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Appello inammissibile: nuove regole per le liquidazioni

Un creditore ha impugnato con appello una decisione del Tribunale in una procedura di liquidazione coatta amministrativa. La Cassazione ha confermato l’appello inammissibile, chiarendo che le sentenze emesse dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 181/2015 sono ricorribili solo direttamente in Cassazione, anche per le procedure già in corso.

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Appello inammissibile: la Cassazione chiarisce le regole per le liquidazioni

Quando si affronta una procedura di liquidazione coatta amministrativa, conoscere le corrette vie di impugnazione è fondamentale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: le sentenze sull’opposizione allo stato passivo, emesse dopo la riforma del 2015, non sono più appellabili, ma solo ricorribili direttamente in Cassazione. Scegliere la strada sbagliata, come un appello inammissibile, può compromettere irrimediabilmente la tutela dei propri diritti.

I fatti del caso

Un risparmiatore si era insinuato al passivo di una banca in liquidazione coatta amministrativa per ottenere un cospicuo risarcimento danni, derivante dalla condotta illecita di un promotore finanziario. Il Tribunale aveva respinto la sua opposizione allo stato passivo.

Convinto delle proprie ragioni, il creditore aveva proposto appello contro tale decisione davanti alla Corte d’Appello territorialmente competente. Quest’ultima, tuttavia, ha dichiarato l’appello inammissibile. La Corte ha infatti rilevato che, a seguito del D.Lgs. 181/2015, le sentenze emesse in questo tipo di procedimenti dopo il 16 novembre 2015 sono impugnabili esclusivamente con ricorso per Cassazione. La sentenza del Tribunale era del 2018, quindi rientrava pienamente nella nuova disciplina. Il creditore ha quindi presentato ricorso in Cassazione contro la decisione della Corte d’Appello.

La decisione della Corte di Cassazione sull’appello inammissibile

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del creditore, confermando la correttezza della decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno fornito una chiara interpretazione delle norme transitorie introdotte dal D.Lgs. 181/2015, che hanno modificato il Testo Unico Bancario (TUB).

Il ricorrente sosteneva che l’aver proposto appello fosse giustificato dal principio di affidamento, dato che il Tribunale aveva deciso la causa con una sentenza collegiale, secondo il rito previgente. Inoltre, lamentava una contraddizione nel sistema: applicare le vecchie regole per la forma della decisione (sentenza) e le nuove per il regime di impugnazione (solo ricorso in Cassazione).

La Suprema Corte ha smontato queste argomentazioni, affermando la prevalenza del dato letterale della norma transitoria.

Le motivazioni della Corte

Il fulcro della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 3 del D.Lgs. 181/2015. La Corte ha spiegato che il legislatore ha operato una scelta chiara e inequivocabile:

1. Chiarezza della norma transitoria: Il comma 5 dell’art. 3 stabilisce senza ambiguità che, per le procedure di liquidazione coatta già in corso alla data di entrata in vigore del decreto, le sentenze pronunciate dopo tale data sono impugnabili esclusivamente con ricorso per Cassazione. Poiché la sentenza del Tribunale era del 2018, la norma era direttamente applicabile.
2. Irrilevanza della forma della decisione: Il fatto che il Tribunale abbia emesso una ‘sentenza’ secondo le vecchie regole procedurali non influisce sul regime delle impugnazioni. Il comma 6 dello stesso art. 3 specifica che, per gli aspetti non disciplinati dalle nuove norme, si continuano ad applicare le disposizioni precedenti. Questo giustifica la forma dell’atto del Tribunale, ma non modifica la regola, nuova e specifica, sull’impugnazione.
3. Inapplicabilità della translatio iudicii: Il principio che consente di ‘salvare’ un atto trasferendolo al giudice competente non si applica in questo caso. Qui il problema non era la competenza del giudice, ma l’ammissibilità del mezzo di impugnazione stesso. L’appello non era un rimedio previsto dalla legge per quella specifica sentenza.

Le conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale di diritto processuale: la scelta del mezzo di impugnazione è rigidamente vincolata alla legge vigente al momento della pubblicazione della sentenza. Le norme transitorie, se chiare nel loro tenore letterale, devono essere applicate senza poter invocare principi generali come l’affidamento o la translatio iudicii per sanare un errore procedurale. Per i creditori coinvolti in procedure di liquidazione coatta amministrativa, questa pronuncia è un monito: è essenziale verificare con la massima attenzione il regime di impugnazione applicabile per evitare di incorrere in una declaratoria di inammissibilità che preclude ogni ulteriore esame del merito della pretesa.

Le sentenze sull’opposizione allo stato passivo nelle liquidazioni coatte sono appellabili?
No. Secondo la disciplina introdotta dal D.Lgs. 181/2015, le sentenze in materia emesse dopo il 16 novembre 2015 sono impugnabili esclusivamente con ricorso per Cassazione.

La nuova disciplina sui ricorsi si applica anche alle procedure iniziate prima della sua entrata in vigore?
Sì. La norma transitoria (art. 3, comma 5, D.Lgs. 181/2015) stabilisce esplicitamente che per le procedure già in corso, il criterio per determinare il regime di impugnazione è la data di pubblicazione della sentenza: se successiva all’entrata in vigore del decreto, si applica la nuova disciplina.

Se il Tribunale decide con sentenza secondo le vecchie regole, si può comunque fare appello?
No. La forma della decisione (sentenza anziché decreto) non modifica il regime delle impugnazioni. Le norme transitorie prevedono che per gli aspetti non modificati si applichino le vecchie regole (forma dell’atto), ma per le impugnazioni vige la nuova regola specifica che esclude l’appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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