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Ammissione al passivo del garante: la Cassazione chiarisce

Un’ordinanza della Cassazione affronta il tema dell’ammissione al passivo del garante. Il caso riguarda una società garante che, dopo aver pagato il debito di un’azienda poi fallita, ha chiesto di essere ammessa al passivo. La richiesta era stata respinta perché il creditore originario (una banca) era già stato ammesso per l’intero credito. La Corte Suprema ha confermato la decisione, chiarendo che per evitare la duplicazione del debito, il garante non deve presentare una nuova domanda, ma deve seguire la procedura di surrogazione prevista dall’art. 115 l.fall., comunicando il subentro al curatore per la rettifica dello stato passivo.

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Ammissione al passivo del garante: la procedura corretta per non perdere il credito

Quando una società fallisce, per i creditori si apre la complessa procedura di insinuazione al passivo. Ma cosa succede se a pagare il debito è stato un garante? L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto procedurale cruciale: la corretta modalità di ammissione al passivo del garante. Una mossa sbagliata può comportare l’esclusione del credito. Vediamo insieme cosa ha stabilito la Corte e quali sono le implicazioni pratiche per chi si trova in questa situazione.

I Fatti del Caso

Una società consortile aveva prestato una garanzia in favore di un istituto di credito per un finanziamento concesso a un’altra azienda. A sua volta, la garanzia era parzialmente controgarantita da un fondo di garanzia statale. A seguito dell’inadempimento della società debitrice, poi dichiarata fallita, la banca ha escusso la garanzia.

La società garante ha quindi pagato alla banca la somma dovuta e, a sua volta, ha ricevuto dal fondo statale la quota di controgaranzia. Successivamente, la società garante ha chiesto di essere ammessa al passivo del fallimento per l’intero importo versato alla banca, chiedendo che una parte fosse riconosciuta in privilegio (la quota coperta dalla controgaranzia pubblica) e la restante in chirografo.

Sia il giudice delegato che il tribunale in sede di opposizione hanno respinto la domanda. Il motivo? Il creditore originario, la banca, era già stato ammesso al passivo per l’intero credito residuo. Ammettere anche il garante avrebbe significato duplicare lo stesso debito nello stato passivo, violando il principio della par condicio creditorum.

La Decisione della Cassazione sull’ammissione al passivo del garante

La società garante ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su tre motivi. Il primo lamentava l’omesso esame di un documento decisivo: una dichiarazione con cui la banca, tramite un suo mandatario, acconsentiva alla riduzione del proprio credito ammesso al passivo per l’importo ricevuto dal garante. Il secondo motivo contestava la violazione delle norme sulla surrogazione legale. Il terzo, infine, riguardava il mancato riconoscimento del privilegio.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti e fornendo chiarimenti procedurali di fondamentale importanza.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha analizzato distintamente i motivi del ricorso, arrivando a una conclusione netta.

L’omesso esame di un documento è errore di fatto, non di diritto

Sul primo punto, la Corte ha stabilito che l’eventuale mancata considerazione di un documento presente agli atti non costituisce un vizio di legittimità da far valere in Cassazione, ma un errore di percezione, ovvero un errore di fatto. Questo tipo di errore, secondo il Codice di procedura civile (art. 395, n. 4), può essere contestato solo attraverso uno strumento specifico: la revocazione. Di conseguenza, il motivo è stato dichiarato inammissibile.

La procedura corretta per la surrogazione del garante

Il cuore della decisione risiede nel secondo motivo. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: chi subentra in un credito già ammesso al passivo fallimentare, come nel caso della surrogazione del fideiussore che ha pagato, non può presentare una nuova e autonoma domanda di ammissione. Farlo creerebbe una duplicazione inaccettabile del credito.

La via corretta, invece, è quella tracciata dall’articolo 115 della legge fallimentare. Il nuovo creditore (il garante surrogato) deve comunicare al curatore fallimentare l’avvenuto subentro nei diritti del creditore originario. Sarà poi il curatore, sotto il controllo del giudice, a provvedere alla “rettifica formale dello stato passivo”, sostituendo il nome del garante a quello della banca per la porzione di credito che è stata soddisfatta.

In sostanza, non si tratta di aggiungere un nuovo credito, ma di modificare l’intestazione di una parte di un credito già esistente. La Corte ha chiarito che questa procedura è obbligatoria e serve proprio a garantire l’ordine e la correttezza della procedura concorsuale. Poiché la società garante non aveva seguito questo iter, la sua domanda di ammissione è stata correttamente respinta.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre una lezione fondamentale per tutti i soggetti che operano come garanti nel mondo del credito. Il pagamento del debito garantito, in caso di fallimento del debitore principale, non è sufficiente per assicurarsi il recupero delle somme. È essenziale conoscere e seguire la corretta procedura fallimentare. L’ammissione al passivo del garante non avviene con una nuova insinuazione, ma attraverso la procedura di rettifica per surrogazione. Ignorare questa regola procedurale significa rischiare di vedere il proprio diritto disconosciuto, nonostante si sia adempiuto al proprio obbligo di garanzia.

Un garante che paga il debito di una società fallita può chiedere l’ammissione al passivo se il creditore originario è già stato ammesso?
No, non può presentare una nuova e autonoma domanda di ammissione per lo stesso credito, in quanto ciò comporterebbe una duplicazione del debito nello stato passivo. La sua richiesta verrebbe respinta.

Qual è la procedura corretta che il garante deve seguire in questo caso?
Il garante deve seguire la procedura prevista dall’art. 115 della legge fallimentare. Deve comunicare al curatore del fallimento l’avvenuto pagamento e il conseguente subentro (surrogazione) nei diritti del creditore originario. Il curatore provvederà quindi a rettificare lo stato passivo, sostituendo il nome del garante a quello del creditore originario per l’importo pagato.

Se un giudice ignora un documento decisivo presente nel fascicolo, si tratta di un motivo valido per il ricorso in Cassazione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’aver supposto inesistente un documento che invece era stato ritualmente prodotto costituisce un errore di fatto. Tale errore non può essere fatto valere con il ricorso per cassazione, ma con l’apposito mezzo di impugnazione della revocazione, ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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