Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13241 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13241 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1606/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 4481/2019 depositata il 12/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 4481/2019, depositata il 12.11.2019, ha rigettato l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 1925/2017, depositata il 16.2.2017, che ha, a sua volta, aveva rigettato l’opposizione proposta dall’appellante avverso il decreto ingiuntivo n. 1873/2016 con cui il Tribunale di Milano le aveva ingiunto il pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE della somma di € 162.211,25, a titolo di canoni di locazione finanziaria non corrisposti, relativamente ai contratti di RAGIONE_SOCIALE. N. IF NUMERO_DOCUMENTO e N. NUMERO_DOCUMENTO.
Il giudice d’appello ha evidenziato che il percorso motivazionale del primo giudice -che aveva ritenuto la piena validità delle clausole dei contratti di RAGIONE_SOCIALE traslativi (clausola n. 21 condizioni generali di contratto) che prevedevano, in caso di risoluzione contrattuale, l’incameramento definitivo dei canoni già pagati in favore del concedente e l’imputazione in favore dell’utilizzatore inadempiente del corrispettivo della vendita, una volta che il bene fosse stato alienato -non era stato in alcun modo confutato dall’appellante come imposto dall’art. 342 cod. proc. civ..
Inoltre, il profilo relativo alla violazione da parte della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del canone di buona fede, come fonte di responsabilità risarcitoria per mala fede e/o abuso del diritto era stato solo tardivamente dedotto in grado d’appello, non correlato ad alcuna domanda, con conseguente inammissibilità della censura.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, affidandolo ad un unico articolato motivo.
La RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
E’ stata dedotta la violazione, falsa applicazione e falsa interpretazione dell’art. 1526 cod. civ., con conseguente nullità della clausola n. 21 delle condizioni generali del contratto di RAGIONE_SOCIALE.
Espone la ricorrente che nel contratto di RAGIONE_SOCIALE non è prevista la possibilità che il concedente, chieda a titolo di risarcimento del danno, il pagamento di una somma superiore all’ammontare dei canoni corrisposti sino al momento della risoluzione. Qualsiasi clausola volta a regolamentare il risarcimento del danno non può introdurre richieste risarcitorie/indennitarie dal carattere arbitrario, pena la facoltà riconosciuta al giudice di ridurne l’ammontare secondo equità. Né a tale impostazione può derogarsi prevedendo la restituzione all’utilizzatore inadempiente del corrispettivo della vendita dell’immobile, dal momento che tale attività verrebbe completamente demandata al concedente, senza alcuna tutela per l’utilizzatore. Ne consegue che la clausola 21 delle condizioni generali del contratto è nulla in quanto in contrasto con norme imperative.
2. Il ricorso è inammissibile.
Va osservato che la ricorrente non ha colto la ratio decidendi posta a sostegno della decisione impugnata, che si compendia nell’affermazione, contenuta a pagina 4 della sentenza, secondo cui: «Evidenzia la Corte che il percorso motivazionale del primo Giudice, sopra riassunto, non è stato in alcun modo confutato dall’appellante come imposto dall’art. 342 c.p.c.».
La sentenza impugnata, inoltre, dopo aver riassunto il contenuto del motivo d’appello, ha evidenziato che la censura spiegata in appello dall’utilizzatore in RAGIONE_SOCIALE, relativa alla violazione del
principio di buona fede, «è dunque inammissibile in quanto relativa ad un profilo non dedotto nel giudizio di primo grado, prospettato tardivamente solo in questa sede e non correlato ad alcuna domanda».
La ricorrente non si è minimamente confrontata con tali precise affermazioni della sentenza d’appello e non le ha quindi censurate, limitandosi a svolgere osservazioni in ordine all’operatività dell’art. 1526 cod. civ. che, tuttavia, come detto, sono estranee alla ratio decidendi della decisione impugnata.
Non si liquidano le spese di lite, non avendo la RAGIONE_SOCIALE svolto difese.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Roma, così deciso il 6.3.2024