrontati dal gestore del servizio, ma non ricomprende l’utile di impresa.
Si prevede al comma 5 dell’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006 che «la tariffa è applicata dai soggetti gestori, nel rispetto della Convenzione e del relativo disciplinare».
5.2. I medesimi principi in ordine alla tariffa sono stati individuati dall’art. 10 del decreto-legge 13/5/2011, n. 70, convertito in legge 12/7/2011, n. 106, ove si prevede, al comma 11 «al fine di garantire l’osservanza dei principi contenuti nel d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 in tema di gestione delle risorse idriche e di organizzazione del servizio idrico, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse degli utenti, alla regolare determinazione e adeguamento delle tariffe, nonché alla promozione dell’efficienza, dell’economicità e della trasparenza nella gestione dei servizi idrici, è istituita, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l’Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche, di seguito denominata ‘Agenzia’ ».
Si stabilisce, poi, al comma 14, lettera d), che «l’Agenzia svolge, con indipendenza di valutazione e di giudizio le seguenti funzioni:
predispone il metodo tariffario per la determinazione, con riguardo a ciascuna delle quote in cui tale corrispettivo si articola, della tariffa del servizio idrico integrato, sulla base della valutazione dei costi e dei benefici dell’utilizzo delle risorse idriche e tenendo conto, in conformità ai principi sanciti dalla normativa comunitaria, sia del costo finanziario della fornitura del servizio che dei relativi costi ambientali e delle risorse, affinché sia pienamente realizzato il principio del recupero dei costi ed il principio ‘chi inquina paga’, e con esclusione di ogni onere derivante dal funzionamento dell’Agenzia».
Di nuovo, si chiarisce che la tariffa mira proprio alla copertura integrale dei costi affrontati dal gestore, anche in relazione ai danni ambientali eventualmente provocati.
5.3. Di rilievo è, poi, anche l’art. 23 della legge Regione Sicilia 5/ 11/2004, n. 15 (liquidazione EAS), a mente del quale «per far fronte agli oneri derivanti dalla messa in liquidazione dell’EAS, ivi compresi quelli a carico dell’EAS derivanti dal passaggio degli invasi e degli impianti alla società RAGIONE_SOCIALE e fino alla piena operatività degli ambiti territoriali ottimali, nonché per le finalità di cui al comma 2, l’Assessorato Regionale dei lavori pubblici è autorizzato, per gli anni 2005-2020, ad erogare all’EAS la somma complessiva di euro 195.855. Dal 1° settembre 2004 e fino all’avvio della gestione del servizio idrico integrato da parte degli ambiti territoriali ottimali, la Regione garantisce in via solidale le obbligazioni assunte dall’EAS per l’approvvigionamento di acqua».
Vengono, poi, in rilievo le disposizioni delle convenzioni stipulate dalla Regione Sicilia ed il gestore COGNOME il 25/1/2001.
L’art. 18 della Convenzione prevede che «l’acqua prodotta viene misurata e ceduta all’EAS ed al Comune su un piano di utilizzo semestrale redatto a cura dei predetti enti e sottoposto all’approvazione della Regione, sentito il parere della commissione di controllo,
entro 60 giorni precedenti il semestre cui si riferisce. I suddetti enti – EAS e comune – devono al gestore il corrispettivo determinato in base al prezzo unitario pari alla vigente tariffa per forniture a comuni e acquedotti sub-distributore».
L’art. 19 (Fatturazione del costo dell’acqua e pagamenti al gestore) della Convenzione del 25/1/2001 stabilisce poi che «il gestore quale affidatario della Regione, si impegna a stipulare con gli enti (EAS e comune) apposito contratto per regolare il rapporto di fornitura dell’acqua».
Nel medesimo articolo si aggiunge che «in relazione al disposto dell’art. 3 della legge regionale n. 134 del 15/11/1982 per la fornitura dell’acqua dissalata il gestore emetterà due fatture: la prima, all’ente – EAS e comune – applicando alle quantità erogate un prezzo unitario pari alla vigente tariffa per fornitura comuni ed acquedotti sub-distributori; la seconda, alla Regione, applicando alle quantità erogate un prezzo pari alla differenza tra il prezzo unitario previsionale di produzione di cui all’art. 18 della presente Convenzione e la precedente tariffa».
L’interpretazione fornita dalla Corte d’appello di tale complessa normativa, con la soluzione adottata per cui l’obbligazione dell’EAS e del Comune non derivava direttamente dalla legge, ma dal contratto eventualmente sottoscritto, nella specie mancante, risulta congrua ed aderente alle norme applicate.
Non v’è dubbio, infatti, che sia l’art. 3 comma 2, della legge Regione Sicilia n. 134 del 1982, che l’art. 19 della Convenzione stipulata tra la Regione Sicilia ed il gestore società Di Vincenzo in data 25/1/2001, facciano entrambi riferimento alla stipulazione di un contratto scritto.
Tale contratto scritto doveva essere stipulato tra il gestore, società Di Vincenzo, ed i cessionari dell’acqua, EAS e Comune di Lipari.
La Corte d’appello, infatti, ha affermato che, proprio in ragione dell’art. 3 della legge regionale Sicilia n. 134 del 1982, da tale disposizione «non derivasse alcuna diretta obbligazione relativa al pagamento dell’acqua».
Si è dunque condivisibilmente affermato che «nel caso di specie il rapporto obbligatorio non può ritenersi discendente direttamente dalla citata legge regionale, ma piuttosto, sulla scorta delle stesse indicazioni date dal legislatore regionale, dalla Convenzione stipulata fra le parti alle condizioni solo parzialmente imposte, quanto al corrispettivo e al destinatario della fornitura, in relazione alla peculiarità del servizio pubblico reso».
Si fa dunque espresso riferimento, sia alla legislazione regionale che alla Convenzione stipulata tra le parti.
Risulta del tutto contrastante con la legge e con la Convenzione, l’assunto della società ricorrente per cui, laddove l’art. 19 della Convenzione fa riferimento ad un apposito contratto, tra gli enti e il gestore del servizio, tale negozio «attiene soltanto alla regolazione dei metri cubi da fornire e non ha valore negoziale».
Senza contare che la stipulazione in forma pubblica dei contratti con la pubblica amministrazione, sanzionata con la nullità, costituisce un principio consolidato ormai acquisito.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce, in via subordinata, la «violazione e falsa applicazione dell’art. 2 e 3 della legge Regione Sicilia n. 134 del 15/11/1982 ‘Norme per la gestione degli impianti di dissalamento delle acque marine’ – Dell’art. 1, comma 1bis , della legge n. 241/1990 – Art. 1218 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Per la ricorrente, ove non si ritenesse l’esistenza di un’obbligazione ex lege (come da motivo principale di impugnazione), dovrebbe ritenersi sussistente tra le parti un’obbligazione di natura contrattuale.
Si muove dall’assunto per cui la Regione Sicilia ha affidato la gestione del servizio alla società COGNOME Vincenzo, dopo che la gara pubblica era andata deserta, quindi a trattativa privata, come risultava dal verbale del 31/7/2000.
Pertanto, la Regione Sicilia avrebbe proceduto all’adozione di un atto di natura non autoritativa, in base alle norme di diritto privato, come consentito dall’art. 1, comma 1bis , della legge n. 241 del 1990.
Si tratterebbe di un contratto stipulato in base alle norme di diritto privato.
In mancanza di asta pubblica, la trattativa privata ha avuto come risultato due convenzioni, ossia due contratti di appalto ex art. 1655 c.c., stipulati tra la Regione e la società RAGIONE_SOCIALE in raggruppamento temporaneo di imprese, «con effetti nei confronti di terzi, l’EAS (e il Comune di Lipari)».
La società Di RAGIONE_SOCIALE avrebbe «provveduto a dare esecuzione alle convenzioni confidando nella conclusione del contratto ( pacta sunt servanda )».
La Corte d’appello di Palermo avrebbe errato nel ritenere che la Regione Sicilia non è parte del giudizio d’appello, mentre la Regione Sicilia, in persona dell’assessore pro tempore all’energia, ha proposto l’appello principale.
Inoltre, nell’intestazione «alle convenzioni» risulterebbe menzionata la Regione Sicilia («Convenzione tra la Regione siciliana e la RTI RAGIONE_SOCIALE per la gestione dell’impianto di dissalazione di Lipari»).
Ad avviso della ricorrente, invece, «il contratto di appalto privato stipulato tra la Regione e la COGNOME produce effetti nei confronti dei terzi quali EAS (e il Comune di Lipari)».
Nel caso di specie, dunque, per la ricorrente, «gli effetti esterni, ossia la cessione dell’acqua agli enti, costituiscono anche la causa degli stessi atti (le convenzioni)».
Si sarebbe in presenza proprio di uno di quei casi previsti dalla legge per l’estensione degli effetti del contratto soggetti che non vi hanno partecipato, ai sensi dell’art. 1372, secondo comma, c.c.
A giudizio della ricorrente, dunque, «le convenzioni producono effetti direttamente rispetto ai terzi», sicché «la Regione obbligandosi con la Di Vincenzo ha previsto che il servizio pubblico venga svolto nei confronti dell’EAS (e del Comune di Lipari)». In tale ipotesi, dunque, «è esclusa la necessità che il terzo sia tenuto a sottoscrivere il contratto medesimo essendo mero beneficiario di un rapporto già validamente costituito da altri e non parte in senso formale o sostanziale» (si richiama Cass. n. 12447 del 1997).
EAS, dunque, sarebbe «certamente beneficiaria degli effetti della Convenzione, in quanto, a monte, ha ricevuto mandato dalla Regione (ancor prima dallo Stato) per la gestione del servizio idrico integrato».
Per tale ragione, l’apposito contratto previsto dall’art. 19 della Convenzione, in realtà, «non è altro che un mero disciplinare per la sola cessione dei metri cubi di acqua (non è fonte negoziale), in quanto le obbligazioni nei confronti dell’EAS discendono direttamente dalla Convenzione». Trattandosi, poi, di pattuizione negoziale già esistente in base alla Convenzione non è necessario che la pattuizione «debba assumere forma scritta».
Peraltro, trattandosi di ente pubblico economico (l’EAS), non è prevista la forma scritta (si cita Cass., n. 2511 del 1975).
Nella specie, dunque, «la natura non economica dell’EAS non può ritenersi pacifica».
Ciò in base alla considerazione che nella legge istitutiva dell’EAS si prevede che lo stesso sia «dotato di personalità giuridica di diritto pubblico», senza alcuna qualificazione di ente «non economico».
Peraltro, l’EAS avrebbe svolto «un’attività esclusivamente o prevalentemente economica: la costruzione e la gestione di acquedotti».
Senza contare che l’economicità dell’ente pubblico si rinviene «come equilibrio fra costi e ricavi, che sussiste in concreto quando l’ente svolge un’attività funzionale non soltanto al perseguimento di fini sociali, ma anche al procacciamento di entrate remunerative dei fattori produttivi». Nella specie, l’EAS, per mantenere la propria integrità sul mercato, si sosteneva, oltre che con la dotazione iniziale, anche con gli importi riscossi dagli utenti ed acquirenti del bene e dei servizi offerti.
Trattandosi di ente pubblico economico non era necessaria la forma scritta del contratto.
9. Il motivo è inammissibile.
Infatti, da un lato il motivo difetta di autosufficienza, non essendo state trascritte le convenzioni stipulate dalla Regione Sicilia con la società Di RAGIONE_SOCIALE in data 25/1/2001, e, dall’altro, si affrontano con tale motivo di ricorso questioni del tutto nuove, che non risultano in alcun modo affrontate dalla sentenza d’appello e che la ricorrente non indica come già poste all’attenzione del giudice e della controparte nel giudizio di primo grado.
Ed infatti, da un lato, si fa riferimento alla natura giuridica delle convenzioni del 25/1/2001, quali contratti a favore del terzo, ex art. 1411 c.c., e, dall’altro, per la prima volta si fa menzione dell’EAS,
quale ente pubblico economico, che dunque, non deve obbligatoriamente stipulare i contratti in forma scritta.
Allo stesso modo, per la prima volta, si fa riferimento alla stipula delle convenzioni del 25/1/2001 a trattativa privata, dopo l’espletamento della gara pubblica, tentando di giustificare l’assenza del contratto scritto, che sarebbe consentito in ipotesi di trattativa privata.
10. Il motivo è, peraltro, anche infondato.
Per la dottrina, il contratto a favore di terzi si ha quando una parte (stipulante) designa un terzo quale avente diritto alle prestazioni dovute dalla controparte (promittente). In tal modo il terzo acquista il diritto nei confronti del promittente per effetto del contratto, ma lo stipulante può revocare o modificare la disposizione a favore del terzo fino a quando questi dichiara di volerne approfittare.
L’applicazione di tale negozio, però, vale solo per le ipotesi di effetti favorevoli semplici, ossia di disposizioni che attribuiscono al terzo una facoltà o un potere senza imporgli obblighi od oneri.
Ai fini dell’integrazione della causa del contratto, poi, lo stipulante deve avere un interesse che giustifichi il suo atto dispositivo a favore del terzo.
Il terzo acquista il diritto alla prestazione nei confronti del promittente come effetto diretto del contratto. Tale acquisto è solo provvisorio in quanto può essere rimosso dal rifiuto del terzo o dalla revoca dello stipulante.
L’accettazione del diritto non comporta che il terzo divenga parte del contratto, in quanto l’art. 1411 c.c. non attribuisce al terzo la qualità di parte né in senso formale né in senso sostanziale rispetto alla Convenzione stipulata in suo favore, dovendo egli limitarsi a beneficiare degli effetti di un rapporto da altri già validamente ed effi-
cacemente costituito (Cass., sez. 1, 9/12/1997, n. 12447). La titolarità del diritto deve considerarsi distinta rispetto alla titolarità del rapporto contrattuale intercorrente tra stipulante o promittente.
Se così è, non si è in presenza di un contratto a favore del terzo.
La Convenzione stipulata tra la Regione Sicilia e la società che gestisce il servizio, RAGIONE_SOCIALE, presenta un contenuto suo proprio, di natura complessa, da tenere ben distinto dal contratto a valle che doveva essere stipulato tra la società di gestione del servizio Di Vincenzo e i soggetti cessionari dell’acqua desalinizzata, ossia l’EAS ed il Comune di Lipari.
Sia l’EAS che il Comune di Lipari, non beneficiavano esclusivamente di diritti, a fronte della Convenzione tra la Regione Sicilia e la società COGNOME Vincenzo, ma avrebbero anche dovuto sopportare gli oneri, quali i costi di acquisto dell’acqua desalinizzata.
Quanto, poi, alla disciplina della trattativa privata, questa Corte ha sempre affermato la necessità della forma scritta nei contratti stipulati dalla pubblica amministrazione, anche a trattativa privata, in assenza della gara ad evidenza pubblica.
Ed infatti, l’art. 16, primo comma, del regio decreto n. 2440/ 1923 prevede che i contratti della PA siano stipulati da un pubblico ufficiale delegato a rappresentare l’amministrazione e ricevuti da un funzionario designato quale ufficiale rogante, con le norme stabilite dal regolamento.
L’art. 17 del regio decreto n. 2440/1923 stabilisce, invece, che i contratti a trattativa privata, oltre che in forma pubblica amministrativa nel modo indicato al precedente art. 16, possono anche stipularsi: per mezzo di scrittura privata firmata dall’offerente e dal funzionario rappresentante l’amministrazione; per mezzo di obbligazione stesa appiedi delle capitolato; con atto separato di obbligazione sottoscritto da chi presenta l’offerta; per mezzo di corrispondenza,
secondo l’uso del commercio, quando sono conclusi con ditte commerciale.
Pertanto, per questa Corte, i contratti relativi ad attività di diritto civile stipulati con la PA o con enti pubblici assimilati, secondo le modalità della trattativa privata ( iure privatorum ), devono essere redatti, a pena di nullità, in forma scritta (Cass., sez. 3, 27/7/2022, n. 23422; anche Cass., Sez. U., 25/3/2022, n. 9775; Cass., n. 25631 del 27/10/2017; Cass., n. 20033 del 6/10/2016; Cass., sez. 1, n. 6555 del 20/3/2014; Cass., sez. 3, n. 15197 del 24/11/2000).
12. Quanto alla natura di ente pubblico economico dell’EAS, questione che – come detto – risulta del tutto nuova, deve comunque evidenziarsi che «gli enti pubblici economici hanno per oggetto esclusivo o principale una attività commerciale» e «sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese» ex art. 2201 c.c.
Nella specie, non v’è prova di alcuno dei due requisiti: né dello svolgimento da parte dell’EAS, in via esclusiva o principale, di un’attività commerciale, né dell’avvenuta iscrizione nel registro delle imprese.
Tra l’altro, questa Corte ha già affermato che l’Ente acquedotti siciliani (E.A.S.), istituito con la legge n. 24 del 1942, ha natura di ente pubblico e, sia nel caso in cui operi con fondi erogati dal Ministero dei Lavori Pubblici per realizzare programmi da questo approvati, sia nel caso in cui commissioni appalti rivolti a realizzare opere di competenza della Regione Sicilia o di enti regionali o locali, è comunque tenuto all’osservanza delle disposizioni del Capitolato Generale approvato con d.P.R. n. 1063 del 1962, che, ai sensi dell’art. 9 della legge Reg. Sicilia n. 21 del 1973, si applica obbligatoriamente a tutte le opere pubbliche eseguite nel territorio regionale (Cass., sez. 1, 24/4/2002, n. 5969).
13. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce, in ulteriore via subordinata, la «violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. – della legge n. 36 del 5/1/1994 ‘Disposizioni in materia di risorse idriche’ vigente ratione temporis , successivamente abrogata e sostituita dalla parte terza del d.lgs. n. 152 del 3/4/2006 ‘Norme in materia ambientale’ T.U. Ambiente – in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Per la ricorrente, nell’ipotesi in cui non siano accolti i due motivi precedenti, la sentenza impugnata sarebbe comunque erronea per illegittima e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c.
Ed infatti, la legge n. 36 del 5/1/1994, poi sostituita dal d.lgs. n. 152 del 3/4/2006, prevede che le tariffe praticate dai gestori del servizio idrico nei confronti degli utenti debbano coprire esclusivamente i costi di esercizio sostenuti.
La Corte d’appello, invece, ha reputato che, pur applicandosi l’art. 2041 c.c., tuttavia l’importo da riconoscere alla società ricorrente, e quindi l’indennità, non poteva essere pari all’importo contrattuale fatturato, ma doveva essere depurato dell’utile di impresa.
Tale affermazione sarebbe erronea, in quanto la giurisprudenza della Corte di legittimità avrebbe previsto che, in relazione alle ipotesi di prestazioni effettuate da un imprenditore a vantaggio di ente pubblico, in difetto di valido contratto, il depauperamento sarebbe quantificato dal costo dei servizi, delle merci, ma anche «dal mancato guadagno per l’utile di impresa connesso alle prestazioni erogate» (si fa menzione di Cass., n. 9690 dell’11/9/1999; Cass., n. 9584 del 25/11/1998).
Tale soluzione giurisprudenziale sarebbe giustificata dalla considerazione per cui i «servizi pubblici non vengono remunerati al reale prezzo di mercato, ma scontano un prezzo imposto».
La Corte d’appello avrebbe dunque errato nello scomputare dal ‘compenso’ un ipotetico utile.
Infatti, il compenso per il servizio idrico è previsto direttamente dall’art. 3 della legge Regione Sicilia n. 134 del 1982, facendosi riferimento alla norma e ai concetti di «costo unitario» e di «tariffa».
La tariffa è un «prezzo amministrativo» che si esprime in un «costo unitario» in cui, però, «è predominante e assorbente l’elemento solidaristico e di contenimento della spesa».
La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio, come risulta dall’art. 3 della legge regionale Sicilia n. 134 del 1982, dalla legge n. 36 del 5/1/1994 e dall’art. 154 del d.lgs. n. 152 2006.
La tariffa mira ad assicurare «la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio ‘chi inquina paga’. Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo» (art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006).
Risulta, dunque, che la tariffa relativa al servizio idrico «costituisce un corrispettivo unitario dal quale non è possibile, e sarebbe oltremodo contra legem , estrarre un c.d. utile».
La Corte d’appello avrebbe errato, allora, nel ritenere che l’importo preteso dovesse essere diminuito nella misura del 15%.
Pertanto, «in assenza di esatta motivazione, non si comprende come il giudice del gravame abbia applicato una riduzione del 15% all’indennizzo senza indicare in alcun modo le ragioni dell’adozione di tale criterio gli stessi riferimenti normativi per i quali si ritiene applicabile al caso di specie».
14. Il motivo è infondato.
Questa Corte, infatti, ha ritenuto che, ai fini della liquidazione dell’indennizzo da ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., non debba tenersi conto dell’utile di impresa.
Si è, dunque, affermato che, in tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all’assenza di un valido contratto di appalto di opere (nella specie perché annullato dal Giudice Amministrativo), tra la P.A. (nella specie un Comune) ed un privato (nella specie un consorzio di cooperative), l’indennità prevista dall’art. 2041 cod. civ. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace; pertanto, ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto, non può farsi ricorso alla revisione prezzi, tendente ad assicurare al richiedente quanto si riprometteva di ricavare dall’esecuzione del contratto, la quale non può costituire neppure un mero parametro di riferimento, trattandosi di meccanismo sottoposto dalla legge a precisi limiti e condizioni, pur sempre a fronte di un valido contratto di appalto (Cass., Sez. U., 11/9/2008, n. 23385).
Ciò che deve essere riparato attiene, quindi, al ‘ detrimentum ‘ o al «pregiudizio». La ratio dell’art. 2041 c.c., infatti, è quella di restituire all’impoverito esclusivamente perdite, esborsi, spese, prestazioni ed altri elementi, utilità o valori già sussistenti nel suo patrimonio «nei limiti dell’arricchimento».
La finalità della disposizione è quella di muoversi «in funzione e nei limiti dell’arricchimento, e non già in dipendenza di una variabile legata al concreto ammontare del danno subito, come avviene nell’azione risarcitoria» (Cass., Sez. U., n. 23385 del 2008; più recentemente Cass., sez. 1, 10/5/2017, n. 11443).
Trattasi, infatti, di un rimedio generale dell’ordinamento, al pari del principio del neminem laedere in materia di responsabilità civile, come del principio pacta sunt servanda in materia contrattuale.
15. La Corte d’appello ha correttamente reputato che l’indennizzo di cui all’art. 2041 c.c. sia da quantificare con esclusione dell’utile di impresa, e quindi del lucro cessante, operato una decurtazione del 15% (Cass., n. 11446 del 2017).
Nella specie il computo dell’indennizzo ex art. 2041 c.c. era stato effettuato sulla base delle «tariffe» relative all’utilizzo del servizio idrico.
Le tariffe, però, rappresentano il corrispettivo che deve essere erogato dagli utenti del servizio o dai concessionari, dovendo essere coperti del tutto i costi sostenuti dalla società che gestisce il servizio, anche in ragione del principio comunitario «chi inquina paga».
Ciò si ricava sia dall’art. 3 della legge Regione Sicilia n. 134 del 1982, che prevede anche il pagamento della Regione, per l’eventuale differenza di prezzo fra il costo di produzione dell’acqua dissalata e la tariffa relativa alla fornitura, sia dall’art. 8 della legge 5/1/1994 n. 36, sia dall’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006.
Con decreto dell’1/8/1996 è stata data attuazione alla legge n. 36 del 1994, con l’individuazione del «metodo normalizzato per definire le componenti di costo e determinare la tariffa di riferimento».
La tariffa di riferimento risulta così costituita: costi operativi; costi di ammortamento; remunerazione del capitale investito, oltre al tasso di inflazione programmato per l’anno corrente ed al ‘limite di prezzo’.
Tra i costi operativi si individuano: costi per materie di consumo e merci; costi per servizi; costi per godimento di beni di terzi; costo del personale; variazione delle rimanenze di materie prime; accantonamento per rischi; altri accantonamenti; oneri diversi di gestione.
La componente dei costi operativi si articola in tre elementi essenziali del servizio idrico integrato: acqua potabile, fognatura e depurazione.
Ciò che maggiormente rileva, però, è l’elemento costituito dalla «remunerazione del capitale investito» ossia «tasso di remunerazione».
La misura della remunerazione sul capitale investito è data dalla frazione tra «reddito operativo» e capitale investito, ove il «reddito operativo» è costituito da «Ricavi meno Costi della gestione caratteristica (prima delle detrazioni degli oneri finanziari e fiscali)», mentre il capitale investito è costituito da «immobilizzazioni materiali e immateriali al netto dei relativi fondi di ammortamento», con la precisazione che dalle immobilizzazioni vanno eliminati contributi a fondo perduto, nonché i finanziamenti a tasso agevolato per la parte differenziale».
Pertanto, contrariamente all’assunto del ricorrente, che ha articolato il motivo esclusivamente sotto il profilo della violazione di legge, con esclusione della censura sulla motivazione (ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.), la tariffa ricomprende anche il reddito operativo dell’impresa (ricavi meno costi della gestione caratteristica), quale componente della procedura di calcolo che conduce alla remunerazione del capitale investito; sicché era ben possibile procedere alla decurtazione dell’utile di impresa.
16. Non si provvede sulle spese in assenza di attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 31 gennaio 2025
Il Presidente NOME COGNOME