Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23869 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 23869 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/08/2025
OGGETTO:
rescissione per lesione di divisione- appello di sentenza non definitiva e di sentenza definitiva dichiarativa
di estinzione
RG. 28138/2019
P.U. 12-6-2025
SENTENZA
sul ricorso n. 28138/2019 R.G. proposto da:
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
COGNOME NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME controricorrente
nonché contro
NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME
intimati avverso la sentenza n. 788/2017 della Corte d’Appello di Perugia, depositata il 18-10-2017,
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12-62025 dal consigliere NOME COGNOME
udito il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo in via principale la dichiarazione di inammissibilità dell’appello e in via subordinata ha richiamato le conclusioni scritte, con l’accoglimento del quarto motivo di ricorso e la dichiarazione di inammissibilità degli altri motivi, udita l’avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con atto di citazione notificato il 6-11-1992 NOME COGNOME ha convenuto avanti il Tribunale di Spoleto la sorella NOME COGNOME chiedendo la rescissione per lesione oltre il quarto o l’annullamento del rogito notarile 9 -11-1991 con il quale i fratelli NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME, nonché la loro madre NOME COGNOME e NOME COGNOME, vedova ed erede del fratello NOME COGNOME, avevano eseguito la divisione dei beni in comunione, provenienti dall’eredità del nonno NOME COGNOME, del padre NOME COGNOME e del fratello NOME COGNOME; ha chiesto che venisse eseguita stima e nuova formazione delle quote, nei confronti dell’attrice erede al 18,33% e di NOME COGNOME legittimaria al 10%, disponendo che la stessa cedesse ciò che aveva avuto in più al fine di ripristinare la quota lesa dell’attrice, con la collazione della villa di Miramare di Rimini per la quota di un quarto di NOME e la collazione dell’appartamento di INDIRIZZO a Sp oleto donato dal padre a NOME in occasione delle nozze.
Si è costituita NOME COGNOME contestando la domanda, il giudice ha ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le parti del giudizio di divisione e si è costituita NOME COGNOME contestando la domanda e precisando che, con scrittura separata rispetto al rogito del 9-111991, era stata riconosciuta all’attrice la somma complessiva di Lire 220.000.000 a titolo di conguaglio, a fronte dell’importo di Lire 12.700.000 indicato nel rogito.
Con sentenza non definitiva n.58/2000 depositata il 31-1-2000 il Tribunale di Spoleto ha rigettato tutte le domande; con atto di citazione in appello notificato il 23-1-2001 NOME COGNOME ha proposto avverso la sentenza non definitiva appello immediato, che con sentenza n. 284/2004 è stato dichiarato inammissibile, perché proposto avverso sentenza non definitiva nei cui confronti era stata formulata riserva di appello.
Proseguito il processo di primo grado, con sentenza n. 107/2009 depositata il 18-5-2009 il Tribunale di Spoleto ha dichiarato estinto il giudizio e con sentenza n. 5/2012 depositata il 13-1-2012 la Corte d’appello di Perugia ha rigettato l’impugnazione avv erso la sentenza n. 107/2009.
Con atto di citazione in appello notificato il 26-3-2014 NOME COGNOME ha proposto appello avverso la sentenza non definitiva n. 58/2000, si sono costituite NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo il rigetto dell’appello e la Corte d’appello di Perugia ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali sono rimasti contumaci.
Esperita consulenza tecnica d’ufficio, la Corte d’appello di Perugia ha deciso con sentenza n. 788/2017 depositata il 18-10-2017; in riforma della sentenza impugnata n. 58/2000 ha dichiarato ammissibile l’azione di rescissione e l’ha rigettata nel merito, compensando le spese di entrambi i gradi tra le parti.
2.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto azione di revocazione, nel corso del quale è stata disposta la sospensione del termine per proporre il ricorso per cassazione; dichiarata inammissibile la domanda di revocazione con sentenza n. 505/2019 depositata il 2182019 della Corte d’appello di Perugia , NOME COGNOME ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione affidato a quattro motivi,
notificandolo anche agli eredi di NOME COGNOME, NOME, NOME e NOME COGNOME e a NOME COGNOME
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono rimasti intimati.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione per la pubblica udienza del 12-6-2025, nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ. il Pubblico Ministero ha depositato memoria con le sue conclusioni e hanno depositato memoria illustrativa entrambe le parti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce ‘ violazione o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 745 e 723 c.c., 132 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360 co.1 n. 4 cod. proc. civ.’ e con esso la ricorrente lamenta che la sentenza non abbia preso in esame la sua richiesta di comprendere nell’asse ereditario del padre NOME COGNOME non solo gli immobili, ma anche le rendite maturate dai beni compresi nell’asse ereditario.
2.Con il secondo motivo la ricorrente deduce ‘ nullità della sentenza e del procedimento in relazione alla nullità della c.t.u. per violazione dell’art. 92 disp. att. c.p.c. violazione art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c.’ e con esso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia recepito i risultati della c.t.u., senza considerare che il c.t.u. aveva omesso di informare il giudice delle questioni insorte nel corso delle operazioni, incorrendo in nullità che era stata immediatamente eccepita.
3.Con il terzo motivo la ricorrente deduce ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.’ e con esso la ricorrente lamenta l’omesso esame dell’atto pubblico di divisione e della scrittura privata in pari data, dai quali risultava che il conguaglio era stato
pagato a NOME COGNOME in relazione alle tre successioni e agli altri beni in comproprietà e non soltanto con riguardo alla sola successione del padre.
4.Con il quarto motivo la ricorrente deduce ‘violazione degli artt. 115, 116, 132 co.II n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 e 4’ e con esso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia recepito la c.t.u., senza considerare che la c.t.u. non aveva fatto alcun riferimento alla questione dell’imputazione del conguaglio; lamenta altresì che la sentenza abbia dichiarato che la divisione riguardava i beni dell’eredità del nonno e del padre, mentre aveva riguardato anche beni del fratello e altri beni in comunione.
5.Preliminarmente si impone di esaminare d’ufficio la questione dell’ammissibilità dell’appello, deciso nel merito dalla sentenza impugnata senza valutare la questione.
Secondo quanto descritto in ricorso, e direttamente verificato dalla Corte prendendo visione degli atti di causa in ragione della natura processuale della questione, la sentenza non definitiva n. 58/2000 del Tribunale di Spoleto depositata il 31-1-2000 è stata oggetto dell’impugnazione decisa dalla Corte d’appello di Perugia con la sentenza n. 788/2017 oggetto del presente giudizio, con atto di appello notificato nel 2014; ciò, dopo che la sentenza definitiva n. 107/2009 depositata il 18-5-2009 del Tribunale di Spoleto ha dichiarato estinto il giudizio, tale sentenza è stata oggetto di impugnazione avanti la Corte d’appello di Perugia che ha rigettato l’impugnazione, con sentenza n. 5/2012 del 13-1-2012, non impugnata e perciò passata in giudicato. A fronte di questi dati, la ricorrente presuppone (a pag. 7 del ricorso, laddove espone i fatti di causa), che il termine per proporre l’impugnazione alla sentenza non definitiva n. 58/2000 abbia iniziato a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza che ha dichiarato l’estinzione del processo, ai sensi dell’art. 129 disp. att. cod. proc. civ.
La tesi è erronea perché si fonda su una lettura dell’art. 129 disp. att. cod. proc. civ. che non coordina questa specifica disposizione con la previsione dell’art. 340 cod. proc. civ. E’ vero che l’art. 129 co.3 disp. att. cod. proc. civ. dispone che «Se il processo si estingue in primo grado, la sentenza di merito contro la quale fu fatta la riserva acquista efficacia di sentenza definitiva dal giorno in cui diventa irrevocabile l’ordinanza, o passa in giudicato la sentenza, che pronuncia l’estinzione del processo. Da questa data decorrono i termini stabiliti dall’articolo 325 del Codice per impugnare la sentenza già notificata, e, se questa non è stata notificata, decorre il termine di decadenza stabilito dall’art. 327 del Codice stesso». Però, tale disposizione non ha apportato alcuna deroga al principio generale, posto dall’art. 340 co. 2 cod. proc. civ., secondo il quale «Quando sia stata fatta la riserva di cui al precedente comma, l’appello deve essere pro posto unitamente a quello contro la sentenza che definisce il giudizio o con quello che venga proposto, dalla stessa o da altra parte, contro altra sentenza che non definisca il giudizio». Non essendoci ragione né testuale né logica che giustifichi la diversa disciplina dell’appello avverso la sentenza non definitiva per il caso in cui la sentenza definitiva abbia dichiarato l’estinzione del processo, risulta che l’art. 129 disp. att. cod. proc. civ. ha fatto riferimento al cas o di cui all’art. 307 ult. co. cod. proc. civ. di estinzione dichiarata con ordinanza divenuta irrevocabile e al caso in cui avverso l’ordinanza sia proposto reclamo al collegio, deciso dal Tribunale con sentenza ai sensi dell’art. 308 cod. proc. civ. non impugnata; quindi, dalla data di irrevocabilità di tale sentenza decorre il termine per proporre l’appello avverso la sentenza non definitiva oggetto di rituale riserva. Però, nel caso in cui l’estinzione del processo sia stata dichiarata con sentenza e avverso tale sentenza sia proposto appello, ai sensi dell’art. 340 cod. proc. civ. l’appello deve essere proposto anche avverso la sentenza non definitiva.
A conferma di tale conclusione, si consideri che, nel caso in cui l’estinzione sia pronunciata con sentenza emessa nelle forme ordinarie ex art. 307 ult. co. cod. proc. civ., l’eventuale impugnazione sottraeva definitivamente la controversia alla cognizione del giudice di primo grado; ciò in quanto rimaneva esclusa la rimessione della causa al giudice di primo grado anche nel caso di riforma della pronuncia di estinzione già in forza del l’art. 354 co. 2 cod. proc. civ. nella formulazione previgente al d.lgs. 149/2022, il quale prevedeva la rimessione al giudice di primo solo nel caso di riforma della sentenza che aveva pronunciato sull’estinzione nelle forme dell’art. 308 cod. proc. civ. a seguito di reclamo avverso l’ordinanza di estinzione (cfr. Cass. Sez. 2 20-12-2021 n. 40831 Rv. 663394-01). Quindi, come efficacemente osservato in dottrina, a non seguire la soluzione qui indicata, il giudice d’appello che abbia riformato la sentenza dichiarativa d’estinzione emessa nelle forme ordinarie ex art. 307 ult. co. cod. proc. civ., si troverebbe a dovere decidere la causa nel merito, senza potere esaminare le questioni e le domande decise dalla sentenza non definitiva oggetto di riserva di impugnazione; per di più, di tale sentenza si dovrebbe escludere l’appellabilità, che non potrebbe più fondarsi né sull’art. 340 co. 2 cod. proc. civ., essendo ormai preclusa la pronuncia di una nuova sentenza definitiva da parte del giudice di primo grado, né sull’art. 129 co. 3 disp. att. cod. proc. civ., essendo stata negata dal giudice d’appello l’estinzione del processo di primo grado.
Nello stesso senso ha già deciso questa Corte, Sez. 3 Sentenza n. 7016 del 21-6-1991 (Rv. 472793-01) che ha evidenziato come, nel caso in cui il processo si estingua definitivamente in primo grado, in conseguenza dell’estinzione manca un giudizio di appello e pertanto viene meno la possibilità di proporre contestualmente appello contro la sentenza non definitiva riservata e si pone il problema della sorte della
riserva stessa; il problema è stato risolto dal legislatore nel senso che la sentenza non definitiva oggetto di riserva diventa definitiva e quindi impugnabile dal giorno in cui è divenuta definitiva in primo grado, perché non impugnata, la decisione relativa all’estinzione. L’art. 129 disp. att. cod. proc. civ. si riferisce all’estinzione del processo in primo grado, perché è in relazione a tale ipotesi che il problema si pone; invece, ritenere operante l’iniziale riserva di impugnazione anche nella diversa ipotesi di svolgimento del giudizio di appello significa prospettare una conclusione che è in contrasto non solo con la lettera e la ratio della disposizione, ma anche con lo scopo della riserva di appello, che è quello di concentrare in un unico giudizio di secondo grado le impugnazioni contro le sentenze pronunciate nello stesso giudizio di primo grado.
In conclusione, deve essere confermato il principio di diritto già enunciato da Cass. 7016/1991: ai sensi dell’art. 129 disp. att. cod. proc. civ., se in primo grado diviene irrevocabile l’ordinanza o passa in giudicato la sentenza che dichiara l’estinzione del processo (sia quella prevista dall’art. 307 che quella contemplata dall’art. 308 cod. proc . civ.) la sentenza non definitiva, rispetto alla quale sia stata formulata riserva di gravame, acquista efficacia di sentenza definitiva -con decorrenza dei termini di cui agli artt. 325 e 327 cod. proc. civ. dalla data di irrevocabilità o da quella di passaggio in giudicato di detti provvedimenti- qualora si tratti di sentenza di merito. Per contro, ove venga appellata la sentenza dichiarativa dell’estinzione, nel procedimento di gravame deve essere proposto, ai sensi dell’art. 340 cod. proc. civ., anche l’appello avverso la sentenza non definitiva per cui sia stata fatta riserva di gravame, restando esclusa l’applicabilità in tale procedimento della disciplina dettata dal citato art. 129 disp. att. cod. proc. civ. con esclusivo riguardo al giudizio di primo grado.
Ne consegue che nella fattispecie l’appello è stato tardivamente proposto avverso la sentenza non definitiva soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza di appello avverso la sentenza definitiva che aveva dichiarato l’estinzione del giudizio ; perciò l’appello era inammissibile e non avrebbe potuto essere esaminato nel merito dalla Corte d’appello di Perugia , per cui la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio, mentre rimane ferma la sentenza di primo grado già passata in giudicato.
6.Si conferma la statuizione sulle spese della sentenza cassata compensazione delle spese di entrambi i gradi e spese di c.t.u. a carico delle parti per la metà ciascuna- e, in applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente è condannata alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità.
In ragione dell’esito del ricorso, non ricorrono i presupposti per la dichiarazione di cui all’art. 13 co. 1 -quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
La Corte , decidendo sul ricorso, dichiara inammissibile l’appello e per l’effetto cassa senza rinvio la sentenza impugnata;
ferme le spese del giudizio di merito, condanna la ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione