Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17281 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17281 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 26/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 5868-2022 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, società unipersonale a responsabilità limitata, con sede legale in INDIRIZZO 31015 -Conegliano (TV), codice fiscale e numero di iscrizione nel registro delle imprese di Treviso -Belluno CODICE_FISCALE, rappresentata da RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa, per procura in atti, dall’avvocato NOME COGNOME
–
ricorrente –
contro
Fallimento ‘RAGIONE_SOCIALE in Liquidazione’ (C.F. P_IVA), in persona dei Curatori, Avv. NOME COGNOME e Dott. NOME COGNOME, con sede in Zungri, INDIRIZZO Mesiano INDIRIZZO, INDIRIZZO Tropea, rappresentato, assistito e difeso, per procura in calce al controricorso, dal l’ AVV. NOME COGNOME del Foro di Roma ed elettivamente domiciliato presso lo studio del predetto difensore in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso il decreto del Tribunale di Vibo Valentia, emesso in data 13 gennaio 2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/4/2025
dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con il decreto impugnato il Tribunale di Vibo Valentia, decidendo sull’opposizione allo stato passivo presentata da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in Liquidazione’, ha accolto parzialmente il ricorso e per l’effetto disposto l’ammissione della RAGIONE_SOCIALE SPV: – per euro 85.510,55 per interessi corrispettivi del triennio anteriore alla data di apertura della procedura di concordato, oltre interessi al tasso legale sul capitale dall’01.01.2014 (anno successivo all’apertura della procedura di concordato) alla vendita dei beni su cui gravava la garanzia ipotecaria; – per euro 4.181,76 in via chirografaria per interessi mora sino alla data di apertura del concordato; e ha rigettato per il resto l’opposizione , compensando peraltro le spese di lite tra le parti. 2. Il Tribunale di Vibo Valentia ha rilevato, per quanto qui ancora di interesse, che: – era fondato il ricorso ex art. 98 l. fall. nella parte in cui si contestava la declaratoria di usurarietà dei tassi applicati dalla Banca nei contratti di finanziamento ipotecario nn. 2421705 e 2426946, poiché l’usurarietà dei tassi applicati era stata erroneamente eccepita dai curatori sulla base di una sommatoria di voci di costo dei finanziamenti tra loro disomogenee con una sommatoria dei tassi di interesse corrispettivi e i tassi di interesse moratori; -l ‘eccezione della c uratela fallimentare circa l’indeterminabilità degli interessi, per una presunta rinegoziazione dei finanziamenti, era infondata poiché tutta la documentazione necessaria a determinare l’oggetto dei contratti di finanziamento era stata prodotta; – era invece fondata l’eccezione della curatela in merito al quantum degli importi da ammettere a titolo di interessi, poiché gli interessi andavano calcolati facendo riferimento alla data della presentazione del concordato preventivo e non alla data del fallimento, con la conseguenza che il calcolo degli interessi doveva essere effettuato dal 5.11.2013; -per quanto riguardava invece la mancata produzione
documentale si riconosceva l ‘ infondatezza delle eccezioni formulate dal l’opponente ricorrente, in quanto il g.d. aveva correttamente disposto l’esclusione delle somme sulla base dell’insufficienza della documentazione allegata alla domanda di ammissione al passivo, e per quanto concerneva il rapporto di scoperto di conto corrente e l’anticipo delle fatture si conferma va l’incompletezza degli estratti di conto corrente prodotti; – per ciò che riguardava , in particolare, l’anticipazione delle fatture e dello scoperto di conto corrente, occorreva aderire a quella giurisprudenza secondo cui, nell’insinuare al passivo fallimentare il credito derivante da saldo negativo di conto corrente, la banca ha l’onere di dare conto dell’intera evoluzione del rapporto, tramite il deposito degli estratti conto integrali; – per quanto riguardava, invece, il credito derivante da operazione su derivati, non era possibile quantificare gli importi dovuti in favore della banca e, inoltre, alcuni contratti, come da documentazione allegata, risultavano già risolti nel 2006, in quanto le somme richieste dal ricorrente si fondavano su operazioni effettuate nell’anno 2013 , che non trovavano alcun riscontro documentale, ai fini del conteggio degli importi dovuti.
