Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6714 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6714 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13636/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE PALERMO, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME-) rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente principale- contro
CURATELA FALLIMENTO QUADRIFOGLIO RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente nonché ricorrente incidentale-
RAGIONE_SOCIALEintimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 353/2019 depositata il 21/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 27.9.1999, la RAGIONE_SOCIALE quale capogruppo mandataria dell’RAGIONE_SOCIALE (costituita con la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, aggiudicataria dei lavori di realizzazione della fermata ‘INDIRIZZO‘ della metroferrovia di Palermo, per l’importo, al netto di ribasso d’asta, di £ 11.387.099.317, giusta contratto stipulato il 22.3.1996 a seguito di gara bandita dalla Provincia regionale di Palermo, ha chiesto che fosse accertata e dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento dell’Ente appaltante e che questo fosse condannato al pagamento della somma di £ 6.000.000.000, oltre accessori.
La Provincia regionale di Palermo ha chiesto il rigetto delle domande ed ha svolto domanda riconvenzionali volte a condannare
l’A.T.I. al pagamento di somme di denaro risultanti dalla differenza tra il restante credito dell’impresa aggiudicataria e la penale per il ritardo, i maggiori costi di completamento, i mancati utili sui ricavi tariffari della fermata e danni di immagine per un ammontare complessivo di £ 6.887.373.294, oltre accessori.
Nel corso del giudizio, la RAGIONE_SOCIALE modificava la propria ragione sociale in RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e veniva dichiarata fallita con sentenza del 27.3.2002 del Tribunale di Napoli, a seguito della quale, la curatela fallimentare, con comparsa dell’11.7.2003, si costituiva in giudizio, confermando le precedenti conclusioni.
Con comparsa depositata all’udienza del 18.6.2004, interveniva volontariamente in giudizio la RAGIONE_SOCIALE essendo venuto meno con il fallimento il mandato che legittimava la sola capogruppo ad agire per i crediti dell’ATI, e chiedeva la condanna della Provincia al pagamento diretto in suo favore del 50% delle somme riconosciute all’attrice, giusta transazione stipulata con la RAGIONE_SOCIALE in data 31.10.2001.
Dopo essere stata espletata una CTU, il Tribunale di Palermo, con sentenza depositata il 30.8.2010, ha condannato la Provincia Regionale di Palermo a pagare alla curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE in ragione del 50% ciascuna (avendo ritenuto opponibile al fallimento RAGIONE_SOCIALE la transazione del 31.10.2001), l’importo di € 597.976,15, a titolo di maggiori oneri e spese spettanti all’A.T.I., in relazione alla ritenuta fondatezza di alcune riserve (al cospetto di 18 iscritte durante lo svolgimento dei lavori), oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza. E’ stata, invece, rigettata la domanda di risoluzione del contratto, essendo stati esclusi gravi inadempimenti della stazione appaltante.
Inoltre, il giudice di primo grado, in parziale accoglimento delle domande riconvenzionali proposte dalla Provincia ha condannato il
fallimento RAGIONE_SOCIALE al pagamento a favore dell’Ente appaltante della somma di € 97.624,63 per maggiori spese e oneri connessi ad adempimenti previsti dal contratto.
Per quanto ancora rileva, la Corte d’Appello di Palermo, con sentenza n. 353/2019, depositata il 21.2.2019, previo esame approfondito (da pag. 18 a pag. 30 della sentenza impugnata) delle riserve in relazioni alle quali era stata proposta impugnazione, condividendo l’impostazione del giudice di primo grado nell’accogliere le conclusioni del CTU, in parziale accoglimento dell’appello della Città Metropolitana di Palermo (già Provincia Regionale), ha condannato quest’ultima al pagamento della somma di € 592.811,58 (in luogo della somma di € 597.976,15 determinata dal giudice di primo grado), oltre interessi legali dalla data della domanda giudiziale, da ripartirsi in ragione dell’80% in favore del fallimento RAGIONE_SOCIALE e del 20% in favore del fallimento della RAGIONE_SOCIALE nel frattempo fallita.
Sul punto, la Corte d’Appello ha osservato che la transazione stipulata tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALEcon cui le parti avevano pattuito di ripartirsi, nella misura del 50% ciascuna, le somme derivanti dall’esecuzione dell’appalto da parte dell’ATI, in ragione dell’avvenuta completa tacitazione della FINAC) era stata dichiarata inefficace ex art. 67 L.F. dal Tribunale di Napoli, divenuta definitiva con sentenza della Corte d’Appello n. 3902/2012.
Il giudice di secondo grado ha dichiarato improcedibili le domande riconvenzionali formulata dalla stazione appaltante nei confronti della curatela fallimentare RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione principale la Città metropolitana di Palermo, affidandolo a cinque motivi.
La curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e la curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE hanno resistito in giudizio con controricorso ed hanno depositato ricorso incidentale.
Tutte le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso principale è stata dedotta la violazione dell’art. 340 L. 20.3.1865 n. 2248 (All. F).
Espone la ricorrente che, a differenza di quanto hanno ritenuto i giudici di merito, sussistevano tutti i presupposti per la rescissione disposta dalla stazione appaltante del contratto di appalto pubblico. La ricorrente ha ripercorso, nel dettaglio, tutta la cronologia dell’appalto pubblico ed afferma che i ritardi nell’esecuzione dell’opera non sono dipesi ‘esclusivamente dalle varianti progettuali’, né dalle carenze riscontrate nel progetto esecutivo, ma soltanto dalla grave negligenza e dall’inadempimento dell’impresa appaltatrice, con la conseguenza che, a suo avviso, è stato violato l’art. 340 L. 20.3.1865 n. 2248 (All. F), che disciplina la rescissione del contratto di appalto nel caso in cui l’appaltatore si renda colpevole di grave negligenza.
Il motivo è inammissibile.
Va osservato che l’Amministrazione ricorrente, nel dedurre la violazione dell’art. 340 L. 20.3.1865 n. 2248 (All. F), non ha sollevato una questione di interpretazione della norma, ma ha, inammissibilmente, contestato la sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti fattuali per l’operatività dell’istituto della rescissione del contratto pubblico, contestando la ricostruzione di fatto svolta dalla Corte d’Appello e la sua valutazione in ordine alla dedotta negligenza dell’impresa appaltatrice, così invoca ndo un sindacato di merito che non è consentito in sede di legittimità.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 53, 54 e 89 RD n. 350/1895, 29 DPR n. 1063//1962, 1175, 1362, 1371 e 1375 c.c. e 340 L. n. 2248/1865 (ALL. F).
L’amministrazione ricorrente, nell’esaminare in dettaglio (da pag . 25 a pag. 42 della sentenza impugnata) le riserve iscritte dall’A.T.I., ha contestato le conclusioni cui è giunta la Corte d’Appello sulla scorta delle risultanze della CTU.
Il motivo è, parimenti, inammissibile.
La ricorrente ha svolto una critica diretta della CTU, accolta dai giudici, invocando una diversa ricostruzione dei fatti e valutazione del materiale probatorio rispetto a quella operata dai giudici di merito.
Dunque, anche con tale motivo vene invocato un sindacato di merito non consentito in sede di legittimità.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 1224 e 1284 c.c..
La ricorrente ha censurato la statuizione con cui la Corte d’Appello, nel condividere l’impostazione della sentenza del Tribunale in ordine alla qualificazione come debito di valuta della somma dovuta dalla Provincia di Palermo, ha, tuttavia, ritenuto che gli interessi legali dovessero essere liquidati con decorrenza dalla domanda introduttiva del giudizio e non dalla data di pubblicazione della sentenza.
Il motivo è infondato.
Va osservato che è orientamento consolidato di questa Corte (cfr. Cass. n. 19604/2016; conf. 727/2020) quello secondo cui:’ In tema di appalto di opere pubbliche, la “riserva” della quale l’appaltatore è onerato al fine di evitare la decadenza da domande di ulteriori compensi, indennizzi o risarcimenti, richiesti in dipendenza dello svolgimento del collaudo, non assurge ad atto di costituzione in mora, con la conseguenza che gli interessi sulle somme
effettivamente dovute da parte della P.A. vanno liquidati con decorrenza dalla data della domanda introduttiva del giudizio (nella specie, arbitrale), quale unico momento all’uopo rilevante, in quanto è allo stesso appaltatore consentito di attuarsi per la relativa proposizione’.
Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 112 c.p.c. e 52 e 93 L.F..
La ricorrente ha criticato la statuizione con cui la Corte d’Appello ha dichiarato improcedibili le domande riconvenzionali proposte dalla stessa Amministrazione contro il Fallimento RAGIONE_SOCIALE in questa sede di cognizione ordinaria.
8. Il motivo è infondato.
E’ orientamento ormai consolidato di questa Corte (cfr. Cass. n. 28833/2017) quello secondo cui: ‘Qualora, nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all’accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, derivante dal medesimo rapporto, la suddetta domanda, per la quale opera il rito speciale ed esclusivo dell’accertamento del passivo ai sensi degli artt. 93 e ss. della l. fall., deve essere dichiarata inammissibile (o improcedibile se formulata prima della dichiarazione di fallimento e riassunta nei confronti del curatore) nel giudizio di cognizione ordinaria, e va eventualmente proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore, mentre la domanda proposta dalla curatela resta davanti al giudice per essa competente, che pronuncerà al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria. Tale principio opera anche quando, in un processo promosso da un soggetto ‘in bonis’ per ottenere il proprio credito, il convenuto si costituisca e proponga domanda riconvenzionale per il pagamento di un credito nascente dal medesimo rapporto contrattuale e, successivamente, a seguito del fallimento del convenuto, il curatore si costituisca per coltivare
la domanda riconvenzionale da quest’ultimo proposta, sicchè in tal caso la domanda del fallito può essere coltivata dalla curatela in sede ordinaria, mentre quella nei confronti del fallito, divenuta improcedibile in sede ordinaria, deve essere necessariamente riproposta in sede fallimentare nel procedimento di accertamento del passivo’.
Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 102, 112, 183, 189 e 345 c.p.c..
La Corte d’Appello ha ritenuto inammissibile il terzo motivo dell’appello incidentale della Provincia riguardante la doglianza della mancata condanna della curatela fallimentare della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle somme richieste dalla Provincia in solido con la RAGIONE_SOCIALE
Si contesta l’affermazione della Corte di merito secondo cui la Provincia non avrebbe proposto le domande riconvenzionali nel giudizio di primo grado anche nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è assorbito per effetto della declaratoria di improcedibilità, correttamente pronunciata dalla Corte d’Appello (vedi sopra punto 8 della presente trattazione), di tutte domande svolte nei confronti di procedure fallimentari.
Con riferimento al ricorso incidentale del fallimento RAGIONE_SOCIALE nel quale si discute della quota spettante alla curatela di tale fallimento della somma cui è stata condannata la Citta Metropolitana di Palermo, nella prima parte di tale ricorso è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 23 comma 8 d.lgs n. 406/91e 345 c.p.c.. nonché omesso esame di un fatto decisivo del giudizio ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c..
Lamenta il fallimento RAGIONE_SOCIALE che la Corte d’Appello è incorsa nel vizio di omessa pronuncia, per non essersi pronunciata sull’eccezione di inammissibilità per tardività, ex art. 345 c.p.c., dallo stesso sollevata in relazione al motivo d’appello proposto dal fallimento RAGIONE_SOCIALE, il quale aveva contestato la sentenza di
primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto al fallimento RAGIONE_SOCIALE il 50% e non il 20% della somma liquidata a carico della Provincia di Palermo ( ora Città Metropolitana).
La Corte d’Appello aveva, poi, riformato, sul punto, la sentenza di primo grado evidenziando che l’accordo, in virtù del quale la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE avevano pattuito di ripartirsi al 50 % ciascuna le somme derivanti dal contratto di appalto pubblico, era stato stipulato in data 31.10.2001 con una scrittura privata di transazione che era stata dichiarata inefficace ex art. 67 L.F. dal Tribunale di Napoli, divenuta definitiva a seguito della sentenza n. 3902/2012 della Corte d’Appello di Napoli.
In particolare, il fallimento RAGIONE_SOCIALE lamenta che la RAGIONE_SOCIALE aveva introdotto la questione della revoca ex art. 67 L.F. della transazione (e conseguente diversa ripartizione delle quote) soltanto per la prima volta in sede di impugnazione della sentenza di primo grado, non avendo fatto alcun cenno alla stessa innanzi al Tribunale di Palermo.
12. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
La deduzione del fallimento RAGIONE_SOCIALE è solo assertiva, non avendo questa parte avuto cura di riportare le conclusioni svolte dal fallimento RAGIONE_SOCIALE in primo grado, al fine di accertare la dedotta tardività. Peraltro, tali conclusioni sono state riportare nel controricorso del fallimento RAGIONE_SOCIALE, da cui emergerebbe che tale eccezione era stata sollevata tempestivamente, durante il giudizio di primo grado e non, quindi, solo nel giudizio d’appello.
13. Nella seconda parte del motivo del ricorso incidentale, il fallimento RAGIONE_SOCIALE ha dedotto la violazione dell’art. 23 comma 8 d.lgs n. 406/1991, per avere la Corte d’Appello attribuito alla curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE (a pag. 45 c’è un errore materiale si dice ‘fallimento RAGIONE_SOCIALE‘) una percentuale maggiore (80%) in luogo di quella originaria (56%) di partecipazione alla RTI.
Rileva la curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE che, nel corso della realizzazione dell’opera pubblica, aveva erogato ingenti mezzi finanziari in misura superiore rispetto alla percentuale assunta nell’ambito del RTI (20%), e, segnatamente, nella misura del 64%, facendo fronte a pagamenti diretti per lire 1.511.296.014. La società RAGIONE_SOCIALE aveva riconosciuto tale maggiore apporto fornito da RAGIONE_SOCIALE nel corpo della transazione poi revocata, in cui erano stati indicati tutti i costi sostenuti da RAGIONE_SOCIALE.
Tale circostanza era stata indicata come fatto non contestato tra le parti nella premessa della transazione e risultava dalla sentenza della Corte d’Appello (non più impugnabile) che aveva confermato la revoca ex art. 67 L.F. della transazione.
Ad avviso della ricorrente incidentale, la Corte d’Appello ha omesso di considerare -e in questo si sostanza la doglianza di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 n. 5 c.p.c. – che il maggior apporto economico fornito da RAGIONE_SOCIALE rispetto al percentuale prevista nel RTI si evinceva proprio dal contenuto della predetta scrittura transattiva. La revoca del predetto accordo transattivo non poteva estendersi al riconoscimento del maggior apporto fornito da RAGIONE_SOCIALE, essendo l’inefficacia e l’inopponibilità della transazione limitata al riconoscimento del diritto di pretendere il 50% delle somme dovute dalla Provincia.
Infine -deduce SOGEA – una volta ritenuto che per effetto dello scioglimento del mandato conseguente al fallimento della capogruppo mandataria del RTI, la curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE non era più legittimata ad effettuare incassi in nome e per conto della mandante RAGIONE_SOCIALE, e una volta riconosciuto il maggior apporto fornito dalla RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’Appello avrebbe dovuto riconoscere il diritto di quest’ultima a ricevere la quota di spettanza di FINAC (24%) e quindi il diritto di RAGIONE_SOCIALE a ricevere il pagamento diretto di un importo pari al 44% delle somme riconosciute al Raggruppamento di Imprese.
14. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente incidentale, con l’apparente doglianza della violazione dell’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., invoca una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quelli accertati dalla Corte d’Appello di Palermo che, a pag. 39, ha affermato che ‘..Alla curatela RAGIONE_SOCIALE, infatti, non può applicarsi neppure l’asserita percentuale pari al 44% delle somme riconosciute all’ATI (comprensiva della quota del 24% spettante a RAGIONE_SOCIALE), non essendo stato dimostrato che la RAGIONE_SOCIALE avesse finanziato l’associazione in misura maggiore rispetto alla propria percentuale di impegno’.
La circostanza dedotta dalla SOGEA, secondo cui dalla sentenza della Corte di Napoli , costituente giudicato, emergerebbe (questa è l’affermazione della Corte d’Appello di Napoli, riportata a pag. 47 del ricorso incidentale di SOGEA) che ‘ Non essendo contestate le circostanze riassunte nella premessa della transazione in questione, non vi è dubbio allora che la RAGIONE_SOCIALE vantava nei confronti della RAGIONE_SOCIALE un credito corrispondente pari alla eccedenza dei cosato, pari ad e euro 1.511.296.014 ed al 64% del totale, da essa sostenuti per l’esecuzione dell’appalto rispetto alla quota del 20% di sua spettanza.. ‘ non rientra nella fattispecie dell’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 comma 1° n 5 c.p.c..
La Corte d’Appello di Palermo, dopo aver dato atto della produzione da parte della curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE della sentenza della Corte d’Appello di Napoli che ha confermato la revoca ex art. 67 L.F. della transazione, ha esaminato il fatto relativo all’apporto finanziario fornito da RAGIONE_SOCIALE nell’appalto di cui è causa, giungendo, come detto, alla conclusione che non era stato dimostrato che la RAGIONE_SOCIALE avesse finanziato l’associazione in misura maggiore rispetto alla propria percentuale di impegno.
Non vi stato quindi nessuna omessione di fatto decisivo.
Quello di cui si duole il fallimento RAGIONE_SOCIALE è che tale fatto, che è stato un punto controverso della causa (per questo non si può parlare di eventuale errore revocatorio ex art. 395 n. 4 c.p.c.) non sia stato esaminato correttamente, ma tale censura è palesemente inammissibile alla luce dell’insegnamento della recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 5792/2024 (in tema di c.d. travisamento della prova), nella quale è stato affermato che ‘… il momento dell’individuazione delle informazioni probatorie che dal dato probatorio possono desumersi è riservato al giudice di merito, ed è per questo sottratto al giudizio di legittimità, a condizione, che il giudice di merito si sia in proposito speso in una motivazione eccedente la soglia del «minimo costituzionale» …(pag. 28)’.
Orbene, nel caso di specie, la sentenza impugnata è stata ampiamente motivata e, del resto, il fallimento RAGIONE_SOCIALE neppure ha dedotto che, sul punto, la sentenza impugnata non eccedesse la soglia del ‘minimo costituzionale’, con la conseguenza che la valutazione del giudice di merito non può essere sindacata in sede di legittimità.
Le spese di lite seguono la soccombenza sia, da un lato, nei rapporti tra Citta Metropolitana di Palermo e le curatela delle società fallite, in relazione al ricorso principale, sia, dall’altro, tra le singole curatele, in relazione al ricorso incidentale del fallimento RAGIONE_SOCIALE
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso principale.
Dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Condanna la Città Metropolitana di Palermo alla rifusione delle spese di lite sostenute sia dalla curatela del Fallimento RAGIONE_SOCIALE che liquida in € 10.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge, sia dalla curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE che liquida in €
10.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Condanna la curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE che liquida in € 8.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte sia del ricorrente principale che del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I Sezione civile