Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12767 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12767 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 02126/2023 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dall’avv. prof. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – nonché contro
TRISI NOME
Avverso la sentenza n. 1614/2022, resa dalla Corte d’Appello di L’Aquila, pubblicata il 17/11/2022 e notificata in pari data; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/05/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. COGNOME NOME convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Pescara, COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME al fine di ottenere la declaratoria di nullità, annullamento o rescissione del contratto di compravendita stipulato in data 24/05/2010, con il quale la stessa aveva alienato alla prima la proprietà e al secondo il diritto di abitazione dell’immobile sito in Montesilvano, INDIRIZZO, sostenendo che, durante la convivenza con il COGNOME, per il quale aveva prestato attività lavorativa senza percepire alcun compenso, aveva acquistato all’asta il bene, pagato in parte da lei, in parte dal convivente e in parte mediante mutuo concessole da quest’ultimo, e che il predetto, in seguito al deterioramento dei rapporti tra loro, le aveva intimato, minacciandola, il rilascio dell’immobile e la restituzione del mutuo e proposto, in seguito, l’acquisto dell’immobile.
Costituitosi tardivamente, COGNOME NOME chiese il rigetto delle avverse pretese, sostenendo che l’attrice non fosse stata reale proprietaria del bene, ma mero soggetto interposto, che nessun mutuo avesse concesso alla predetta e che avesse speso euro 700.000,00 per rendere abitabile il bene. NOME NOME rimase, invece, contumace.
Con sentenza n. 1583/2017 del 21/12/2017, il Tribunale adito rigettò tutte le domande attoree, condannando la COGNOME alle spese di CTU e di lite.
Il giudizio di gravame, interposto da COGNOME NOME, si concluse, nella resistenza del solo COGNOME NOME e nella contumacia
di NOME NOMECOGNOME con la sentenza n. 1614/2022, pubblicata il 17/11/2022, con la quale la Corte d’Appello di L’Aquila dichiarò l’annullamento del contratto per violenza ex artt. 1427, 1434 e 1435 cod. civ., stante l’avvenuta dimostrazione della violenza e minaccia subita dall’appellante, per mano dell’appellato, per la sua conclusione, ritenendo superfluo l’esame degli ulteriori motivi d’appello concernenti la rescissione del contratto ed escludendo implicitamente la nullità per mancanza di causa.
Avverso la suddetta sentenza, COGNOME NOME propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. NOME resiste con controricorso, mentre NOME rimane intimata.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del proprio difensore munito di nuova procura, ha depositato in data 29/05/2023 istanza di trattazione del ricorso in pubblica udienza, reiterata in data 02/04/2025, cui ha fatto seguito il provvedimento presidenziale in data 04/04/2025 con il quale è stata confermata la trattazione nella Camera di consiglio del 08/05/2025.
Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 244 cod. proc. civ., nonché degli artt. 1427, 1434, 1435, 1437 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.; nonché l’erroneità della sentenza nella valutazione del quadro istruttorio emerso in corso di giudizio rilevante ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.; la testimonianza resa da NOME COGNOME e la mancata prova della ricorrenza di una minaccia, per avere i giudici di merito valorizzato la sola testimonianza di NOME COGNOME sull’assunto
che la relazione di parentela con l’attrice non ne inibisse l’attendibilità, e le mancate risposte all’interrogatorio formale deferito alla convenuta contumace, senza tener conto del fatto che il ricorrente aveva risposto negativamente alle domande rivoltegli, che gli altri testi di parte attrice avevano riferito di non sapere alcunché delle violenze, che quelli di parte convenuta avevano confermato sia i lavori di ristrutturazione svolti dal convenuto a sue spese, sia l’intestazione fittizia dell’immobile, che non vi era prova del rilascio del mutuo da parte del medesimo ricorrente e della serietà della minaccia e che l’appellante aveva rilasciato all’appellato una procura generale notarile prima dell’acquisto della villa all’asta.
1.2 Il primo motivo è inammissibile.
Si premette che, in materia di annullamento del contratto per vizi della volontà, si verifica l’ipotesi della violenza, invalidante il negozio giuridico, qualora uno dei contraenti subisca una minaccia specificamente finalizzata a estorcere il consenso alla conclusione del contratto, proveniente dalla controparte o da un terzo e di natura tale da incidere, con efficienza causale, sul determinismo del soggetto passivo, che in assenza della minaccia non avrebbe concluso il negozio, annullamento che non può invece disporsi, ai sensi dell’art. 1434 cod. civ., ove la volontà della parte sia stata determinata da timori meramente interni o da impressionabilità o preoccupazione meramente soggettive ovvero da personali valutazioni di convenienza, senza cioè che l’oggettività del pregiudizio risulti inequivocabilmente come idonea a condizionare un libero processo determinativo delle proprie scelte (Cass., Sez. 2, 13/04/2022, n. 12058; Cass., Sez. 1, 9/10/2015, n. 20305; Cass., Sez. 2, 10/1/2007, n. 235).
Anche la violenza morale, che può estrinsecarsi secondo una fenomenologia varia ed indefinita e quindi anche in modo non esplicito ma indeterminato o indiretto, può dar luogo
all’annullamento del contratto, sempreché sussista il requisito -indefettibile per la sua rilevanza che la minaccia sia specificamente diretta al fine di estorcere il consenso per l’atto che si intende far invalidare (Cass., Sez. L, 16/1/1984, n. 368), così come può costituire causa di annullamento del contratto anche la minaccia di far valere un diritto, quando assuma carattere di ingiustizia in funzione del fine cui è diretta e, cioè, quando il risultato che lo stipulante si sia proposto ed abbia conseguito, oltre a essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l’esercizio del diritto medesimo, si concreti in un vantaggio non dovuto o superiore al dovuto, o, comunque, obiettivamente ingiusto (Cass., Sez. 1, 9/10/2015, n. 20305; Cass., Sez. 3, 3/6/1980, n. 3611).
La valutazione – alla stregua del materiale probatorio – della sussistenza della minaccia di un male ingiusto, nonché del rapporto di causalità tra questa ed il compimento dell’atto impugnato, costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice del merito e non censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato (Cass., Sez. L, 16/1/1984, n. 368; Cass., Sez. 3, 3/6/1980, n. 3611).
Nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto che i predetti requisiti, minaccia e rapporto causale, fossero stati dimostrati, valorizzando all’uopo la testimonianza resa dalla sorella della ricorrente, che aveva confermato, per avervi assistito, le minacce perpetrate dal ricorrente nei confronti della controricorrente e consistite nell’averle detto che avrebbe fatto passare a lei e ai suoi familiari guai fisici e seri, nell’averla strattonata e avvertita che quelli erano assaggi e nell’averle ricordato le sue frequentazioni con avventori particolari del proprio locale, al fine di ottenere il ritrasferimento dell’unità immobiliare in suo favore. Hanno altresì evidenziato come le questioni personali e patrimoniali tra persone legate da vincolo sentimentale si affrontassero prevalentemente in
ambito domestico, alla presenza di soli parenti prossimi; come le mancate risposte, senza giustificato motivo, all’interrogatorio formale deferito alla convenuta COGNOME andassero valutate come elementi indiziari a favore della controparte processuale; come gli altri mezzi di prova acquisiti non si ponessero in contrasto con l’accertamento positivo delle predette circostanze e come non assumessero rilevanza né la procura speciale rilasciata dall’appellante all’appellato per la gestione del suo patrimonio, siccome non utilizzabile per disporre di un bene in favore di quest’ultimo in quanto in conflitto di interessi ex art. 1394 cod. civ., né la dichiarazione sottoscritta dall’appellante in ordine alla proprietà del bene, non essendo l’interposizione fittizia configurabile nella vendita coattiva e avendo le parti stipulato un contratto di comodato nel quale l’appellante si era detta proprietaria. La gravità della minaccia e la sua incidenza causale in ordine alla stipulazione del contratto, poi, è stata ravvisata dai giudici anche nell’esiguità del corrispettivo convenuto, rispetto a quello originariamente pagato, e nella sua omessa corresponsione, non giustificabile neppure dalle opere di ristrutturazione asseritamente eseguite dall’appellato a sue spese, non essendone stata fornita alcuna prova, stante la genericità delle dichiarazioni rese sul punto dai testimoni, e non essendo la documentazione prodotta univocamente riferibile all’immobile in questione.
E’ allora evidente come le doglianze, ancorché proposte in termini di violazione e/o falsa applicazione delle norme in materia di annullamento per violenza e di distribuzione dell’onere della prova, alleghino, in realtà, un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (cfr. Cass., Sez. 1, 14/01/2019, n. 640), in quanto tesa a sollecitare una nuova lettura del compendio probatorio per addivenire ad un diverso apprezzamento della
fattispecie concreta, così da porsi al di fuori del perimetro delimitante il sindacato del giudice di legittimità (Cass., Sez. 1, 27/3/2024, n. 8272; Cass., Sez. 3, 4/3/2022, n. 7187).
Né può dirsi fondata la doglianza riferita alla violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., la quale è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., soltanto nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., Sez. U, 30/9/2020, n. 20867; Cass., Sez. 5, 9/6/2021, n. 16016).
2.1 Con il secondo motivo, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo controverso tra le parti in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.; l’inesistenza di una motivazione sulla testimonianza resa da NOME COGNOME e conseguente travisamento del quadro probatorio, rilevante ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., anche in ordine al valore confessorio della controdichiarazione rilasciata da NOME COGNOME perché i giudici di merito avevano ignorato la prova fondamentale data dalle dichiarazioni del fratello del ricorrente, di professione commercialista, il quale aveva riferito che quest’ultimo gli aveva detto di voler comprare all’asta il bene e, su suo suggerimento, di volerlo intestare per motivi fiscali alla compagna,
dalla quale si era fatto rilasciare una dichiarazione di riconoscimento della proprietà del bene in capo a lui e una procura generale, e che aveva svolto lavori di ristrutturazione sull’immobile, omettendo di darne conto in motivazione, oltre ad avere trascurato la valenza confessoria sulla reale proprietà del bene attribuibile alla controdichiarazione della controricorrente – di cui era stata chiesta la verificazione in seguito al disconoscimento, da parte della stessa, della relativa sottoscrizione -, la quale rendeva, peraltro, superfluo il ricorso alla violenza, mentre era irrilevante quanto asserito in motivazione circa l’inidoneità di tale documento a costituire prova dell’interposizione, essendo l’acquisto avvenuto nell’ambito di un’esecuzione immobiliare.
2.2 Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
Si osserva, in proposito, come, dopo la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, non siano più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, e dunque di totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto, al di fuori delle quali il vizio di
motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8487; Cass., Sez. 6 – 3, 08/10/2014, n. 21257; Cass., Sez. 6 – 3, 20/11/2015, n. 23828; Cass., Sez. 2, 13/08/2018, n. 20721; Cass., Sez . 3, 12/10/2017, n. 23940).
Esula dunque dal vizio di motivazione la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, come invece preteso dal ricorrente nel sottolineare la maggior efficacia persuasiva delle dichiarazioni rese dal proprio congiunto, atteso che detta scelta, così come l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., Sez. 1, 2/8/2016, n. 16056).
Quanto poi all’omesso esame di fatti che sono stati oggetto di discussione tra le parti, si osserva che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., così come riformulato nel 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le
parti e abbia carattere decisivo, con la conseguenza che non integra detto vizio né l’omesso esame di elementi istruttori qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. 2, 29/10/2018, n. 27415), né l’omessa motivazione, né la sua insufficienza o contraddittorietà (Cass., Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983).
Il fatto storico prospettato, da intendersi come preciso accadimento o precisa circostanza in senso storico-naturalistico, deve essere decisivo, ovvero per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza conduca, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, a una diversa decisione, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data, vale a dire un fatto che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., Sez. 5, 18/10/2014, n. 1152 e Cass., Sez. L, 14/11/2013, n. 25608), senza che questo possa consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (cfr. Cass. , Sez. 5, 3/10/2018, n. 24035 e Cass., Sez. 5, 8/10/2014, n. 21152), né la Corte di cassazione può procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass., Sez. 1, 12/5/2023, n. 13063; Cass., Sez. 5, 6/5/2014, n. 91 e Cass., Sez. U, 25/10/2013, n. 24148).
Nella specie, non risulta, né è stato dedotto, che le testimonianze asseritamente non esaminate avrebbero determinato un esito diverso del giudizio, assumendo quella connotazione di decisività rilevante ai fini della fondatezza della pretesa, con conseguente inammissibilità della censura.
3.1 Con il terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1427, 1434, 1435 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché l’omessa o comunque contraddittoria motivazione su un fatto decisivo controverso tra le parti rilevante ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, oltre ad avere attribuito erroneamente decisività alle dichiarazioni rese dalla sorella della controparte, nonostante le evidenze probatorie contrarie, non avevano considerato che tra le parti era intercorso un rapporto sentimentale durato ventisei anni senza che fosse mai emerso alcun gesto violento del ricorrente; che nessun teste, a parte la sorella della ricorrente, aveva riferito di minacce rivolte alla controparte; che il M.llo COGNOME aveva parlato di un intervento nel locale del ricorrente per soli schiamazzi, al quale aveva assistito la stessa controricorrente; che non vi erano condanne per atti violenti del ricorrente; che la procura generale era stata rilasciata dalla controricorrente prima della stipula dell’atto; che quest’ultima non aveva mai messo in dubbio di non avere pagato alcunché per l’acquisto del bene; che tutti i testi avevano confermato le opere di ristrutturazione eseguite dal ricorrente; che l’intestazione fittizia era stata decisa per motivi fiscali; che la controdichiarazione della controricorrente aveva valenza confessoria; che il contratto di comodato del gennaio 2010 in favore del ricorrente era servito per stabilire formalmente la residenza nella propria casa.
3.2 Il terzo motivo è parimenti inammissibile.
Vanno sul punto richiamati i principi affermati nei precedenti punti 1.2 e 2.2 in ordine ai presupposti dell’annullamento del contratto per violenza e minaccia e al requisito di decisività del fatto asseritamente omesso, per escludere che sussistano i vizi lamentati, avendo i giudici ampiamente argomentato sulle ragioni per le quali hanno ritenuto di accogliere la domanda di annullamento del negozio proposta dall’appellante e non essendo
ravvisabile la decisività dei fatti asseritamente omessi, che, peraltro, sono stati in realtà esaminati dai giudici di merito, sia pur con un esito non condiviso dal ricorrente.
In conclusione, dichiarata l’inammissibilità dei motivi, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
Rigetta il ricorso.
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 8.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in € 8.500,00, nonché al pagamento
della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 08/05/2025.