Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13832 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13832 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 33056/2018 R.G. proposto da:
COMUNE di LETOJANNI, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE per procura speciale allegata al ricorso
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO e rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO per procura speciale allegata al controricorso
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MESSINA n. 743/2018 depositata il 21/08/2018; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Con contratto stipulato il 28 ottobre 1997, il Comune di Letojanni affidava all’impresa RAGIONE_SOCIALE i lavori di realizzazione di una piscina e attrezzature connesse in INDIRIZZO Sillemi. I lavori, consegnati il 21 novembre 1997, subivano varie sospensioni tra cui l’ultima disposta dalla Direzione dei lavori con verbale del 3 marzo 2000 a seguito del sequestro penale dell’area di cantiere ad opera del RAGIONE_SOCIALE, per la mancanza delle autorizzazioni prescritte dalla Legge n. 431/1985.
2.Con citazione notificata il 28 settembre 2006, l’impresa RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Messina, il Comune RAGIONE_SOCIALE Letojanni, chiedendo la risoluzione del contratto di appalto per causa imputabile all’amministrazione, avuto riguardo alla sospensione disposta con il verbale del 21 marzo 2000, nonché la condanna dello stesso Comune al risarcimento dei danni.
3.Con sentenza del 30 ottobre 2013, il Tribunale di Messina dichiarava la risoluzione del contratto per colpa dell’amministrazione e condannava quest’ultima al pagamento della somma di € 15.958,46, oltre IVA e interessi legali e moratori, per lavori eseguiti e non contabilizzati, e al pagamento della ulteriore somma di € 95.729,38 a titolo di risarcimento dei danni.
4.Avverso tale sentenza proponeva appello il Comune di Letojanni censurando la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto illegittima la sospensione dei lavori disposta con il verbale del 21 marzo 2000 e contestando la liquidazione delle somme operata dal
CTU. L’impresa presentava appello incidentale , chiedendo la rivalutazione del credito risarcitorio in cumulo con gli interessi.
5.Con sentenza n. 743/2018, pubblicata il 21 agosto 2018, la Corte di Appello di Messina confermava la sentenza impugnata in punto di risoluzione del contratto per colpa dell’amministrazione e, in parziale accoglimento dell’appello presentato dal Comune, rideterminava l’importo dovuto all’Impresa a titolo di risarcimento in € 80.821,29, oltre interessi legali sulla somma rivalutata anno per anno dalla domanda giudiziale al soddisfo, in accoglimento dell’appello incidentale. In particolare, la Corte d’Appello riteneva che: a) la responsabilità della sospensione dei lavori fosse attribuibile al Comune che avrebbe dovuto chiedere e ottenere l’autorizzazione di cui all’art. 57 della legge regionale siciliana n. 71/78 per la costruzione a distanza inferiore a quella prescritta dall’art. 15 della legge regionale 12 giugno 1976 n. 78, prima di dare in appalto, con contratto del 28-10-1997, i lavori in questione; b) la C.T.U. fosse stata disposta dal giudice di primo grado non per sopperire a carenze probatorie della parte attrice, ma per l’accertamento dei fatti, richiedente nel caso di specie specifiche conoscenze tecniche; c) fosse da riconoscere all’impresa il decimo dei lavori non eseguiti a titolo risarcitorio, stante l’illegittimità della sospensione; d) fossero da rideterminare le spese generali nella misura ridotta del 50% della somma stimata dalla C.T.U., non essendo logico liquidarle in percentuale identica a quella dell’inizio della sospensione e dopo lunghi periodi di sospensione durante i quali l’impresa poteva limitarne l’incidenza negativa; e) non fossero da riconoscere le somme riguardanti il vincolo sulle attrezzature, quantificate in euro 7.289 sulla base di un elenco fornito dall’impresa che non aveva trovato riscontro nelle risultanze della C.T.U.; f) fosse da riconoscere il mancato utile in contropartita della perdita di chance di ritrarre utili da altre occasioni di lavoro, come presuntivamente dimostrato; g) non fossero risarcibili i lavori
non contabilizzati, pari a euro 15.985,47, oltre IVA e interessi, ritenuto che sul punto la C.T.U. non aveva fornito un riscontro puntuale in ordine alle allegazioni di parte; h) fossero da riconoscere sulla somma liquidata sia la rivalutazione monetaria sia gli interessi, rappresentando il risarcimento del danno da inadempimento un’obbligazione di valore, per la quale la rivalutazione monetaria e gli interessi sulla somma liquidata assolvono a funzioni diverse, mirando la prima a ripristinare la situazione del danneggiato quale era anteriormente al fatto generatore del danno.
Avverso questa sentenza, il Comune di Letojanni ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, resistito con controricorso da NOME COGNOME.
Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.. Il controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente denuncia, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.), la nullità della sentenza e dell’intero procedimento (art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.), nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. ), in relazione all’interpretazione dell’art. 15 della L.R. n. 78/76 e dell’art. 57 della L.R. n. 71/78, al carattere illegittimo, attribuito dalla Corte di Appello, alla sospensione dei lavori e al conseguente diritto al risarcimento del danno riconosciuto all’impresa. In particolare il ricorrente afferma che: a) le prescrizioni previste dall’art. 15 della legge regionale 12 giugno 1976 n. 78 dovevano essere osservate dai Comuni esclusivamente in sede di formazione degli strumenti urbanistici generali, e non anche in sede di rilascio delle concessioni
edilizie, e la destinazione urbanistica dell’area su cui doveva essere realizzata la piscina era stata approvata prima dell’entrata in vigore della legge regionale 12 giugno 1976 n. 78, sicché il Comune non poteva e non doveva richiedere alcun nulla osta, a nulla rilevando l’art. 2, comma 3 della l. r. siciliana n. 15/91, che non avrebbe efficacia retroattiva, benché le disposizioni di cui all’art. 15 della L.R. n. 78/76 dovessero intendersi immediatamente efficaci anche nei confronti dei privati (prevalendo sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi); b) la deroga di cui all’art. 16 della L.R. n. 78/76 deve essere richiesta solo per gli indici di densità fissati dalle lettere b) e c) dell’art. 15 e non anche per le distanze di cui alla lettera a); c) sulla base dell’art. 30 del DPR n. 1063/62 la sospensione di un cantiere non può essere considerata illegittima se disposta in conseguenza di un sequestro penale ingiustificato, allorquando l’Ente appaltante abbia rispettato l’iter amministrativo propedeutico alla realizzazione dell’opera.
2. Il ricorrente denuncia, con il secondo motivo, l a violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.), la nullità della sentenza e dell’intero procedimento (art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.), nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. ), in relazione all’onere della prova e all’ammissibilità ed utilizzabilità della C.T.U. cosiddetta ‘ percipiente’ . In particolare il ricorrente afferma che la consulenza tecnica d’ufficio non può essere disposta al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume e non può farsi ricorso ad una consulenza cosiddetta percipiente per determinare il danno patito, come assume avvenuto nel caso di specie, dal che discenderebbe la nullità della sentenza impugnata. 3. Con il terzo motivo, il Comune denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc.
civ.), la nullità della sentenza e dell’intero procedimento (art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.), nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.), in relazione all’onere della prova e all’ammissibilità e alla determinazione delle ‘ spese generali’ . In particolare il ricorrente afferma che nel periodo anteriore all’entrata in vigore dell’art. 25 del D.M. n. 145/2000 le diminuzioni patrimoniali sofferte dall’impresa appaltatrice presupponevano la prova del fatto che il cantiere fosse rimasto aperto, le spese generali dovevano essere ridotte in relazione al decorso del tempo, essendo illogico liquidarle in percentuale identica, e l’impresa era onerata dell’obbligo di fornire la prova precisa e puntuale del danno subito ed aveva l’onere di curarsi dell’eccessivo prolungamento del fermo cantiere per non aggravare il danno.
L’Ente ricorrente denuncia, con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.), la nullità della sentenza e dell’intero procedimento (art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.), nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. ), in relazione all’onere della prova e all’ammissibilità e alla determinazione del ‘ mancato utile’ . In particolare il ricorrente afferma che nel periodo anteriore all’entrata in vigore dell’art. 25 del D.M. n. 145/2000 il danno da mancato utile non poteva essere riconosciuto in via presuntiva, a prescindere dalla prova del danno medesimo, essendo necessaria una dimostrazione rigorosa, tale da consentire una valutazione probabilistica e non in termini di mera possibilità (guadagno meramente potenziale e ipotetico).
C on il quinto motivo, il Comune lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.), la nullità della sentenza e dell’intero procedimento (art. 360,
comma 1, n. 4 cod. proc. civ.), nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. ), in relazione al riconoscimento degli interessi sull’intera somma liquidata. Il Comune afferma che la Corte di Appello avrebbe riconosciuto gli interessi sulla somma liquidata in assenza di specifica domanda sul punto nell’atto introduttivo.
In via pregiudiziale, occorre precisare che non è ragione di inammissibilità del ricorso per cassazione l’illustrazione dei motivi con la formulazione dei quesiti di diritto, ai sensi dell’abrogato art. 366-bis cod. proc. civ., seppur non richiesti dalla norma processuale applicabile ratione temporis , secondo la disciplina transitoria dettata dall’art. 58, quinto comma, della legge 18 giugno 2009, n. 69, per essere stata la sentenza impugnata pubblicata successivamente all’entrata in vigore di tale legge. Va infatti ribadito che ‘ esclusa qualsivoglia invalidità espressa, anche la nullità a rilevanza variabile, prevista dall’art. 156, secondo comma, cod. proc. civ., in relazione al difetto dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo, non è configurabile nel caso in cui l’atto, munito del contenuto prescritto dalla legge, contenga altresì elementi sovrabbondanti, ma privi di riflesso negativo su quelli essenziali’ (Cass.16122/2012) .
Il primo motivo di ricorso, vertente sull’illegittimità della sospensione dei lavori, per l’esistenza di un vincolo di inedificabilità richiedente una autorizzazione preventiva il cui onere era a carico del Comune appaltante, è infondato.
