Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6714 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 6714  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13636/2019 R.G. proposto da :
CITTA’ METROPOLITANA DI PALERMO, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (-) rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente principale- contro
CURATELA  RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE  IN LIQUIDAZIONE,  domiciliato  ex  lege  in  ROMA,  INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE,  elettivamente  domiciliato  in  INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME  (CODICE_FISCALE)  rappresentato  e  difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente nonché ricorrente incidentale-
RAGIONE_SOCIALE, -intimata- avverso  la  SENTENZA  della  CORTE  D’APPELLO  di  PALERMO  n. 353/2019 depositata il 21/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI  DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 27.9.1999, la RAGIONE_SOCIALE, quale capogruppo mandataria dell’RAGIONE_SOCIALE.T.RAGIONE_SOCIALE. (costituita con la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE), aggiudicataria dei lavori di realizzazione della fermata ‘Palazzo Reale Orleans’ della metroferrovia di Palermo, per l’importo, al netto di ribasso d’asta, di £ 11.387.099.317, giusta contratto stipulato il 22.3.1996 a seguito di gara bandita dalla Provincia regionale di Palermo, ha chiesto che fosse accertata e dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento dell’Ente appaltante e che questo fosse condannato al pagamento della somma di £ 6.000.000.000, oltre accessori.
La Provincia regionale di Palermo  ha  chiesto il rigetto delle domande ed ha svolto domanda riconvenzionali volte a condannare
l’ARAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. al pagamento di somme di denaro risultanti dalla differenza tra il restante credito dell’impresa aggiudicataria e la penale per il ritardo, i maggiori costi di completamento, i mancati utili sui ricavi tariffari  della  fermata  e  danni  di  immagine  per  un  ammontare complessivo di £ 6.887.373.294, oltre accessori.
Nel corso del giudizio, la RAGIONE_SOCIALE modificava la propria ragione sociale  in  RAGIONE_SOCIALE    in  liquidazione  e  veniva dichiarata  fallita  con  sentenza  del  27.3.2002  del  Tribunale  di Napoli, a seguito della quale, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con comparsa dell’11.7.2003, si  costituiva  in  giudizio,  confermando  le precedenti conclusioni.
Con  comparsa  depositata  all’udienza  del  18.6.2004,  interveniva volontariamente in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, essendo venuto meno con il fallimento il mandato che legittimava la sola capogruppo ad agire per  i  crediti  dell’ATI,  e  chiedeva  la  condanna  della  Provincia  al pagamento diretto in suo favore del 50% delle somme riconosciute all’attrice, giusta transazione stipulata con la RAGIONE_SOCIALE in data 31.10.2001.
Dopo essere stata espletata una CTU, il Tribunale di Palermo, con sentenza depositata il 30.8.2010, ha condannato la Provincia Regionale di Palermo a pagare alla RAGIONE_SOCIALE del fallimento RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE, in ragione del 50% ciascuna (avendo ritenuto opponibile al fallimento RAGIONE_SOCIALE la transazione del 31.10.2001), l’importo di € 597.976,15, a titolo di maggiori oneri e spese spettanti all’A.T.I., in relazione alla ritenuta fondatezza di alcune riserve (al cospetto di 18 iscritte durante lo svolgimento dei lavori), oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza. E’ stata, invece, rigettata la domanda di risoluzione del contratto, essendo stati esclusi gravi inadempimenti della stazione appaltante.
Inoltre,  il  giudice  di  primo  grado,  in  parziale  accoglimento  delle domande riconvenzionali proposte dalla Provincia ha condannato il
fallimento RAGIONE_SOCIALE al pagamento a favore dell’Ente appaltante della somma di € 97.624,63 per maggiori spese e oneri connessi ad adempimenti previsti dal contratto.
Per quanto ancora rileva, la Corte d’Appello di Palermo, con sentenza n. 353/2019, depositata il 21.2.2019, previo esame approfondito (da pag. 18 a pag. 30 della sentenza impugnata) delle riserve in relazioni alle quali era stata proposta impugnazione, condividendo l’impostazione del giudice di primo grado nell’accogliere le conclusioni del CTU, in parziale accoglimento dell’appello della Città Metropolitana di Palermo (già Provincia Regionale), ha condannato quest’ultima al pagamento della somma di € 592.811,58 (in luogo della somma di € 597.976,15 determinata dal giudice di primo grado), oltre interessi legali dalla data della domanda giudiziale, da ripartirsi in ragione dell’80% in favore del fallimento RAGIONE_SOCIALE e del 20% in favore del fallimento della RAGIONE_SOCIALE, nel frattempo fallita.
