Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10066 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10066 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 23306/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa giusta procura speciale in calce al ricorso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio di quest’ultimo difensore .
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, e COGNOME COGNOME rappresentati e difesi, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e notifiche relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
E
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO
-controricorrente-
E
NOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, e NOME COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME i quali chiedono di ricevere le comunicazioni delle notificazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio di quest’ultima, INDIRIZZO
-controricorrente-
E
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME i quali chiedono di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, n. 57/2019, depositata il 18/5/2019
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11/4/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
In data 22/12/2010 veniva bandita dalla RAGIONE_SOCIALE la gara per l’affidamento dei lavori di «manutenzione straordinaria della dorsale di distribuzione del gas naturale, tratto MEBO Lana-uscita Merano».
Il 15/4/2011 veniva stipulato il contratto tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE per il prezzo di euro 1.118.120,70.
Con provvedimento del 7/11/2011 la committente risolveva il contratto prima della scadenza del termine di ultimazione dell’opera, in ragione del ritardo accumulato dall’impresa nell’esecuzione, in particolare, delle trivellazioni in tre punti della rete.
L’aggiudicataria RAGIONE_SOCIALE con citazione delle 17/10/2013, dopo aver esperito una ATP, conveniva dinanzi al tribunale di Bolzano la committente RAGIONE_SOCIALE, oltre a NOME COGNOME e l’Ing. NOME COGNOME che avevano curato la progettazione, il primo, ed il secondo anche la direzione dei lavori e, infine, l’Ing. COGNOME COGNOME quale collaudatore dell’opera parzialmente eseguita, chiedendo dichiararsi illegittima la risoluzione in autotutela della RAGIONE_SOCIALE, contestando il loro inadempimento e chiedendo la condanna in solido dei convenuti al pagamento della somma di euro 1.637.224,50 a saldo del prezzo dei lavori eseguiti e, altresì, a titolo di risarcimento.
Si costituiva in giudizio la committente RAGIONE_SOCIALE contestando la domanda attore a e chiedendo in via riconvenzionale la condanna della RAGIONE_SOCIALE al ristoro dei danni cagionati dall’inadempimento, indicati in euro 1.151.075,72.
In ordine alla domanda di risarcimento danni presentata dalla RAGIONE_SOCIALE, la committente RAGIONE_SOCIALE chiedeva di essere garantita dai progettisti e dal direttore dei lavori, i quali, a loro volta, chiedevano di condividere gli effetti della loro responsabilità eventualmente accertata con la stessa committente, nonché con l’Ing. NOME COGNOME responsabile unico del procedimento (RUP).
A sua volta, il collaudatore Ing. NOME COGNOME promuoveva azione di garanzia nei confronti della propria compagnia di assicurazioni RAGIONE_SOCIALE, che negava ogni responsabilità e, comunque, deduceva l’assenza di copertura assicurativa.
Il tribunale di Bolzano, con la sentenza n. 940 dell’8/8/2017, pur riconoscendo la legittimità della risoluzione del contratto e, dunque, l’inadempimento dell’impresa, tuttavia accertava un credito di euro 423.507,70, in favore della RAGIONE_SOCIALE «unicamente quale prezzo dell’appalto parzialmente eseguito, maggiorato delle riserve ritenute fondate».
Disattendeva invece tutte le altre pretese risarcitorie, ivi comprese quelle fatte valere in via riconvenzionale dalla SELGAS NET.
5.1. Il tribunale condannava RAGIONE_SOCIALE a rifondere a RAGIONE_SOCIALE i 2/3 delle spese di lite, compensando 1/3, liquidando per l’intero (3/3) euro 21.387,00 per compensi.
Condannava RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in solido fra loro ed internamente per una metà ciascuno, a rifondere a NOME COGNOME NOME ed allo studio NOME COGNOME NOME le spese di lite.
Condannava RAGIONE_SOCIALE a rifondere a NOME COGNOME le spese di lite.
Condannava RAGIONE_SOCIALE rifondere a NOME COGNOME le spese di lite.
Condannava RAGIONE_SOCIALE a rifondere a Zurich le spese di lite.
Proponeva appello principale la committente RAGIONE_SOCIALE con atto di citazione del 26/8/2017, reiterando la propria richiesta di risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale, nonché «per la statuizione sulle spese».
6.1. Proponeva appello incidentale la RAGIONE_SOCIALE censurando, in particolare, la statuizione del giudice di prime cure sulla ritenuta legittimità della risoluzione contrattuale.
Contestava anche l’accoglimento solo parziale delle riserve da lei iscritte ed il rigetto delle proprie pretese risarcitorie.
Rilevava, in particolare, la non correttezza della decisione della committente di appaltare la parte eseguita dell’opera mediante una nuova gara, anziché mediante lo scorrimento della rotatoria risultata all’esito della gara già espletata.
Contestava anche «la statuizione sulle spese».
Si costituivano anche le altre parti chiedendo il rigetto dell’appello incidentale e, comunque, reiterando le domande di manleva.
La Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza n. 57/2019, depositata il 18/5/2019, in accoglimento dell’appello principale di RAGIONE_SOCIALE e disatteso l’appello incidentale del fallimento RAGIONE_SOCIALE respingeva tutte le domande del fallimento RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 93 l.f. dichiarava improcedibile la domanda riconvenzionale di RAGIONE_SOCIALE.
Condannava il fallimento RAGIONE_SOCIALE a rimborsare a tutte le altre parti in causa le spese di entrambi i gradi di giudizio.
8.1. In particolare, per quel che ancora qui rileva, la Corte territoriale si soffermava sui primi tre motivi di appello incidentale proposti dal fallimento RAGIONE_SOCIALE
8.2. Quanto al primo, l’inadempimento che era stato ascritto alla RAGIONE_SOCIALE consisteva nella mancata esecuzione delle «trivellazioni orizzontali controllate» in tre punti della rete, cui aveva fatto seguito la risoluzione del contratto disposta in via di autotutela da parte della committente RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’appello riportava le conclusioni del CTU, per il quale la mancata esecuzione delle TOC (trivellazioni orizzontali controllate) era stata determinata dalla mancanza «di un’adeguata progettazione esecutiva», con la precisazione, però, che la «redazione del progetto esecutivo per chiare prescrizioni contrattuali faceva capo a RAGIONE_SOCIALE».
Per il CTU, nella voce elenco prezzi 75.80.80.01 era ricompresa «l’esecuzione ed elaborazione di tutte le analisi del terreno aggiuntive ritenute necessarie nonché l’elaborazione di un progetto esecutivo delle perforazioni incluso profilo».
La società appaltatrice non aveva però soddisfatto tale precisa richiesta contrattuale.
La RAGIONE_SOCIALE aveva contestato l’addebito di inadempimento assumendo l’illegittimità della clausola citata per contrarietà agli articoli 53,90,91 e 93 del d.lgs. n. 163 del 2006.
Trattavasi di norme imperative, ai sensi dell’art. 1418, primo comma, c.c., che non potevano essere derogate dai contraenti.
La predisposizione del progetto esecutivo dell’opera spettava alla committente.
Ad avviso della RAGIONE_SOCIALE dunque, per effetto della sostituzione automatica, ai sensi dell’art. 1339 c.c. della relativa norma di legge inderogabile, la responsabilità nella specie doveva
essere individuata nella committente, per non aver adempiuto all’obbligo di mettere a disposizione dell’appaltatrice il progetto esecutivo relativo alle trivellazioni.
E tuttavia, per la Corte d’appello, la RAGIONE_SOCIALE non aveva censurato la premessa da cui primo giudice aveva fatto derivare la validità della clausola.
In particolare, trattavasi di un’impresa pubblica ex art. 3, comma 28, del d.lgs. 163 del 2006, e l’opera appaltata afferiva «al suo specifico settore di attività economica (art. 208, comma 1, lettera a d.lgs. 163/2006), trattandosi della manutenzione della rete di distribuzione del gas.
Pertanto il contratto era riconducibile alla categoria dei «settori speciali», con la conseguenza diretta che al contratto era applicabile direttamente soltanto la parte III del codice dei contratti.
La disciplina «diversa» rispetto a quella contenuta nella parte III del codice risultava contrattualizzata.
L’art. 206 del d.lgs. n. 163 del 2006 indicava espressamente le norme della parte II del codice dei contratti del 2006 direttamente applicabili in tale ambito.
Tra esse non erano indicate quelle sulla competenza esclusiva del committente in ordine alla progettazione esecutiva.
Del resto, anche i CTU di prime cure hanno affermato che nella voce 75.80.80.01, riguardante le TOC, tra gli oneri contrattuali per l’esecutore era espressamente prevista, prima dell’inizio dell’attività, «la presentazione della progettazione esecutiva delle perforazioni».
Ciò si spiegava in quanto l’impresa aveva una specifica competenza nell’eseguire questo particolare tipo di lavorazione.
Veniva anche respinta l’ulteriore doglianza della RAGIONE_SOCIALE in quanto la committente aveva risolto unilateralmente il contratto, benché sulle osservazioni della appaltatrice in ordine all’addebito di
inadempimento, si era pronunciato «il direttore dei lavori e non invece responsabile unico del procedimento» come previsto dall’art. 136 del d.lgs. n. 163 del 2016.
Per la Corte d’appello, però, «eventuali vizi dell’atto potrebbero avere rilevanza nel presente giudizio se essi avessero cagionato all’impresa dei danni risarcibili».
8.3. Quanto al secondo motivo di appello incidentale l’appaltatrice si doleva del mancato accoglimento dell’intero ammontare delle richieste economiche.
Erano state iscritte riserve per l’importo di euro 766.866,78, mentre l’accoglimento era avvenuto per la minor somma di euro 96.254,83.
La sentenza non conteneva un esame analitico delle 57 singole riserve iscritte, ma solo l’enunciazione dei criteri formulati dai periti d’ufficio.
In particolare, per i CTU non potevano essere accettate riserve in merito «allo stato dei luoghi di consegna» in presenza di un verbale di consegna «sottoscritto dall’impresa senza riserve».
Non poteva essere accolta la tesi del direttore dei lavori e del collaudatore in ordine alla intempestività delle riserve al SAL 1, espresse dall’impresa con raccomandata, in quanto al momento della iscrizione delle stesse non sarebbero stati predisposti il giornale dei lavori, il libretto delle misure ed il registro di contabilità.
La tesi sostenuta dalla appaltatrice si fondava sulla circostanza che la sottoscrizione da parte sua del verbale di consegna del 3/5/2011 era stata in qualche misura obbligata, in quanto l’effettiva consegna del cantiere era intervenuta solo il 9/5/2011. In tale ultima data l’appaltatrice si era resa conto che il cantiere non era completamente libero.
Per tale ragione l’appaltatrice aveva potuto iscrivere riserve solo il 9/5/2011.
Insomma, la sottoscrizione del verbale di consegna dei lavori del 3/5/2011 era stata «artatamente ed illecitamente imposta dalla DL in data 3/5/2011 rispetto all’effettiva consegna del cantiere del 9/5/2011».
Per la Corte d’appello tale censura era inammissibile perché non specifica.
L’impresa aveva dunque scelto di sottoscrivere il verbale di consegna prima di aver ricevuto in consegna il cantiere.
Inoltre, l’appaltatrice si doleva per il mancato riconoscimento delle riserve relative ai materiali da lei approvvigionati.
Per la società doveva essere riconosciuta anche la sola fornitura dei materiali depositati in cantiere.
Al contrario, per la Corte territoriale la fornitura dei materiali nell’appalto rappresentavano obbligazione semplicemente strumentale, il cui adempimento però non soddisfaceva di per sé l’interesse contrattuale e, quindi, non costituiva «esecuzione neppure parziale del contratto».
La remunerazione dei materiali approvvigionati era prevista dall’art. 180, comma 4, del d.P.R. n. 207 del 2010, esclusivamente per determinati manufatti «il cui valore è superiore alla spesa per la messa in opera». I capitolati speciali potevano stabilire anche il prezzo a pié d’opera, prevedendo il loro accreditamento in contabilità prima della messa in opera.
8.4. Quanto alle riserve correlate alla voce 75.80.80.02 le stesse non spettavano proprio in quanto la progettazione relativa all’esecuzione delle trivellazioni doveva essere redatta dall’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE
8.5. Neppure risultava fondata la censura dell’appaltatrice, per la quale le riserve sarebbero sorte in ragione delle «determinanti» prospettazioni «riservate del DL e più ancora del collaudatore in corso d’opera, le quali invece dovevano intendersi inconferenti e del tutto inefficaci, ai fini di un loro condizionamento valutativo».
Per la Corte d’appello, in realtà, si prospettavano dei condizionamenti dei periti d’ufficio sulla base delle osservazioni del direttore dei lavori e del collaudatore, colorando la censura di non specificità.
Non vi era indicazione di alcuno specifico documento, in relazione a ciascuna riserva.
8.6. Quanto alla richiesta di un maggiore credito per euro 136.441,57 da parte dell’appaltatrice, la Corte d’appello osservava che, in base alla CTU, i lavori effettivamente eseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE erano di euro 724.851,34 oltre Iva, mentre la società RAGIONE_SOCIALE aveva emesso fatture per la minore somma di euro 668.041,44 oltre Iva, residuando una differenza in favore dell’appaltatrice di euro 56.809,90.
Tuttavia, la circostanza che l’appaltatrice non avesse fatturato l’intero importo non significava che vantasse automaticamente a credito tale differenza.
Ciò in quanto al credito per il prezzo dei lavori eseguiti, solo in parte maturato dall’impresa, la società committente RAGIONE_SOCIALE aveva opposto in compensazione propri controcrediti di cui si doveva tener conto al fine di accertare il saldo finale.
Con il terzo motivo di appello incidentale la RAGIONE_SOCIALE si doleva del rigetto da parte del tribunale della domanda risarcitoria promossa nei confronti dei progettisti, del direttore dei lavori e del collaudatore, benché l’indagine peritale avesse accertato l’inadeguatezza delle prestazioni professionali da essi rese.
La Corte d’appello qui richiamava tutte le argomentazioni precedenti, in ordine alla circostanza che la progettazione relativa all’esecuzione delle trivellazioni doveva essere redatta proprio dalla società appaltatrice.
Gli errori di progettazione, dunque, non potevano essere accollati ad altri soggetti.
Chiariva la Corte territoriale che le inadempienze accertate dei CTU ed attribuite al direttore dei lavori, al responsabile unico del procedimento ed al collaudatore si riferivano alla conduzione tecnico/amministrativa dell’appalto, ma non rilevavano nel giudizio, poiché non si poneva nel rapporto di causalità con i danni allegati all’impresa.
Trattavasi di oneri connessi a spese tecniche, legali e amministrative relative alla trivellazione.
Tutti i danni derivavano dalle conseguenze provocate dall’incapacità della società appaltatrice di ultimare l’opera appaltata, «la cui unica causa è rappresentata dall’omessa progettazione esecutiva delle trivellazioni, oggetto di uno specifico obbligo dalle contrattualmente assunto».
Venivano accolti in parte i motivi di appello principale della RAGIONE_SOCIALE in relazione alle domande avanzate in via riconvenzionale per risarcimento dei danni per euro 1.151.075,72.
La Corte d’appello chiariva che la società RAGIONE_SOCIALE era stata dichiarata fallita sicché, il convenuto dalla curatela fallimentare per il recupero di un credito poteva eccepire in compensazione l’esistenza di un proprio controcredito verso il fallimento, in quanto tale eccezione era diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda attrice ottenendone rigetto totale o parziale; al contrario, nel caso di domanda riconvenzionale, la società in bonis , creditrice, avrebbe dovuto presentare domanda di insinuazione al passivo ex art. 96 l.f.,
in presenza di una domanda riconvenzionale di accertamento e di condanna al pagamento dell’importo spettante, una volta operata la compensazione.
Pertanto, delle ragioni di credito vantate dalla RAGIONE_SOCIALE si poteva tenere conto esclusivamente ai fini della compensazione.
10.1. In particolare, la Corte territoriale riconosceva il diritto della committente RAGIONE_SOCIALE per i ritardi nell’esecuzione dei lavori a carico della RAGIONE_SOCIALE
Il primo giudice, infatti, aveva erroneamente negato tale voce di danno, in quanto la committente RAGIONE_SOCIALE aveva risolto unilateralmente il contratto prima della scadenza.
Sia l’art. 21, comma 4, del D.M. n. 145 del 2000 che l’art. 59, comma 14, del d.P.R. n. 207 del 2010, prevedevano che nel caso di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 119 del regolamento, ai fini dell’applicazione delle penali, il periodo di ritardo era determinato sommando il ritardo accumulato dall’appaltatore rispetto al programma esecutivo dei lavori e il termine assegnato dal direttore dei lavori per compiere lavori.
La penale da ritardo era sempre dovuta dall’impresa. La penale doveva essere liquidata in base ai giorni di ritardo calcolati sul cronoprogramma predisposto dalla stessa impresa.
Inoltre, precisava il giudice di secondo grado che l’impresa aveva chiesto di scomputare i rallentamenti dei lavori dovuti a causa ad essa non imputabili, ma la società non aveva formalizzato alcuna eccezione in ordine a richieste di sospensione e/o proroga dei lavori che la committente avesse rifiutato.
I giorni di ritardo erano 143,5, con importo pari all’1% di quello contrattuale di euro 1.216.120,70, venendo determinato in euro 174.513,32, ridotto entro il limite massimo del 10% dell’importo contrattuale, e così complessivamente ad euro 121.612,07.
Di conseguenza, doveva essere accolto anche il terzo motivo di impugnazione principale della committente, in ordine al riconoscimento del diritto a trattenere la somma riscossa con l’escussione della fideiussione procurata dall’impresa a garanzia del corretto adempimento contrattuale.
Ai sensi dell’art. 123, comma 3, del d.P.R. n. 507 del 2010, la stazione appaltante avevano il diritto di valersi della cauzione per l’eventuale maggiore spesa sostenuta per il completamento dei lavori nel caso di risoluzione del contratto disposta in danno dell’esecutore.
Dovevano essere considerate le spese sostenute per riaffidare l’esecuzione dell’opera.
10.2. La Corte d’appello riconosceva la fondatezza anche del quarto motivo di appello principale della RAGIONE_SOCIALE, essendo giustificati maggiori oneri per il riappalto parziale dell’opera, attraverso la scelta di procedere ad una nuova gara.
Per la Corte territoriale, però, l’espletamento di una nuova gara in luogo dell’utilizzazione della graduatoria relativa alla gara precedente era oggetto di una facoltà riservata alla committente.
Peraltro, per il giudice di primo grado, la facoltà di scorrimento della graduatoria sussisteva solo qualora fosse possibile stipulare con l’imprenditore, che aveva presentato la seconda migliore offerta, un contratto avente lo stesso contenuto di quello concluso con l’aggiudicatario originario e poi risolto.
Nella specie, però, in base a quanto ritenuto di CTU, tale circostanza doveva essere esclusa.
Doveva essere considerata la peculiarità derivante «dalla necessità di eseguire una singola lavorazione che completava un’opera in parte già esistente».
10.3. Per i CTU, dunque, i nuovi progetti appaltati a RAGIONE_SOCIALE prevedevano un costo superiore a quello del progetto del 2010, ossia di euro 542.333,00 a fronte di euro 375.500,00. Già solo questa maggiore spesa, data dalla differenza di prezzo delle lavorazioni, che ascendeva ad euro 167.333,00, era sufficiente a giustificare l’escussione della garanzia prestata per euro 146.144,52.
10.4. La committente RAGIONE_SOCIALE con l’atto introduttivo del giudizio d’appello aveva allegato di aver restituito alla garante la somma di euro 68.212,00 in forza della sentenza di prime cure, che l’aveva condannata al relativo pagamento.
Pertanto, la somma effettivamente incassata dalla garante era di euro 77.832,52.
La produzione documentale, tesa ad attestare tale pagamento, non poteva essere considerata tardiva.
Inoltre, la modificazione meramente quantitativa della pretesa risarcitoria per fatti sopravvenuti non integrava una domanda nuova.
Con il terzo motivo di appello principale la RAGIONE_SOCIALE chiedeva l’accoglimento della domanda riconvenzionale di risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti inadempimento.
In realtà, vi era la preclusione di cui all’art. 93 legge fallimentare. Era dunque possibile verificare se i controcrediti risarcitori spettanti alla RAGIONE_SOCIALE valevano ad estinguere per compensazione i crediti dell’impresa.
I lavori effettivamente eseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE erano di euro 724.851,34, mentre la committente aveva eseguito pagamenti per euro 603.239,27.
Oltre al credito per la differenza, pari ad euro 121.612,07, alla appaltatrice RAGIONE_SOCIALE dovevano essere riconosciuti gli importi di euro 96.254,83 a titolo di riserve, di euro 53.016,37 per illegittime
detrazioni ed euro 6480,21 per un credito Iva, per un totale di euro 277.363,48.
Da tale importo dovevano essere detratte: euro 100.982,49, per le fatture emesse dal subappaltatore e non saldate dall’impresa, euro 121.612,07 a titolo di penale per ritardi, euro 89.500,48 per sovrapprezzo del riappalto delle trivellazioni non coperto dalla fideiussione parzialmente restituita, sovrapprezzo per euro 167.333,00 per un totale di euro 312.095,04.
Pertanto, il maggiore controcredito della committente azzerava il credito dell’impresa appaltatrice. Senza necessità di ulteriore verifica di fondatezza delle altre pretese risarcitorie fatte valere con la domanda riconvenzionale, che dovevano essere proposte in sede concorsuale.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il fallimento RAGIONE_SOCIALE
Hanno resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME depositando memoria scritta.
Hanno poi resistito con controricorso l’Ing. NOME COGNOME quale collaudatore, la RAGIONE_SOCIALE, lo studio di ingegneria NOME COGNOME e l’ingegnere NOME COGNOME NOMECOGNOME
La Zurich ha depositato memoria scritta, come pure NOME COGNOME.
Il Procuratore Generale, nella persona del dott. NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE deduce la «illegittimità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 4, c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli articoli 112,115,167 e 345 c.p.c.».
In particolare, la società si duole dell’affermazione della Corte d’appello, fondata sulla CTU, in ordine alla imputabilità alla RAGIONE_SOCIALE, non solo dell’esecuzione dei lavori, «ma anche dell’obbligo di redigere un progetto esecutivo relativo alle perforazioni (TOC), come desunta dai medesimi periti dalla mera lettura della voce 75.80.80.01 contenuta nell’Allegato Elenco Prezzi».
Per la ricorrente, invece, non vi sarebbe mai stata contestazione in ordine al fatto che il contratto oggetto di causa avesse ad oggetto esclusivamente «la realizzazione di lavori sulla base di un progetto esecutivo completo di quanto ex lege prescritto».
Il contratto non aveva ad oggetto anche la «progettazione (c.d. appalto integrato)».
Si trattava di effettuare esclusivamente i «lavori di manutenzione della dorsale di distribuzione del gas», senza alcuna prestazione di natura progettuale.
Del resto, nel disciplinare di gara era indicato quale «progettista» dell’opera pubblica da appaltare l’Ing. NOME COGNOME NOMECOGNOME Non era stata chiesta alcuna qualificazione di carattere progettuale.
La stessa società committente aveva precisato che «la progettazione cui la controparte fa riferimento era limitata alla sola cantierizzazione delle perforazioni (TOC), per le quali l’appaltatrice doveva riportare una relazione per ogni singola fase dell’attività, divise in foro pilota, alesaggio e tiro».
Non si trattava dunque di «un appalto integrato», non essendo a carico dell’appaltatrice la redazione del progetto esecutivo.
Non vi sarebbe stata mai contestazione tra le parti sul punto, non trattandosi di appalto integrato.
Solo il tribunale di prime cure aveva equivocato, seguendo le conclusioni del CTU, i quali avevano rilevato che la mancata realizzazione delle opere era dovuta alla mancanza di un progetto esecutivo per tre tratte di TOC di gara, «il cui onere di predisposizione gravava sull’appaltatore».
Al più, gravava sull’appaltatrice un obbligo di predisporre un semplice elaborato concernente l’organizzazione della cantierizzazione delle aree».
La Corte d’appello sarebbe addirittura arrivata ad affermare che «il progetto esecutivo (carente) di RAGIONE_SOCIALE avrebbe in realtà dovuto essere integrato da BG».
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «illegittimità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione del criterio ermeneutico degli articoli 1362, 1363, 1366 e 1369 c.c. Nell’interpretazione del contratto oggetto di causa».
La tesi della imputabilità RAGIONE_SOCIALE anche della progettazione esecutiva delle perforazioni sarebbe stata introdotta d’ufficio dalla Corte d’appello, ponendola a fondamento della sua decisione, deducendola della CTU.
Tuttavia, il CTU aveva tratto tale convincimento sulla base della lettura di una delle oltre 20 prestazioni contenute nella singola voce prezzo 75.80.80.01 che compariva nell’elenco allegato 3 al contratto.
Pur con i limiti nel giudizio di legittimità dell’interpretazione del contratto, la ricorrente non poteva giungere a «trasformare un contratto di appalto addirittura in un contratto di appalto integrato».
Nel bando di gara, ad avviso della ricorrente, i lavori di manutenzione straordinaria della dorsale di distribuzione del gas dovevano essere eseguiti sulla base del progetto esecutivo reso
disponibile dalla stessa committente RAGIONE_SOCIALE «in base al progetto esecutivo approvato».
La fase prodromica alla stipula del contratto era dunque fondamentale ai fini della corretta applicazione degli articoli 1362 e seguenti c.c.
Ed infatti, l’affidamento a mezzo di gara pubblica anche della progettazione dell’opera (appalto integrato) e non solo dei lavori ha natura eccezionale.
Per il principio di buona fede di cui all’art. 1366 c.c. doveva desumersi la non imputabilità RAGIONE_SOCIALE di prestazioni diverse dall’attuazione dei lavori previsti nel progetto esecutivo che era stato messo a gara da RAGIONE_SOCIALE
In particolare, l’art. 53, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, richiamato espressamente dall’art. 206, primo comma, del d.lgs. n. 163 del 2006, stabiliva con chiarezza che quando il contratto aveva ad oggetto anche la progettazione gli operatori economici dovevano possedere i requisiti prescritti per i progettisti ovvero avvalersi di progettisti qualificati da indicare nell’offerta.
Per tale ragione, se il contratto avesse davvero avuto ad oggetto anche solo una parte minima della progettazione esecutiva, RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto chiedere in sede di gara i potenziali candidati requisiti specifici di esperienza in tema di progettazione, così da garantire non solo la validità della procedura pubblica di gara, ma prima ancora l’interesse inderogabile l’essenza della PA.
RAGIONE_SOCIALE, invece, non solo aveva indicato nel disciplinare di mettere a gara un progetto esecutivo già approvato, ma anche indicato in modo espresso il soggetto titolare della progettazione, ossia NOME COGNOME NOME
Rileva la ricorrente che «non si trattava in alcun modo e sotto nessun profilo di un appalto integrato».
Non si sarebbe potuto trasformare «in modo semplicistico il contratto oggetto di causa d’appalto di lavori ad appalto integrato».
Non poteva essere sufficiente l’inciso contenuto nella voce 78.80.80.01 :«elaborazione di un progetto esecutivo delle perforazioni incl. Profilo delle perforazioni», a carico di RAGIONE_SOCIALE per dedurne, anziché una mera predisposizione del progetto inerente la cantierizzazione e/o l’esposizione grafica di quanto realizzato in sede esecutiva, l’affidamento di una vera e propria progettazione esecutiva delle trivellazioni.
La tesi della Corte d’appello dell’esistenza di una sorta di appalto integrato ‘mascherato’ sarebbe verosimile, seguendo l’espressione della Corte d’appello.
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «illegittimità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., in combinato con gli articoli 53,90,91,93,206 e 238 del d.lgs. 163/06, e per omesso rilievo della invalidità della clausola di cui alla voce prezzo 75.80.80.01, come interpretata dalla medesima Corte d’appello di Bolzano».
La Corte d’appello, infatti, se da una parte attribuito RAGIONE_SOCIALE l’obbligo di realizzare una parte del progetto esecutivo dell’opera pubblica, dall’altra ha ritenuto non applicabile al caso di specie le norme imperative di cui al d.lgs. n. 163 del 2006 e di cui al d.P.R. 207 del 2010, «con ciò di fatto sostenendo la derogabilità pattizia delle medesime».
La Corte territoriale, in particolare, ha ritenuto che l’art. 206 del d.lgs. n. 163 del 2006 indica espressamente quali sono le norme della parte II del medesimo d.lgs. direttamente applicabili a questo specifico ambito.
Ne ha dedotto che «se tra queste non sono annoverate quelle sulla competenza esclusiva della committenza in ordine alla progettazione esecutiva, vuol dire che essa ben può essere negozialmente trasferita all’esecutore dell’opera».
Ribadisce la ricorrente che la gara pubblica prodromica alla stipula del contratto non aveva avuto ad oggetto un appalto integrato.
La nullità parziale della voce prezzo suindicata derivava dalla circostanza che la RAGIONE_SOCIALE aveva inserito tale clausola in modo surrettizio nel contratto da lei predisposto unilateralmente, senza considerare che si poneva in realtà in aperto contrasto con i principi fondamentali, ritenuti inderogabili dal codice dei contratti.
Del resto, la parte II del codice dei contratti, ai sensi dell’art. 206 del d.lgs. n. 163 2006, è applicabile sempre agli «appalti dei cd settori speciali quale quello della distribuzione del gas».
Le funzioni di progettazione dell’opera pubblica non potevano essere affidate in via eccezionale a soggetti esterni alla p.a.
Era di sicuro applicabile l’art. 53, commi 1, 2,3 e 4 del d.lgs. 163 del 2006, in quanto tale norma risulta espressamente contemplata dall’art. 206, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, anche nei settori speciali.
L’art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006 conferma il favor che da sempre il legislatore ha per la progettazione interna, richiedendo anche alle imprese pubbliche che operano nel settore del gas, dove vogliono affidare un appalto integrato, di assumere una determina a contrarre completa di una motivazione in ordine alle esigenze tecniche, organizzative ed economiche.
Si tratta di un onere che limita a casi eccezionali l’affidamento a soggetti esterni della progettazione esecutiva.
Tra l’altro, l’art. 53 comma 3 del d.lgs. n. 163 del 2006 obbliga le stazioni appaltanti a specificare in sede di gara pubblica ai potenziali candidati che l’appalto comprende anche la progettazione dell’opera, fissando sin dal bando di gara quale requisito di partecipazione il possesso di una specifica competenza in materia di progettazione.
Nella specie, però, RAGIONE_SOCIALE ha indetto la gara d’appalto e sottoscritto il contratto con RAGIONE_SOCIALE senza mai esplicare che l’appalto aveva ad oggetto anche attività di progettazione, facendosi anzi riferimento ad un progetto esecutivo già provato.
Tra l’altro, tra le norme applicabili, attraverso il richiamo di cui all’art. 206 del d.lgs. n. 163 del 2006, vi sono anche gli articoli 90, 91 a 93.
Inoltre, nel capitolato speciale d’appalto si è indicata l’integrale applicazione al contratto del d.lgs. n. 163 2006 e del d.P.R. n. 554 del 99, senza esclusione alcuna, e quindi con il richiamo anche alle norme sulla progettazione.
Strettamente connesse a tale motivo sono poi le ulteriori questioni in ordine alle riserve correlate alla voce 75.80.80.02, come pure i maggiori oneri per euro 136.441,57, per il danno all’immagine, ed il rigetto del terzo motivo di appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE per la pretesa avanzata nei confronti del progettista di RAGIONE_SOCIALE, lo studio COGNOME & COGNOME e ingegner NOME COGNOME oltre che l’ingegner NOME COGNOME NOMECOGNOME
Allo stesso modo, pure collegate sono le decisioni relative riconoscimento della penale per ritardata esecuzione oppure il diritto a trattenere la somma riscossa e l’escussione della fideiussione, il diritto maggiori oneri per il riappalto delle trivellazioni.
I motivi primo, secondo e terzo del ricorso, che vanno trattati congiuntamente perfette ragioni di connessione, sono infondati.
4.1. La Corte d’appello, con motivazione condivisibile, ha ritenuto che il contratto d’appalto stipulato tra la RAGIONE_SOCIALE, quale committente, e la RAGIONE_SOCIALE quale società appaltatrice, apparteneva al regime degli appalti c.d. speciali, valorizzando, oltre alla natura di impresa pubblica della RAGIONE_SOCIALE, anche l’oggetto dell’attività da eseguire, consistente nella manutenzione straordinaria dorsale di distribuzione del gas naturale.
Trattandosi, quindi, di contratti di appalto speciali, trovava applicazione l’art. 206 del d.lgs. n. 163 del 2006, il quale garantiva una maggiore flessibilità nella contrattazione, proprio in riferimento alla speciale categoria di lavori che dovevano essere realizzati.
Particolarmente chiaro il passaggio della Corte territoriale nella parte in cui rileva che «la committente è un’impresa pubblica (art. 3, comma 28 d.lgs. 163/2006) e che l’opera appaltata afferisce al suo specifico settore di attività economica (art. 208, comma 1, lettera a) d.lgs. 163/2006), trattandosi della manutenzione della rete di distribuzione del gas», con il corollario per cui «l’appalto pubblico oggetto di causa è riconducibile alla categoria dei c.d. settori speciali».
La conseguenza, per la Corte territoriale, era che da tale«incontestata premessa deriva che al contratto in questione è applicabile direttamente soltanto la parte terza del codice dei contratti».
5. L’equivoco che, invece, colpisce la ricostruzione del ricorrente fallimento RAGIONE_SOCIALE è quello che il giudice di secondo grado avrebbe reputato sussistere un obbligo di redazione del progetto esecutivo in capo alla società giudicatrice, trattandosi di appalto integrato.
In realtà, la Corte d’appello non afferma mai la sussistenza dell’obbligo della società appaltatrice di redigere il progetto
esecutivo, come avviene nelle ipotesi di appalto integrato, mentre il progetto definitivo è ovviamente a carico della società committente, ma si limita a sottolineare che spettava alla società appaltatrice RAGIONE_SOCIALE redigere, con un ambito molto più limitato, la progettazione esecutiva delle perforazioni, ossia delle trivellazioni in tre punti della rete.
Va sgombrato il campo, dunque, dalla disciplina dell’appalto integrato che, invece, la ricorrente reiteratamente richiama nell’ambito dei primi tre motivi di ricorso per cassazione.
La Corte d’appello ha evidenziato che nella voce prezzi 75.80.80.01 «Trivellazioni orizzontale controllata – tra gli oneri contrattuali per l’esecutore è espressamente prevista prima dell’inizio dell’attività, la presentazione della progettazione esecutiva delle perforazioni».
Trattavasi dunque di una clausola negoziale perfettamente valida, in quanto le parti avevano inteso univocamente obbligare l’impresa appaltatrice «alla compilazione della progettazione esecutiva delle trivellazioni».
Ciò del resto – ha aggiunto la Corte di merito – per un evidente ragione pratica: «assumendo che l’impresa avesse una specifica competenza nell’eseguire questo particolare tipo di lavorazione, la committente ha ritenuto che essa fosse, perciò, in grado di meglio curare anche il relativo profilo progettuale».
6. Insomma, la ricorrente non ha ben compreso la ratio decidendi della motivazione della sentenza della Corte d’appello.
Il focus della motivazione si rinviene proprio nell’applicazione della disciplina degli appalti dei settori speciali.
Va ricordato che i settori dell’acqua, dell’energia e dei trasporti, come pure quello del gas, ossia i settori speciali, non furono oggetto
inizialmente di normazione da parte del legislatore della comunità europea.
In precedenza, esistevano i settori esclusi, per i quali la ratio della deroga ai principi generali si individuava nel carattere chiuso dei mercati, contrassegnati da monopoli naturali e legali o, comunque, da diritti speciali ed esclusivi, oltre che da notevole influenza pubblica esercitata dai soggetti operanti in tali ambiti, coincidenti con imprese pubbliche che esercitavano in regime di esclusiva.
Solo successivamente si avvertì l’esigenza di una disciplina uniforme, attraverso l’emanazione di direttive, anche con riferimento ai settori speciali, per scongiurare un loro assoggettamento a regimi normativi differenti all’interno dello spazio europeo, oltre che probabili disomogeneità interpretative.
Di qui la direttiva 90/53 (procedure di appalto degli enti erogatori di acque di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni) relativa agli appalti di lavori e forniture.
Successivamente venne emanata la direttiva 1993/38/CE che ne estese le prescrizioni anche agli appalti di servizi definendo, al contempo, i diritti speciali.
I diritti speciali erano, quindi, «quei diritti che risultano da un’autorizzazione conferita da un’autorità competente dello Stato membro interessato mediante qualsiasi disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa avente l’effetto di riservare a uno a più enti l’esercizio di una peculiare attività».
Si è arrivati poi all’emanazione della direttiva 2004/17/CE avente ad oggetto il coordinamento delle procedure di appalto degli enti erogatori di acque di energia, degli enti che forniscono servizi di
trasporto e servizi postali, recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. n. 163 del 2006.
Sono infatti proprio i diritti speciali quelli che connotano la disciplina degli appalti nei settori speciali.
Nel codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163 del 2006 i settori speciali vengono disciplinate dalla parte III che, pur recependo la direttiva del 2004 n. 17, effettua frequenti rinvii alla disciplina prevista per i settori ordinari.
In particolare, si applicano ai settori speciali la parte I del codice contenente i principi comuni e i contratti esclusi in tutto o in parte dall’ambito di applicazione del codice, la parte IV sul contenzioso e la parte V relativa a disposizioni di coordinamento, finali e transitorie.
Inoltre, è prevista la facoltà in capo agli enti aggiudicatori di disapplicare alcune disposizioni relative settori ordinari, fermo restando che gli enti aggiudicatori, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono applicare altre disposizioni della parte II, previa espressa indicazione nell’avviso di gara o nell’invito a presentare l’offerta.
La flessibilità che caratterizza i regimi speciali si rinviene, oltre che all’estensione dei soggetti tenuti ad indire gare (non solo p.a. e organismi di diritto pubblico ma anche imprese pubbliche e privati), nelle regole più flessibili rispetto agli ordinari.
Ciò per scongiurare il pericolo di possibili restrizioni della concorrenza nel mercato tra gli appaltatori specializzati nel settore di riferimento. In tal modo anche taluni soggetti privati sono obbligati allo svolgimento delle gare ad evidenza pubblica.
Il quadro di insieme viene modificato dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016, in attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, quest’ultima proprio in materia dei settori speciali.
Si è rilevato in dottrina che la scelta di predisporre una disciplina ad hoc per i settori speciali risiede nel fatto che in tali settori vi sono specifiche regolamentazioni e attività di controllo da parte di apposite autorità nazionale nei confronti dei soggetti che vi operano, come pure in ragione del riconoscimento di diritti speciali o esclusivi per l’approvvigionamento per la gestione delle reti che forniscono tali servizi.
Pertanto, il legislatore comunitario ha riscontrato la necessità di fissare un regime speciale che, al fine di garantire anche nei suddetti particolari settori l’effettiva liberalizzazione del mercato, mantenendo un giusto equilibrio nell’applicazione delle norme sugli appalti pubblici, compensasse contenuti meno rigidi (propri del sistema ordinario), con una delimitazione meno formalistica dell’ambito soggettivo.
Una volta accertato e condiviso, nella direzione della Corte d’appello, la sussistenza nell’appalto in esame della disciplina speciale di cui all’art. 206 del d.lgs. n. 163 del 2006, deve richiamarsene il contenuto.
L’art. 206 citato stabilisce che «ai contratti pubblici di cui al presente capo si applicano, oltre alle norme della presente parte e a quelle di cui alle parti I,IV e V, i seguenti articoli della parte II, titolo I: 29, intendendosi sostituite alle soglie di cui all’art. 28 le soglie di cui all’art. 215; 33; 34; 35; 36; 37; 38; 51; 52; 53, commi 1, 2,3,4, fatte salve le norme della presente parte in tema di qualificazione».
Vengono poi richiamate numerose altre norme tra cui «87;88; 118; 131».
7.1. L’art. 206 del d.lgs. n. 163 del 2006 viene poi modificato dall’ 1/8/2007 al 12/7/2011, prevedendosi che «ai contratti pubblici di cui al presente capo si applicano, oltre alle norme della presente parte, le norme di cui alle parti I, IV e V . della parte II, titolo I,
riguardante i contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture nei settori ordinari, si applicano esclusivamente seguenti articoli».
Inoltre, si aggiunge nell’ultima parte del comma 1 dell’art. 206 che «nessuna altra norma della parte II, titolo I, si applica alla progettazione e alla realizzazione delle opere appartenenti settori speciali» .
Insomma, il richiamo alle norme della parte II, titolo I, dedicata ai settori ordinari si fa più stringente.
Tuttavia, l’interpretazione data alla normativa ed al contratto di appalto da parte della Corte d’appello resta plausibile.
L’art. 206 del d.lgs. n. 163 del 2006 richiama infatti l’art. 53, commi 1, 2,3 e 4 del medesimo d.lgs..
L’art. 53 richiamato si sofferma, nel comma 2, sulla determina della PA che indice la gara d’appalto, dovendosi indicare se il contratto ad oggetto: la sola esecuzione; la progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori sulla base del progetto definitivo dell’amministrazione aggiudicatrice; previa acquisizione del progetto definitivo in sede di offerta, la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori sulla base del progetto preliminare dell’amministrazione aggiudicatrice.
Al comma 3 dell’art. 53 rileva che nelle ipotesi in cui il contratto ha ad oggetto anche la progettazione, ai sensi del comma 2 dell’art. 53, gli operatori economici devono possedere i requisiti prescritti per i progettisti.
Il comma 4 dell’art. 53 stabilisce che il decreto o la determina a contrarre stabiliscono se il contratto sarà stipulato a corpo o a misura.
L’art. 53 si inserisce nella parte II, capo III, dedicata all’oggetto del contratto ed alle procedure di scelta del contraente.
Ora, non v’è dubbio che l’art. 53 sia stato espressamente richiamato dall’art. 206 del d.lgs. n. 163 2006, ma non si riscontra alcuna violazione delle norme imperative sull’evidenza pubblica, in quanto il progetto esecutivo, anche nel contratto di cui si discute, stipulato il 15/4/2011, è stato redatto senza dubbio dalla stazione appaltante, unitamente al progetto definitivo.
Ciò che invece ha derogato alla disciplina comune attiene alla previsione di porre in capo alla società aggiudicatrice, in sede contrattuale, la progettazione esecutiva in relazione specifica alle trivellazioni che dovevano essere effettuate.
Ciò però rientra nella flessibilità che caratterizza i contratti d’appalto nei settori speciali.
Ed infatti, non vengono richiamate dall’art. 206 del d.lgs. n. 163 del 2006, gli articoli 90,91,93 e 94 del medesimo d.lgs..
L’art. 90 citato (progettazione interna ed esterna le amministrazioni aggiudicatrici in materia di lavori pubblici) stabilisce che «le prestazioni relative alla progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva di lavori, nonché alla direzione dei lavori e agli incarichi di supporto tecnico-amministrativo alle attività del responsabile del procedimento e del dirigente competente alla formazione del programma triennale dei lavori pubblici sono espletate: a) dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti; B) dagli uffici consortili di progettazione e direzione dei lavori che i comuni, i rispettivi consorzi e unioni, le comunità montane, le aziende unità sanitarie locali, i consorzi, gli enti di industrializzazione e gli enti di bonifica possono costituire con le modalità di cui agli articoli 30,31 e 32 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267».
L’art. 90, come detto, non è richiamato dall’art. 206 del d.lgs. n. 163 2006.
Non è richiamato neppure art. 91 del d.lgs. n. 163 del 2006, in relazione alle procedure di affidamento.
E neppure viene richiamato l’art. 93 del medesimo d.lgs., in ordine ai livelli della progettazione per gli appalti e per le concessioni di lavori.
In particolare, proprio l’art. 93 si occupa della distinzione tra progetto preliminare, progetto definitivo e progetto esecutivo.
Il progetto preliminare definisce le caratteristiche qualitative funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire.
Il progetto definitivo individua compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti nel progetto preliminare e contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni e approvazioni.
Il progetto esecutivo, redatto in conformità al progetto definitivo, determina in ogni dettaglio lavori da realizzare e il relativo costo previsto deve essere sviluppato ad un livello di definizione tale da consentire che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo.
Tale disposizione, che si sofferma proprio sulla distinzione tra le varie categorie di progetti, non è richiamato dall’art. 206 del d.lgs. n. 163 del 2006, proprio a conforto della tesi della maggiore flessibilità che si rinviene nell’ambito dei contratti d’appalto dei settori speciali.
Del resto, l’art. 207, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, chiarisce la portata di diritti speciali o esclusivi che sono «i diritti costituiti per legge, regolamento o in virtù di una concessione o altro provvedimento amministrativo avente l’effetto di riservare a uno o più soggetti l’esercizio di un’attività di cui agli articoli da 208 a 213
e di incidere sostanzialmente sulla capacità di altri soggetti di esercitare tale attività».
A ciò si aggiunge l’art. 208 (gas, energia termica elettricità) del d.lgs. n. 163 del 2006, a mente del quale «per quanto riguarda il gas e l’energia termica, le norme della presente parte si applicano alle seguenti attività: a) la messa a disposizione o gestione di reti fisse destinate alla fornitura di un servizio pubblico in connessione con la produzione, il trasporto o la distribuzione di gas o di energia termica; oppure b) l’alimentazione di tali reti con gas o energia termica».
I diritti esclusivi sono quelli che conferiscono al soggetto interessato una riserva assoluta di attività nell’ambito nazionale; i diritti speciali sono quelli che collocano il soggetto in una posizione privilegiata rispetto alla generalità degli operatori del mercato.
10. Pertanto, sulla scorta delle considerazioni sopra esposte, da un lato, deve escludersi, sulla base degli stralci degli atti giudiziari riportati, che sia stato ritenuto pacifico tra le parti che si era in presenza di un progetto relativo ad un appalto integrato (in quanto il progetto esecutivo era stato redatto proprio dalla stazione appaltante RAGIONE_SOCIALE e dall’altro che l’interpretazione del contratto fornita dalla Corte territoriale sia erronea, in quanto in realtà la valutazione della Corte d’appello risulta in piena sintonia con la peculiare flessibilità che legislatore ha voluto riconoscere agli appalti nei settori speciali.
Pertanto risulta conforme alla normativa di cui al codice dei contratti del 2006 la scelta negoziale di affidare alla RAGIONE_SOCIALE il compito di presentare la progettazione esecutiva delle trivellazioni, proprio per la peculiare competenza della società aggiudicataria nell’eseguire questo tipo di lavorazione.
Il mancato richiamo degli articoli 90,91 e 93 risulta come conseguenza dell’applicazione dell’art. 206 del d.lgs. n. 163 del 2006, dedicato agli appalti nei settori speciali.
Va anche precisato che, alla stregua del controricorso, si è nell’ambito degli appalti sotto soglia, in quanto la gara di appalto bandita aveva ad oggetto lavori per euro 1.118.120,70, dovendosi applicare l’articolo 238 del decreto legislativo numero 163 del 2006.
L’articolo 215 del decreto legislativo numero 163 del 2006 (importi delle soglie dei contratti pubblici di rilevanza comunitaria nei settori speciali), individua le soglie comunitarie, nel senso che «le norme della presente parte si applicano agli appalti che non sono esclusi in virtù delle eccezioni di cui agli articoli 17,18,19,24,25,217, 218 o secondo la procedura di cui all’articolo 219 e il cui valore stimato al netto dell’imposta sul valore aggiunto (Iva) è pari o superiore alle soglie seguenti: a) 422.000 € per quanto riguarda gli appalti di forniture di servizi; B) 5.278.000 € per quanto riguarda gli appalti di lavori».
L’articolo 238, comma 7, del decreto legislativo numero 163 del 2006 (appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria) sancisce che «le imprese pubbliche e i soggetti titolari di diritti speciali ed esclusivi per gli appalti di lavori, forniture e servizi di importo inferiore alla soglia comunitaria, rientranti nell’ambito definito dagli articoli da 208 a 213, applicano la disciplina stabilita nei rispettivi regolamenti, la quale, comunque, deve essere conforme ai principi dettati dal trattato CE a tutela della concorrenza».
11. Con il 4º motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «illegittimità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 180 del d.P.R. n. 207 del 2010».
La ricorrente contesta l’affermazione della Corte territoriale per cui la fornitura di materiali nell’appalto rappresenta un’obbligazione semplicemente strumentale, il cui adempimento non soddisfa di per sè l’interesse contrattuale e, quindi, non costituisce esecuzione neppure parziale del contratto.
Tuttavia, la decisione sarebbe erronea per violazione e falsa applicazione dell’art. 180 del d.P.R. n. 207 del 2010.
La Corte d’appello non si sarebbe avveduta «di una circostanza che pure era stata segnalata da RAGIONE_SOCIALE» in sede di appello incidentale, ossia che «nell’elenco descrittivo delle voci che era stato definito dal Disciplinare come documento d’appalto comparivano anche specifiche voci riferite a casi particolari di remunerazione anche dei materiali approvvigionati dall’impresa ossia voci per le quali RAGIONE_SOCIALE aveva ex ante previsto il pagamento di un corrispettivo per la sola fornitura a piè d’opera dei materiali ivi indicati».
La ricorrente indicava dunque una serie di materiali in cui si prevedeva nelle voci di prezzo la dicitura ‘a piè d’opera’.
Proprio in relazione a tali voci RAGIONE_SOCIALE aveva formulato le sue riserve, non riconosciute però dalla Corte d’appello.
Il motivo è inammissibile.
12.1. L’art. 180, comma 4, del d.P.R. n. 207 del 2010, dispone che «per determinati manufatti il cui valore è superiore alla spesa per la messa in opera i capitolati speciali possono stabilire anche il prezzo a piè d’opera, e prevedere il loro accreditamento in contabilità prima della messa in opera, in misura non superiore alla metà del prezzo stesso».
In sostanza, la ricorrente chiede a questa Corte una nuova valutazione degli elementi istruttori, già compiutamente effettuata dal giudice di merito, non consentita in questa sede.
Tra l’altro, la censura è articolata dalla ricorrente come violazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., non come vizio di omesso esame di fatto decisivo.
Le circostanze di fatto sono peraltro state adeguatamente valutate dal giudice di merito.
Senza contare che nel controricorso, pagina 39, si menziona la voce 50.40.01.00 ove si chiarisce che vi è la «messa a disposizione in tempo utile a piè d’opera oppure deposito in cantiere di materiale destinato all’impiego definitivo passante in proprietà del committente nel momento stabilito in contratto».
Pertanto, il passaggio in proprietà non avviene con la semplice messa a disposizione del materiale, ma esclusivamente nel momento stabilito nel contratto.
Del resto, ai sensi dell’articolo 167 del d.P.R. n. 207 del 2010 «l’accettazione dei materiali e dei componenti e definitiva solo dopo la loro posa in opera».
Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «illegittimità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 e 115 c.p.c.».
La Corte d’appello ha richiamato l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità per cui, una volta che la curatela del fallimento ha agito per il recupero dei crediti nei confronti di una società, quest’ultima può eccepire in compensazione l’esistenza di un proprio controcredito verso il fallimento, essendo tale eccezione diretta esclusivamente a paralizzare la domanda del fallimento, mentre il rito speciale per l’accertamento del passivo trova applicazione nel caso di presentazione da parte della società in bonis di domanda riconvenzionale, tesa ad una pronuncia a sé favorevole idonea al
giudicato, di accertamento e di condanna al pagamento dell’importo spettante una volta operata la compensazione.
La Corte di merito ha dunque affermato che delle ragioni di credito fatte valere dalla committente RAGIONE_SOCIALE poteva tenersi conto esclusivamente nella misura in cui i crediti accertati spiegavano effetti estintivi per compensazione rispetto alle pretese economiche della RAGIONE_SOCIALE fallita.
Per la ricorrente la sentenza sarebbe viziata, in assenza di una domanda di compensazione nel corso del giudizio avanzata da RAGIONE_SOCIALE.
Con l’atto di citazione in appello la RAGIONE_SOCIALE, notificato dapprima il 26/8/2017 alla RAGIONE_SOCIALE e dopo al fallimento di quest’ultima, riassunto nei confronti del fallimento con ricorso ex art. 303 c.p.c. in data 26/9/2017, con la notifica del 5/10/2017, la committente ha avanzato domanda di condanna del fallimento a pagare la somma di euro 575.728,44.
La Corte d’appello, dunque, non avrebbe potuto verificare se i controcrediti risarcitori della committente valevano ad estinguere per compensazioni crediti del fallimento RAGIONE_SOCIALE
14. Il motivo è infondato.
Anche recentemente si è confermato che nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito del fallito il convenuto può eccepire in compensazione, in via riconvenzionale, l’esistenza di un proprio controcredito verso il fallimento, atteso che tale eccezione è diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda attrice ottenendone il rigetto totale o parziale, mentre il rito speciale per l’accertamento del passivo previsto dagli artt. 93 e ss. l. fall. trova applicazione nel caso di domanda riconvenzionale, tesa ad una pronuncia a sé favorevole idonea al giudicato, di accertamento o di condanna al pagamento dell’importo spettante alla medesima parte
una volta operata la compensazione – nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che, aveva dichiarato inammissibile, qualificandola erroneamente come domanda riconvenzionale e non come eccezione riconvenzionale, la domanda della società concedente diretta ad accertare il suo diritto ad ottenere l’equo compenso, previsto dal contratto di leasing in caso di inadempimento dell’utilizzatore, al solo fine di paralizzare la domanda svolta dal fallimento ed avente ad oggetto la restituzione dei canoni corrisposti in esecuzione del contratto – (Cass., sez. 3, 14/5/2024, n. 13345; in precedenza Cass. n. 30298 del 2017).
Si resta, dunque, nel solco della giurisprudenza di questa Corte, a sezioni unite, per cui qualora, nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all’accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, derivante dal medesimo rapporto, la suddetta domanda, per la quale opera il rito speciale ed esclusivo dell’accertamento del passivo ai sensi degli artt. 93 e ss. della legge fallimentare, deve essere dichiarata inammissibile (o improcedibile se formulata prima della dichiarazione di fallimento e riassunta nei confronti del curatore) nel giudizio di cognizione ordinaria, e va eventualmente proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore, mentre la domanda proposta dalla curatela resta davanti al giudice per essa competente, che pronuncerà al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria (Cass., Sez.u., 12/11/2004, n. 21499).
Pertanto, nel momento in cui la RAGIONE_SOCIALE, aggredita dalla curatela del fallimento con la richiesta di risarcimento dei danni, ha chiesto di tenersi conto del proprio credito vantato, a sua volta, nei confronti della procedura fallimentare, non può non ritenersi sollevata l’eccezione di compensazione; per il residuo credito, dopo
la compensazione, la RAGIONE_SOCIALE potrà trovare tutela giurisdizionale esclusivamente in sede concorsuale.
Ha peraltro evidenziato che, per questa corte, in tema di estinzione delle obbligazioni, se le contrapposte relazioni di debito credito traggono origine da un unico rapporto si è in presenza di una compensazione c.d. impropria e le parti possono sollecitare in corso di causa l’accertamento contabile del saldo finale delle rispettive partite, senza che sia necessaria l’eccezione di una di esse o la proposizione di una domanda riconvenzionale e senza che operino i limiti alla compensabilità, postulando questi ultimi l’autonomia dei rapporti (Cass., sez. 2, 10/11/2011,n. 23539; Cass., n. 26365 del 2024).
15. Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «illegittimità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli articoli 145 e 159 del d.P.R. n. 207/2010, dell’art. 117 del d.P.R. 554/99, nonché dell’art. 21 e 22 del D.M. 145/2000».
La ricorrente reputa erronea la decisione della Corte d’appello laddove, benché i lavori non fossero stati ultimati, a seguito della risoluzione in autotutela intentata dalla committente RAGIONE_SOCIALE, tuttavia è stato riconosciuto il risarcimento danni per il ritardo nei lavori, alla stregua del cronoprogramma degli stessi.
La Corte d’appello avrebbe fatto applicazione in via prioritaria ed esclusiva dell’art. 21, comma 4, del D.M. 145 del 2000 e dell’art. 159 comma 14 del d.P.R. n. 207 del 2010, «ignorando invece del tutto il dato testuale del contratto (nella specie l’art. 8)».
Al contrario, proprio il contratto d’appalto era il primo dato di riferimento che la Corte d’appello avrebbe dovuto prendere in considerazione, come evidenziato dal tribunale in prime cure.
Lo stesso art. 145, comma 1, del d.P.R. n. 207 2010 prevede che «il contratto indica le penali da applicarsi nel caso di ritardato adempimento degli obblighi contrattuali».
Così come l’art. 117, comma 1, del d.P.R. n. 554 del 1999, dispone che «i capitolati speciali di appalto e i contratti precisano le penalità da applicare nel caso di ritardato adempimento degli obblighi contrattuali».
Elemento fondamentale è dunque costituito dal contratto.
Per tale ragione la Corte d’appello non può ignorare il dato testuale dell’art. 8 del contratto, in tema di penalità da ritardo, in base al quale la penale poteva applicarsi solo per la ritardata ultimazione dei lavori ( «la penale prevista per ciascun giorno naturale di ritardo rispetto al giorno stabilito per l’ultimazione dei lavori è pari all’1 (uno) per mille dell’ammontare netto contrattuale»).
La penale non poteva applicarsi alla diversa ipotesi di «ritardata esecuzione di singole parti o prestazioni durante l’andamento dei lavori stessi, in perfetta armonia con quanto previsto anche dall’art. 20 del capitolato speciale d’appalto, intitolato «tempo utile per l’ultimazione dei lavori».
Inoltre, la ricorrente evidenzia che la Corte d’appello non ha tenuto conto che la direzione dei lavori non aveva disposto la sospensione degli stessi «con riguardo al ritrovamento di una notevole quantità di amianto».
16. Il motivo è infondato.
16.1. Non v’è dubbio che la committente RAGIONE_SOCIALE ha dichiarato la risoluzione contrattuale in via di autotutela.
Trova applicazione allora l’art. 136 del d.lgs. n. 163 del 2006 (risoluzione del contratto per grave inadempimento gravi irregolarità e grave ritardo), a mente del quale «quando il direttore dei lavori
accerta che comportamenti dell’appaltatore concretano grave inadempimento alle obbligazioni di contratto tale da compromettere la buona riuscita dei lavori, invia al responsabile del procedimento una relazione particolareggiata, corredata dei documenti necessari, indicando la stima dei lavori eseguiti regolarmente e che devono essere accreditati all’appaltatore».
Su indicazione del responsabile del procedimento, poi, il direttore dei lavori formula la contestazione degli addebiti all’appaltatore, assegnando un termine per la presentazione delle proprie controdeduzioni.
Una volta acquisite e valutate negativamente le predette controdeduzioni, ovvero scaduto il termine senza che l’appaltatore abbia risposto, la stazione appaltante su proposta del responsabile del procedimento dispone risoluzione del contratto.
Una volta risolto il contratto in via di autotutela trova applicazione l’art. 159 del d.P.R. n. 207 del 2010, che, al comma 14 stabilisce che «nel caso di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 136 del codice ai fini dell’applicazione delle penali, il periodo di ritardo è determinato sommando il ritardo accumulato dall’esecutore rispetto al programma esecutivo dei lavori di cui all’art. 43, comma 10, e il termine assegnato dal direttore dei lavori per compiere i lavori».
16.2. Del resto, le stesse regole si rinvenivano nella disciplina anteriore.
Infatti, l’art. 119 del d.P .R. n. 554 del 1999, in vigore sino al 30/6/2006, prevedeva, in caso di risoluzione del contratto per grave inadempimento, gravi irregolarità e grave ritardo, che il direttore dei lavori accertasse la gravità dell’inadempimento dell’appaltatore. Una volta espletato il procedimento, la stazione appaltante su proposta del responsabile dello stesso disponeva la risoluzione del contratto.
L’art. 21, comma 4, del D.M. n. 145 del 2000, sanciva che «nel caso di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 119 del regolamento, ai fini dell’applicazione delle penali il periodo di ritardo è determinato sommando il ritardo accumulato dall’appaltatore rispetto al programma esecutivo dei lavori di cui all’art. 45, comma 10, del regolamento e il termine assegnato dal direttore dei lavori per compiere lavori».
Si tratta, insomma, di disposizioni speciali in relazione alla penale applicabile in caso di risoluzione del contratto d’appalto, in virtù del potere di autotutela della PA, a seguito di gravi inadempimenti all’appaltatore.
16.3. Del resto, analoga disciplina si rinviene nell’art. 108 del d.lgs. n. 50 del 2016, al comma 4, laddove si prevede che qualora «l’esecuzione delle prestazioni ritardi per negligenza dell’appaltatore rispetto alle previsioni del contratto, il direttore dei lavori o il responsabile unico dell’esecuzione del contratto, se nominato gli assegna un termine, che, salvo i casi di urgenza, non può essere inferiore a 10 giorni, entro i quali l’appaltatore deve eseguire le prestazioni. Scaduto il termine assegnato, è redatto processo verbale in contraddittorio con l’appaltatore, qualora l’inadempimento permanga, la stazione appaltante risolve il contratto, fermo restando il pagamento delle penali».
Vi è di nuovo il riferimento espresso al pagamento delle penali anche nell’ipotesi specifica della risoluzione del contratto per inadempimento da parte della PA, in sede autotutela.
Risulta corretta, allora, l’affermazione della Corte d’appello in ordine all’applicazione della penale, avendo la stessa evidenziato che «la penale va, quindi, liquidata avuto riguardo ai giorni di ritardo calcolati sul cronoprogramma predisposto dalla stessa impresa. Così ha fatto la committente detraendo dei giorni di ritardo maturati
dall’impresa sul proprio cronoprogramma dei lavori quelli che dalla data della risoluzione del contratto mancavano alla scadenza naturale del termine di ultimazione dell’opera».
Quanto affermato non contrasta con l’art. 117 del d.P.R. n. 554 del 1999 che tratta, invece, in generale l’istituto delle penali, prevedendo, al comma 1, che i capitolati speciali di appalto e i contratti precisano le penalità da applicare nel caso di ritardato adempimento, degli obblighi contrattuali e, nel comma 5, stabilisce che «qualora la disciplina contrattuale preveda l’esecuzione della prestazione articolata in più parti, nel caso di ritardo rispetto ai termini di una o più di tali parti le penali di cui ai commi precedenti si applicano ai rispettivi importi».
Ciò vale, evidentemente, nelle ipotesi in cui non si è verificata la risoluzione contrattuale per grave inadempimento dell’appaltatore a seguito dell’esercizio del potere di autotutela da parte della stazione appaltante.
Le medesime osservazioni valgono per l’art. 145 del d.P.R. n. 207 del 2010, che, al comma 1, ribadisce che il contratto indica le penalità applicare nel caso di ritardato adempimento degli obblighi contrattuali, al comma 5, conferma che qualora disciplina contrattuale preveda l’esecuzione della prestazione articolata in più parti, nel caso di ritardo rispetto ai termini di una o più di tali parti le penali di cui è commi precedenti si applicano ai rispettivi importi, con le modalità stabilite nel capitolato speciale di appalto».
L’articolo 8 del contratto, dunque, riguarda l’ipotesi in cui la stazione appaltante abbia accettato l’ultimazione dell’opera oltre il termine contrattuale, nel senso che il ritardo non è stato tale da configurare un grave inadempimento idoneo a giustificare la risoluzione del contratto.
18. Con il settimo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «illegittimità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 140 del d.lgs. 163/06, dell’art. 123 del d.P.R. 207/2010, dell’art. 1227 c.c. e del principio di causalità».
La Corte d’appello ha ritenuto legittima l’escussione della fideiussione prestata da RAGIONE_SOCIALE riconoscendo a RAGIONE_SOCIALE, sia pure nei limiti della compensazione ritenuta applicabile dei maggiori oneri subiti «per il riappalto parziale dell’opera», con specifico riferimento alle trivellazioni orizzontali.
Tali somme sono state determinate nella differenza di prezzo sopportata da RAGIONE_SOCIALE a valle della risoluzione contrattuale.
La differenza era pari ad euro 167.333,00, in quanto i nuovi progetti appaltati a RAGIONE_SOCIALE prevedevano un costo di euro 542.333,00, a fronte del costo originario di euro 375.500,00.
La Corte d’appello ha riconosciuto tale somma richiamando l’art. 123, comma 3, del d.P.R. n. 207 del 2010, in quanto RAGIONE_SOCIALE, da un lato, aveva diritto ad avvalersi della cauzione anche solo per coprire i maggiori oneri subiti a causa della risoluzione del contratto, dall’altro aveva riconosciuto la sussistenza della sostanziale risarcibilità di tali oneri, superando la carenza di prova che era stata dedotta.
In particolare la RAGIONE_SOCIALE aveva evidenziato che i costi sarebbero stati inferiori procedendo allo scorrimento della precedente graduatoria, in luogo delle indizione della nuova gara.
La Corte territoriale ha invece reputato sussistente una mera facoltà della stazione appaltante di operare lo scorrimento della graduatoria sensi dell’art. 140 del d.lgs. n. 163 del 2006.
Per la ricorrente lo scorrimento della graduatoria rappresentava una «soluzione che RAGIONE_SOCIALE, per sua negligenza, non a seguito ma che era pacificamente perseguibile».
La Corte d’appello avrebbe poi estrapolato una singola frase dalla CTU, ignorando che in realtà la scelta di indire una nuova gara aveva determinato l’aumento del costo dell’affidamento ad altro appaltatore delle trivellazioni orizzontali, in quanto si era presentata la necessità di «modificare il progetto originario» e di eseguire «i lavori con modalità diverse da quelle dell’appalto vinto da RAGIONE_SOCIALE».
Pertanto, legittimamente la committente RAGIONE_SOCIALE ha provveduto all’escussione della cauzione ai sensi dell’articolo 123 del d.p.r. numero 207 2010, a mente del quale «le stazioni appaltanti hanno il diritto di valersi della cauzione per l’eventuale maggiore spesa sostenuta per il completamento dei lavori nel caso di risoluzione del contratto disposta in danno dell’esecutore».
19. Il motivo è infondato.
Come ben spiegato dalla Corte d’appello, la stazione appaltante aveva solo una facoltà di scegliere un altro appaltatore, attraverso il mero scorrimento della graduatoria relativa alla precedente gara ad evidenza pubblica, ai sensi dell’art. 140 del d.lgs. n. 163 del 2006.
Tale disposizione stabilisce che «le stazioni appaltanti prevedono nel bando di gara che, in caso di fallimento dell’appaltatore o di risoluzione del contratto per grave inadempimento del medesimo, potranno interpellare progressivamente i soggetti che hanno partecipato all’originaria procedura di gara, risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un nuovo contratto per l’affidamento del completamento dei lavori. Si procedeva all’interpello a partire dal soggetto che ha formulato la prima migliore offerta, escluso l’originario aggiudicatario».
Al comma 2 dell’art. 140 si evidenzia che «l’affidamento avviene alle medesime condizioni economiche già proposte in sede di offerta dal soggetto progressivamente interpellato, sino al quinto miglior offerente in sede di gara».
La normativa ha subito modifiche. Ed infatti a decorrere dal 13/7/2011, l’art. 140 citato specifica ancora meglio che «le stazioni appaltanti in caso di fallimento dell’appaltatore o di risoluzione del contratto ai sensi degli articoli 135 e 136, potranno interpellare progressivamente i soggetti che hanno partecipato all’originaria procedura di gara».
Si tratta, pur sempre, di una facoltà.
La Corte di merito, sul punto, ha correttamente osservato che l’espletamento di una nuova gara, in luogo dell’utilizzazione della graduatoria precedente, è oggetto di una facoltà riservata la committente.
Va anche effettuato un esame della condotta delle parti in base al criterio della buona fede, evidenziando che la facoltà di scorrimento sussiste solo qualora sia possibile stipulare con l’imprenditore, che ha presentato la 2ª migliore offerta, un contratto avente lo stesso contenuto di quello concluso con l’aggiudicatario originale poi risolto.
Tuttavia, ha chiarito il giudice di secondo grado che «tale circostanza è da escludersi nel caso di specie, secondo quanto rilevato dai CTU in risposta al quesito n. 6 (cfr. in particolare differenze fra i progetti elencati a pagina 100-103 e 107-112 della relazione peritale)».
Per la Corte territoriale dunque «l’assicurazione di un contratto identico a quello precedentemente concluso con l’impresa era impossibile per la particolarità data dalla necessità di eseguire una singola lavorazione che completavano opera in parte già esistente».
Tale argomentazione costituisce una valutazione pienamente meritale, ed è del tutto plausibile, sicché non può certo essere messa in discussione in questa sede.
Va peraltro osservato che l’art. 110 del d.lgs. n. 50 del 2016, a differenza del precedente art. 140 del d.lgs. n. 163 del 2006, prevede l’obbligatorietà dello scorrimento, in quanto si sancisce che «le stazioni appaltanti, in caso di fallimento o di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 108 ovvero di recesso interpellano progressivamente i soggetti che hanno partecipato all’originaria procedura di gara».
Con l’ottavo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «illegittimità della sentenza impugnata sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 115 c.p.c.».
La Corte d’appello di Bolzano, in riferimento alle spese, ha ritenuto che, all’integrale soccombenza dell’impresa seguiva la sua condanna alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio nei confronti sia delle parti da lei direttamente convenute, sia di tutte le altre chiamata in causa.
Erano infatti giustificate tutte le trasversali domande di garanzia svolte dai soggetti portati a giudizio per aver partecipato a vario titolo all’esecuzione dell’appalto affidato all’impresa.
Tuttavia, in sede di appello principale RAGIONE_SOCIALE, a pagina 52, ha affermato: «in accoglimento del quarto motivo d’appello, accogliere la domanda di parte convenuta/appellante e per l’effetto compensare integralmente le spese di lite del primo grado di giudizio dalla parte attrice/appellata e parte convenuta/appellante, anche in ordine alle spese di CTU».
21 il motivo è infondato.
21.1. In realtà, il tribunale con la sentenza n. 940 dell’8/8/2017, pur riconoscendo legittima la risoluzione del contratto e, dunque, l’inadempimento dell’impresa, ha però riconosciuto un credito di euro 423.507,70, quale prezzo dell’appalto parzialmente eseguito, maggiorato delle riserve ritenute fondate, disattendendo tutte le pretese risarcitorie della committente RAGIONE_SOCIALE
La committente RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello principale su quattro motivi, anche in ordine alla statuizione sulle spese (cfr. pagina 30 della motivazione della sentenza della Corte d’appello).
Le conclusioni della parte appellante principale SELGAS NET sono riportate nella sentenza della Corte d’appello. Emerge dalla lettura delle stesse che la compensazione delle spese attiene esclusivamente al quarto motivo d’appello principale, per ottenere la modifica della statuizione sulle spese da parte del tribunale.
Si legge, infatti, che la richiesta è «in accoglimento del quarto motivo d’appello, accogliere la domanda di parte convenuta/appellante e per l’effetto compensare integralmente le spese di lite del primo grado di giudizio dalla parte attrice/appellata e parte convenuta/appellante, anche in ordine alle spese di CTU».
Tra l’altro, nel controricorso (a pagina 18) si legge il quarto motivo di appello principale della RAGIONE_SOCIALE, ove si deduceva anche «violazione degli articoli 92 e 106 c.p.c., derivante: dall’avere il tribunale erroneamente valutato la soccombenza reciproca tra appellante e appellata-attrice in primo grado-alla luce degli importi domandati da quest’ultima e indi riconosciutile, visto anche il rigetto della domanda principale (nullità del contratto d’appalto)».
Tuttavia, subito dopo l’appellante principale chiede che «in accoglimento del quarto motivo di appello, accogliere la domanda di parte convenuta/appellante e per l’effetto condannare la sola parte attrice/appellata, RAGIONE_SOCIALE a rifondere integralmente le spese
di lite di consulenza tecnica di parte sostenute dai terzi chiamati NOME COGNOME NOME e Von RAGIONE_SOCIALE per le somme liquidate nella sentenza impugnata (euro 21.387,00 per compensi oltre accessori di legge; euro 15.818,72 per anticipazioni), con esclusione di ogni vincolo di solidarietà in capo a RAGIONE_SOCIALE».
Pertanto, quanto alle spese di primo grado non v’è stata una richiesta espressa di RAGIONE_SOCIALE di mera compensazione delle stesse, pur a fronte di una certa ambiguità delle richieste, dovendosi tenere conto della richiesta complessiva di RAGIONE_SOCIALE in ordine tutte le spese di prime cure, in relazione a tutte le parti che avevano partecipato a quel giudizio.
Trova dunque applicazione il principio per cui, in caso di riforma della sentenza di prime cure da parte di quella d’appello, deve procedersi ad una nuova liquidazione delle spese, tenendo conto dell’esito dell’intero giudizio.
Va dato seguito al costante orientamento di legittimità per cui, in tema di impugnazioni, il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass., sez. 3, 19/12/2024, n. 33412).
22. Con il nono motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «illegittimità della sentenza impugnata sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c.».
Il capo sulle spese dovrebbe essere cassato a prescindere dall’accoglimento o meno dei precedenti motivi di ricorso.
La Corte d’appello, pur riconoscendo la fondatezza della domanda di RAGIONE_SOCIALE per un credito di euro 277.360,48, avevano considerato la stessa integralmente soccombente.
La RAGIONE_SOCIALE non poteva però essere considerata soccombente, neppure parzialmente, in quanto la Corte d’appello, con la sentenza impugnata aveva comunque accolto una buona parte delle sue domande, pari ad euro 277.363,48.
È vero che aveva accolto anche alcune domande di RAGIONE_SOCIALE, ma poi si è arrivati alla compensazione in modo esatto delle reciproche posizioni, disponendo il reciproco azzeramento dei crediti.
23. Il motivo è infondato.
È vero, infatti, che la Corte territoriale ha riconosciuto crediti per euro 277.363,48 in favore della RAGIONE_SOCIALE, tuttavia, però, ha riconosciuto crediti ancora maggiori in favore della committente RAGIONE_SOCIALE la quale però, in sede di cognizione ordinaria, poteva far valere in compensazione esclusivamente una somma paritaria a quella dovuta alla RAGIONE_SOCIALE, mentre la residua somma doveva essere insinuata nel passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE
Ed infatti, a fronte di un credito di RAGIONE_SOCIALE pari ad euro 277.360,48, vi era però un controcredito da parte della committente RAGIONE_SOCIALE pari ad euro 312.095,04, superiore a quello vantato dall’appaltatrice, con conseguente soccombenza della stessa.
Rileva la Corte d’appello che «il maggiore controcredito della committente così accertato azzera il credito dell’impresa, senza necessità di ulteriore verifica di fondatezza delle altre pretese risarcitorie fatte valere con la domanda riconvenzionale che dovrà essere coltivata in sede concorsuale».
Tra l’altro è stata accertate la legittimità della risoluzione attuata in via di autotutela dalla committente RAGIONE_SOCIALE
La RAGIONE_SOCIALE non risulta, dunque, integralmente vincitrice, ma è parzialmente soccombente.
Ora, a prescindere dall’affermazione della Corte d’appello per cui la RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata «integralmente soccombente», tuttavia la soccombenza della RAGIONE_SOCIALE risulta evidente, con conseguente giustificazione della condanna alle spese inflitta dalla Corte d’appello nei suoi confronti.
Nel giudizio di legittimità il sindacato sulle pronunzie dei giudici del merito riguardo alle spese di lite è diretto solamente ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, restando del tutto discrezionale – e insindacabile – la valutazione di totale o parziale compensazione per giusti motivi, la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare (Cass., 26/11/2020, n. 26912).
24. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, con riferimento a tutte le parti in giudizio, a carico del ricorrente fallimento RAGIONE_SOCIALE e si liquidano come da dispositivo.
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della RAGIONE_SOCIALE ora RAGIONE_SOCIALE le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della RAGIONE_SOCIALE le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in
complessivi euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Condanna il ricorrente a rimborsare in favore dell’Ing. NOME COGNOME le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Condanna il ricorrente a rimborsare in favore dello studio di ingegneria RAGIONE_SOCIALE e di Von COGNOME Christoph le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11 aprile 2025