Il decreto, pubblicato il 13.1.2022, è stato impugnato da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui il Fallimento RAGIONE_SOCIALE in Liquidazione’ ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità del provvedimento per omessa pronunzia su domanda tempestivamente formulata dalla società creditrice e conseguente violazione degli articoli 99, 112, 132 cod. proc. civ.
1.1 Si sostiene che il vizio di omessa pronuncia affliggerebbe il decreto impugnato nella parte in cui aveva escluso dall’ammissione al passivo fallimentare la somma dovuta a titolo di interessi relativamente al contratto di finanziamento ipotecario n. 2421705, concluso in data 26.6.2006. Osserva ancora la ricorrente che i finanziamenti posti a fondamento della domanda di ammissione al passivo fallimentare erano due, mentre nella sua pronuncia, contenuta nel dispositivo, il Tribunale ne avrebbe incluso uno soltanto.
1.1 Il motivo è infondato.
Va infatti ricordato che il vizio di nullità per omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. si ha quando si verifica l’omissione del provvedimento, indispensabile per la soluzione del caso concreto, che deve essere fatto valere esclusivamente a norma dell’art. 360, comma 1 n. 4 cod. proc. civ., per violazione dell’art. 112, medesimo codice di rito.
Orbene, nella fattispecie in esame il Tribunale, per quanto concerne gli interessi richiesti, nel dispositivo si era infatti pronunziato poiché aveva disposto espressamente: ‘l’ammissione della RAGIONE_SOCIALE come segue: -€ 85.510,55 per interessi corrispettivi del triennio anteriore alla data di apertura della procedura di concordato, oltre interessi al tasso legale sul capitale dall’01.01.2014 (anno successivo all’apertura della procedura di concordato) alla vendita dei beni su cui grava la garanzia ipotecaria; – euro 4.181,76 in via chirografaria per interessi di mora sino alla data di apertura del concordato; – Rigetta per il resto l’opposizione; – Compensa le spese di lite tra le parti. Si comunichi.’
Dal contenuto del dispositivo risulta dunque che il Tribunale aveva statuito sulla somma di € 85.510,55, relativa al contratto di finanziamento n. 2426946 del 18.07.2007, per le ragioni indicate nel provvedimento, in particolare per l’assenza di tassi usurari. Inoltre, aveva statuito sulla somma di € 4.181,76 relativa agli interessi di mora in regime di chirografo riconosciuta per un errore materiale in luogo di quella che il ricorrente aveva ritenuto corretta, e cioè € 50.179,00 (ovvero € 52.926,50), relativamente agli interessi corrispettivi per il secondo contratto di finanziamento n. 2421705 del 26.06.2006.
Sul punto giova ricordare che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto (cfr. Cass. n. 20311/2011, Cass. n. 3756/2013; da ultimo, anche: Cass. 04/05/2020, n.8439): nel caso in esame è stato comunque emesso un provvedimento che contemplava nella parte dispositiva la pronuncia sugli interessi e, dunque, sulla domanda asseritamente proposta dal ricorrente al riguardo.
Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., vizio di ‘o messa o insufficiente motivazione del decreto impugnato in relazione a risultanze processuali e documenti probatori decisivi ai fini del decidere con conseguente violazione dell’articolo 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. ‘.
2.1 Il motivo è inammissibile.
2.1.1 Nella prima parte del motivo di ricorso qui in esame, infatti, la ricorrente evidenzia gli aspetti endoprocedimentali dell’ammissione al passivo fallimentare del credito, con particolare riferimento agli obblighi e oneri della curatela di sollevare eccezioni (ovvero dedurre l’assenza di idonea documentazione o l’esistenza di fatti estintivi, impeditivi o modificativi delle ragioni di credito), mettendo in rilievo l’attività difensiva e deduttiva della curatela in tale ambito procedurale. La domanda di ammissione in quanto domanda giudiziale – si afferma da parte della ricorrente – avrebbe dovuto essere contrastata con una eccezione e non con un mero diniego ed in particolare con la disamina della documentazione anche da parte del Tribunale dell’opposizione.
2.1.2 Così l ‘onere probatorio previsto dall’art. 2697 c.c., secondo la ricorrente, sarebbe stato correttamente assolto, mentre i convenuti curatori non avrebbero dato prova del fatto estintivo modificativo o impeditivo idoneo a dimostrare l’inesistenza del diritto fatto valere, per l’assenza di eccezioni in senso proprio. Il Tribunale, in conclusione, avrebbe omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti, per la somma di € 638.587,83.
2.2 Le doglianze così articolate non superano il vaglio di ammissibilità.
In primo luogo, non è più deducibile, sotto l’egida applicativa del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la denuncia di ‘insufficiente motivazione’, dovendosi così concludere per l’inammissibilità della doglianza già sotto il preliminare profilo dell’erronea qualificazione della censura deducibile nel giudizio di cassazione (Cass. Sez. Un. n. 8054/2014)
Me le censure proposte dalla ricorrente e sopra ricordate in sintesi risultano inammissibili anche perché le stesse sono completamente decentrate rispetto alla ratio decidendi su cui si regge il provvedimento qui impugnato, dovendosi
sul punto ricordare che la domanda di ammissione al passivo per i crediti, già sopra descritti in premessa, non era stata ritenuta accoglibile perché gli estratti conto depositati dall’istituto di credito erano incompleti.
Questa è in realtà la ragione decisoria, sulla quale riposa la motivazione del provvedimento impugnato, che tuttavia non è stata in alcun modo impugnata e contestata dalla parte ricorrente, che, al contrario, ha proposto generiche osservazioni sui profili generali di carattere processuale relativi ai meccanismi regolatori del giudizio di verifica e di opposizione allo stato passivo, nonché sugli oneri processuali di contestazione delle domande da parte del curatore fallimentari.
2.3 A ciò va aggiunto un ulteriore profilo di inammissibilità di tale secondo motivo di ricorso, formulato, nella sua seconda parte, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360, n. 5 cod. proc. civ., per violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’ art. 115 cod. proc. civ.
Occorre, cioè, evidenziare che la critica sollevata dalla ricorrente è, nella seconda parte del motivo qui in esame, integralmente riferibile all’omesso esame della documentazione dalla quale sarebbe emerso il pieno assolvimento all’ onus probandi -oltre all’assenza di specifiche eccezioni da parte della curatela, e cioè all’assenza di esplicazione di fatti estintivi, modificati ed impeditivi, idonei a dimostrare l’inesistenza del diritto di credito. Sul punto, giova ricordare che sotto il profilo dell’impugnazione per l’omesso esame della documentazione (prospettato, come detto, attraverso l” omesso o insufficiente motivazione ‘ del decreto impugnato in relazione a risultanze processuali e documenti probatori decisivi ai fini del decidere ‘ ) -l’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., nella sua attuale versione, non consente di far valere l’impugnazione per ‘l’omesso esame di elementi istruttori nella prospettiva di un vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché in sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze. E’, quindi, inammissibile la deduzione del vizio di cui all’articolo 360, primo comma, n. 5, codice di rito, per sostenere semplicemente il mancato esame di deduzioni istruttorie ovvero di documenti, da parte del giudice del merito’ (Cass. 08/08/2019, n. 21210; v. anche: Sez. Un. n 8053/2014, cit. supra ).
Con riferimento ai crediti oggetto della pretesa azionata con la domanda di ammissione al passivo relativi allo scoperto di conto corrente, anticipo fatture e contratti di derivati, è emerso che il ‘ fatto storico ‘ era stato chiaramente preso in considerazione e peraltro ampiamente argomentato dal Tribunale.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli articoli 1858 e 2697 c.c. e dell’art. 115 cod. proc. civ.
3.1 Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile, perché, l’eccezione sollevata in questa sede dalla ricorrente ed avente ad oggetto una ‘nuova lettura’ del contratto di sconto ed anticipo fatture anche nella prospettiva di operatività bancaria non era mai stata proposta nelle precedenti fasi del giudizio. In realtà, in sede di ammissione al passivo e finanche nel giudizio di opposizione allo stato passivo, la ricorrente si era sempre limitata alla proposizione delle proprie domande ed eccezioni, facendo rilevare, come elemento dirimente, la produzione degli estratti di conto corrente, ritenendo tale produzione sufficiente per la prova dei crediti (conto corrente ordinario e sconto anticipo fatture).
Come correttamente rilevato dal Fallimento controricorrente, dalle difese proposte in sede di ricorso ex art. 98 l. fall. emergeva, dunque, la totale assenza di contestazioni, eccezioni e rilievi in ordine, sia all ‘applicazione dell’art. 1858 c.c.; sia in ordine al l’assoluta irrilevanza per il contratto di sconto del rapporto di conto corrente ordinario su cui dovevano essere contabilizzate le operazioni che transitavano, solo a fini tecnici, sul ‘conto anticipi’, atteso che sarebbe stato sufficiente per la prova del credito il solo rapporto contrattuale e l’avvenuta consegna delle somme anticipate.
3.2 Dopodiché le censure così proposte sono comunque inammissibili perché non si confrontano con la ratio decidendi già sopra ricordata, e cioè la carenza di integrità documentale delle produzioni offerte dall’istituto di credito.
Anche il quarto e quinto motivo -che possono essere esaminati congiuntamente -sono inammissibili.
4.1 Si deduce la nullità del provvedimento per omessa pronunzia sulla domanda tempestivamente formulata dalla società creditrice e conseguente
violazione dell’articolo 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ.
4.2 Si deduce inoltre, nel quinto motivo, vizio di omessa o insufficiente motivazione del decreto impugnato in relazione a risultanze processuali e documenti probatori decisivi ai fini del decidere, con conseguente violazione dell’articolo 2697 c.c. e dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 5, sempre codice di rito.
4.3 Sul punto non si può non rilevare l ‘ ontologica inammissibilità della censura, atteso che sulla medesima domanda e, quindi, sulla medesima pronunzia vengono calate dal ricorrente due distinte ed inconciliabili denunce. Ed invero, una esclude la ratio dell’altra, proprio per la loro diversa finalità ad incidere sulla correttezza e legittimità della pronuncia. E’ evidente che ritenere sussistente una omessa pronunzia su una domanda e allo stesso tempo affermare che una pronunzia sussiste ma è carente di adeguata motivazione significa sostenere censure incompatibili, seppur formulate con due (formalmente) distinti motivi di ricorso, che, tuttavia, concernono la medesima questione sottoposta al vaglio di questa Corte (Cass. 05/03/2021, n. 6150; Cass. 2024/27551).
Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.
Il Fallimento deduce, poi, con ricorso incidentale, due motivi di censura:
5.1 Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3) cod. proc. civ. , dell’art. 92, 2° comma cod. proc. civ. e art. 91 cod. proc. civ., poiché il decreto del Tribunale di Vibo Valentia aveva compensato totalmente tra le parti le spese processuali in presenza di una soccombenza prevalente a carico della opponente RAGIONE_SOCIALE
5.2 Violazione ai sensi dell’art. 360 n. 4) cod. proc. civ. dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., sul rilievo che il decreto impugnato sarebbe stato adottato in presenza di un vizio di omessa o apparente motivazione poiché avrebbe omesso di indicare gli elementi da cui aveva tratto il proprio convincimento, in assenza di un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento.
5.3 I due motivi – che possono essere trattati congiuntamente – sono inammissibili.
Sul punto giova ricordare che, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24502 del 17/10/2017).
Alla luce dei principi sopra ricordati e qui di nuovo affermati, le doglianze articolate dal ricorrente incidentale risultano all’evidenza inammissibili in quanto volte a sindacare la valutazione discrezione dei giudici di merito di compensare le spese di lite.
La reciproca soccombenza consiglia la compensazione anche delle spese del giudizio di legittimità.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale; compensa le spese di lite tra le parti del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 30 aprile 2025
Il Presidente NOME COGNOME