Sul  punto,  la  Corte  d’Appello  ha  osservato  che  la  transazione stipulata tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (con cui le parti avevano  pattuito  di ripartirsi,  nella  misura  del  50% ciascuna, le somme derivanti dall’esecuzione dell’appalto da parte dell’ATI, in ragione dell’avvenuta completa tacitazione della RAGIONE_SOCIALE) era  stata  dichiarata  inefficace  ex  art.  67  L.F.  dal  Tribunale  di Napoli,  divenuta  definitiva  con  sentenza  della  Corte  d’Appello  n. 3902/2012.
Il giudice di secondo grado ha dichiarato improcedibili le domande riconvenzionali  formulata  dalla  stazione  appaltante  nei  confronti della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Avverso  la  predetta  sentenza  ha  proposto  ricorso  per  cassazione principale  la  Città  metropolitana  di  Palermo,  affidandolo  a  cinque motivi.
La RAGIONE_SOCIALE del fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione  e  la  RAGIONE_SOCIALE  del  fallimento  RAGIONE_SOCIALE  hanno resistito  in  giudizio  con  controricorso  ed  hanno  depositato  ricorso incidentale.
Tutte le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
 Con  il  primo  motivo  del  ricorso  principale  è  stata  dedotta  la violazione dell’art. 340 L. 20.3.1865 n. 2248 (All. F).
Espone la ricorrente che, a differenza di quanto hanno ritenuto i giudici di merito, sussistevano tutti i presupposti per la rescissione disposta dalla stazione appaltante del contratto di appalto pubblico. La ricorrente ha ripercorso, nel dettaglio, tutta la cronologia dell’appalto pubblico ed afferma che i ritardi nell’esecuzione dell’opera non sono dipesi ‘esclusivamente dalle varianti progettuali’, né dalle carenze riscontrate nel progetto esecutivo, ma soltanto dalla grave negligenza e dall’inadempimento dell’impresa appaltatrice, con la conseguenza che, a suo avviso, è stato violato l’art. 340 L. 20.3.1865 n. 2248 (All. F), che disciplina la rescissione del contratto di appalto nel caso in cui l’appaltatore si renda colpevole di grave negligenza.
Il motivo è inammissibile.
Va osservato che l’Amministrazione ricorrente, nel dedurre la violazione dell’art. 340 L. 20.3.1865 n. 2248 (All. F), non ha sollevato una questione di interpretazione della norma, ma ha, inammissibilmente, contestato la sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti fattuali per l’operatività dell’istituto della rescissione del contratto pubblico, contestando la ricostruzione di fatto svolta dalla Corte d’Appello e la sua valutazione in ordine alla dedotta negligenza dell’impresa appaltatrice, così invoca ndo un sindacato di merito che non è consentito in sede di legittimità.
 Con  il  secondo  motivo  è  stata  dedotta  la  violazione  e  falsa applicazione  degli  artt.  53,  54  e  89  RD  n.  350/1895,  29  DPR  n. 1063//1962, 1175, 1362, 1371 e 1375 c.c. e 340 L. n. 2248/1865 (ALL. F).
L’amministrazione ricorrente, nell’esaminare in dettaglio (da pag . 25 a pag. 42 della sentenza impugnata) le riserve iscritte dall’A.T.I.,  ha  contestato  le  conclusioni  cui  è  giunta  la  Corte d’Appello sulla scorta delle risultanze della CTU.
Il motivo è, parimenti, inammissibile.
La  ricorrente  ha  svolto  una  critica  diretta  della  CTU,  accolta  dai giudici, invocando  una diversa ricostruzione dei fatti e valutazione del  materiale  probatorio  rispetto  a  quella  operata  dai  giudici  di merito.
Dunque,  anche  con  tale  motivo  vene  invocato  un  sindacato  di merito non consentito in sede di legittimità.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 1224 e 1284 c.c..
La ricorrente ha censurato la statuizione con cui la Corte d’Appello, nel  condividere  l’impostazione  della  sentenza  del  Tribunale  in ordine alla qualificazione come debito di valuta della somma dovuta dalla  Provincia  di  Palermo,  ha,  tuttavia,  ritenuto  che  gli  interessi legali  dovessero  essere  liquidati  con  decorrenza  dalla  domanda introduttiva  del  giudizio  e  non  dalla  data  di  pubblicazione  della sentenza.
Il motivo è infondato.
Va osservato che è orientamento consolidato di questa Corte (cfr. Cass. n. 19604/2016; conf. 727/2020) quello secondo cui:’ In tema di appalto di opere pubbliche, la “riserva” della quale l’appaltatore è onerato  al  fine  di  evitare  la  decadenza  da  domande  di  ulteriori compensi,  indennizzi  o  risarcimenti,  richiesti  in  dipendenza  dello svolgimento  del  collaudo,  non  assurge  ad  atto  di  costituzione  in mora, con la conseguenza che gli interessi sulle somme
effettivamente  dovute  da  parte  della  RAGIONE_SOCIALE.  vanno  liquidati  con decorrenza dalla data della domanda introduttiva del giudizio (nella specie, arbitrale),  quale  unico  momento  all’uopo  rilevante,  in quanto  è  allo  stesso  appaltatore  consentito  di  attuarsi  per  la relativa proposizione’.
 Con  il  quarto  motivo  è  stata  dedotta  la  violazione  e  falsa applicazione degli artt. 36 e 112  c.p.c. e 52 e 93 L.F..
La ricorrente ha criticato la statuizione con cui la Corte d’Appello ha dichiarato  improcedibili  le  domande  riconvenzionali  proposte  dalla stessa Amministrazione contro il RAGIONE_SOCIALE in questa sede di cognizione ordinaria.
8. Il motivo è infondato.
E’ orientamento ormai consolidato di questa Corte (cfr. Cass. n. 28833/2017) quello secondo cui: ‘Qualora, nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all’accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, derivante dal medesimo rapporto, la suddetta domanda, per la quale opera il rito speciale ed esclusivo dell’accertamento del passivo ai sensi degli artt. 93 e ss. della l. fall., deve essere dichiarata inammissibile (o improcedibile se formulata prima della dichiarazione di fallimento e riassunta nei confronti del curatore) nel giudizio di cognizione ordinaria, e va eventualmente proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore, mentre la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE resta davanti al giudice per essa competente, che pronuncerà al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria. Tale principio opera anche quando, in un processo promosso da un soggetto ‘in bonis’ per ottenere il proprio credito, il convenuto si costituisca e proponga domanda riconvenzionale per il pagamento di un credito nascente dal medesimo rapporto contrattuale e, successivamente, a seguito del fallimento del convenuto, il curatore si costituisca per coltivare
la domanda riconvenzionale da quest’ultimo proposta, sicchè in tal caso  la  domanda  del  fallito  può  essere  coltivata  dalla  RAGIONE_SOCIALE  in sede  ordinaria,  mentre  quella  nei  confronti  del  fallito,  divenuta improcedibile in sede  ordinaria,  deve  essere  necessariamente riproposta  in  sede  RAGIONE_SOCIALE  nel  procedimento  di  accertamento del passivo’.
 Con  il  quinto  motivo  è  stata  dedotta  la  violazione  e  falsa applicazione degli artt. 102, 112, 183, 189 e 345 c.p.c..
La Corte d’Appello ha ritenuto inammissibile il terzo motivo dell’appello incidentale della Provincia riguardante la doglianza della mancata  condanna  della  RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE  della  RAGIONE_SOCIALE  e della  RAGIONE_SOCIALE  al  pagamento  delle  somme  richieste  dalla  Provincia  in solido con la RAGIONE_SOCIALE.
Si  contesta  l’affermazione  della  Corte  di  merito  secondo  cui  la Provincia  non  avrebbe  proposto  le  domande  riconvenzionali  nel giudizio di primo grado anche nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è assorbito per effetto della declaratoria di improcedibilità,  correttamente  pronunciata  dalla  Corte  d’Appello (vedi sopra punto 8 della presente trattazione), di tutte domande svolte nei confronti di procedure fallimentari.
Con riferimento al ricorso incidentale del fallimento RAGIONE_SOCIALE, nel  quale  si    discute  della  quota  spettante  alla  RAGIONE_SOCIALE  di  tale fallimento della somma cui è stata condannata la Citta Metropolitana di Palermo, nella prima parte di tale  ricorso è stata dedotta  la  violazione  e  falsa  applicazione  degli  artt.  23  comma  8 d.lgs  n.  406/91e  345  c.p.c..  nonché  omesso  esame  di  un  fatto decisivo del giudizio ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c..
Lamenta il fallimento RAGIONE_SOCIALE che la Corte d’Appello è incorsa nel vizio di omessa pronuncia, per non essersi pronunciata sull’eccezione  di  inammissibilità  per  tardività,  ex  art.  345  c.p.c., dallo stesso sollevata in relazione al motivo d’appello proposto dal fallimento  RAGIONE_SOCIALE,  il  quale  aveva  contestato  la  sentenza  di
primo  grado  nella  parte  in  cui  aveva  riconosciuto  al  fallimento RAGIONE_SOCIALE il 50% e non il 20% della somma liquidata a carico della Provincia di Palermo ( ora Città Metropolitana).
La Corte d’Appello aveva, poi, riformato, sul punto, la sentenza di primo grado evidenziando che l’accordo, in virtù del quale la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE avevano pattuito di ripartirsi al 50 % ciascuna le somme derivanti dal contratto di appalto pubblico, era stato stipulato in data 31.10.2001 con una scrittura privata di transazione che era stata dichiarata inefficace ex art. 67 L.F. dal Tribunale di Napoli, divenuta definitiva a seguito della sentenza n. 3902/2012 della Corte d’Appello di Napoli.
In  particolare,  il  fallimento  RAGIONE_SOCIALE  lamenta  che  la  RAGIONE_SOCIALE  aveva  introdotto  la  questione  della  revoca  ex  art.  67 L.F.  della  transazione  (e  conseguente  diversa  ripartizione  delle quote)  soltanto  per  la  prima  volta  in  sede  di  impugnazione  della sentenza di primo grado, non avendo fatto alcun cenno alla stessa innanzi al Tribunale di Palermo.
12. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
La  deduzione  del  fallimento  RAGIONE_SOCIALE  è  solo  assertiva,  non  avendo questa  parte  avuto  cura  di  riportare  le  conclusioni  svolte  dal fallimento  RAGIONE_SOCIALE  in  primo  grado,  al  fine  di  accertare  la dedotta tardività. Peraltro, tali conclusioni sono state riportare nel controricorso  del  fallimento  RAGIONE_SOCIALE,  da  cui  emergerebbe  che tale  eccezione  era  stata  sollevata  tempestivamente,  durante  il giudizio di primo grado e non, quindi, solo nel giudizio d’appello.
13.  Nella  seconda  parte  del  motivo  del  ricorso  incidentale,  il fallimento  RAGIONE_SOCIALE  ha  dedotto  la  violazione  dell’art.  23  comma  8 d.lgs  n.  406/1991,  per  avere  la  Corte  d’Appello  attribuito  alla RAGIONE_SOCIALE  del  fallimento  RAGIONE_SOCIALE  (a  pag.  45  c’è  un  errore materiale  si  dice  ‘fallimento  RAGIONE_SOCIALE‘)  una  percentuale  maggiore (80%)  in  luogo  di  quella  originaria  (56%)  di  partecipazione  alla RTI.
Rileva la RAGIONE_SOCIALE del fallimento RAGIONE_SOCIALE che, nel corso della realizzazione dell’opera pubblica, aveva erogato ingenti mezzi finanziari in misura superiore rispetto alla percentuale assunta nell’ambito del RTI (20%), e, segnatamente, nella misura del 64%, facendo fronte a pagamenti diretti per lire 1.511.296.014. La società RAGIONE_SOCIALE aveva riconosciuto tale maggiore apporto fornito da RAGIONE_SOCIALE nel corpo della transazione poi revocata, in cui erano stati indicati tutti i costi sostenuti da RAGIONE_SOCIALE.
Tale circostanza era stata indicata come fatto non contestato tra le parti  nella  premessa  della  transazione  e  risultava  dalla  sentenza della Corte d’Appello (non più impugnabile) che aveva confermato la revoca ex art. 67 L.F. della transazione.
Ad avviso della ricorrente incidentale, la Corte d’Appello ha omesso di considerare -e in questo si sostanza la doglianza di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 n. 5 c.p.c. – che il maggior apporto economico fornito da RAGIONE_SOCIALE rispetto al percentuale prevista nel RTI si evinceva proprio dal contenuto della predetta scrittura transattiva. La revoca del predetto accordo transattivo non poteva estendersi al riconoscimento del maggior apporto fornito da RAGIONE_SOCIALE, essendo l’inefficacia e l’inopponibilità della transazione limitata al riconoscimento del diritto di pretendere il 50% delle somme dovute dalla Provincia.
Infine -deduce COGNOME – una volta ritenuto che per effetto dello scioglimento del mandato conseguente al fallimento della capogruppo mandataria del RTI, la RAGIONE_SOCIALE del fallimento RAGIONE_SOCIALE non era più legittimata ad effettuare incassi in nome e per conto della mandante RAGIONE_SOCIALE, e una volta riconosciuto il maggior apporto fornito dalla RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’Appello avrebbe dovuto riconoscere il diritto di quest’ultima a ricevere la quota di spettanza di RAGIONE_SOCIALE (24%) e quindi il diritto di COGNOME a ricevere il pagamento diretto di un importo pari al 44% delle somme riconosciute al RAGIONE_SOCIALE.
14. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente incidentale, con l’apparente doglianza della violazione dell’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., invoca una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quelli accertati dalla Corte d’Appello di Palermo che, a pag. 39, ha affermato che ‘..Alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, infatti, non può applicarsi neppure l’asserita percentuale pari al 44% delle somme riconosciute all’ATI (comprensiva della quota del 24% spettante a RAGIONE_SOCIALE), non essendo stato dimostrato che la RAGIONE_SOCIALE avesse finanziato l’associazione in misura maggiore rispetto alla propria percentuale di impegno’.
La circostanza dedotta dalla RAGIONE_SOCIALE, secondo cui dalla sentenza della Corte di Napoli , costituente giudicato, emergerebbe (questa è l’affermazione della Corte d’Appello di Napoli, riportata a pag. 47 del ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE) che ‘ Non essendo contestate le circostanze riassunte nella premessa della transazione in questione, non vi è dubbio allora che la RAGIONE_SOCIALE vantava nei confronti della RAGIONE_SOCIALE un credito corrispondente pari alla eccedenza dei cosato, pari ad e euro 1.511.296.014 ed al 64% del totale, da essa sostenuti per l’esecuzione dell’appalto rispetto alla quota del 20% di sua spettanza.. ‘ non rientra nella fattispecie dell’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 comma 1° n 5 c.p.c..
La Corte d’Appello di Palermo, dopo aver dato atto della produzione da parte della RAGIONE_SOCIALE del fallimento RAGIONE_SOCIALE della sentenza della Corte d’Appello di Napoli che ha confermato la revoca ex art. 67 L.F. della transazione, ha esaminato il fatto relativo all’apporto finanziario fornito da RAGIONE_SOCIALE nell’appalto di cui è causa, giungendo, come detto, alla conclusione che non era stato dimostrato che la RAGIONE_SOCIALE avesse finanziato l’associazione in misura maggiore rispetto alla propria percentuale di impegno.
Non vi stato quindi nessuna omessione di fatto decisivo.
Quello di cui si duole il fallimento RAGIONE_SOCIALE è che tale fatto, che è stato un punto controverso della causa (per questo non si può parlare di eventuale errore revocatorio ex art. 395 n. 4 c.p.c.) non sia stato esaminato correttamente, ma tale censura è palesemente inammissibile alla luce dell’insegnamento della recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 5792/2024 (in tema di c.d. travisamento della prova), nella quale è stato affermato che ‘… il momento dell’individuazione delle informazioni probatorie che dal dato probatorio possono desumersi è riservato al giudice di merito, ed è per questo sottratto al giudizio di legittimità, a condizione, che il giudice di merito si sia in proposito speso in una motivazione eccedente la soglia del «minimo costituzionale» …(pag. 28)’.
Orbene, nel caso di specie, la sentenza impugnata  è stata ampiamente motivata e, del resto, il fallimento RAGIONE_SOCIALE neppure ha dedotto  che,  sul  punto,  la  sentenza  impugnata  non  eccedesse  la soglia  del  ‘minimo  costituzionale’,  con  la  conseguenza  che  la valutazione del giudice di merito non può essere sindacata in sede di legittimità.
Le  spese  di  lite  seguono  la  soccombenza  sia,  da  un  lato,  nei rapporti  tra  Citta  Metropolitana  di  Palermo  e  le  RAGIONE_SOCIALE  delle società fallite, in relazione al ricorso principale, sia, dall’altro, tra le singole  curatele,  in  relazione  al  ricorso  incidentale  del  fallimento RAGIONE_SOCIALE
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso principale.
Dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Condanna  la  Città  Metropolitana  di  Palermo  alla  rifusione  delle spese di lite sostenute sia dalla RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE,  che  liquida  in  €  10.200,00,  di  cui  €  200,00  per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge,  sia  dalla  RAGIONE_SOCIALE  del  fallimento  RAGIONE_SOCIALE,  che  liquida  in  €
10.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Condanna  la  RAGIONE_SOCIALE  del  fallimento  RAGIONE_SOCIALE  alla  rifusione  delle spese  di  lite  sostenute  dalla  RAGIONE_SOCIALE  del  fallimento  RAGIONE_SOCIALE,  che  liquida  in  €  8.200,00,  di  cui  €  200,00  per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte sia del ricorrente  principale  che  del  ricorrente  incidentale  dell’ulteriore importo a titolo  di  contributo  unificato  pari  a  quello  dovuto  per  il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I Sezione civile