Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3698 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3698 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31307/2019 R.G . proposto da:
COMUNE di ANCONA , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrente ricorrente incidentale-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2571/2019 depositata il 16.4.2019.
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21.12.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. La controversia scaturisce da un contratto di appalto stipulato il 9.5.1993 fra il RAGIONE_SOCIALE di Ancona e l’RAGIONE_SOCIALE appaltatrice (in difetto di più chiare indicazioni delle parti, secondo la sentenza impugnata, la RAGIONE_SOCIALE, poi divenuta RAGIONE_SOCIALE, e poi ancora la RAGIONE_SOCIALE) per la realizzazione di RAGIONE_SOCIALE di costruzione del Centro Intermodale di scambio per il trasporto pubblico e la stabilizzazione del versante a monte dell’area della ex RAGIONE_SOCIALE -1° stralcio funzionale, per l’importo complessivo di € 6.558.399,90 oltre i.v.a. e, in particolare, la costruzione di due stabili, previa esecuzione di opere di stabilizzazione e consolidamento dell’area di sedime.
L’impresa si è rivolta con domanda di arbitrato al RAGIONE_SOCIALE Arbitrale previsto dall’art.28 del contratto e a tale domanda ha resistito il RAGIONE_SOCIALE di Ancona.
Con lodo del 15.7.2009 il RAGIONE_SOCIALE Arbitrale così investito ha respinto la domanda di risoluzione del contratto avanzata dall’RAGIONE_SOCIALE appaltatrice per la non riconducibilità a colpa del RAGIONE_SOCIALE della sorpresa geologica (rinvenimento di una cavità antropica) e degli smottamenti superficiali del terreno a monte del cantiere, dovuto a precipitazioni eccezionali; ha ritenuto che il contratto si fosse sciolto per mutuo consenso; ha riconosciuto all’impresa un equo compenso per i maggiori oneri sostenuti; ha condannato il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Ancona a pagarle la somma di €
3.574.798,65, oltre accessori, ripartendo le spese arbitrali per 2/3 a carico del RAGIONE_SOCIALE e per 1/3 a carico dell’impresa.
Il predetto lodo è stato impugnato dinanzi alla Corte di appello di Roma in via principale dal RAGIONE_SOCIALE e in via incidentale dall’RAGIONE_SOCIALE. La Corte romana con sentenza del 13.6.2013 ha respinto l’impugnazione principale e ha dichiarato assorbita quella incidentale.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Ancona ha proposto ricorso per cassazione a cui ha resistito l’impresa (in quel momento RAGIONE_SOCIALE). Con sentenza n.2984 del 2016 la Corte di Cassazione ha accolto sette dei dieci motivi di ricorso e ha cassato con rinvio la sentenza
impugnata.
La Cassazione: a) ha ritenuto assorbita la questione legata alla interpretazione dell’art.27 del d.lgs.40/2006; b) ha ravvisato omessa pronuncia sulla difesa del RAGIONE_SOCIALE volta a far valere la volontà espressa dalle parti nella clausola di richiamo della disciplina dell’arbitrato vigente al momento della sua sottoscrizione; c) ha ritenuto la sussistenza di omesso esame, omessa motivazione, ultra-petizione e violazione del contraddittorio rispetto ai motivi di impugnazione del lodo in tema di risoluzione per mutuo consenso ed equo compenso ex art.1664, comma 2, cod.civ.; d) ha sanzionato infine l’omessa pronuncia sui motivi di impugnazione del RAGIONE_SOCIALE diretti a far valere l’omessa pronuncia RAGIONE_SOCIALE sulla questione di inammissibilità per tardività della questione di illegittimità del provvedimento di risoluzione adottato dal RAGIONE_SOCIALE in autotutela.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Ancona ha riassunto il giudizio, riproponendo le proprie domande e instando per la restituzione di quanto medio tempore corrisposto a controparte a causa dell’efficacia esecutiva del lodo, e RAGIONE_SOCIALE, nel frattempo subentrata, ha riproposto essa pure le proprie richieste.
Con sentenza del 16.4.2019 la Corte di appello di Roma ha dichiarato la nullità del lodo nella parte in cui ha accertato la risoluzione del contratto per mutuo consenso e ha condannato il RAGIONE_SOCIALE al pagamento di somme in favore della impresa appaltatrice; nel giudizio rescissorio ha condannato il RAGIONE_SOCIALE a pagare a RAGIONE_SOCIALE la somma di € 1.097.477.45, oltre interessi e interessi anatocistici; ha quindi disposto la restituzione delle somme percepite in eccedenza dall’impresa; ha infine compensato fra le parti le spese del giudizio.
A tal fine la Corte di appello:
ha affermato che la decisione RAGIONE_SOCIALE era passata in giudicato quanto al rigetto della domanda di risoluzione per inadempimento proposta dall’RAGIONE_SOCIALE e ai quesiti da essa proposti;
ha riconosciuto l’applicabilità alla fattispecie del terzo comma dell’art.829 cod.proc.civ. e ha ritenuto che il rinvio per relationem operato dalla clausola compromissoria fosse del tipo «fisso, ossia alle disposizioni richiamate nel loro contenuto storicamente obiettivato, e non del tipo «mobile», con la conseguente insensibilità alle successive variazioni normative;
ne ha tratto la conseguenza dell’ammissibilità dell’impugnazione per violazione delle regole di diritto;
ha ritenuto la nullità della decisione RAGIONE_SOCIALE per l’introduzione del tema della risoluzione per mutuo consenso per ultra-petizione e violazione del contraddittorio;
ha ravvisato il giudicato sull’esclusione della responsabilità del RAGIONE_SOCIALE, in difetto di impugnazione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE e nella ritenuta irrilevanza della mera riproposizione dei quesiti, non sorretta dalla proposizione di rituali censure;
ha ritenuto irrilevante la questione della disapplicazione del provvedimento amministrativo di risoluzione del contratto disposta il 20.11.2007 dal RAGIONE_SOCIALE;
ha riconosciuto all’RAGIONE_SOCIALE l’importo di € 310.957,17 per RAGIONE_SOCIALE extracontrattuali, oggetto dei quesiti 6,7,9,11 e delle riserve 5,6,8,10;
ha riconosciuto all’RAGIONE_SOCIALE la somma di € 163.436,72, quanto alla domanda di cui al quesito 14;
ha riconosciuto all’RAGIONE_SOCIALE l’importo di € 551.183,36 per RAGIONE_SOCIALE eseguiti dopo il sesto SAL ed € 63.900,20 per materiali a piè d’opera e lavorazioni a misura;
ha escluso la rivalutazione sulle somme riconosciute e attribuito gli interessi moratori come per legge fissandone la decorrenza, e gli interessi anatocistici;
ha disposto per plurime e concorrenti ragioni la compensazione integrale delle spese.
Avverso la predetta sentenza del 16.4.2019, non notificata, con atto notificato l’11 -14.10.2019 ha proposto ricorso per cassazione il RAGIONE_SOCIALE di Ancona, svolgendo diciassette motivi.
Con atto notificato il 25.11.2019 ha proposto controricorso e ricorso incidentale la RAGIONE_SOCIALE, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione e instando, a sua volta, con il supporto di quattro motivi, per la cassazione della sentenza impugnata.
Con controricorso notificato il 27.12.2019 il RAGIONE_SOCIALE di Ancona ha resistito al ricorso incidentale avversario.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Ancona ha presentato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Entrambi i ricorsi, principale e incidentale, sono caratterizzati da una esposizione dei fatti di causa piuttosto lacunosa e frammentaria, che rasenta -pur non raggiungendola -l’inammissibilità ex art.366, comma 1, n.3, cod. proc. civ. poiché ha comunque permesso alla Corte di ricostruire e comprendere, sia pur con qualche sforzo, la complicata vicenda processuale, le domande e le impugnazioni delle parti e le decisioni di arbitri e giudici.
I primi quattro motivi di ricorso principale sono connessi e ruotano tutti in ordine alla pretesa inammissibilità dell’esame delle petizioni risarcitorie avanzate con le riserve da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, accolte, sia pur parzialmente, dalla Corte di appello, giudice del rinvio.
Essi possono quindi essere esaminati congiuntamente, sia pur con la necessaria attenzione ai differenziati profili di censura proposti con i quattro mezzi.
Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art.136 del d.lgs. 163 del 2006 (già art.119 del d.p.r. 554 del 1999) e in subordine, ex art.360, comma 1, n.4, cod. proc. civ., degli artt.384, comma 1, 394 cod. proc. civ.
Il ricorrente censura la sentenza per aver riconosciuto gli importi di cui ai quesiti avversari n. 6,7,9,11,14 e 17 perché in caso di rescissione/risoluzione disposta in autotutela dalla Pubblica Amministrazione potrebbero essere attribuiti solo gli importi riconosciuti dal Direttore RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia, allo stesso riguardo, nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’art.112 cod. proc. civ., in ordine alla necessità dell’integrale
rigetto della domanda RAGIONE_SOCIALE di controparte per effetto del giudicato e della approvazione del provvedimento di autotutela e della conclusione del relativo procedimento, nonché, in subordine, per omessa motivazione.
Con il terzo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia allo stesso riguardo omesso esame di un fatto decisivo rappresentato dall’avvenuta approvazione del collaudo finale a conclusione del procedimento con il rigetto delle riserve oggetto dei predetti quesiti.
Con il quarto motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art.4 della legge 20.3.1865 n.2248, all.E, degli artt.21 bis , ter e quater della legge 241 del 1990, degli artt.138, commi 2 e 3, 141, comma 9, del d.lgs. 163 del 2006, 32 e 33 del d.m.145 del 1999, in ragione della illegittima disapplicazione disposta del provvedimento di autotutela e del recepimento del collaudo finale da parte del RAGIONE_SOCIALE.
L’art.119 del d.p.r. 21/12/1999 n. 554, applicabile ratione temporis, in tema di « Risoluzione del contratto per grave adempimento, grave irregolarità e grave ritardo » disponeva:
« 1. Quando il direttore dei RAGIONE_SOCIALE accerta che comportamenti dell’appaltatore concretano grave inadempimento alle obbligazioni di contratto tale da compromettere la buona riuscita dei RAGIONE_SOCIALE, invia al responsabile del procedimento una relazione particolareggiata, corredata dei documenti necessari, indicando la stima dei RAGIONE_SOCIALE eseguiti regolarmente e che devono essere accreditati all’appaltatore.
Su indicazione del responsabile del procedimento il direttore dei RAGIONE_SOCIALE formula la contestazione degli addebiti all’appaltatore, assegnando un termine non inferiore a quindici giorni per la
presentazione delle proprie controdeduzioni al responsabile del procedimento.
Acquisite e valutate negativamente le predette controdeduzioni, ovvero scaduto il temine senza che l’appaltatore abbia risposto, la stazione appaltante su proposta del responsabile del procedimento dispone la risoluzione del contratto.
Qualora, al fuori dei precedenti casi, l’esecuzione dei RAGIONE_SOCIALE ritardi per negligenza dell’appaltatore rispetto alle previsioni del programma, il direttore dei RAGIONE_SOCIALE gli assegna un termine, che, salvo i casi d’urgenza, non può essere inferiore a dieci giorni, per compiere i RAGIONE_SOCIALE in ritardo, e dà inoltre le prescrizioni ritenute necessarie. Il termine decorre dal giorno di ricevimento della comunicazione.
Scaduto il termine assegnato, il direttore dei RAGIONE_SOCIALE verifica, in contraddittorio con l’appaltatore, o, in sua mancanza, con la assistenza di due testimoni, gli effetti dell’intimazione impartita, e ne compila processo verbale da trasmettere al responsabile del procedimento.
Sulla base del processo verbale, qualora l’inadempimento permanga, la stazione appaltante, su proposta del responsabile del procedimento, delibera la risoluzione del contratto .»
Tali disposizioni sono state sostituite da quelle, sostanzialmente analoghe, contenute nell’art.136 del d.lgs. 12.4.2006, n. 163, entrato in vigore prima della costituzione del collegio RAGIONE_SOCIALE, ma ben dopo l’appalto de quo, stipulato il 9.5.2003.
In buona sostanza, secondo il RAGIONE_SOCIALE di Ancona, in caso di rescissione in danno all’appaltatore potrebbero essere accreditate all’impresa appaltatrice solo le somme riconosciute dal direttore dei RAGIONE_SOCIALE.
Tale assunto non trova riscontro nel testo della norma, che si limita ad attribuire al direttore dei RAGIONE_SOCIALE il compito di indicare la stima dei RAGIONE_SOCIALE eseguiti regolarmente e che devono essere accreditati
all’appaltatore, e non certo il potere di decidere insindacabilmente a tal proposito.
Il predetto assunto, privo di base normativa, contrasta comunque con il principio espresso nella legge fondamentale dei RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 22.3.1865, n.2248, Allegato F, art.340, abrogato solo con decorrenza 1.7.2006, secondo il quale l’Amministrazione è in diritto di rescindere il contratto, quando l’appaltatore si renda colpevole di frode o di grave negligenza e contravvenga agli obblighi e alle condizioni stipulate e in questi casi l’appaltatore avrà ragione soltanto al pagamento dei RAGIONE_SOCIALE eseguiti regolarmente.
Nel caso, poi, la rescissione in danno è stata disposta dall’Amministrazione quando ormai l’RAGIONE_SOCIALE aveva già proposto la sua domanda di arbitrato per la corresponsione delle somme oggetto di riserva.
Né diversamente potrebbe opinarsi alla luce di quanto affermato al p.1.6 della sentenza 2984/2016 di questa Corte, laddove è stato affermato « Identiche considerazioni vanno ripetute in merito all’attribuzione all’impresa dell’indennizzo e/o dell’equo compenso di cui all’art. 1664 c.c., comma 2, peraltro del tutto incompatibili con il provvedimento di rescissione/risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’appaltatore di cui al D.P.R. n. 554 del 1999, citato art. 119, che gli conferisce il solo diritto al pagamento “dei RAGIONE_SOCIALE eseguiti regolarmente” come attestati e stimati dalla D.L. (comma 1 ).»
Tale affermazione vale a confermare il diritto dell’impresa al pagamento dei RAGIONE_SOCIALE già eseguiti e non esclude affatto che la stima del direttore dei RAGIONE_SOCIALE non possa essere oggetto di sindacato in sede giurisdizionale ordinaria.
11. Per altro verso, è il caso di aggiungere che la giurisprudenza di questa Corte, richiamata anche nella sentenza rescindente, ha più volte affermato che in materia di appalto di opere pubbliche, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo
le controversie derivanti dalle procedure di affidamento dei RAGIONE_SOCIALE, mentre per quelle che traggono origine dall’esecuzione del contratto non è stata introdotta alcuna deroga alla giurisdizione del giudice ordinario.
Pertanto, poiché il provvedimento di rescissione in danno, ancorché rivestito delle forme dell’atto amministrativo, costituisce una forma di autotutela della pubblica amministrazione incidente su posizioni di diritto soggettivo, le contestazioni che investono il legittimo esercizio di tale forma di autotutela appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario (in tal senso: Sez. U, n. 19787 del 23.12.2003; vedi anche Sez.U. n.27170 del 20.12.2006).
È stato poi ribadito che la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie inerenti ai diritti ed agli obblighi derivanti da un contratto d’appalto d’opere pubbliche non resta esclusa per il fatto che il committente si sia avvalso della facoltà di rescindere il rapporto, ai sensi dell’art. 340 della legge n. 2248 del 1865, all. F, attesa l’inidoneità dell’atto rescindente ad incidere sulle posizioni soggettive nascenti dal contratto ed aventi, per ciò stesso, consistenza di diritti soggettivi. Ne consegue che detto provvedimento, ancorché rivestito delle forme dell’atto amministrativo, non cessa di operare nell’ambito delle paritetiche posizioni contrattuali, onde le contestazioni che investono l’esercizio di tale forma d’autotutela appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario. (Sez. U, n. 6992 del 5.4.2005).
Sotto altro profilo, poi, il RAGIONE_SOCIALE ricorrente lamenta la violazione del principio di diritto sancito dalla sentenza n.2984 del 2016 della Cassazione per quanto dalla stessa pronuncia affermato alle pagina 19, laddove la Corte, nel censurare la dichiarazione della risoluzione per mutuo dissenso, ha affermato « Il quale vizio nel caso ha comportato la conseguenza ulteriore e del tutto abnorme che, malgrado il confermato rigetto della domanda di
risoluzione dell’impresa avesse reso definitivo il provvedimento amministrativo di rescissione/risoluzione adottato dal comune – in tal modo concludendo la vicenda contrattuale in via amministrativa – detto atto di autotutela è stato di fatto revocato e sostituito “dalla statuizione di risoluzione per mutuo dissenso” (pag. 8 sent.) in violazione del noto divieto di annullamento o di revoca del provvedimento amministrativo imposto al giudice ordinario dall’art. 4 legge abol. cont. amm. (Cass. sez. un. 5841/1984; 12247; 976; 1531/1972).»
13. La censura così sollevata è infondata.
In disparte il fatto che il rilievo così articolato non enuncia un principio di diritto e rappresenta un mero obiter dictum in chiave argomentativa, la Corte si è limitata ad affermare che il rigetto della domanda di risoluzione per inadempimento proposta dall’impresa aveva concluso la vicenda in via ( rectius: in sede) amministrativa, per ribadire la non ammissibilità della pronuncia dichiarativa della risoluzione per mutuo consenso, ma non ha affatto escluso che nella sede giurisdizionale competente, e cioè dinanzi al giudice ordinario, fra l’altro preventivamente adito, l’impresa potesse coltivare le proprie petizioni risarcitorie per i RAGIONE_SOCIALE eseguiti anteriormente.
E del resto nella stessa sentenza è stato ribadito che « E quindi, e soprattutto, perché lo stesso, costituendo come è noto, espressione della potestà dell’amministrazione, di caducare attraverso uno strumento autoritativo e RAGIONE_SOCIALEstico (Cass. 1642/1998) il contratto quando l’appaltatore si renda colpevole di grave inadempimento (in passato di frode o di grave negligenza o di contravvenzione agli obblighi ed alle condizioni stipulate cfr. Cass. 8534/2000), si conclude con un provvedimento amministrativo di autotutela decisoria che – pur incidendo sul rapporto di diritto privato-, in tale ambito esaurisce i suoi effetti (Cass. sez. un. 27170/2006; 19787/2003): senza influire sui mezzi giurisdizionali
di tutela attribuiti alle parti del contratto dagli artt. 1453 c.c. e segg., né condizionarne la conseguente condotta processuale .»
14. Le esposte considerazioni sono sufficienti a giustificare il rigetto del secondo motivo di ricorso, con qualche ulteriore precisazione.
Il RAGIONE_SOCIALE lamenta da un lato omessa pronuncia, dall’altro omessa o apparente motivazione, sulla sua eccezione di giudicato interno (di cui si è detto supra ) e sulla sua eccezione di non disapplicabilità dell’atto di rescissione /risoluzione in danno approvato con delibera n.600 del 2017.
La doglianza presenta profili di infondatezza commisti a profili di inammissibilità.
La Corte di appello ha risposto, dapprima a pagina 5, assumendo che il provvedimento in autotutela esercitava i suoi effetti nell’ambito privatistico e ben poteva essere oggetto di contestazione dinanzi alla autorità giudiziaria per ragioni sostanziali e processuali; ha risposto ancora a pagina 6, laddove ha escluso di poter procedere alla disapplicazione del provvedimento amministrativo nel caso in esame (perché, a suo dire, la risoluzione del contratto costituiva proprio l’oggetto della controversia), ma non ha disapplicato il provvedimento de quo , considerato come mero elemento di prova da valutare in sede di decisione (pag.7).
Poiché la Corte di appello non ha disapplicato il provvedimento in questione la ricorrente non ha interesse a dolersi del mancato esame di una eccezione di non disapplicabilità.
In sintesi, la Corte ha spiegato e motivato perché il provvedimento non era vincolante e comunque non lo ha disapplicato.
15. Con il terzo motivo il RAGIONE_SOCIALE ha prospettato il vizio di omesso esame di un fatto decisivo rappresentato dall’avvenuta approvazione del collaudo finale a conclusione del procedimento con il rigetto delle riserve oggetto dei predetti quesiti.
Il motivo è inammissibile perché il fatto non era decisivo e neppur rilevante, tenuto conto della avvenuta formulazione delle riserve e
del fatto che il collaudo era stato approvato il 15.9.2010 successivamente alla proposizione della domanda di arbitrato.
Con il quarto motivo di ricorso principale (per vero diversamente rubricato in sintesi introduttiva e in parte argomentativa) proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art.4 della legge 20.3.1865 n.2248, all.E, degli artt.21 bis , ter e quater della legge 241 del 1990, degli artt.138, commi 2 e 3, 141 , comma 9 del d.lgs. 163 del 2006, 32 e 33 del d.m.145 del 1999 in ragione della illegittima disapplicazione disposta del provvedimento di autotutela e del recepimento del collaudo finale da parte del RAGIONE_SOCIALE.
Come sopra osservato, non è stata disposta alcuna disapplicazione e i provvedimenti in questione non vincolavano affatto il giudice ordinario.
I successivi motivi del ricorso principale sono presentati in linea subordinata.
I motivi quinto e sesto sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente.
Con il quinto motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod.proc.civ., il RAGIONE_SOCIALE ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione del giudicato interno quanto all’accoglimento del quesito n.19 e in subordine deduce nullità della sentenza per motivazione inesistente, poiché erano stati riconosciuti gli interessi anatocistici nonostante l’affermazione iniziale del passaggio in giudicato del rigetto dei quesiti posti dall’appaltatore.
Con il sesto motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia violazione dell’art.2909 cod.civ. nel caso in cui il giudicato del lodo rappresentasse un giudicato esterno.
18. La contraddizione lamentata non sussiste.
La Corte di appello ha riconosciuto che era passata in giudicato la statuizione circa l’assenza di responsabilità del RAGIONE_SOCIALE rispetto alla vicenda contrattuale e il rigetto della domanda di risoluzione del contratto per fatto e colpa del RAGIONE_SOCIALE; ha altresì osservato che era passata in giudicato la decisione RAGIONE_SOCIALE in relazione ai quesiti posti dall’appaltatore ed espressamente respinti (pag.3 della sentenza impugnata).
Non è men vero, tuttavia, che gli arbitri avevano respinto il quesito n. 19 e con esso la richiesta di attribuzione degli interessi anatocistici.
Questa pronuncia però non poteva che riferirsi, nell’economia strutturale del lodo, che alla somma attribuita dal RAGIONE_SOCIALE all’impresa a titolo di equo compenso, a valle della dichiarata risoluzione consensuale. Statuizioni queste, l’una e l’altra, caducate in dipendenza della sentenza della Corte di Cassazione n.2984 del 2016 e della pronuncia qui impugnata.
Le somme oggetto degli interessi anatocistici, invece, sono quelle attribuite a titolo di riserve d’appalto, riconosciute a RAGIONE_SOCIALE in sede rescissoria, dopo l’annullamento in parte qua del lodo, sicché la decisione della Corte non contrasta con il giudicato interno, che ha altro oggetto e quindi ben poteva essere assunta in sede rescissoria in accoglimento della riproposizione delle domande da parte della attuale controricorrente.
I successivi tre motivi, e cioè il settimo, ottavo e nono, si riferiscono all’accoglimento della domanda di arbitrato relativamente agli importi richiesti con i quesiti avversari n. 6,7,9,11.
Anch’essi sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente.
Con il settimo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia nullità della sentenza per motivazione apparente o incomprensibile laddove con
il mero richiamo « come da CTU » ha riconosciuto gli importi richiesti con i quesiti avversari n. 6,7,9,11 della domanda di arbitrato.
Con l’ottavo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’art.112 cod. proc. civ., sull’undicesimo motivo di impugnazione del lodo volto a denunciare violazione dell’art.2697 cod. civ. e assenza di prova quanto ai quesiti avversari n. 6,7,9,11 della domanda di arbitrato.
Con il nono motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n. 3 e 4, cod. proc. civ., il ricorrente, sempre quanto ai quesiti avversari n. 6,7,9,11 della domanda di arbitrato, denuncia violazione degli artt.115 e 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ. per l’accoglimento delle domande avversarie in palese difetto di prova.
Al riguardo nelle pagine 7 e 8 della sentenza impugnata la Corte capitolina ha affermato che i quattro quesiti si riferivano alle riserve n.5,6,8 e 10, e che tali riserve erano tutte relative a pagamenti richiesti per lavorazioni non previste a progetto, non interamente contabilizzate; che si trattava di RAGIONE_SOCIALE extra contratto disposti dal Direttore dei RAGIONE_SOCIALE indicati in SAL 6 per € 50.996,60, di cui € 37.000,00 per manodopera, come risultava dalla consulenza tecnica d’ufficio (c.t.u.); che, sempre come indicato dalla consulenza tecnica, per tali voci spettavano all’RAGIONE_SOCIALE € 319.957,17 per uso di mezzi e materiali.
Quanto al settimo motivo, la motivazione non è affatto apparente e il percorso logico giuridico seguito dalla Corte non resta affatto oscuro e incomprensibile.
In parte la sentenza è motivata per relationem , cosa che non esclude l’intelligibilità delle ragioni della decisione.
Non è infatti carente di motivazione la sentenza che recepisce per relationem le conclusioni ed i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito, ancorché si limiti a riconoscere quelle conclusioni come giustificate
dalle indagini esperite e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione. (Sez. 6 – 3, n. 4352 del 14.2.2019; Sez. 1, n. 15147 del 11.6.2018; Sez. 1, n. 11482 del 3.6.2016; Sez. 1, n. 28647 del 24.12.2013).
Inoltre, qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poiché l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche per relationem dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente; diversa è l’ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori: in tal caso il giudice del merito, per non incorrere nel vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c., è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione (Sez. 5, n. 11917 del 6.5.2021).
22. Quanto all’ottavo motivo e alla doglianza di omessa pronuncia da esso veicolata, il motivo appare fuori fuoco, laddove denuncia l’omessa pronuncia su di un motivo di impugnazione (l’undicesimo) della pronuncia RAGIONE_SOCIALE poiché questa è stata travolta, quanto alle somme da essa riconosciute dalla sentenza della Corte di Cassazione e dalla sentenza di rinvio e la Corte romana si è pronunciata in sede rescissoria, dunque ex novo , sulle domande di cui ai quattro quesiti in questione.
Altrettanto inammissibile appare la denuncia di violazione dell’art.2697 cod. civ. perché secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura solo nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che
ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni, ma non anche laddove si contesti il concreto apprezzamento delle risultanze istruttorie, assumendosi che le stesse non avrebbero dovuto portare al convincimento raggiunto dal giudice di merito (Sez.2, 24.1.2020, n. 1634; Sez. lav., 19.8.2020, n. 17313; Sez. 6, 23.10.2018 n.26769; Sez.3, 29.5.2018, n.13395; Sez.2, 7.11.2017 n.26366).
Il motivo, anche a voler leggere le recriminazioni del RAGIONE_SOCIALE circa il difetto di prova dei materiali indicati dall’impresa, come rivolte alla consulenza tecnica e non già, come erano, alla decisione RAGIONE_SOCIALE, appare inammissibile perché volto a sollecitare una diversa valutazione in fatto delle prove utilizzate e considerate dal giudice del merito (la Corte di appello di rinvio in sede rescissoria).
Il motivo appare anche non autosufficiente perché – a tutto concedereesso critica, peraltro assai genericamente, la consulenza tecnica richiamata dalla sentenza, senza dar conto del suo esatto tenore, per aver considerato e valutato come prova una documentazione fotografica acquisita durante le operazioni peritali.
23. Con la seconda parte dell’ottavo motivo il RAGIONE_SOCIALE richiama ancora l’undicesimo motivo di impugnazione con cui aveva prospettato la violazione degli artt. 141, comma 9, 240 e 241 del d.lgs. 163 del 2006 e degli artt.32 e 33 del d. m. 19.4.2000 n.145, e afferma la inammissibilità e improcedibilità della domanda RAGIONE_SOCIALE perché l’ammontare delle riserve non superava il decimo dell’importo contrattuale, espunto l’importo delle riserve n.1 e n.2.
Da un lato, la censura incorre nel vizio di prospettiva appena segnalato, rivolgendosi avverso la pronuncia RAGIONE_SOCIALE, sul punto caducata.
D’altra parte, anche a voler reinterpretare il motivo come mera argomentazione, non si vede come possa farsi applicazione alla fattispecie delle disposizioni citate del d.lgs. 163 del 2006,
applicabile alle procedure e ai contratti i cui bandi o avvisi con cui si indice una gara siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure e ai contratti in cui, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte.
Quanto all’art.240, il comma 32 del predetto art.253 si limita a disporre che ai fini dell’applicazione dell’articolo 240, per i RAGIONE_SOCIALE per i quali la individuazione del soggetto affidatario sia già intervenuta alla data di entrata in vigore della legge 1.8.2002, n. 166, la proposta di accordo bonario è formulata dal responsabile del procedimento secondo la disciplina anteriore alla entrata in vigore della citata legge.
Gli artt.32 e 33 del d.m. 145 del 2000 non sono pertinenti in proposito.
In ogni caso, come osserva il controricorrente, il rigetto delle riserve n.1 e n.2 discende da una valutazione a posteriori e non impedisce affatto di conteggiarle come riserve originariamente iscritte ai fini del calcolo della soglia del 10%, come invece pretende di calcolare il ricorrente.
Il nono motivo, con cui il RAGIONE_SOCIALE deduce violazione degli artt.115 e 166 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., è palesemente inammissibile perché riversato nel merito.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte in materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’articolo 115 cod. proc. civ. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre.
Analogamente, la violazione dell’articolo 116 cod.proc.civ. è idonea a integrare il vizio di cui all’articolo 360, n. 4, del cod.proc.civ., denunciabile per cassazione, solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova; detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcun piuttosto che a altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’articolo 116 del cod.proc.civ., che non a caso è rubricato « della valutazione delle prove » (Sez.3, 28.2.2017, n. 5009; Sez.2, 14.3.2018, n. 6231).
Quanto alla violazione dell’art.2697 cod.civ. si è già detto supra (§ 22).
In sintesi, il ricorrente, lungi dal denunciare la violazione degli indicati parametri normativi si duole della valutazione delle prove effettuate in sede di accertamento del fatto dal giudice del merito.
Come è noto, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27.12.2019).
I successivi due motivi, decimo e undicesimo, si riferiscono all’accoglimento della domanda di arbitrato relativamente all’importo richiesti con il quesito avversario n. 14.
Con il decimo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione dell’art.112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia sul dodicesimo motivo di impugnazione quanto all’accoglimento del quesito 14 della domanda di arbitrato.
Con l’undicesimo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod. proc. civ., il ricorrente, quanto all’accoglimento del quesito avversario n.14, denuncia violazione degli artt.115 e 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ. per l’accoglimento delle domande avversarie in palese difetto di prova.
25. Il quesito n.14 concerneva le riserve iscritte n.14,15,19,20,21 ed è stato solo parzialmente accolto dalla Corte di appello solo con riferimento alla riserva n.14 per € 162.436,72, relativamente ai maggiori costi per maggiori quantità rispetto a quanto previsto in contratto e all’applicazione solo parziale del sovrapprezzo per la posa in opera di acciaio per cemento armato o in sotterraneo. Le riserve 15,19,20 e 21 sono state disattese.
La ratio decidendi espressa a pag.8, ultimi due capoversi, è stata che il diritto al sovrapprezzo scatta per il nuovo prezzo maggiorato dell’acciaio, mentre non rileva il rischio quantità che, secondo i casi, gioca a favore dell’una o dell’altra parte.
26. Valgono , mutatis mutandis le precedenti considerazioni spese con riferimento al precedente gruppo di motivi circa la non pertinenza della denuncia di omessa pronuncia con riferimento al dodicesimo motivo di impugnazione del lodo e la non specificità e autosufficienza del ricorso quanto alle critiche rivolte alla consulenza tecnica.
Fuor di fuoco appare anche l’argomentazione del ricorrente circa la riconducibilità dell’aggravio a una proposta migliorativa dell’impresa che imporrebbe la condivisione del vantaggio con la stazione appaltante: di proposte migliorative nella sentenza non c’è traccia e si parla solo di aumento dei costi dell’acciaio.
Quanto alle violazioni degli artt.115 e 116 cod. proc. civ. e 2697 cod.civ. è sufficiente il richiamo di quanto allo stesso proposito illustrato in risposta al precedente gruppo di motivi sub § 22 e 23.
I successivi tre motivi, dodicesimo, tredicesimo e quattordicesimo, si riferiscono all’accoglimento della domanda di arbitrato relativamente all’importo richiesto con il quesito avversario n. 17.
Con il dodicesimo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione dell’art.112 cod. proc. civ. per l’accoglimento del quesito n.17 e omessa pronuncia sul tredicesimo motivo di impugnazione con riferimento alla inammissibilità della sua introduzione ex art.183, comma 6, cod. proc. civ. e d.m. n.398 del 2000; denuncia altresì la nullità della sentenza in relazione all’art.183, comma 6, cod.proc.civ. e al d.m. n.398 del 2000 o comunque per motivazione inesistente e contraddittoria.
Con il tredicesimo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia violazione dell’art.112 cod.proc.civ. per l’accoglimento del quesito n.17 e omessa pronuncia sul tredicesimo motivo di impugnazione con riferimento alla inammissibilità della sua introduzione sotto altri profili, per violazione dell’art.141, comma 9, d.lgs. 163/2006 e del principio della post-numerazione ex art.1665 cod. civ.
Con il quattordicesimo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia violazione dell’art.183, comma 6, cod.proc.civ., dell’art. 2, comma 3, d.m.368/2000, dell’art.141, comma 9, d.lgs. 163/2006, dell’art.1665 cod. civ., dell’art.118 d.p.r. 554/1999, sempre con riferimento all’accoglimento del quesito n.17.
Il quesito 17, trattato alle pagine 9 e 10 della sentenza impugnata, riguardava la domanda di pagamento di RAGIONE_SOCIALE eseguiti in epoca successiva all’emissione dello stato avanzamento RAGIONE_SOCIALE (SAL) n.6 per l’importo di € 510.000,00 nonché di materiali e attrezzature presenti in cantiere.
La domanda al riguardo è stata proposta con le memorie integrative in corso di arbitrato ed è stata ritenuta ammissibile alla stregua dei principi generali del giusto processo, del contenimento del contenzioso e della trattazione unitaria del medesimo rapporto.
La valutazione dei RAGIONE_SOCIALE eseguiti in € 551.183,36 si è basata sulla consulenza tecnica e sul fatto che i RAGIONE_SOCIALE sono riportati nello stato finale del 10.10.2007 approvato dal RAGIONE_SOCIALE, seguito il 27.12.2007 dallo stato di consistenza redatto in contraddittorio. A questo importo la Corte ha aggiunto la somma di € 63.900,20 per materiali a piè d’opera e lavorazioni a misura. La Corte ha invece escluso il costo di attrezzature, pur incluso dal C.t.u.
Il dodicesimo e il quattordicesimo motivo di impugnazione non sono fondati.
Il vizio scaturente dalla consueta formulazione in termini di denuncia di omessa pronuncia sul motivo di impugnazione del caducato lodo RAGIONE_SOCIALE può essere agevolmente superabile alla stregua del contenuto del quattordicesimo motivo, che rivolge le stesse critiche avverso la sentenza rescissoria e in parte del dodicesimo motivo che pur esso in parte si dirige con denuncia di nullità avverso la medesima pronuncia.
È pur vero che secondo la stessa sentenza impugnata (pag.2) la clausola compromissoria contenuta nell’art.28 del contratto imponeva la risoluzione della controversia ex art.34 d.m. 145/2000 ad opera di un collegio RAGIONE_SOCIALE costituito presso la RAGIONE_SOCIALE secondo le modalità previste dal regolamento e il giudizio RAGIONE_SOCIALE doveva svolgersi secondo le regole di procedura contenute nel decreto del Ministro dei RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE previsto dall’art.32 della legge n.109 dell’11.2.1994.
La stessa sentenza richiama altresì il predetto regolamento approvato con d.m. RAGIONE_SOCIALE Pubblici 2.12.2000, n. 398 recante le norme di procedura del giudizio RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’articolo 32, della legge 11.2.1994, n. 109, e successive modificazioni.
È vero altresì che l’art.2 del predetto regolamento disponeva quanto segue in tema di domanda di arbitrato:
« 1. Fermo quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 150 del regolamento, la domanda di arbitrato, da notificarsi nelle forme degli atti processuali civili, deve contenere a pena di nullità rilevabile d’ufficio la determinazione dell’oggetto della domanda con la specificazione delle somme eventualmente richieste e l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda.
Entro sessanta giorni dalla notifica della domanda di arbitrato, la parte che intende resistervi deve nominare l’arbitro di propria competenza e proporre la propria risposta con atto di resistenza, anch’esso da notificarsi nelle forme degli atti processuali civili. Nello stesso atto deve proporre, a pena di decadenza, le eventuali domande riconvenzionali. In tal caso l’istante, entro trenta giorni dalla ricezione dell’atto di resistenza, può controdedurre proponendo a sua volta domande che abbiano titolo nella riconvenzionale del resistente.
La domanda di arbitrato, l’atto di resistenza ed eventuali controdeduzioni, da trasmettersi alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ai fini di cui al terzo comma dell’articolo 150 del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, delimitano inderogabilmente l’oggetto del giudizio: nuove o diverse domande, richieste di ulteriori corrispettivi, aggiornamenti o ampliamenti della domanda stessa non possono essere proposti successivamente e se proposti sono dichiarati d’ufficio inammissibili .»
Tuttavia al momento dell’introduzione della domanda di arbitrato del 12.9.2007 il predetto regolamento era ormai superato per effetto dell’approvazione del d.lgs. 163 del 2006, la cui regolamentazione transitoria (art.253, comma 34) rendeva applicabile, con alcune eccezioni, la nuova disciplina alle nuove domande di arbitrato, pur previste da clausole compromissorie
precedenti alla data di entrata in vigore del nuovo Codice degli appalti.
In tema di arbitrato c.d. «amministrato» di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la norma transitoria di cui all’art. 253, comma 34, del d.lgs. n. 163 del 2006 dispone, quanto alla disciplina dell’arbitrato di cui agli artt. 241, 242 e 243 del medesimo codice dei contratti RAGIONE_SOCIALE, la salvezza delle clausole compromissorie e delle procedure arbitrali antecedenti alla sua entrata in vigore, nei soli casi ivi specificamente previsti ed alla condizione che i collegi arbitrali risultino già costituiti entro tale data; ne consegue l’immediata applicabilità delle nuove disposizioni, aventi carattere inderogabile, riguardo ai collegi arbitrali relativi ad appalti non ricadenti nel d.P.R. n. 1063 del 1962.(Sez. 6 – 1, n. 28871 del 17/12/2020).
Ed ancora in tema di arbitrato c.d. amministrato di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la norma transitoria di cui all’art. 253, co. 34 del d. lgs. n. 163 del 2006 dispone, quanto alla disciplina dell’arbitrato di cui agli artt. 241, 242 e 243 del medesimo codice dei contratti RAGIONE_SOCIALE, la salvezza delle clausole compromissorie e delle procedure arbitrali antecedenti alla sua entrata in vigore, nei soli casi ivi specificamente previsti ed alla condizione che i collegi arbitrali risultino già costituiti entro tale data; ne consegue l’immediata applicabilità delle nuove disposizioni, aventi carattere inderogabile, riguardo ai collegi arbitrali relativi ad appalti non ricadenti nel d.p.r. n. 1063 del 1962. (Sez. 1, n. 4719 del 28.2.2018).
Detta nuova disciplina, contenuta negli artt.241, 242 e 253 non conteneva più la rigida preclusione di cui al comma 3 dell’art.2 del regolamento 398 del 2000, e si limitava a prevedere che ai giudizi arbitrali si applicassero le disposizioni del codice di procedura civile, salvo quanto disposto dal codice degli appalti.
32. Il richiamo alle regole del codice di procedura civile va inteso, ovviamente, come alle regole dettate per il procedimento RAGIONE_SOCIALE
e non per il giudizio ordinario di cognizione dinanzi al giudice ordinario.
Sotto il profilo delle regole processuali applicabili al giudizio di arbitrato, qualora le parti non abbiano determinato, nel compromesso o nella clausola compromissoria, le regole processuali da adottare, gli arbitri sono liberi di regolare l’articolazione del procedimento nel modo che ritengano più opportuno, anche discostandosi dalle prescrizioni dettate dal codice di rito, con l’unico limite del rispetto dell’inderogabile principio del contraddittorio, posto dall’art. 101 cod. proc. civ., il quale, tuttavia, va opportunamente adattato al giudizio RAGIONE_SOCIALE, nel senso che deve essere offerta alle parti, al fine di consentire loro un’adeguata attività difensiva, la possibilità di esporre i rispettivi assunti, di esaminare ed analizzare le prove e le risultanze del processo, anche dopo il compimento dell’istruttoria e fino al momento della chiusura della trattazione, nonché di presentare memorie e repliche e conoscere in tempo utile le istanze e richieste avverse. (Sez. 2, n. 10809 del 26.5.2015; Sez. 1, n. 5243 del 21.2.2019).
E difatti nell’arbitrato rituale, ove le parti non abbiano vincolato gli arbitri all’osservanza delle norme del codice di rito, è consentito alle medesime di modificare ed ampliare le iniziali domande, senza che trovino applicazione le preclusioni di cui all’art. 183 c.p.c., salvo il rispetto del principio del contraddittorio. (Sez. 1, n. 28189 del 10.12.2020; Sez. 1, n.2717 del 7.2.2007).
È solo il principio fondamentale del contraddittorio (previgente art.816 e poi art.816 bis , articolo inserito dall’art. 22, d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2.3.2006 e ai sensi dell’art. 27, comma 4, d.lgs. n. 40, cit., la disposizione si applica ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del decreto, art.829, comma 1, n.9, cod.proc.civ.) che non può essere derogato; così il limite del rispetto del principio del contraddittorio
va opportunamente adattato al giudizio RAGIONE_SOCIALE, dovendo essere offerta alle parti, al fine di consentire loro un’adeguata attività difensiva, la possibilità di esporre i rispettivi assunti, di esaminare e analizzare le prove e le risultanze del processo (Sez. 1, n. 8331 del 4.4.2018).
Nel procedimento RAGIONE_SOCIALE l’omessa osservanza del principio del contraddittorio (sancito dall’art. 816 bis , primo comma, cod. proc. civ., e già in precedenza ricondotto all’art. 816 cod. proc. civ.) non è un vizio formale, ma di attività. Ne consegue che, ai fini della declaratoria di nullità, è necessario accertare la concreta menomazione del diritto di difesa, tenendo conto della modalità del confronto tra le parti (avuto riguardo alle rispettive pretese) e delle possibilità, per le stesse, di esercitare, nel rispetto della regola audiatur et altera pars , su un piano di uguaglianza le facoltà processuali loro attribuite. (Sez. 1, n. 28660 del 27.12.2013).
Pertanto nell’arbitrato rituale, ove le parti non abbiano vincolato gli arbitri all’osservanza delle norme del codice di rito, è consentito alle medesime di modificare e ampliare le iniziali domande, senza che trovino applicazione le preclusioni di cui all’articolo 183 del Cpc, salvo il rispetto del principio del contraddittorio (Sez. 2, 19.7.2021, n. 20558).
33. Non vale poi alla parte ricorrente invocare la violazione dell’art.183, comma 6, cod.proc.civ., senza aver dimostrato a monte che esso era applicabile alla fattispecie e che gli Arbitri non potessero quindi, come hanno sostanzialmente fatto nel rispetto del contraddittorio, dar ingresso a modificazioni e integrazioni delle domande iniziali e pur attinenti allo stesso rapporto sostanziale.
Né giova agli assunti della parte ricorrente la pretesa cristallizzazione del thema decidendum attuata con il verbale costitutivo del RAGIONE_SOCIALE dell’11.2.2008, che ovviamente valeva a delimitare il contenuto all’attualità del tema del contendere e
tollerava le integrazioni da essi consentite nel rispetto del contraddittorio.
La motivazione di cui il RAGIONE_SOCIALE di Ancona denuncia l’assenza o apparenza, invece esiste, anche se il riferimento piuttosto generico ai principi generali del giusto processo, del contenimento del contenzioso e della trattazione unitaria del medesimo rapporto merita integrazione con le considerazioni sopra illustrate.
Con il tredicesimo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art.112 cod.proc.civ. per l’accoglimento del quesito n.17 e omessa pronuncia sul tredicesimo motivo di impugnazione e lamenta la inammissibilità della sua introduzione sotto altri profili, per violazione dell’art.141, comma 9, d.lgs. 163/2006 e del principio della post-numerazione ex art.1665 cod.civ.
Lasciata in disparte la già chiarita erronea prospettiva dell’omissione di pronuncia, restano da scrutinare le due doglianze sostanziali formulate dal RAGIONE_SOCIALE con il mezzo.
Da un lato, il ricorrente principale sostiene la violazione del principio generale di postnumerazione di cui all’art.1665 cod.civ. e dell’art.141, comma 9, del d.lgs. 163 del 2006, secondo cui la rata di saldo poteva essere pretesa solo dopo l’ultimazione il collaudo e l’accettazione dell’opera.
A parte il richiamo al codice degli appalti del 2006, non applicabile ratione temporis, il punto è che all’epoca della pronuncia rescissoria, unico momento rilevante, il collaudo era stato già da tempo effettuato ed anzi la Corte di appello vi ha fatto riferimento.
Il RAGIONE_SOCIALE denuncia ancora con il motivo tredicesimo la violazione dell’art.119 del d.p.r. 554 del 1999 e dell’art.1372 c.c. perché l’intero quesito 17 avrebbe dovuto essere respinto come conseguenza automatica del rigetto, passato in giudicato, della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento della stazione appaltante proposta dall’appaltatore.
Tesi questa priva di razionale e giuridico fondamento, non essendovi ragione per giustificare il rigetto della pretesa dell’impresa appaltatrice per il solo fatto che il RAGIONE_SOCIALE non era stato inadempiente e neppure nel caso della risoluzione in danno da questo comminata.
Il ricorrente introduce poi un fugace accenno a pagina 67 alle penali che avrebbero dovuto semmai essere portate a compensazione, argomento questo che risulta, in difetto di congrua esplicazione, del tutto estraneo al tema del contendere.
I motivi quindicesimo e sedicesimo sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente.
Con il quindicesimo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.5, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia omesso esame di fatto decisivo quanto all’abnorme riconoscimento di interessi legali, moratori e anatocistici sulle somme ritenute dovute in accoglimento delle riserve 6,7,9,11,14 e 17 con decorrenza 17.9.2007 poiché in tal modo sono stati attribuiti interessi su somme già percepite dall’appaltatore in esecuzione del lodo RAGIONE_SOCIALE, comprensive di interessi.
Con il sedicesimo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia violazione degli artt.1224 cod. civ., 30 d.m. 145/2000, 26 l. 100/1994, 116 d.p.r. 554/1999 e 1283 cod. civ. sempre quanto al riconoscimento di interessi su somme già integralmente pagate.
I due motivi sono manifestamente infondati.
È pur vero che la Corte ha riconosciuto sulle somme ritenute dovute alla RAGIONE_SOCIALE gli interessi dalla data della domanda RAGIONE_SOCIALE e cioè dal 17.9.2007 per le domande iniziali e dalla data delle memorie integrative nel procedimento RAGIONE_SOCIALE per le domande integrate successivamente (sentenza impugnata, pag.10).
È anche vero, tuttavia, che la Corte di appello a pagina 10 ha dato atto dei pagamenti eseguiti dal RAGIONE_SOCIALE, non contestati e riscontrati documentalmente, esorbitanti il dovuto e ne ha disposto il computo in detrazione a far data dagli intervenuti singoli pagamenti, maggiorati anche essi degli interessi legali.
Tale pronuncia, inficiata da mero errore materiale a pagina 11, quarto capoverso (18° e 19 rigo) dall’indicazione della debenza alla impresa appaltatrice e non alla stazione appaltante, come si evince anche dal raffronto con il corretto dispositivo, elide totalmente il pregiudizio lamentato dalla parte ricorrente con la corretta compensazione delle contrapposte partite di dare e avere, rese omogenee e corredate dai rispettivi interessi con giusta decorrenza.
41. Con il diciassettesimo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia omessa pronuncia sulla domanda di restituzione di tutto quanto pagato (€ 77.798,73) dal RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art.92 cod.proc.civ., quanto alla parte eccedente la disposta compensazione delle spese di giudizio.
42.
Il motivo è fondato e va accolto.
I pagamenti alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sono documentati e non contestati.
La Corte ha omesso di pronunciarsi al riguardo, nonostante che la sua decisione di compensazione integrale delle spese comportasse il riparto al 50% di tali oneri, invece sostenuti per i due terzi dal RAGIONE_SOCIALE.
Poiché la cassazione della sentenza sul punto non comporta ulteriori accertamenti in fatto, la Corte, decidendo nel merito a norma dell’art.384, comma 2, ultima parte, ben può intervenire al proposito condannando la controricorrente a restituire a controparte la differenza fra le due percentuali (quella pagata, e
cioè 2/3 e quindi 4/6, e quella dovuta, ½ e quindi 3/6): dunque un sesto (2/3 -½) delle spese dovute a tale titolo.
43. Con il primo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art.360, comma 1, n.3 e 5, cod.proc.civ., la ricorrente incidentale denuncia violazione o falsa applicazione dell’art.830, comma 1, e dell’art.112 cod.proc.civ. nonché omessa motivazione.
RAGIONE_SOCIALE sostiene che la caducazione della pronuncia RAGIONE_SOCIALE nella parte relativa alla dichiarata risoluzione per mutuo consenso avrebbe comportato la caducazione complessiva dell’intero lodo.
Secondo la controricorrente, la pronuncia si estenderebbe anche all’accertamento dell’insussistenza dell’inadempimento della stazione appaltante posto a base del rigetto della domanda di risoluzione da essa proposta. Ciò perché la statuizione circa la risoluzione per mutuo dissenso costituiva un unicum inscindibile dalla decisione di ritenere insussistente la responsabilità delle parti contraenti.
44. Il motivo è infondato.
La domanda di risoluzione del contratto per inadempimento del RAGIONE_SOCIALE era stata proposta e rigettata e tale pronuncia, non impugnata dalla attuale controricorrente, era indipendente dalla successiva statuizione, poi caducata, della risoluzione tacitamente consensuale, oggetto della pronuncia cassatoria per i plurimi vizi riscontrati.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art.360, comma 1, n. 3 e 5, cod.proc.civ., la ricorrente incidentale denuncia omesso esame e violazione dell’art.112 cod.proc.civ. quanto alla domanda di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, non esaminata dagli arbitri e quindi dalla stessa Corte di appello in sede rescissoria.
46. Il motivo è infondato.
La domanda di risoluzione per eccessiva onerosità, strettamente commista a quella per inadempimento, costituiva oggetto del quesito n.1 ed è stata espressamente rigettata anche sotto quel concorrente profilo dagli arbitri, come si evince con cristallina chiarezza dalla pagina 82 del lodo, puntualmente richiamata nel controricorso al ricorso incidentale da parte del RAGIONE_SOCIALE.
Tale statuizione non è stata impugnata dall’impresa e non costituiva quindi oggetto del giudizio di rinvio.
Con il terzo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art.360, comma 1, n. 1 e 3, cod.proc.civ., la ricorrente incidentale denuncia violazione e falsa applicazione delle disposizioni e dei principi in materia di giurisdizione, violazione del d.lgs. 104/2010 e omessa pronuncia sulla richiesta di disapplicazione del provvedimento di risoluzione in danno.
Secondo la ricorrente incidentale la giurisdizione sul provvedimento competeva al giudice ordinario, che ben lo poteva sindacare anche se esso non era stato impugnato in sede amministrativa.
Il motivo è carente d’interesse e quindi inammissibile perché se è vero che la Corte di appello ha ritenuto con motivazione per nulla convincente, che non si potesse far questione della possibile disapplicazione del provvedimento amministrativo, in ipotesi illegittimo, perché esso costituiva l’oggetto della controversia e non mero antecedente logico (pag.6-7), come in precedenza osservato, non è men vero che la Corte di appello non ha neppure applicato il predetto provvedimento, ritenendolo espressamente irrilevante.
Con il quarto motivo di ricorso incidentale, proposto ex art.360, comma 1, n. 3 e 5, cod.proc.civ., la ricorrente incidentale denuncia violazione degli artt.1453 e 1455 cod. civ. e 133 e 165 del d.p.r. 554/1999 e 25 del d.m. 145/2000, nonché omesso sostanziale esame dei quesiti 3,4,13 e 16 e motivazione meramente apparente in relazione all’art.112 cod. proc. civ.
RAGIONE_SOCIALE sostiene che, a tutto concedere, era passata in giudicato l’insussistenza di un grave inadempimento risolutorio in capo al RAGIONE_SOCIALE e non l’assenza di qualsiasi sua responsabilità.
50. Il motivo è inammissibile.
Gli Arbitri hanno escluso la responsabilità del RAGIONE_SOCIALE per la sorpresa geologica e gli smottamenti del terreno a monte e hanno respinto la domanda di risoluzione per inadempimento con statuizione passata in giudicato.
Con il motivo la ricorrente sostiene che a passare in giudicato sarebbe stata semmai l’affermazione contenuta nel lodo circa l’assenza di un grave inadempimento rilevante ex art.1455 cod. civ. ai fini della risoluzione per inadempimento, ma non era stato invece escluso un inadempimento colpevole del RAGIONE_SOCIALE fonte di pregiudizio risarcibile.
La ricorrente tuttavia non indica in quali altri fatti e comportamenti, che non risultano dalla sentenza, diversi dalla predetta sorpresa geologica e dai predetti smottamenti del terreno a monte, il preteso inadempimento colpevole, seppur non così grave da giustificare la risoluzione, si sarebbe sostanziato, traducendosi in sospensioni illegittime e anomalo andamento dei RAGIONE_SOCIALE.
51. In conclusione, deve essere accolto il diciassettesimo motivo di ricorso principale, inammissibili o rigettati tutti gli altri motivi di ricorso principale e incidentale.
La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto.
La Corte decide quindi nel merito, ex art.384, comma 2, ultima parte, cod.proc.civ., sulla domanda di restituzione di tutto quanto pagato (€ 77.798,73) dal RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e l’accoglie limitatamente alla parte del pagamento eccedente la disposta compensazione delle spese di giudizio.
La controricorrente dovrà quindi restituire a controparte la differenza fra le due percentuali e cioè fra la percentuale delle spese complessive pagata dal RAGIONE_SOCIALE (e cioè 2/3 e quindi 4/6 del totale) e quella effettivamente dovuta (½ e quindi 3/6): dunque un sesto delle spese complessivamente dovute.
Il credito è di valuta: non compete quindi rivalutazione monetaria, ma solo gli interessi legali dalla data dei pagamenti eccedenti.
Le spese del grado, in considerazione dell’accoglimento, percentualmente modesto, del ricorso principale, che non elide la sostanziale reciproca soccombenza, di gran lunga prevalente, meritano integrale compensazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il diciassettesimo motivo di ricorso principale, inammissibili i motivi 3, 8 ,9, 10 e 11 e respinti i motivi 1, 2, 4, 5, 6,7, 12,13, 14, 15 e 16, quanto al ricorso principale, e inammissibili i motivi 3 e 4 e respinti i motivi 1 e 2, quanto al ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto.
Decidendo nel merito, condanna la controricorrente a restituire al ricorrente un sesto delle spese complessivamente dovute alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in relazione alle spese di funzionamento della procedura RAGIONE_SOCIALE, con gli interessi legali dalla data dei pagamenti eccedenti.
Compensa fra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima