Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2931 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2931 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/02/2025
Ammissione con riserva; credito condizionale; domanda risoluzione;
competenza
tribunale fallimentare Ud. 17/05/2024 PU 8.7.2024
Dott. NOME
Presidente
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Consigliere – rel.
(riconvocazion e)
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso n. 28928-2016 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona dei curatori p.t. , rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’ avvocato NOME COGNOME
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. , rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, da ll’ avvocato NOME COGNOME
–
contro
ricorrente –
avverso il decreto del Tribunale di Napoli, depositato in data 4 novembre 2016;
udita la relazione della causa svolta nella p.u. del 17/5/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
udita la Procura Generale, nella persona del Sostituto Procuratore dott. NOME COGNOME che ha chiesto di ‘dichiararsi che il credito di cui è titolare RAGIONE_SOCIALE deve intendersi ammesso incondizionatamente al passivo del fallimento’;
udito per il fallimento ricorrente l’Avv.to NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito per la società controricorrente l’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RILEVATO CHE
1 .RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE, capogruppo e mandataria dell’RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE aveva affidato l’esecuzione di due appalti , convenne la committente dinanzi al Tribunale di Roma, con separati atti di citazione, per sentir dichiarare risolti i contratti per fatto e colpa della stessa e per ottenerne la condanna al pagamento delle riserve e al risarcimento dei danni; RAGIONE_SOCIALE si costituì in entrambi i giudizi chiedendo, in via riconvenzionale, l’accertamento della già avvenuta risoluzion e in danno dei contratti e la condanna dell’appaltatrice al risarcimento dei danni subiti.
2. Le cause, interrottesi a seguito del fallimento di CN, dichiarato dal Tribunale di Napoli, vennero riassunte dal curatore, mentre RAGIONE_SOCIALE, stante la sopravvenuta improcedibilità in sede ordinaria delle proprie domande di condanna, chiese l’ammissione allo stato passivo del Fallimento dei crediti risarcitori vantati.
Il giudice delegato ‘ammise’ il credito ‘per l’importo di euro 0,0, in attesa dell’esito del passaggio in giudicato delle sentenze’
Il ricorso ex artt. 98 l. fall. proposto da RFI contro il provvedimento del G.D. è stato accolto dal Tribunale di Napoli, che, con decreto del 4 novembre 2016, ha ammesso il credito dell’opponente allo stato passivo del Fallimento di CN ‘con riserva dell’esito della decisione dei giudizi pendenti, con sentenza passata in giudicato’.
2.1. Il Tribunale ha osservato, per quanto qui ancora interessa, che: a) il provvedimento del G.D. andava interpretato come di rigetto della domanda di insinuazione di RFI sino all’esito dei giudizi pendenti; b) contrariamente a quanto sostenuto dal curatore, la cognizione delle contrapposte domande di inadempimento e di risoluzione dei contratti restava devoluta alla competenza del giudice ordinario, non essendo concepibile, attesa la necessità di un accertamento unitario sul punto, che il giudice ordinario dovesse decidere solo di quelle proposte dalla curatela (insensibili alla vis attractiva del tribunale fallimentare) e il giudice fallimentare di quelle proposte da RFI; c) era stata corretta la decisione di RFI di proporre, pur nella pendenza dei giudizi ordinari, domanda tardiva di ammissione del credito risarcitorio al passivo, nonché la successiva impugnazione, onde evitare il pericolo di una pronuncia di inammissibilità di una domanda cd. supertardiva, presentata, cioè, all’esito del passaggio in giudicato della decisione di quei giudizi; d) poiché l’accoglimento della domanda di RFI dipendeva dall’esito dei giudizi pendenti in sede ordinaria (l’uno ancora dinanzi al Tribunale e l’altro dinanzi alla Corte d’appello di Roma) andava fatta applicazione, in via analogica, dei principi affermati dalle SS.UU. della Cassazione, seppure in tema di giurisdizione, secondo i quali, nelle ipotesi in cui venga richiesta l’ammissione al passivo di un credito il cui accertamento è devoluto alla giurisdizione della Corte dei conti ovvero di un arbitro straniero, e l’ammissione del credito sia contestata, non verrebbe meno il potere di ammettere il credito con riserva, essendo gli organi fallimentari tenuti a considerare il credito come condizionale e a sciogliere la riserva in relazione all’esito del processo dinanzi al
giudice competente, sì da consentire al creditore la partecipazione al riparto mediante accantonamento; e) la soluzione, dunque, nel caso in esame, doveva essere quella dell’ammissione con riserva, in attesa che il giudice ordinario, accogliendo l’una o l’altra delle due contrapposte domande di risoluzione avanzate dalle parti, decidesse sull’ an del credito dell’opponente; f) a conferma dell’ esposta soluzione militava anche il dettato del riformulato art.72, 5° comma, l. fall., il quale prevede che l’azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, mentre se il contraente intende ottenere, con la pronuncia di risoluzione, la restituzione di una somma di denaro ovvero di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre domanda di ammissione al passivo; g) non apparivano praticabili, invece, soluzioni alternative, ed in particolare quella della sospensione del giudizio di opposizione, che si sarebbero poste in contrasto con l’esigenza della celerità della procedura fallimentare e del procedimento di accertamento del passivo ed avrebbero inoltre pregiudicato il diritto dell’opponente ad ottenere l’accantonamento del credito anche in ipotesi di chiusura del fallimento.
2.2. Il decreto è stato impugnato da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione con ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui RFI s.p.a. ha resistito con controricorso.
Con ordinanza del 17.5.2023, la Prima Sezione di questa Corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo per la discussione in pubblica udienza. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Alla pubblica udienza del 17.5.2024 il P.G. ha formulato le conclusioni riportate in epigrafe.
La camera di consiglio è stata riconvocata in data 8 luglio 2024.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo il Fallimento lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 55, 3° comma, e 96, 2° comma, l. fall.
1.1 Osserva che nella specie non ricorre alcuna delle ipotesi in cui un credito possa essere ammesso con riserva allo stato passivo; ipotesi che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, sono da considerarsi tassative e di carattere eccezionale, in quanto l’ammissione con riserva incide negativamente sulla necessità di acquisire nel più breve tempo possibile un quadro completo ed unitario dei debiti dell’impresa fallita, dalla cui ricognizione derivano importanti conseguenze per l’ulteriore sviluppo della procedura concorsuale.
1.2 Rileva che nel caso in cui, alla data di apertura della procedura concorsuale, il giudizio anteriormente promosso nei confronti dell’imprenditore poi fallito sia ancora pendente in primo grado, non può trovare applicazione l’art. 96, 2° comma, n. 3, l. fall., il quale stabilisce che sono ammessi al passivo con riserva i crediti accertati con sentenza di primo grado non passata in giudicato, ma pronunciata prima della dichiarazione di fallimento, sicché nella specie avrebbe potuto essere ammesso con riserva unicamente il minor credito risarcitorio vantato da RFI per effetto della risoluzione del contratto ancora controversa nel giudizio pendente innanzi alla Corte di appello di Roma.
1.3 Assume, ancora, che il tribunale ha erroneamente equiparato il caso sottoposto al suo esame a quelli oggetto delle sentenze delle SS.UU. di questa Corte richiamate, nei quali il giudizio – dalla cui soluzione dipendeva l’ammissione del credito al passivo fallimentare -apparteneva ad altra giurisdizione (giurisdizione contabile e giurisdizione di arbitro straniero) e non a quella del giudice ordinario.
1.4 Evidenzia, sotto altro profilo, che il tribunale sarebbe incorso nell’errore di assimilare il credito non ancora sorto, e dunque meramente eventuale, di RFI a quelli condizionali (già sorti alla data
del fallimento, ma non ancora esigibili perché la loro efficacia è subordinata ad un evento futuro ed incerto), laddove tale prospettiva assimilatoria è predicabile solo qualora l’accertamento del credito sia riservato ad un’altra giurisdizione ovvero alla competenza inderogabile di un tribunale diverso da quello fallimentare.
1.5 Afferma che invece nella fattispecie in esame, in cui il rapporto fra le due domande contrapposte non è configurabile in termini di competenza, ma di specialità di rito, la domanda spiegata da RFI in sede di cognizione ordinaria doveva essere dichiarata improcedibile, perché, per l’appunto, soggetta al rito dell’accertamento del passivo, mente rimaneva ferma dinanzi al Tribunale di Roma, giudice ritualmente adito, quella proposta dalla società in bonis e riassunta dal curatore.
1.6 Sostiene infine che, non ricorrendo la possibilità di riunione o trattazione congiunta delle due cause, pendenti dinanzi a tribunali diversi, il rischio derivante dal possibile conflitto fra giudicati potrebbe essere evitato solo sospendendo il processo pregiudicato, che è quello pendente in sede ordinaria, non potendosi sottrarre alla sede fallimentare l’accertamento del credito da far valere nel concorso.
Il collegio ritiene di dover rimettere il ricorso alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite (che, ove dovessero aderire alle conclusioni del P.G., potranno pronunciare nell’interesse della legge).
2.1. Premesso che, come riconosciuto dallo stesso ricorrente, non v’era ostacolo all’ammissione con riserva, ai sensi dell’art. 96, 3° comma l. fall., del credito risarcitorio di RFI già accertato con sentenza di primo grado impugnata in appello dal Fallimento, le questioni che formano oggetto del giudizio concernente l’altro credito appaiono più complesse di quella – unicamente dibattuta fra le parti -relativa alla sua ammissibilità, o meno, allo stato passivo ‘ con riserva ‘ perché da
un lato postulano la soluzione di un conflitto interno alla Prima sezione (quanto al profilo dei rapporti tra domanda di risoluzione coltivata innanzi al giudice ordinario e domanda di ammissione al passivo per i conseguenti crediti risarcitori e restitutori) e, dall’altro, evidenziano una problematica giuridica sostanzialmente inedita, quantomeno a partire dall’entrata in vigore del d. lgs. n. 5/2006, connessa alla peculiarità del caso in esame, ove le domande di risoluzione avanzate prima della dichiarazione di fallimento innanzi al tribunale sono ‘incrociate’.
2.2 .Occorre dunque dare risposta, nell’ordine , ai seguenti quesiti:
se la domanda di risoluzione del contratto proposta nei confronti del contraente poi fallito debba o meno essere trasferita in sede fallimentare unitamente alle domande risarcitorie o restitutorie conseguenti alla risoluzione;
in caso di risposta positiva, quali conseguenze derivino dall’omessa riproposizione della domanda in sede fallimentare e se il trasferimento debba avvenire pur quando, come accaduto nella specie, l’azione di risoluzione contrattuale sia stata promossa anche dal contraente poi fallito e sia stata proseguita dal curatore in sede ordinaria;
in caso di risposta negativa, e dunque qualora la domanda di risoluzione debba rimanere pendente dinanzi al giudice ordinario, quando debba essere proposta la domanda di ammissione del credito allo stato passivo e se tale credito possa essere assimilato ai crediti condizionali o debbano adottarsi altri rimedi processuali, anche al fine di evitare il possibile contrasto fra giudicato endofallimentare e giudicato ex art. 2909 c.c..
3. La domanda di risoluzione e l’art. 72, comma 5, l. fall.
3.1 .L’art. 72 l.fall. , contenuto nella sezione IV del capo IV del titolo II della legge fallimentare, relativa agli ‘ Effetti del fallimento nei rapporti giuridici preesistenti ‘, nei suoi primi quattro commi disciplina in
generale la sorte dei contratti ancora pendenti alla data di dichiarazione del fallimento, i quali restano sospesi fino al momento in cui il curatore non eserciti, su autorizzazione del comitato dei creditori, la propria scelta di subentrarvi ovvero di sciogliersene (anche implicitamente, qualora lasci decorrere inutilmente il termine di messa in mora assegnatogli dal G.D. su richiesta dell’altro contraente).
Il quinto comma dell’articolo 72 l. fall . esclude però (come del resto pare ovvio) che il curatore possa esercitare la facoltà di scelta di subentrare o meno nel contratto quando, prima del fallimento, la parte adempiente ne abbia chiesto la risoluzione nei confronti della parte inadempiente po i fallita. L’azione come recita il comma in esame -«spiega i suoi effetti nei confronti del curatore», fatta salva (ma è un’ipotesi che qui non interessa) l’efficacia della trascrizione della domanda.
3.2. L’art. 72, 5° comma, l. fall., nel disciplinare il ‘raccordo’ fra il giudizio anteriormente instaurato e il giudizio di accertamento del passivo, stabilisce poi che «se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la domanda secondo le disposizioni di cui al capo V», cioè mediante l’insinuazione al passivo. L’ipotesi opposta è, all’evidenza, quella in cui il contraente intenda, invece, ottenere solo la pronuncia di risoluzione del contratto (anche per precludere al curatore la possibilità di subentrarvi): in tal caso è evidente che – in piena sintonia con la logica del concorso, che deroga alle regole ordinarie e comprime i diritti dei terzi solo quando essi vantino delle pretese sull’attivo acquisito al fallimento – nessuna domanda debba essere proposta in sede fallimentare.
3.3. E’ utile considerare che la disposizione in commento risulta pedissequamente riprodotta nell’art. 172, comma 5, CCII. La più recente dottrina ha rimarcato la ‘continuità’ fra detto articolo e l’art. 72 l.fall., affermando, proprio in ordine alla previsione del quinto
comma, che -come «già previsto dalle norme vigenti» -l’azione di risoluzione promossa prima dell’apertura della liquidazione giudiziale, e nei casi previsti debitamente trascritta, spiega i suoi effetti anche nei confronti del curatore e che se il contraente intende ottenere non solo la pronuncia di risoluzione per inadempimento, ma anche la restituzione di una somma o di un bene ovvero il risarcimento del danno, la domanda deve essere proposta secondo le disposizioni sull’accertamento del passivo.
Su questa stessa linea ricostruttiva si collocano i vari contributi dottrinali a commento dell’art. 172, comma 5, del nuovo Codice (come detto identico all’art. 72, comma 5, l.fall.), nei quali si sostiene che, se il petitum è circoscritto alla dichiarazione di risoluzione del contratto, l’azione prosegue dinanzi al giudice ordinario originariamente adito, con la sola sostituzione del curatore al debitore insolvente; se, invece, il contraente in bonis richiede, oltre alla risoluzione, la restituzione di una somma di denaro o di un bene (per effetto del parziale adempimento della sua prestazione) ovvero il risarcimento dei danni patiti, allora il relativo giudizio si dovrebbe interrompere e le domande dovrebbero essere ripresentate, secondo le disposizioni relative all’accertamento dei crediti, nell’ambito della liquidazione giudiziale.
Si tratta, del resto, di una lettura conforme all’intenzione del legislatore, come riversata nella Relazione illustrativa all’art. 172, comma 5, CCII, ove si legge: «poiché il giudice delegato, nel corso dell’accertamento del passivo deve poter conoscere c on pienezza dei suoi poteri della domanda di ammissione, verificandone la fondatezza sia in rapporto al petitum che alla causa petendi , ne consegue che la controparte in bonis avrà interesse a coltivare l’azione di risoluzione introdotta prima dell’apertur a della liquidazione giudiziale solo in presenza di un interesse giuridico, attuale e concreto, diverso da quello all’accoglimento della domanda restitutoria o di ammissione al passivo del credito».
4. – Le due opzioni ermeneutiche .
4.1. Il testo dell’art. 72, comma 5, l.fall., sebbene apparentemente lineare, ha rivelato qualche ambiguità semantica in punto di raccordo tra il preventivo giudizio di risoluzione promosso in sede ordinaria e quello successivo da promuovere in sede fallimentare, ingenerando così diverse opinioni dottrinali, sussumibili, l’una, nella tesi della ‘divaricazione processuale’ tra giudizio ordinario e giudizio fallimentare e, l’altra, nella tesi della ‘trasmigrazione integrale’ in sede fallimentare.
4.2 . La tesi della divaricazione processuale comprime il perimetro dell’art. 72, comma 5, l.fall., riferendo la porzione che rimanda alle modalità delineate dal ‘capo V’ alle sole istanze restitutorie e risarcitorie correlate alla domanda di risoluzione del vincolo negoziale introdotta prima del fallimento, che continua invece a far capo al giudice ordinario.
Secondo questa opinione, la pur spiccata ‘specialità’ della norma non sembra autorizzare -né esplicitamente, né implicitamente -una lettura ‘unitaria’ della prima e della seconda parte della disposizione, stante la diversa attitudine alla stabilità del provvedimento finale del giudizio di cognizione ordinaria (giudicato ex art. 2909 c.c.) e del giudizio di verifica del passivo (mera stabilizzazione endoconcorsuale), da cui discenderebbe, quale logica conseguenza, la necessità che la domanda di risoluzione già proposta resti nella sede di giudizio ordinario ed ivi conservi i suoi effetti sostanziali e processuali. Di qui la prospettata delimitazione del rinvio alle modalità delineate dal ‘capo V’, contenuto nella seconda parte, alle sole domande ulteriori restitutorie e risarcitorie, correlate alla domanda di risoluzione, che non possono proseguire davanti al giudice della cognizione ordinaria e devono essere oggetto di separata istanza di ammissione al passivo concorsuale, per essere ivi valutate dal giudice delegato.
Tale filone, nel professare la separazione necessaria delle cause e nel serbare in capo al giudice ordinario solo la cognizione sul titolo negoziale, postula o la sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio di verifica del passivo, o, in alternativa, l’amm issione con riserva del credito restitutorio o risarcitorio, in attesa della decisione in sede ordinaria sulla domanda di risoluzione, dovendosi comunque individuare la soluzione pi ù̀ ragionevole, che contemperi l’interesse del creditore a non subire le conseguenze pregiudizievoli della durata del processo ordinario e quello del debitore alla garanzia effettiva del diritto di difesa.
Si tratta di un approccio che fa leva sull’assenza di un principio di simultaneità del processo di rango costituzionale (Corte cost. 124/2005) e sulla mancanza di un’indicazione esplicita in punto di translatio in sede fallimentare della domanda di risoluzione, oltre che sulla difficoltà di ipotizzare una riassunzione formale del giudizio, eventualmente dichiarato interrotto, in quella sede; meccanismo neppure adombrato nell’art. 72 l.fall., ove si dice generica mente che l’attore «deve proporre la domanda s econdo le disposizioni di cui al Capo V».
4.2. La tesi della trasmigrazione integrale valorizza invece la struttura sintattico-grammaticale della norma, reputando che la domanda da proporre «secondo le disposizioni del capo V» sia proprio quella di risoluzione che il precetto menziona dapprincipio, che va dunque ‘traslata’ in sede concorsuale insieme a («con») quelle restitutorie e risarcitorie cui è strumentale, anche perché l’interpretazione opposta svuoterebbe di senso la norma, essendo pacifico che queste ultime domande debbano essere sottoposte al giudice fallimentare.
In quest’ottica, non sarebbe un ostacolo il carattere costitutivo dell’azione di risoluzione, purché la domanda sia stata trascritta anteriormente al fallimento qualora abbia ad oggetto diritti reali su beni immobili ai sensi dell’art. 2652 n. 1, c.c. Ed a nzi, secondo autorevole
dottrina, tale conclusione dovrebbe essere estesa -per l’evidente identità di ratio processuale rispetto alla domanda di risoluzione del contratto, che incide sul sinallagma funzionale -alle ulteriori azioni che incidono anche sul sinallagma genetico, e dunque sia alle domande eterodeterminate di tutela costitutiva (annullamento, simulazione, rescissione) sia alle domande autodeterminate di tutela dichiarativa (nullità, simulazione assoluta), che rappresentino il presupposto per l’accoglimento, in sede concorsuale, delle istanze di ammissione di crediti, ovvero di restituzione o rivendicazione di beni mobili ed immobili.
Su queste basi, la competenza funzionale del tribunale fallimentare cederebbe il passo alla competenza del tribunale ordinario solo a fronte di azioni lato sensu caducatorie (risoluzione, simulazione, revocatoria, nullità, rivendica) che non rappresentino un antecedente logico, e cioè il presupposto, di successive pretese creditorie, restitutorie o risarcitorie nei confronti della massa fallimentare (ad es. azione di simulazione, nullità o revocatoria di un atto di conferimento da parte di terzi in natura ex art. 2468 c.c. in una società dichiarata fallita, oppure di un fondo patrimoniale costituito da un terzo ex art. 167 c.c. in favore dei coniugi, soci illimitatamente responsabile di società fallita, se i conferenti non vantino crediti nei confronti della massa fallimentare e quindi l’accertamento della loro posizione non possa avere carattere prodromico rispetto all’accertamento e al riparto concorsuale).
Pertanto, di fronte al giudice delegato al fallimento approderebbero tutte le domande legate da un rapporto di pregiudizialità ovvero dipendenza rispetto ai crediti o diritti sui beni vantati nel concorso con gli altri creditori; viceversa, resterebbero proseguibili in sede ordinaria le cause il cui epilogo non ponga problemi di opponibilità alla massa dei creditori concorsuali (limitandosi l’attore a perseguire solo utilità estranee alla partecipazione al concorso).
Si sostiene, da parte dei fautori di tale teorica, che le domande di risoluzione e quelle di restituzione, pagamento o ristoro dei pregiudizi evidenziano una connessione accentuata, riconducibile nei paradigmi della pregiudizialità-dipendenza ex art. 34 c.p.c. ovvero dell’accessorietà ex art. 31 c.p.c.; con la conseguenza che, ogni qualvolta vengano esercitate contemporaneamente l’azione di risoluzione e la pedissequa azione di condanna, entrambe prendono la via dell’alveo fallimentare, in quanto collegate da un vincolo di connessione e dipendenza tale da rendere necessaria una loro trattazione unitaria.
Il giudice fallimentare dovrebbe quindi poter conoscere principaliter anche delle situazioni che si collocano in rapporto di pregiudizialità rispetto alle richieste di tutela concorsuale. La ‘trasmigrazione’ nell’ambito fallimentare della causa sulla risoluzione del vincolo sarebbe, insomma, indispensabile affinché il contraddittorio non si presenti alterato, ma esteso alla precondizione stessa del riconoscimento del credito.
In ultima analisi, la ratio a sostegno della trasmigrazione integrale in favore del giudice fallimentare deriva dalla medesimezza del fatto costitutivo -da un lato l’adempimento, dall’altro la risoluzione da cui le parti del rapporto potrebbero ottenere differenti utilità, così da giustificare l’innesto del rito dell’accertamento del passivo con ogni tipologia di giudizio ordinario di cognizione.
Un secondo aspetto, particolarmente esaltato in dottrina, è che sarebbe proprio il principio del concorso formale a determinare la confluenza davanti al giudice fallimentare di tutte le questioni controverse suscettibili di incidere anche, in via mediata, sulla fisionomia del passivo fallimentare. Questa opzione interpretativa valorizza pertanto -in piena sintonia con l’indirizzo delle Sezioni unite (sentenza n. 5694 del 2023) -la vis espansionistica del concorso, oramai teso ad attrarre
tendenzialmente nella sede fallimentare, tutte le controversie atte a riverberarsi sul patrimonio da liquidare a beneficio dei creditori.
5. – Il contrasto interno .
5.1 . Nella giurisprudenza della Prima Sezione civile di questa Corte sono emerse, sul tema, posizioni almeno in parte divergenti.
5.2 . In un arresto del 2016 (relativo a domanda di accertamento della simulazione assoluta o relativa di un contratto di compravendita, nonch é́ di risoluzione di diritto ex art. 1454 c.c., ovvero per inadempimento ex art. 1453 c.c., del dissimulato preliminare di permuta immobiliare di cosa futura, con condanna alla restituzione del bene permutato e al risarcimento del danno) si è affermato che le domande principali e prodromiche di simulazione e risoluzione contrattuale, trascritte anteriormente alla dichiarazione di fallimento della parte convenuta in giudizio, possono proseguire legittimamente con il rito ordinario, attesa l’opponibilità della relativa sentenza alla massa dei creditori in ragione dell’effetto prenotativo della trascrizione; viceversa, le pretese, accessorie, di restituzione e risarcimento del danno devono necessariamente procedere, previa separazione dalle prime, nelle forme degli artt. 93 e ss. l.fall., in quanto assoggettate alla regola del concorso e non suscettibili di sopravvivere in sede ordinaria (Cass. 29 febbraio 2016, n. 3953; cfr. Cass. 7547/2018, che ha richiamato la tesi nella diversa fattispecie di domanda ex art. 2932 c.c. proposta e trascritta ex art. 2652, n. 2 c.c. prima del fallimento del promittente venditore).
L’arresto fa perno innanzitutto sul principio, protetto a livello costituzionale e di convenzione europea dei diritti dell’uomo, della ragionevole durata del processo, che verrebbe minato qualora si imponesse «all’attore, inutilmente, di ricominciare tutto il giudizio daccapo in sede fallimentare». In secondo luogo, mette in risalto (con argomento non spendibile nel presente giudizio) l’effetto prenotativo
della trascrizione, nel senso che, ove l’attore abbia trascritto la domanda prima della sentenza dichiarativa di fallimento, il diritto alla risoluzione del contratto dovrebbe considerarsi già “quesito” al momento dell’emanazione di quella sentenza, sicché la relativa cognizione sarebbe destinata a proseguire presso il giudice originariamente adito.
La proiezione della tesi sul piano processuale comporta che solo le domande risarcitorie e restitutorie debbono essere dichiarate improcedibili dal giudice ordinario, per essere incardinate innanzi al giudice fallimentare; salvo poi doversi individuare la forma di raccordo tra i due giudizi, per evitare un vulnus agli interessi della parte in bonis , come avverrebbe se questa dovesse attendere la decisione sulla domanda di risoluzione in sede ordinaria, prima di azionare le consequenziali pretese restitutorie o risarcitorie in sede concorsuale (in tal senso, Cass. 1190/2018).
5.3. Successivamente, anche alla luce delle criticità messe in rilievo dalla dottrina, con due sentenze ‘gemelle’ del 2020, altro collegio di questa sezione ha ritenuto che il secondo periodo dell’art. 72, comma 5, l.fall. vada interpretato nel senso che la domanda di risoluzione proposta prima della dichiarazione di fallimento, se diretta in via esclusiva a far valere, in sede concorsuale, le consequenziali pretese risarcitorie o restitutorie, di cui costituisca l’antecedente logico -giuridico, non può proseguire in sede di cognizione ordinaria, ma deve essere interamente proposta secondo il rito speciale disciplinato dagli artt. 93 ss. l.fall.
E ciò perché, si è detto in quelle pronunce: per un verso, non sarebbe applicabile in via analogica o estensiva l’istituto dell’ammissione con riserva ex art. 96, comma 2, l.fall. -segnatamente né il n. 1 (non essendo ancora intervenuta una pronuncia del giudice ordinario) né il n. 3 (non potendo considerarsi come ‘condizionato’ il credito caratterizzato da una pregiudizialità logico-giuridica, neppure nella più
lata lettura giurisprudenziale che lo ravvisa, al di là dell’art. 55 l.fall., nelle ipotesi di difetto di giurisdizione dello stesso giudice ordinario sopra menzionate) -stante la tipicità e tassatività delle ipotesi contemplate dalla norma (Cass. 24866/2014, 3397/2004, 17526/2003, 7329/2002); e, per altro verso, sarebbe incompatibile con il giudizio di accertamento del passivo fallimentare la sua sospensione, ex art. 295 c.p.c., in attesa della decisione in sede ordinaria sulla domanda pregiudiziale di risoluzione (così, ex multis, Cass. Sez. U, 21499/2004; Cass. 5255/2017, 7547/2018).
Solo la domanda di risoluzione diretta a conseguire finalità estranee alla partecipazione al concorso (come la liberazione della parte in bonis dagli obblighi contrattuali o l’escussione di una garanzia di terzi) resterebbe invece procedibile in sede di cognizione ordinaria, dopo l’interruzione del processo ex art. 43 l.fall. e la sua riassunzione nei confronti della curatela fallimentare (Cass. 7 febbraio 2020, n. 2990 e n. 2991).
Secondo questa ricostruzione, il rischio di conflitto tra giudicati sarebbe escluso dalla diversa attitudine alla stabilit à dei provvedimenti conclusivi dei rispettivi giudizi: l’uno avendo infatti autorità di giudicato ex art. 2909 c.c., l’altro essendo invece munito di sola valenza endoconcorsuale, ex art. 96, ultimo comma, l.fall.
La tesi della ‘trasmigrazione integrale’ delle domande in sede fallimentare -ogni qual volta all’azione di risoluzione proposta originariamente in sede ordinaria si accompagni l’azione restitutoria o risarcitoria -fonda la sua ratio sui principi di specializzazione, concentrazione e speditezza sottesi al combinato disposto degli articoli 24, 52 e 93 l.fall., ed in particolar modo sul vulnus che verrebbe altrimenti inferto alla tutela dei diritti dei creditori concorsuali, di cui è espressione il princip io del ‘contraddittorio incrociato’, tipico del procedimento di accertamento del passivo.
Come infatti segnalato anche da accorta dottrina, gli altri soggetti che vantassero crediti o altre pretese sui beni compresi nell’attivo fallimentare, di fronte alla separazione delle domande, alla prosecuzione di quella pregiudiziale di risoluzione in sede ordinaria ed al suo eventuale accoglimento, non potrebbero interloquire sulle ragioni vantate con la domanda pregiudiziale di risoluzione, ma si troverebbero costretti a proporre l’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., oppure l’accertamento dei propr i diritti in separato giudizio.
Del resto già due lustri prima le Sezioni unite, pronunciandosi su altra questione in tema di accertamento del passivo, avevano rilevato il favor dell’ordinamento per «una soluzione che privilegi la concentrazione in un unico procedimento delle diverse questioni che possono sorgere nella delibazione circa la sussistenza del credito azionato», osservando che «l’esame congiunto di ogni vicenda costitutiva di detto credito, oltre che degli eventuali fatti impeditivi e modificativi del diritto e delle possibili ragioni di inefficacia, consente infatti un esame completo ed esaustivo della posizione creditoria, per di più espletato con un medesimo rito, nel più assoluto rispetto della rilevanza concorsuale del rapporto e con soluzione spiegante effetti all’interno della stessa procedura» e concludendo che l’esame unitario «costituisce una più puntuale realizzazione del giusto processo, poiché consente una effettiva partecipazione ad esso di tutte le parti interessate ed incide in termini positivi sulla sua durata», anche perché «l’instaurazione di parentesi di cognizione esterne rispetto al modulo procedimentale concorsuale costituisce infatti uno dei fattori più significativi delle violazioni normative derivanti dall’eccessiva durata del processo (l. n. 89 del 2001)» (Cass. Sez. U, 16508/2010).
Pertanto, la domanda di risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c., se finalizzata ad ottenere la restituzione o il risarcimento del danno, va proposta incidenter tantum -e cioè senza efficacia di giudicato, ma con effetti limitati alla risoluzione della controversia nell’ambito della
quale è sorta, tanto da poter essere ancora oggetto di un autonomo giudizio -in sede di accertamento del passivo, ove si innesta così una cognizione incidentale di carattere costitutivo, per vero ritenuta inammissibile solo ‘salva diversa disposizione di legge’, la quale viene ravvisata proprio nell’art. 72, comma 5, l.fall.
La proiezione processuale di questa lettura esegetica comporta che l’intera domanda di risoluzione per inadempimento contrattuale, ‘con’ le connesse domande dipendenti (restitutorie) o accessorie (risarcitorie), come originariamente proposta innanzi al giudice ordinario, deve essere dichiarata improcedibile o inammissibile (a seconda se azionata prima o dopo la dichiarazione di fallimento) per essere devoluta nella sua interezza al giudice fallimentare, in ragione del vincolo di connessione che astringe tutte le domande e del principio dell’unicità del concorso.
L’attore è quindi tenuto a (ri)proporre l’intera domanda con il ricorso ex art. 93 l.fall., posto che l’art. 72 comma 5 l.fall. non parla di ‘riassunzione’ del giudizio ma semplicemente di proposizione della domanda in sede di accertamento del passivo fallimentare, ove saranno senza dubbio utilizzabili le prove già raccolte nel giudizio ordinario, salvo il potere del giudice delegato di disporre gli «atti di istruzione compatibili con le esigenze di speditezza del procedimento» (art. 95, comma 3, l.fall.).
Ove si ritenesse necessario un vero e proprio atto di riassunzione, come affermato da parte della dottrina (cfr. Cass. 148/1993), la translatio judicii innanzi al giudice fallimentare richiederebbe l’assegnazione di un termine, o in mancanza l’applicazione del termine ex art. 50 c.p.c. (da conciliare con le scansioni temporali dell’insinuazione al passivo), a decorrere dal momento in cui la dichiarazione giudiziale di interruzione del processo ex art. 43 l.fall. sia stata portata a conoscenza della parte (Cass. sez. U, 12154/2021); si tratterebbe comunque di un atto di
riassunzione atipico, adattato al rito fallimentare, essendo ineludibile il deposito del ricorso ex art. 93 l.fall. (v. Trib. Verona 3 febbraio 2023). Peraltro, nell’ottica della valenza solo endo -concorsuale della decisione, non vi sarebbe nemmeno quell’identità di oggetto tra i due giudizi che costituisce l’essenza del giudizio di riassunzione (salvo, forse, il caso in cui si controverta della risoluzione di un contratto avente ad oggetto beni immobili, in cui si porrebbe con evidenza il problema degli effetti dell’avvenuta trascrizione della domanda).
5.4 . Va ancora segnalata l’emersione nella giurisprudenza di legittimità di un’ ulteriore linea esegetica, in certo qual modo ‘intermedia’ tra quelle sopra riepilogate.
In una pronuncia di questa sezione (Cass. 5368/2022) si è precisato che tra i due indirizzi del 2016 e del 2020 vi sarebbe solo una ‘parziale dissonanza’, poiché, «anche in base al primo degli orientamenti citati, è del tutto pacifico che deve essere sempre e comunque esaminata e decisa dal giudice fallimentare la domanda di risoluzione che, non trascritta, costituisca l’antecedente logico-giuridico della domanda di risarcimento o restituzione». E dunque «in sostanza la divergenza tra i due orientamenti viene in questione solo ove si tratti di domanda di risoluzione trascritta prima del fallimento, in relazione alla possibilità di prosecuzione del giudizio di risoluzione nella sede propria anziché come affermato dall’indirizzo più recente – in quella di verifica dei crediti».
In questa prospettiva (ancorata all’inciso « fatta salva, nei casi previsti, l’efficacia della trascrizione della domanda») l’art. 72, comma 5. L. fall. conterrebbe una regola e un’eccezione.
La regola sarebbe quella della competenza esclusiva del giudice fallimentare ad esaminare incidentalmente, per gli effetti endofallimentari, la domanda di risoluzione pregiudiziale che costituisca l’antecedente logico -giuridico delle domande restitutorie e
risarcitorie azionate (ed azionabili solo) secondo il rito dell’accertamento del passivo.
L’eccezione sarebbe costituita dall’ipotesi in cui quella domanda sia stata non solo proposta, ma anche trascritta (ovviamente, laddove previsto) prima del fallimento, nel qual caso gli effetti prenotativi della trascrizione comporterebbero il permanere della competenza del giudice ordinario sulla domanda pregiudiziale di risoluzione, e la separazione, da questa, delle domande accessorie di restituzione e risarcimento, da proporre invece, necessariamente, dinanzi al giudice fallimentare, nelle forme dell’ac certamento del passivo.
A tale ipotesi si affiancherebbe -con conferma della persistente competenza del giudice ordinario -quella in cui la domanda di risoluzione, sebbene quesita e non trascritta prima del fallimento, sia proposta per conseguire finalità estranee alla partecipazione al concorso (come ad es. la liberazione della parte in bonis dagli obblighi contrattuali o l’escussione di una garanzia di terzi).
Questo collegio, tuttavia, nutre perplessità sulla soluzione di trattare diversamente, ai fini dell’attrazione al rito fallimentare, le domande di risoluzione che siano state comunque ‘quesite’ prima del fallimento e cioè proprio la categoria unitaria di domande considerata dal quinto comma dell’art. 72 l.fall. a seconda che, in ragione del loro oggetto, esse siano state o meno (anche) trascritte prima del fallimento.
Sembra piuttosto che l’inciso «fatta salva, nei casi previsti, l’efficacia della trascrizione della domanda» contenuto nella norma abbia non già lo scopo di sottrarre al rito dell’accertamento del passivo (per mantenerle nella sede di cognizione ordinaria) le domande trascritte, bensì quello di escludere -più radicalmente -che in sede fallimentare possano essere fatte valere pretese restitutore o risarcitorie dipendenti da domande di risoluzione trascrivibili, ma non trascritte, prima del fallimento; e ci ò in forza del regime di inopponibilità sancito dall’art. 45 l.fall.
5.5. Resta da dire che, a ben vedere, il problema della necessità di un espresso trasferimento in sede concorsuale della domanda di risoluzione proposta dal creditore nei confronti del contraente poi fallito si pone, pressoché esclusivamente, proprio qualora si tratti di una domanda che, per poter essere opposta alla massa, deve essere stata preventivamente trascritta. Nell’ipotesi in cui non vi sia alcuna necessità di una preventiva trascrizione, il creditore, ad avviso di questo collegio, potrebbe invece limitarsi ad allegare col ricorso ex art. 93 l. fall. i medesimi fatti già dedotti in sede ordinaria e a suo avviso costitutivi della risoluzione (dai quali evidentemente discenderebbe il suo diritto ad ottenere l ‘ammissione al passivo del credito risarcitorio) senza necessità di richiederne esplicitamente l’accertamento in via incidentale . Salvo non voler ritenere che l’art. 72, comma 5, l. fall. ponga a carico del creditore un vero e proprio onere processuale di riproposizione, in sede concorsuale, della domanda di risoluzione anteriormente quesita: onere dal cui mancato rispetto dovrebbe in conseguenza derivare l’inammissibilità della domanda di ammissione del credito allo stato passivo.
5.6. A testimonianza del disorientamento ingeneratosi sul tema, si segnala infine una recente pronuncia della seconda sezione civile (Cass. 17777/2023) -resa in una fattispecie di procedura d’insolvenza transfrontaliera disciplinata dal Reg. 1346/2000 CE, avente ad oggetto le pretese restitutorie e risarcitorie derivanti dalla risoluzione del contratto di vendita di un’imbarcazione per inadempimento della venditrice, dichiarata fallita in Germania -in cui la Corte, dopo aver ritenuto proseguibile l’intero gi udizio in sede ordinaria, in applicazione, ex art. 4 Reg. cit., della legge tedesca di apertura della procedura (che non contempla un accertamento endofallimentare dei crediti), ha comunque affermato -nella diversa prospettiva dell’ordinamento interno -di condividere appieno l’orientamento del 2020 sulla competenza funzionale assorbente del giudice fallimentare, ma ha poi
concluso, sul rilievo che la domanda di risoluzione era stata proposta dall’acquirente anche per ottenere la liberazione dagli obblighi assunti con il contratto di compravendita, che il giudice ordinario avrebbe dovuto «separare le pretese risarcitorie e restitutorie, affidate alla competenza del giudice fallimentare in applicazione dell’art. 24 L. Fall., dalla domanda di risoluzione del contratto per grave inadempimento della società venditrice, che avrebbe invece potuto e dovuto esaminare»; e così ha finito per aderire (sia pure per gli interessi extraconcorsuali considerati anche in quell’orientamento) alla diversa tesi della separazione processuale, escludendo che il giudice fallimentare potesse esaminare anche la domanda di risoluzione presupposta dalle pretese risarcitorie e restitutorie.
6.Peculiarità della fattispecie: ‘domande incrociate’
6.1. La soluzione delle questioni sin qui prospettate si complica nel caso di specie, in cui alla domanda di risoluzione contrattuale eventualmente da ‘trasferire’ in sede fallimentare (quella avanzata in via riconvenzionale da RFI contro CN) si contrappone quella originariamente proposta dall’appaltatrice contro la committente e fatta propria dal curatore.
6.2. Va sul punto richiamato il generale, consolidato principio secondo il quale, di fronte a contrapposte domande di risoluzione basate su reciproci inadempimenti, il giudice del merito deve procedere necessariamente all’analisi congiunta di tali domande, c on una valutazione unitaria e comparativa dei rispettivi inadempimenti e dei comportamenti dei contraenti, al fine di individuare quale parte si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale ( ex multis : Cass. 9.06.2010 n. 13840; Cass. 336/2013; Cass. 14648/2013; Cass. 18320/18320). Invero, come più volte affermato da questa Corte, ‘nei contratti con prestazioni
corrispettive, in caso di denuncia di inadempienze reciproche, è necessario comparare il comportamento di entrambe le parti … In particolare, in tale tipo di contratti, qualora una delle parti adduca, a giustificazione della propria inadempienza, l’inademp imento o la mancata offerta di adempimento dell’altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, tenendo conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto dei rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto’ (Cass. 10.10.2023 n. 28325).
Nel caso in esame, attesa la tipicità del procedimento di accertamento del passivo, deve decisamente escludersi la possibilità che il simultaneus processus (che peraltro – come chiarito da Corte Cost., ord. n. 124/2005 – ha natura di «mero espediente processuale finalizzato, ove possibile, all’economia dei giudizi ed alla prevenzione del pericolo di giudicati contraddittori») possa svolgersi in sede concorsuale, consentendo al giudice fallimentare di decidere anche della domanda di risoluzione proposta dal curatore.
Resta invece da chiedersi se, secondo quanto qui ritenuto dal giudice del merito, l’accertamento dei reciproci inadempimenti possa restare devoluto alla cognizione del giudice ordinario, con conseguente trasferimento in sede concorsuale delle sole domande restitutorie e risarcitorie avanzate dal contraente in bonis o se invece, anche in un caso quale quello in esame, spetti comunque al giudice fallimentare di pronunciare sulla domanda di risoluzione proposta dal medesimo.
6.3. In una fattispecie non perfettamente sovrapponibile alla presente (in cui non si poneva un problema di reciprocità delle domande di risoluzione, ma solo un problema di pregiudizialità di quella svolta, in via riconvenzionale, dalla sola contraente in bonis rispetto alla domanda di pagamento avanzata nei suoi confronti dal curatore della fallita) le Sez. unite di questa Corte, con la già citata sentenza n. 21499
del 2004 – invocata dal ricorrente – dopo aver chiarito (stante l’esistenza all’epoca di un contrasto sul punto) che ‘ la domanda di pagamento proposta dal curatore in via ordinaria non subisce l’attrazione alla sede fallimentare ancorché il destinatario di quella domanda spieghi nel processo una sua pretesa, nascente dallo stesso rapporto contrattuale, avente ad oggetto u n credito verso il fallito’ e dopo aver ribadito che la domanda di credito del contraente in bonis va dichiarata improcedibile in sede ordinaria, dovendo essere proposta in sede concorsuale – hanno ritenuto che, nel caso di contemporanea pendenza della causa soggetta al rito ordinario e di quella (di opposizione allo stato passivo o di accertamento tardivo del credito) soggetta al rito fallimentare, l ‘ esigenza di simultaneus processus possa essere recuperata o mediante l’esame congiunto delle due cause, possibile, ai sensi dell’ art. 274 c.p.c. se pendono dinanzi allo stesso ufficio giudiziario, o, qualora esse pendano invece dinanzi a giudici diversi, applicando i criteri generali in tema di connessione (fermo restando che la translatio debba aver luogo nella sede fallimentare) o, infine, verificando la ricorrenza dei requisiti per l’applicazione dell’art. 295 c.p.c. (con la precisazione che, anche in questo caso, la sospensione dovrebbe riguardare la causa promossa in sede ordinaria, non potendosi sottrarre alla sede fallimentar e l’accertamento del credito da far valere nel concorso dei creditori).
Si tratta allora di verificare se queste opzioni siano ancora praticabili dopo l’entrata in vigore del d. lgs.n. 5/06 e se lo siano anche
6.4. nella diversa fattispecie oggetto del presente giudizio.
Sotto quest’ultimo profilo resterebbe intanto da comprendere come possa farsi applicazione degli artt. 31/36 c.p.c., ma con trasferimento nella sede fallimentare delle cause connesse, in deroga all’art. 40, 3° comma, c.p.c., che prevede che le cause connesse debbano essere trattate e decise col rito ordinario, salvo che una di esse non rientri fra quelle indicate dagli artt. 409 e 442.
Ma, soprattutto, desterebbe ben più di una perplessità il dover ritenere l’ a ccertamento concernente l’intervenuta (o meno) risoluzione del contratto per fatto e colpa della contraente in bonis rimesso alla cognizione del giudice ordinario e destinato a passare in giudicato ai sensi dell’art. 2909 c.c. – subordinato a quello, meramente incidentale, devoluto al giudice fallimentare : piuttosto, in un’ipotesi di tal fatta, apparirebbe più logico ritenere inoperante il principio (ove effettivamente ricavab ile dall’art. 72, comma 5 l. fall.) della necessaria trasmigrazione in sede concorsuale della domanda di risoluzione avanzata in via riconvenzionale dal contraente in bonis .
6.5. Ciò premesso, va poi considerato, sotto il primo profilo, che nella disciplina della legge fallimentare vigente anteriormente all’entrata in vigore del d. lgs. n. 5/2006 la proposizione delle domande tardive di credito non era soggetta ad alcun limite temporale, mentre nell’attuale disciplina esse vanno dichiarate inammissibili ove proposte oltre il termine di un anno (o di un anno e sei mesi nel caso di particolare complessità della procedura) dalla chiusura dello stato passivo delle domande tempestive, salvo che il creditore non provi che il ritardo non gli è imputabile.
Si pone allora il problema di stabilire se detto termine debba essere rispettato, onde non incorrere nella sanzione dell’inammissibilità, anche dal creditore concorsuale (che cioè fondi il proprio credito su un fatto genetico anteriore al fallimento) che vanti una pretesa incerta non solo nel quantum, ma anche nell’ an, in quanto dipendente, come nella specie, da un accertamento preliminare devoluto alla cognizione del giudice ordinario e destinato a far stato nei confronti suoi e del fallimento.
Nulla quaestio se si opti per la soluzione negativa e si ritenga che non sia imputabile a detto creditore il ritardo derivato dal dover attendere l’esito, quantomeno in primo grado, del giudizio pendente dinanzi al G.O..
Ove invece si ritenga che, nonostante la pendenza del giudizio riassunto dal curatore, il creditore, venuto a conoscenza dell’apertura del fallimento, debba comunque proporre la domanda di ammissione entro il ridetto termine, occorre chiedersi se la decisione adottata dal tribunale partenopeo e qui impugnata sia davvero così contraria ad ogni regola concorsuale o non costituisca, piuttosto, una corretta (nonché equa) soluzione a una questione che, nonostante il quasi ventennio ormai trascorso dalla riforma della legge fallimentare, non è stata ma i sottoposta all’attenzione di questa Corte (questione, va detto per inciso, che potrebbe presentarsi anche nel vigore del CCII ed anche in altre ipotesi, quali, ad es., quella del fideiussore o del coobbligato in solido che abbiano provveduto al pagamento del creditore principale non insinuato al passivo – al quale dunque non possono surrogarsi oltre il termine di cui all’art. 101 l. fall.).
6.6 . I crediti condizionati rappresentano un genus assai difficile da definire, potendosi individuare al riguardo due diverse interpretazioni della loro nozione: i) da un lato vi sono la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria di legittimità, secondo cui le ipotesi di credito condizionato sarebbero tassative, escludendosi ogni possibile allargamento del perimetro attraverso il ricorso all’analogia; sicché rientrano tra i crediti condizionati ex art. 96, comma 2, n. 1, l.fall. (ora art. 204 CCII), oltre a quelli sottoposti a condizione sospensiva o risol utiva, solo quelli indicati nell’ultimo comma dell’art. 55 l.fall. (ora art. 154 CCII), ivi espressamente richiamati, e cioè quelli che non possono farsi valere contro il fallito se non previa escussione dell’obbligato principale ( ex multis , Cass. 4336/2020); ii) dall’altro lato si pongono una parte della dottrina e della giurisprudenza di legittimità (cfr., in particolare, Cass. n. 21813/2023.) che, in base alla fattispecie esemplificativa di cui all’art. 55, comma 3, l.fall. (ora art. 154 CCII), inserisco no all’interno di tale macrocategoria anche altre tipologie di crediti, senza necessità di ricorrere allo strumento dell’analogia, vietata
per le norme eccezionali, ma con una attenta attività di interpretazione estensiva.
Viene quindi introdotta una forma di condizionalità ‘impropria’, diversa da quella ‘tecnico -giuridica’, che attiene alla condizione, come elemento accidentale del negozio. La conseguenza è che dovrebbero essere «inclusi tra i crediti condizionali quelli che, pur non essendo certi, liquidi ed esigibili prima della dichiarazione di fallimento, comunque affondano le radici in atti compiuti prima della decozione e sono condizionati, anche nel loro sorgere, alla verificazione di un determinato ulteriore evento, come se si trattasse di una fattispecie a formazione progressiva o complessa prevista dalla legge per la formazione del credito. Solo una porzione della fattispecie costitutiva si è generata prima del fallimento, mentre l’esistenza del diritto dipende da un elemento ulteriore, diverso dalla volontà del soggetto, che non incide solo sull’efficacia ma proprio sulla nascita del diritto» Su questa scia, Cass. 21813/2023 cit. , nell’ambito di una complessa vicenda processuale caratterizzata dalla pendenza di un «procedimento amministrativo-sanzionatorio destinato a concludersi con un provvedimento di cui alla procedura non resta che prendere atto», ha affermato (con espressioni ben accolte anche da attenta dottrina) che -come testimonierebbe la congiuntiva «e» che lega nell’art. 96, comma 2, n. 1, l.fall. i ‘crediti condizionati’ ai ‘crediti condizionali’ («indicati nell’ultimo comma dell’ar ticolo 55», ivi compresi «quelli che non possono farsi valere contro il fallito, se non previa escussione di un obbligato principale») -la nozione di ‘credito condizionato’ è più ampia di quella di ‘credito condizionale’ (che infatti «ricomprende in sé, quale parte del tutto») e non è limitata ai soli crediti già sorti in forza di un negozio stipulato prima della dichiarazione di fallimento, pur se sottoposti a condizione sospensiva o risolutiva (la cui efficacia sia quindi subordinata, per volontà delle parti, ex art. 1353 c.c. ad un evento futuro e incerto), ma include «ogni credito, preesistente, la cui
ammissione al passivo fallimentare dipenda da un evento futuro e incerto realizzatosi in corso di procedura». E così, piuttosto che «ricorrere all’analogia legis o iuris per giustificare l’ammissione con riserva» -e con una conclusione definita in dottrina ‘innovativa’ si è ampliata la stessa nozione di ‘credito condizionato’, che in ultima analisi sarebbe, più genericamente, ogni credito incerto e inesigibile, per ragioni estranee alla volontà del debitore, però munito di una causa giustificatrice anter iore al fallimento (come del resto dev’essere, necessariamente, per tutti i crediti ‘concorsuali’).
Ora, al di là delle diffuse resistenze ontologiche e sistematiche ad una ulteriore dilatazione del concetto di ‘credito condizionato’ , va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte ha già ricondotto in tale categoria i crediti sottratti alla giurisdizione del giudice ordinario (Cass. Sez. U. nn. 12371/2008, 11703/2012, 15200/2015, 3944/2023).
6.7 .Occorre, dunque, verificare se nella nozione di ‘credito condizionato’ possa rientrare anche il credito (risarcitorio o restitutorio) derivante dalla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento quesita prima del fallimento e ancora pendente, per iniziativa del curatore, in sede ordinaria.
Ove questa soluzione dovesse essere ritenuta non praticabile, andrà stabilito se debba accedersi alla tesi del ricorrente, secondo cui il rischio – che sarebbe sussistente nella specie – di un possibile conflitto fra giudicati, potrà essere evitato sottoponendo a sospensione ex art. 295 c.p.c. la causa pendente dinanzi al giudice ordinario, o se, ancora, non ricorrendo alcun rapporto di pregiudizialità/connessione fra le due cause, queste debbano procedere separatamente ed essere separatamente decise, previo necessario trasferimento in sede fallimentare della domanda di risoluzione proposta dalla creditrice in bonis.
Come ulteriore alternativa, derivante dalla ben possibile insorgenza di un conflitto pratico -parziale fra le due pronunce, potrebbe anche
ipotizzarsi che in simili fattispecie, del tutto peculiari, si accetti il rischio di un conflitto tra giudicati; conflitto che l’ordinamento in effetti tollera quando le diverse finalità dell’azione e la diversità delle regole di giudizio consentono di ten ere in non cale l’eventuale ‘cortocircuito’ tra i giudicati formati nelle rispettive sedi processuali.
P.Q.M.
Il Collegio r invia la causa alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, il 17.5.2024/8.7.2024