Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7527 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7527 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22575/2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE a Socio RAGIONE_SOCIALE in Liquidazione in persona del Liquidatore e Legale Rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e Legale Rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
Pec:
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1361/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 25/05/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/11/2023 dal Cons. NOME COGNOME;
Rilevato che:
la società RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE), in qualità di utilizzatrice di immobili concessi in locazione finanziaria, ed il fideiussore della medesima NOME COGNOME proposero autonomamente opposizione a tre decreti ingiuntivi intimati dalla concedente RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE) per il pagamento dei canoni scaduti nel periodo dal giugno 2010 all’aprile 2011 in relazione a quattro contratti di leasing su immobili per un totale di € 287.284,34; la società concedente, considerando il perdurante inadempimento degli opponenti al pagamento dei canoni di leasing, dichiarò risolti i contratti e si costituì nel giudizio di opposizione chiedendo in via riconvenzionale la restituzione degli immobili, il pagamento di tutti i canoni scaduti fino alla risoluzione dei contratti, gli interessi di mora e i canoni a scadere alla data della risoluzione e dell’opzione di acquisto , detratto il ricavato della vendita o del riutilizzo dei bene;
il Tribunale di Bologna rigettò le opposizioni condannando l’opponente NOME RAGIONE_SOCIALE alla restituzione dei beni immobili e riconobbe il diritto della concedente al pagamento dei canoni scaduti e non pagati, degli interessi moratori, dei canoni a scadere attualizzati, detratto solo il ricavato della vendita o del riutilizzo del bene; quanto ai canoni già pagati dalla utilizzatrice il Tribunale ritenne che la risoluzione della locazione finanziaria per inadempimento della utilizzatrice non determinava l’obbligo di restituzione dei canoni già versati, trattandosi di un contratto ad esecuzione continuata e
periodica su prestazioni già eseguite in base all ‘art. 1458 comma 1 c.c.; preso atto, tuttavia, dell’intervenuto parziale soddisfacimento del credito della banca per tramite della escussione di pegni, ha condannato NOME al pagamento del solo credito di € 12.964,04 non coperto dalle garanzie pignoratizie;
a seguito di appello della soccombente, la Corte d’Appello di Bologna ha, con sentenza pubblicata in data 25/5/2021, rigettato l’appello e condannato la società e il fideiussore in solido alle spese del grado; per quanto ancora rileva in questa sede la corte del gravame ha ritenuto che la l. n. 124/2017 che ha tipizzato il contratto di leasing, sia da applicare anche ai contratti stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore ma ancora sub iudice, per quegli aspetti cioè che non abbiano esaurito i loro effetti, in quanto non accertati o definiti con sentenza passata in giudicato; ha dunque concluso che, in seguito all’entrata in vigore della nuova disciplina legale, debba essere accantonata la tradizionale distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo e che debba escludersi il ricorso all’applicazione analogica dell’art . 1526 c.c. anche in relazione ai contratti di leasing stipulati prima della sua entrata in vigore; ha altresì respinto il motivo di appello con cui si lamentava l’applicazione della clausola penale favorevole alla co ncedente ritenendo che la stessa, lungi dall’essere iniqua o manifestamente eccessiva, attuava l’equo contemperamento degli opposti interessi delle parti;
avverso la sentenza la società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, illustrato da memoria;
ha resistito la società RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) con controricorso, illustrato da memoria;
Considerato che:
con il primo motivo di ricorso -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 11 disp. prel. c.c., dell’art. 1 c. 136 -140 L. n. 124/2017,
dell’art. 72 quater L.F. e dell’art. 1526 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c. per avere i giudici ritenuto applicabile la l. n. 124/2017 ai rapporti risolti e cessati antecedentemente alla sua entrata in vigorela ricorrente censura l’impugn ata sentenza nella parte in cui ha ritenuto applicabili le disposizioni di cui alla richiamata legge ai rapporti stipulati prima della sua entrata in vigore con ciò contravvenendo al principio di irretroattività ex art. 11 disp. prel. c.c.
il motivo è infondato. La Corte d’Appello non ha attribuito carattere retroattivo alla nuova disciplina portata dalla L. n. 124 del 2017 ma ha applicato l’interpretazione storico -evolutiva secondo cui una determinata fattispecie per quegli aspetti che non abbiano esaurito i loro effetti perché non ancora accertati e definiti con sentenza passata in giudicato, non può che essere valutat a sulla base dell’ordinamento vigente posto che l’attività ermeneutica non può dispiegarsi ‘ora per allora’. Ciò a maggior ragione quando, come nel caso di specie , l’ordinamento abbia disciplinato un nuovo ‘tipo’ negoziale, un contratto che pur diffuso nella pratica non era qualificabile quale contratto tipico e la cui disciplina era desunta in via analogica da altri contratti tipici, in virtù di una scelta ermeneutica che, pur riconducibile ad un consolidato indirizzo di questa Corte, non può che operare su un piano meramente interpretativo quale è quello proprio del formante giurisprudenziale Tale indirizzo è dunque destinato a cedere il passo davanti ad una precisa presa di posizione del legislatore che, in quanto introduce una disciplina che integra una obiettiva ed evidentemente consapevole soluzione di continuità rispetto ad esso, non può non riverberarsi sulla valutazione ed interpretazione delle situazioni pregresse non ancora definite. Qualora, invece, ai rapporti di leasing finanziario i cui effetti non siano ancora esauriti e sui quali le Corti e i tribunali siano chiamati a decidere, si decidesse di applicare discipline diverse a seconda che i contratti siano stati risolti o meno prima dell’anno 2017 , si determinerebbe una irragionevole ed ingiustificata
disparità di trattamento in contrasto con i principi costituzionali di eguaglianza e ragionevolezza;
con il secondo motivo -violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto tra art. 1526 e 1418 c.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. per avere i giudici considerato valido ed efficace l’art. 25 delle Condizioni Generali di contratto e norma sussidiaria e derogabile l’art. 1526 c.c. -la ricorrente lamenta che la corte del merito ha ritenuto non iniqua né manifestamente eccessiva la clausola penale sancita dall’art. 25 delle condizioni generali di contratto; ove la corte avesse tenuta ferma la distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento, avrebbe concluso per l’applicabilità dell’art. 1526 c.c. intesa quale norma imperativa con la conseguente nullità ex art. 1418 c.c. di ogni deroga pattizia e dunque del richiamato art. 25; ritenere valida una clausola di portata amplissima al punto da far dubitare che il soggetto avvantaggiato possa aver interesse alla regolare esecuzione del contratto e non invece al suo inadempimento dal quale ricaverebbe molto di più, equivale a ledere i princi pi cardine dell’ordinamento giuridico in tema di nullità, buona fede, riduzione ad equità della penale manifestamente eccessiva;
con il terzo motivo di ricorso -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 c. 136 -140 L. 124/2017 e del combinato disposto tra gli artt. 1346, 1349 e 1322 2° co. c.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. per avere la Corte d’Appello di Bologna c onsiderata valida ed efficace la clausola penale di cui all’art. 25 delle Condizioni Generali di Contratto- la ricorrente lamenta che la corte del merito, lungi dal realizzare il contemperamento dei contrapposti interessi, ha optato per una interpretazione che beneficia in modo squilibrato il contraente forte essendo il contemperamento economico costituito dalla restituzione in tutto o in parte di quanto realizzato dalla vendita del bene del tutto eventuale;
il secondo e il terzo motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente in quanto entrambi afferenti al capo di sentenza relativa alla non eccessività della clausola penale, sono inammissibili;
in primo luogo in quanto volti a sindacare il merito della decisione evocando una diversa e più appagante ricostruzione degli elementi di fatto costitutivi della fattispecie; in secondo luogo perché non sono correlati alla ratio decidendi; infine perché la sentenza è conforme al consolidato indirizzo di questa Corte e i motivi non offrono elementi per confermare o modificare il suddetto orientamento ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.; i motivi peraltro non consentono di illustrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass., 1, n. 22042 del 24/7/2023); si legge, infatti : ‘con riguardo alle censure relative alla clausola penale presente in entrambi i contratti di leasing, che consente al concedente di risolvere unilateralmente il contratto in conseguenza dell’inadempimento dell’utilizzatore attribuendogli il diritto ad ottenere la restituzione del bene, oltre al pagamento dei canoni scaduti e degli interessi moratori e dei canoni a scadere attualizzati, dedotto il ricavato dalla vendita del bene, si rileva che non è mai stato contestato nel presente giudizio che la pretesa creditoria di RAGIONE_SOCIALE abbia ad oggetto esclusivamente i canoni scaduti e insoluti e i relativi interessi, sicché non vi è stata di fatto applicazione della suddetta clausola; si osserva inoltre che l’appellante non ha impugnato la statuizione contenuta nella sentenza di primo grado che è pertanto passata in giudicato con la quale il giudice ha affermato che detta clausola non ha natura
vessatoria e non è pertanto riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 1341 co. 2 c.c. Per il resto deve ritenersi che la clausola penale in questione non sia iniqua o manifestamente eccessiva ma che al contrario essa attui l’equo contemperamento degli oppo sti interessi delle parti, in quanto diretta a far conseguire alla concedente soltanto quanto avrebbe ottenuto qualora il contratto fosse stato regolarmente eseguito e giunto a naturale scadenza; la legittimità di tali clausole è peraltro confermata dalla legge n. 124/2017 che all’art. 1, comma 138 disciplina in termini del tutto analoghi la risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore prevedendo che il concedente abbia diritto alla restituzione del bene e che da quanto ricavato dalla vendita o da altra utilizzazione del bene debba essere dedotta la somma corrispondente all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto nonc hé delle spese anticipate per il recupero del bene per la stima e per la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita’; la sentenza è conforme al consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui ‘ La risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore di un contratto di leasing traslativo, concluso anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 1, commi 136 e ss., l. n. 124 del 2017, è sottoposta all’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c., sicché il giudice, ove ritenga che le parti abbiano pattuito una clausola penale, prevedendo, per il caso della menzionata risoluzione, il diritto del concedente di trattenere tutte le rate pagate a titolo di corrispettivo del godimento nonostante il mantenimento della proprietà (c.d. clausola di confisca), ha il potere di ridurre detta penale, in modo da contemperare, secondo equità, il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente ed il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva di trarre dalla regolare esecuzione del contratto, procedendo alla stima del bene secondo il valore di mercato al momento della restituzione (salvo che non sia stato già venduto o
altrimenti allocato, considerando, nel qual caso, i valori conseguiti) e poi detrarre tale valore dalle somme dovute dall’utilizzatore al concedente, con diritto del primo all’eventuale residuo ‘ (Cass., 1, 10249 del 30/3/2022; Cass.,3 n. 16632 del 12/6/2023);
alle evidenziate ragioni di infondatezza e di inammissibilità dei motivi consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, in favore della parte controricorrente;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 8.200,00, di cui € 200 ,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza