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Ammissione con riserva: i limiti secondo la Cassazione

Un credito da lavoro, oggetto di accollo cumulativo, viene ammesso al passivo del debitore originario, poi fallito. La Cassazione interviene sul tipo di riserva apposta dal Tribunale, chiarendo che una ‘ammissione con riserva’ atipica equivale a un’ammissione pura e semplice. La Corte sottolinea che le regole fallimentari non possono alterare la natura dell’obbligazione civilistica, che in questo caso richiedeva solo una richiesta di pagamento al nuovo debitore e non una preventiva escussione del suo patrimonio.

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Ammissione con riserva: la Cassazione definisce i confini tra norme civili e fallimentari

L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sui limiti e le modalità dell’ammissione con riserva di un credito al passivo fallimentare, specialmente quando l’obbligazione originaria è stata modificata da un accollo. La Corte di Cassazione stabilisce un principio fondamentale: le norme procedurali del fallimento non possono snaturare la sostanza di un rapporto di debito disciplinato dal codice civile.

I Fatti del Caso: un Credito Conteso tra due Società

La vicenda ha origine dalla richiesta di un lavoratore di ammettere al passivo di una società fallita un credito relativo al suo Trattamento di Fine Rapporto (T.F.R.). In passato, il rapporto di lavoro del dipendente era stato trasferito, tramite un contratto di affitto d’azienda, dalla società originaria (poi fallita) a una seconda società. Quest’ultima si era fatta carico (accollo) del debito per il T.F.R. maturato, tenendo indenne la prima società.

Il giudice delegato al fallimento aveva inizialmente respinto la domanda del lavoratore, ritenendo che la società fallita non fosse più obbligata al pagamento in virtù di questo accollo liberatorio.

L’Opposizione e la Decisione del Tribunale

Il lavoratore si è opposto a tale decisione. Il Tribunale, in parziale accoglimento, ha ammesso il credito al passivo, ma ha apposto una condizione particolare: il lavoratore avrebbe dovuto provare di aver prima richiesto il pagamento, senza successo, alla seconda società (l’accollante). Questa condizione, definita come ammissione con riserva di ‘vana preventiva richiesta’, è diventata il fulcro del successivo ricorso in Cassazione promosso dalla curatela fallimentare.

I Motivi del Ricorso in Cassazione della Curatela

La società fallita ha contestato la decisione del Tribunale su due fronti:
1. Vizio procedurale: La curatela lamentava la mancata notifica del decreto di fissazione dell’udienza di opposizione, violando le norme della legge fallimentare.
2. Vizio di merito: Si contestava la natura della riserva apposta. Secondo la curatela, il Tribunale avrebbe dovuto applicare la riserva ‘tipica’ e prevista dalla legge, ossia quella di ‘preventiva escussione’ del patrimonio del debitore principale, e non una riserva ‘atipica’ e non normata come la ‘vana preventiva richiesta’.

La Decisione della Corte: l’inammissibilità dell’ammissione con riserva atipica

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso. Sul piano procedurale, ha ribadito che l’omessa notifica del decreto non rende l’impugnazione inammissibile, ma impone al giudice di fissare un nuovo termine per sanare il vizio.

Sul punto centrale, quello di merito, la Corte ha dichiarato il motivo inammissibile, sviluppando un’argomentazione di grande interesse giuridico.

Le Motivazioni della Corte: prevalenza della natura del credito

La Cassazione ha chiarito che i casi di ammissione con riserva al passivo sono tassativi e previsti dalla legge. Una riserva ‘atipica’, come quella applicata dal Tribunale, non è consentita. Tuttavia, l’effetto di una tale riserva non è quello auspicato dalla curatela (cioè la sua sostituzione con una riserva tipica), bensì la sua totale rimozione. Citando un precedente (Cass. n. 20191/2017), la Corte afferma che un’ammissione con riserva atipica va considerata quale tout court di accoglimento del diritto fatto valere, rimossa la riserva inammissibile.

Di conseguenza, la curatela non aveva interesse a impugnare, poiché il risultato sarebbe stato un’ammissione pura e semplice del credito, una situazione ancora più sfavorevole per la massa dei creditori.

Il punto cruciale della motivazione risiede però nel rapporto tra diritto civile e diritto fallimentare. Il Tribunale aveva correttamente qualificato l’accordo tra le parti come un ‘accollo cumulativo esterno’. Secondo l’art. 1268, comma 2, c.c., in questo caso l’obbligazione del debitore originario (la società fallita) diventa sussidiaria: il creditore deve prima chiedere il pagamento al nuovo debitore e solo in subordine può rivolgersi a quello originario. Questo richiede una semplice richiesta, non una ‘preventiva escussione’ (cioè un’azione esecutiva completa).

La Cassazione stabilisce quindi che il fallimento del debitore sussidiario non può alterare la natura della sua obbligazione. L’ammissione al passivo deve essere coerente con le caratteristiche del credito così come disciplinato dal codice civile. Poiché la legge fallimentare non prevede una riserva di ‘preventiva richiesta’, e non essendo applicabile quella di ‘preventiva escussione’ (che imporrebbe un onere maggiore e non previsto dal rapporto originario), la conseguenza corretta avrebbe dovuto essere l’ammissione pura e semplice del credito.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

L’ordinanza rafforza il principio di tassatività dei casi di ammissione al passivo con riserva e chiarisce che il diritto fallimentare, pur essendo speciale, non può modificare la struttura sostanziale delle obbligazioni. Quando una riserva atipica viene apposta, essa si considera come non apposta, portando a un’ammissione piena del credito. Per le curatele, ciò significa che l’unica tutela, in casi simili, rimane la verifica in sede di riparto dell’attivo, per accertare che il creditore non sia stato nel frattempo soddisfatto dal debitore principale.

Cosa succede se un credito viene ammesso al passivo fallimentare con una ‘riserva atipica’, non prevista dalla legge?
Secondo la Cassazione, un’ammissione al passivo disposta con una riserva atipica e non prevista dalla legge deve essere considerata come un’ammissione pura e semplice del credito. La riserva inammissibile viene considerata come non apposta.

Il fallimento di un debitore sussidiario può modificare la natura della sua obbligazione verso il creditore?
No. La Corte di Cassazione afferma che il fallimento del debitore sussidiario non può mutare le caratteristiche del suo obbligo. L’ammissione al passivo deve essere coerente con la natura del credito disciplinata dal diritto civile, non il contrario.

In un accollo cumulativo, il creditore deve prima tentare l’esecuzione forzata sul nuovo debitore prima di rivolgersi a quello originario (ora fallito)?
No. Nel caso di accollo cumulativo esterno (art. 1268, c. 2, c.c.), l’obbligo del debitore originario diventa sussidiario. Ciò impone al creditore soltanto di richiedere preventivamente il pagamento al nuovo debitore, ma non di procedere con la ‘preventiva escussione’, ovvero l’azione esecutiva forzata sul suo patrimonio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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