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Appalto pubblico: limiti del giudice e onere della prova

In una complessa vicenda relativa a un appalto pubblico per la costruzione di un centro intermodale, la Corte di Cassazione ha chiarito importanti principi procedurali. La controversia, nata da imprevisti geologici e terminata in arbitrato, ha visto una serie di impugnazioni. La Suprema Corte ha stabilito che il giudice ordinario può sindacare la legittimità degli atti di risoluzione contrattuale della P.A., ha confermato la flessibilità dell’arbitrato nell’ammettere nuove domande e ha precisato i criteri di ripartizione delle spese arbitrali, accogliendo parzialmente il ricorso del Comune solo su quest’ultimo punto.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Appalto pubblico: la Cassazione sui limiti del giudice e le procedure arbitrali

La gestione di un appalto pubblico è un terreno complesso, dove le questioni tecniche si intrecciano con intricate vicende legali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione illumina alcuni aspetti procedurali cruciali, in particolare riguardo la risoluzione delle controversie tramite arbitrato e i poteri del giudice ordinario nei confronti degli atti della Pubblica Amministrazione. Analizziamo una vicenda che, partita dalla costruzione di un centro intermodale, è approdata fino al massimo grado di giudizio, offrendo spunti fondamentali per operatori del settore e legali.

I fatti di causa

Tutto ha inizio con un contratto d’appalto stipulato nel 1993 tra un Comune e un’impresa di costruzioni per la realizzazione di un’importante opera pubblica. Il progetto, però, incontra ostacoli imprevisti: una “sorpresa geologica” e smottamenti superficiali dovuti a piogge eccezionali. L’impresa chiede la risoluzione del contratto, ma il Collegio Arbitrale, attivato come previsto, respinge la richiesta, ritenendo che il contratto si fosse sciolto per mutuo consenso e condannando il Comune a pagare un equo compenso.

Questa decisione (il lodo arbitrale) dà il via a un lungo iter giudiziario. Il Comune impugna il lodo davanti alla Corte d’Appello, che respinge l’impugnazione. La questione arriva per la prima volta in Cassazione, che nel 2016 accoglie la maggior parte dei motivi del Comune e cassa la sentenza, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello.

La Corte d’Appello, in sede di rinvio, nel 2019 dichiara la nullità parziale del lodo arbitrale ma, ricalcolando le somme, condanna nuovamente il Comune a pagare un importo significativo all’impresa. Contro questa nuova sentenza, entrambe le parti propongono ricorso in Cassazione, dando origine alla pronuncia che analizziamo oggi.

Appalto pubblico e giurisdizione: i poteri del giudice

Uno dei nodi centrali del ricorso del Comune riguardava la presunta inammissibilità delle domande risarcitorie dell’impresa a seguito di un provvedimento di risoluzione per inadempimento emesso dal Comune stesso in autotutela. Il Comune sosteneva che tale atto amministrativo precludesse al giudice ordinario di valutare le richieste economiche dell’impresa.

La Cassazione ha rigettato questa tesi, ribadendo un principio fondamentale: il provvedimento di rescissione in danno, sebbene sia un atto amministrativo, incide su posizioni di diritto soggettivo nascenti dal contratto. Pertanto, le controversie sulla sua legittimità e sui suoi effetti patrimoniali rientrano pienamente nella giurisdizione del giudice ordinario, che ha il potere di valutarlo e, se necessario, disapplicarlo per decidere sulla fondatezza delle pretese contrattuali.

La flessibilità del procedimento arbitrale

Un altro tema di scontro era l’ammissibilità di una domanda di pagamento per lavori extra, introdotta dall’impresa solo in corso di arbitrato. Il Comune ne lamentava la tardività, invocando le rigide preclusioni tipiche del processo civile ordinario.

Anche su questo punto, la Corte ha dato torto al Comune. Ha chiarito che, salvo diversa volontà delle parti, il procedimento arbitrale è molto più flessibile. Gli arbitri possono regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengono più opportuno, consentendo alle parti di modificare e ampliare le domande iniziali, purché sia sempre garantito il principio del contraddittorio. La normativa transitoria applicabile al caso, successiva al vecchio e rigido regolamento per gli arbitrati in lavori pubblici, ha ulteriormente liberalizzato queste procedure, allineandole alle regole generali del codice di procedura civile.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione fonda le sue decisioni su principi cardine dell’ordinamento. In primo luogo, riafferma la distinzione tra giurisdizione ordinaria e amministrativa: mentre gli atti di affidamento di un appalto pubblico rientrano nella sfera del giudice amministrativo, tutta la fase esecutiva del contratto, comprese le controversie su inadempimenti e pagamenti, appartiene al giudice ordinario. L’atto di autotutela con cui la P.A. risolve il contratto non sottrae la materia alla cognizione del giudice dei diritti soggettivi.

In secondo luogo, la Corte valorizza la natura dell’arbitrato come strumento flessibile di risoluzione delle controversie. Le norme procedurali rigide, come quelle sulle preclusioni istruttorie (art. 183 c.p.c.), non si applicano automaticamente, a meno che non siano state espressamente richiamate dalle parti nel compromesso. L’unico limite invalicabile è il rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio, che nel caso di specie era stato garantito.

Infine, la Corte ha accolto l’unico motivo fondato del Comune, relativo alla restituzione di una parte delle spese arbitrali. Il Comune aveva versato i 2/3 delle spese in esecuzione del primo lodo, ma la sentenza d’appello finale le aveva compensate integralmente, stabilendo un riparto al 50%. La Corte d’Appello, però, aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda di restituzione della differenza. La Cassazione, decidendo nel merito, ha condannato l’impresa a restituire al Comune la quota eccedente (un sesto del totale), con interessi legali.

Le conclusioni

L’ordinanza offre importanti indicazioni pratiche. Per le stazioni appaltanti, emerge che l’esercizio del potere di autotutela per risolvere un contratto non le pone al riparo dal sindacato del giudice ordinario sulle conseguenze economiche di tale atto. Per le imprese, viene confermata la possibilità di articolare e precisare le proprie pretese economiche anche in corso di arbitrato, sfruttando la flessibilità del procedimento. La decisione sottolinea, in definitiva, la centralità del contratto e delle norme civilistiche nella fase esecutiva di un appalto pubblico, bilanciando i poteri della P.A. con le tutele giurisdizionali garantite ai privati.

Il giudice ordinario può sindacare un atto di risoluzione contrattuale emesso in autotutela da una Pubblica Amministrazione in un appalto pubblico?
Sì. La Corte di Cassazione ha ribadito che, poiché l’atto di risoluzione incide su diritti soggettivi derivanti dal contratto, le contestazioni sulla sua legittimità e sui suoi effetti patrimoniali rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, che può valutarlo per decidere sulla controversia contrattuale.

È possibile presentare nuove domande economiche durante un procedimento arbitrale già iniziato?
Sì. A differenza del processo civile ordinario, l’arbitrato è governato da principi di maggiore flessibilità. Se non diversamente pattuito dalle parti, è consentito modificare e ampliare le domande iniziali, a condizione che sia sempre rispettato il principio del contraddittorio, ovvero il diritto di difesa della controparte.

Cosa succede se una sentenza che compensa le spese non ordina la restituzione di quanto già pagato in eccesso da una parte?
Si verifica un vizio di omessa pronuncia. La parte che ha pagato più del dovuto ha diritto alla restituzione della differenza. In questo caso, la Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso su questo punto e, decidendo nel merito, ha condannato la controparte a restituire la somma eccedente versata per le spese arbitrali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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