In tema di disciplina urbanistica nella Regione Siciliana, invero, la legge regionale della Sicilia n. 78 del 1976, originariamente indirizzata alle sole Amministrazioni, e poi estesa, dall’art. 2, comma terzo, della legge reg. Sicilia n. 15 del 1991 (che l’ha voluta prevalente anche rispetto ai P.R.G ed ai regolamenti comunali) anche ai privati, impone una fascia di rispetto di 150 metri dalla
battigia del mare, all’interno della quale sono consentite solo opere ed impianti destinati alla fruizione del mare nonché opere di ristrutturazione degli edifici esistenti, senza alterazione di volumi (Cass. 6173/2003). In tema di disciplina urbanistica della Regione Siciliana, il divieto assoluto di edificabilità nelle zone costiere fino a 150 metri dalla linea di battigia, stabilito dalla legge Regione Siciliana 12 giugno 1976, n. 78 – la cui violazione inibisce la possibilità di rilascio di concessione edilizia o autorizzazione in sanatoria, per il disposto dell’art. 23 della legge Regione Siciliana n. 37 del 1985 – è rivolto, quindi, non soltanto agli enti locali ma anche ai privati, in virtù dell’interpretazione autentica che della norma ha dato l’art. 2 della legge reg. 30 aprile 1991, n. 15 (Cass. 27129/2006).
La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, precisando anche che la regolarizzazione- autorizzazione in derogaavrebbe dovuto effettuarsi prima di stipulare il contratto nel 1997 (pag.11 sentenza) e che, in ogni caso, il precetto di cui all’art.2 L.R. n.15/1991 è norma interpretativa, quindi con efficacia retroattiva, come da giurisprudenza amministrativa richiamata nella sentenza impugnata, e prevale sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali, essendo stato pacificamente accertato in fatto che la sospensione era avvenuta a causa del sequestro penale, proprio perché mancavano le autorizzazioni necessarie all’esecuzione dell’opera.
8. Il secondo motivo è inammissibile.
Secondo l’orientamento di questa Corte che il Collegio condivide, in tema di risarcimento del danno, è possibile assegnare alla consulenza tecnica d’ufficio ed alle correlate indagini peritali funzione “percipiente” quando essa verta su elementi già allegati dalla parte, ma che soltanto un tecnico sia in grado di accertare per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone (Cass. 13736/2020; Cass. 1190/2015).
Nella specie, la Corte d’appello ha accertato, in fatto, che l’impresa appaltatrice aveva «allegato in modo puntuale le voci risarcitorie e quelle restitutorie», e la censura sul punto è impropriamente diretta a sollecitare il riesame del merito.
9. I motivi terzo e quarto, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, in quanto vertenti sulla debenza di spese generali ed utili non conseguiti che non sarebbero stati dimostrati dall’impresa, a seguito dell’illegittima sospensione dei lavori da parte della stazione appaltante, sono infondati e in parte inammissibili.
In tema di appalto di opere pubbliche, fin dall’entrata in vigore del d. m. 29 maggio 1895, n. 257, nel caso di illegittima sospensione dei lavori, sono dovuti all’appaltatore a titolo risarcitorio ed in via automatica e presuntiva gli utili non conseguiti e le spese generali, ove il committente, con il proprio comportamento ne abbia determinato un aggravio, considerando che l’art. 34 del d.P.R. n. 554 del 1999 prevede per tale voce il 10% del prezzo dell’appalto (Cass. 27690/2023). In tema di appalto di opere pubbliche, fin dall’entrata in vigore del d. m. 29 maggio 1895 n. 257, nel caso di illegittima sospensione dei lavori sono dovuti all’appaltatore a titolo risarcitorio ed in via automatica e presuntiva (quindi anche se il danno non è provato) le spese generali e gli utili non conseguiti, ove il committente, con il proprio comportamento, ne abbia determinato l’aggravio, essendo tali voci inerenti all’azienda e allo stesso impianto del cantiere (Cass. 14779/2020; Cass. 27690/2023).
La Corte territoriale si è attenuta a questi principi e non ricorrono affatto i denunciati vizi di violazione di legge e di omesso esame di fatti decisivi, genericamente dedotti senza esplicitare una critica compiuta e pertinente al decisum sul punto, in particolare dovendosi rimarcare che la valutazione probatoria è stata presuntiva, sui mancati utili, e non è stata affatto censurata in
relazione all’applicabilità del meccanismo presuntivo nei termini precisati.
10. Il quinto motivo è infondato.
La Corte territoriale ha riconosciuto correttamente gli interessi sulla somma via via rivalutata, trattandosi di debito di valore conseguente ad inadempimento contrattuale, nel quale gli interessi compensativi vanno liquidati a prescindere dalla domanda. L’obbligazione di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale costituisce un debito, non di valuta, ma di valore, sicché va riconosciuto il cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi compensativi, questi ultimi da liquidare applicando al capitale rivalutato anno per anno un saggio individuato in via equitativa (Cass. 1627/2022; Cass. 37798/2022).
11. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto (Cass. S.U. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, che liquida in € 8.200,00, di cui €200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima sezione