Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8873 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 8873  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6970/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende , unitamente all’AVV_NOTAIO
– ricorrente – contro
– controricorrente – avverso il decreto n. cron. 1136/2017 del Tribunale di Novara, depositato il 6.2.2017;
udita  la  relazione  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 25.2.2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
L’ attuale controricorrente insinuò al passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE un credito di € 26.787,85 con il privilegio di cui a ll’ art. 2751 -bis , n. 1, c.c. Egli era stato, infatti, dipendente della società poi fallita, con rapporto di lavoro poi trasferito a tale RAGIONE_SOCIALE , in forza di contratto di affitto d’azienda. Successivamente il contratto d’affitto venne risolto, ma i lavoratori -tra i quali l’attuale controricorrente rimasero definitivamente alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE, la quale si fece carico del pagamento del t.f.r. maturato dai dipendenti durante il rapporto di affitto d’azienda , tenendo indenne la concedente dal relativo debito solidale.
Sulla base di tali presupposti di fatto e di diritto, il giudice delegato  al  fallimento  rigettò  la  domanda  di  ammissione  al passivo, ritenendo non più obbligata RAGIONE_SOCIALE al pagamento del t.f.r., in virtù del l’accollo liberatorio del debito da parte di RAGIONE_SOCIALE
A  fronte  dell’opposizione  del  lavoratore,  il Tribunale  di Novara, in parziale accoglimento, ammise al passivo il credito, per l’importo e con il privilegio richiesti, ma «con la riserva della prova  di  avere  preventivamente  richiesto  senza  successo  il pagamento a RAGIONE_SOCIALE».
Contro il decreto del Tribunale il fallimento RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.
Il lavoratore si è difeso con controricorso.
Il ricorso è trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
 Con  il  primo  motivo  di  ricorso,  formulato  ai  sensi de ll’ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., si denuncia la nullità del decreto, per avere il Tribunale deciso nel merito sull’opposizione, nonostante il relativo ricorso, con il pedissequo
decreto  di  fissazione  d’udienza,  non  fosse  stato  notificato al curatore, con conseguente prospettata violazione, da parte del giudice del merito, degli artt. 99, commi 4 e 5, legge fall. e 154 c.p.c.
1.1. Il motivo è infondato.
Il Tribunale di Novara ha fatto corretta applicazione delle norme di legge che regolano la procedura di opposizione allo stato passivo, perché non è in discussione la tempestività del deposito del relativo ricorso, mentre va ribadito il principio di diritto per cui « Nei giudizi regolati dall ‘ art. 99 legge fall. l ‘ omessa notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell ‘ udienza entro il termine ordinatorio assegnato dal giudice non comporta l ‘ inammissibilità dell ‘ impugnazione, atteso che tale sanzione non è prevista dalla legge e che vanno evitate interpretazioni formalistiche delle norme processuali che limitino l ‘ accesso delle parti alla tutela giurisdizionale, ma implica unicamente la necessità dell ‘ assegnazione di un nuovo termine perentorio per la notifica, in applicazione analogica dell ‘ art. 291 c.p.c., sempre che il curatore, e gli eventuali creditori controinteressati, non si siano costituiti, in tal modo sanando -con effetto ex tunc -il vizio della notificazione » (Cass. nn. 19108/2014; 19653/2015, alle cui motivazioni si rimanda ex art. 118 disp. att. c.p.c.).
Il secondo motivo di ricorso censura, con riferimento all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 96 e 55 legge fall., per avere il giudice del merito ammesso al passivo il creditore «con riserva di vana preventiva richiesta al debitore principale RAGIONE_SOCIALE», invece che ammetterlo «con riserva di preventiva escussione del debitore principale RAGIONE_SOCIALE».
Secondo  il  ricorrente,  poiché  i  casi  di  ammissione  al passivo  con  riserva  sono  solo  quelli  previsti  dalla  legge,  il
Tribunale avrebbe dovuto applicare la riserva tipica di preventiva escussione del patrimonio di RAGIONE_SOCIALE e non quella, atipica,  di  mera  preventiva  inutile  richiesta  di  pagamento  a quella società.
2.1. Il motivo è inammissibile.
2.1.1. È di per sé corretto il rilievo che non sono consentite ammissioni al passivo atipiche, diverse da quelle previste per i casi  contemplati  dalla  legge e,  in  particolare,  nell’art.  96, comma 2, legge fall., il cui n. 1 rinvia al precedente art. 55, comma 3. Quest’ultimo dispone che «Sono compresi tra i crediti condizionali quelli che non possono farsi valere contro il fallito, se non previa escussione di un obbligato principale».
Sennonché il ricorrente non ha interesse a impugnare la decisione  di  merito  sotto  questo  profilo.  Infatti, l’ammissione con  riserva  atipica,  ove  disposta,  va  « considerata  quale tout court di accoglimento del diritto fatto valere, rimossa la riserva inammissibile » (Cass. n. 20191/2017).
2.1.2.  Né  può  essere  condivisa  la  tesi  del  ricorrente secondo cui la riserva atipica di preventiva richiesta di pagamento avrebbe dovuto essere sostituita da quella, tipica, di preventiva escussione.
Il Tribunale ha accertato che l’impegno di farsi carico del pagamento del t.f.r. che RAGIONE_SOCIALE assunse nell’accorso concluso con il lavoratore dipendente, in assenza di una dichiarazione del creditore di voler liberare la coobbligata RAGIONE_SOCIALE, realizzò «un’ipotesi di accollo cumulativo esterno» con «l’effett o di rendere l’obbligazione da solidale a sussidiaria, impegnandosi il creditore a richiedere quanto dovuto, in via principale, al creditore che si è accollato l’intero credito e, solo in subordine, all’altro debitore», come previsto dall’art. 1268, comma 2, c.c.
Il ricorrente non mette in discussione l’interpretazione del contratto e il suo effetto, così come individuati dal Tribunale, ma sostiene che, ai fini dell’ammissione al passivo del fallimento, la tassatività dei casi di ammissione con riserva avrebbe imposto al giudice di applicare la formula, esplicitamente prevista dalla legge, della riserva di preventiva escussione del patrimonio del debitore principale. In sostanza, si prospetta un conflitto tra la disciplina civilistica dell’art. 1268, comma 2, c.c. e l a norma che impone la tassatività dei casi di ammissione al passivo con riserva; conflitto che si propone di risolvere dando la prevalenza alla norma fallimentare, con conseguente necessità di estendere la riserva di preventiva escussione anche se la norma del codice civile impone al creditore soltanto la preventiva richiesta di pagamento.
Ma il fallimento del debitore sussidiario non può mutare le caratteristiche del suo obbligo nei confronti del creditore ed è l’ammissione al passivo che deve essere coerente con quelle caratteristiche, non il contrario. Pertanto, poiché il Tribunale ha accertato che il lavoratore aveva diritto di essere pagato dalla RAGIONE_SOCIALE previa dimostrazione dell’inutile richiesta di pagamento a RAGIONE_SOCIALE (e non previa escussione del patrimonio di questa società), alla constatata mancanza di una riserva tipica di preventiva richiesta di pagamento sarebbe dovuta conseguire l’ammissione pura e semplice del credito e non certo l’ammissione con riserva di una condizione ( l’ escussione del patrimonio del primo debitore) estranea al regime del credito, come pretenderebbe la ricorrente.
Ciò, naturalmente, fermo l’obbligo del curatore di verificare, anche in sede di riparto, che il creditore non sia stato già pagato dal primo debitore -come del resto avviene in tutti i casi in cui si ammette al passivo un creditore che abbia diritto
di  pretendere  il  pagamento  del  medesimo  credito  anche  nei confronti di altri soggetti, obbligati in solido (art. 61 legge fall.) -e  di  agire  in  regresso  nei  confronti  del  primo  debitore,  per recuperare quanto eventualmente ripartito al creditore.
Rigettato il ricorso, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base al l’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il  raddoppio  del  contributo  unificato  ai  sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna  il  ricorrente  al  pagamento  delle  spese  del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000 per compensi, oltre alle spese generali al 15%, a € 200 per esborsi e agli accessori di legge;
dà atto, ai sensi dell ‘ art.13, comma 1 -quater , del d.P.R. n.  115  del  2002,  della  sussistenza  dei  presupposti  per  il versamento,  da  parte  del  ricorrente,  dell ‘ ulteriore  importo  a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  del