Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16375 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16375 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/06/2025
Oggetto: Preliminare e fideiussione – Garanzia autonoma o accessoria – Conseguenze
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23378/2022 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE quale società di gestione del Fondo denominato ‘RAGIONE_SOCIALE -Fondo comune di investimento immobiliare di tipo chiuso’, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli avv.ti prof. NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata nello studio del primo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME nel cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata;
e
RAGIONE_SOCIALE e per essa, quale mandataria, RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME;
avverso la sentenza n. 2895/2022 della Corte d’Appello di Napoli, pubblicata il 22/6/2002 e notificata il 23/6/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
19/2/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. Si premette che, in data 21/11/2007, RAGIONE_SOCIALE stipulò con RAGIONE_SOCIALE un preliminare di compravendita di cosa futura, con il quale si obbligava a vendere un complesso immobiliare, da adibire a sede della facoltà di agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e del gruppo di ricerca CNR e da realizzarsi, a sua cura, su un fondo di sua proprietà in Ercolano, al prezzo convenuto di euro 43.100.000,00, contratto che era stato garantito da due fideiussioni rilasciate dalla Banca della Campania s.p.a. in favore dell’acquirente RAGIONE_SOCIALE a garanzia delle obbligazioni da essa assunte.
RAGIONE_SOCIALE giudicando inadempiente la promittente venditrice nella realizzazione dei manufatti e constatata l’avvenuta iscrizione ipotecaria in favore della Banca della Campania sui terreni compromessi in vendita, comunicò alla RAGIONE_SOCIALE, già ammessa, dopo la conclusione del contratto, a procedura di amministrazione straordinaria, il recesso dal preliminare con richiesta di pagamento del doppio della caparra e dichiarò di escutere le fideiussioni, invitando la Banca a corrispondere il relativo importo.
Nella stessa data, il Commissario straordinario di RAGIONE_SOCIALE comunicò alla Banca e a Fabrica RAGIONE_SOCIALE l’esercizio della facoltà di scioglimento del contratto ex art. 50 d.lgs. n. 270 del 1999, con conseguenziale scioglimento anche delle due fideiussioni, e
contestò, il giorno dopo, a Fabrica l’esercizio del diritto di recesso, spettando solo a lui svincolarsi dal contratto.
In seguito alla concessione di un sequestro liberatorio della somma di euro 12.930.000,00, oggetto delle due fideiussioni, chiesto dalla Banca della Campania s.p.a. dapprima al Tribunale di Napoli e, in seguito a pronuncia di sua incompetenza territoriale, al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che fu dapprima accordato e poi revocato in sede di reclamo, fu incardinato il giudizio di merito, nel quale la Banca chiese la conferma del sequestro, accertando la parte legittimata a ricevere il pagamento delle somme oggetto del vincolo con esclusione della mora debendi , RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria chiese il riconoscimento del proprio diritto allo scioglimento del contratto e alla restituzione della somma di euro 10.775.000,00 consegnata in pegno alla Banca e Fabrica Immobiliare chiese l’estinzione del giudizio per litispendenza (con riguardo al contenzioso tra Fabrica Immobiliare e Banca della Campania per il pagamento della somma garantita dalle fideiussioni e al giudizio di opposizione allo stato passivo promosso dalla stessa RAGIONE_SOCIALE per il riconoscimento del doppio della caparra), in subordine, la sospensione del giudizio in attesa della definizione degli altri e comunque il rigetto delle pretese.
Il giudizio di primo grado si concluse con la sentenza n. 273/2013, con la quale il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere condannò la Banca della Campania a pagare a RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria la somma di euro 10.775.000,00 e rigettò le richieste di RAGIONE_SOCIALE
Il giudizio di gravame, incardinato dalla medesima RAGIONE_SOCIALE con atto di citazione notificato il 9/7/2013, si concluse, nella resistenza della Banca della Campania e della Firema Trasporti s.p.a. in amministrazione straordinaria, con la sentenza
n. 2895/2022, pubblicata il 22/6/2022, con la quale la Corte d’Appello di Napoli rigettò l’appello, ritenendo, per quanto qui interessa, che l’art. 1385 cod. civ. fosse inapplicabile alla specie, siccome incompatibile con la condizione di prosecuzione ope legis del vincolo negoziale nel quale subentri il commissario di un’impresa in amministrazione straordinaria, unico soggetto legittimato ad estrinsecare la volontà di scioglimento del vincolo con effetto ex tunc ai sensi dell’art. 50 d.lgs. n. 270 del 1999, e che il contratto intercorso con la Banca andasse qualificato in termini non di contratto autonomo di garanzia, come preteso, ma di fideiussione, siccome non prevedente una clausola a prima richiesta, ma una rinuncia alla preventiva escussione, e connotato da una connessione ineluttabile con le ragioni dettate dalla dinamica contrattuale.
Contro la predetta sentenza, RAGIONE_SOCIALE Gestione RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. BPER Banca s.p.a.RAGIONE_SOCIALE e per essa, quale mandataria, BPER Credit RAGIONE_SOCIALE. p.aRAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria si difendono con controricorso.
La ricorrente e la BPER Crediti Management hanno depositato memorie.
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1385 cod. civ. e 50 d.lgs. n. 270 del 1990, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello rigettato il secondo motivo d’appello relativo alla legittimità del recesso esercitato da RAGIONE_SOCIALE e confermato la sentenza di primo grado che aveva considerato valido ed efficace lo scioglimento dal contratto
preliminare esercitato dal Commissario straordinario ai sensi dell’art. 50 d.lgs. n. 270 del 1999, siccome unico soggetto legittimato ad esercitare tale facoltà in relazione a contratti ancora ineseguiti o non interamente eseguiti da entrambe le parti alla data dell’apertura della procedura di amministrazione straordinaria. Ad avviso della ricorrente, i giudici di merito non avevano considerato che, nella specie, la facoltà di recesso ai sensi dell’art. 1385 cod. civ., con ritenzione della caparra, era stata esercitata in quanto la società sottoposta ad amministrazione straordinaria si era resa gravemente inadempiente ai suoi obblighi e che il disposto di cui al ridetto art. 50, che ha la funzione di offrire agli organi della procedura la possibilità di valutare la convenienza o meno di proseguire un rapporto contrattuale, consente al contratto di continuare ad avere esecuzione fino all’esercizio di detta facoltà di scioglimento, implicando, però, l’adempimento di ogni parte .
1.2 La prima censura è inammissibile.
Qualora, infatti, due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo e il petitum del primo (Cass., Sez. U, 17/12/2007, n. 26482) .
Nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito,
ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata.
Si tratta, infatti, di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem , corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione (Cass., Sez. U, 16/6/2006, n. 13916; Cass., Sez. L, 21/4/2022, n. 12754).
Peraltro, nel caso in cui il giudicato consegua ad una sentenza della Corte di cassazione, la cognizione di quest’ultima può avvenire pure mediante quell’attività di istituto (relazioni, massime ufficiali) che costituisce corredo della ricerca del collegio giudicante, in tal senso deponendo il duplice dovere incombente sulla Corte di prevenire il contrasto tra giudicati, in coerenza con il divieto del ne bis in idem , e di conoscere i propri precedenti, nell’adempimento del dovere istituzionale derivante dall’esercizio della funzione nomofilattica di cui all’art. 65 dell’ordinamento giudiziario (Cass., Sez. U, 17/12/2007, n. 26482; Cass., Sez. 5, 30/12/2011, n. 30780), con la conseguenza che non rileva, in tal caso, che la sua formazione sia avvenuta in epoca ben anteriore alla definizione del giudizio di appello, come nella specie, incidendo una siffatta situazione esclusivamente sul divieto della sua produzione in sede di legittimità in virtù del divieto di cui all’art. 372 cod. civ. (Cass., Sez. 2, 22/1/2018, n. 1534), che però, come si è detto, non opera
con riguardo al giudicato formatosi con provvedimento emesso in sede di legittimità.
Orbene, risulta, nella specie, che questa Corte ha già preso posizione sulla compatibilità degli artt. 1385 cod. civ. e 50 d.lgs. n. 270 del 1999, pronunciandosi nell’ambito di un giudizio che era stato instaurato da RAGIONE_SOCIALE in qualità di società di gestione del RAGIONE_SOCIALE di tipo chiuso’, avverso il provvedimento di reiezione della sua istanza di insinuazione allo stato passivo di RAGIONE_SOCIALE in relazione al suo diritto ad ottenere il pagamento del doppio della caparra conseguente al suo recesso dal contratto preliminare di compravendita intercorso con la Firema – da essa esercitato in ragione dei plurimi inadempimenti ascritti a quest’ultima -, o, in subordine, al pagamento della somma versata a titolo di caparra (il tutto come condizionato al caso di infruttuosa escussione, da parte del ricorrente, delle garanzie fideiussorie portate a garanzia della somma versata a titolo di caparra confirmatoria), pronunciato con decreto dell’11/12/2012 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in riforma del provvedimento del giudice delegato.
Instaurando il giudizio di legittimità, RAGIONE_SOCIALE, facendo riferimento al recesso da essa esercitato in data 27/10/2010 dal contratto preliminare di compravendita a suo tempo stipulato con RAGIONE_SOCIALE, aveva lamentato il fatto che il Tribunale campano avesse escluso l’astratta configurabilità di un diritto di recesso della parte in bonis , senza considerare che il recesso, pur collocato temporalmente dopo l’avvenuta dichiarazione di insolvenza della RAGIONE_SOCIALE (13 agosto 2010), era stato esercitato prima che il commissario straordinario di questa avesse comunicato la sua determinazione di sciogliere il detto contratto (come comunicato con lettera dell’1/12/2010), con la conseguenza che, in tale lasso
temporale, il contraente in bonis conservava, a suo dire, il proprio diritto di recedere dal contratto a seguito degli inadempimenti della controparte, con tutte le conseguenze ulteriori che da ciò potevano derivare (nella specie, l’invocata applicazione della norma dell’art. 1385 cod. civ., in punto di diritto al conseguimento di una somma pari al doppio della caparra versata).
Con ordinanza n. 13299 del 28/5/2018, antecedente alla sentenza oggi impugnata, questa Corte ha, però, rigettato la predetta doglianza, non condividendo l’interpretazione che la ricorrente aveva dato dell’art. 50 del d.lgs. n. 270 del 1999 e sostenendo che « la circostanza che – fino all’eventuale decisione del commissario di sciogliere il contratto quest’ultimo ‘continua ad avere esecuzione’ non implica affatto che il contraente in bonis possa pure provocarne la cessazione dell’esecuzione (a mezzo esercizio del recesso, appunto). Né il ricorrente propone argomenti in qualche misura atti a sostenere un salto argomentativo di simile spessore. Per contro, la lettura del complessivo testo della norma dell’art. 50 mostra evidente come si tratti di disposizione intesa unicamente a costituire e regolare il potere del commissario di sciogliere i contratti pendenti (comma 1: ‘… il commissario straordinario può sciogliersi dai contratti …’; comma 2: ‘fino a quando la facoltà di scioglimento non è esercitata, il contratto continua ad avere esecuzione’). D’altro canto, è principio generale delle procedure concorsuali che solo l’organo gestorio della procedura disponga del potere di intervenire sui contratti pendenti, non già anche il contraente in bonis (cfr., in specie, la norma dell’art. 72 legge fall.). Ed è veramente significativo, in questa prospettiva, che il comma 3 dell’art. 50 consegni al contraente in bonis il potere di fissare un termine ultimativo per l’esercizio delle determinazioni del commissario ».
È allora evidente come la perfetta coincidenza della censura in esame con quella oggetto della citata ordinanza non possa che determinarne l’inammissibilità, essendo la questione con essa prospettata coperta dal giudicato esterno formatosi tra le stesse parti.
2.1 Col secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ., 1936, 1945 e 1957 cod. civ., nonché dei precedenti giurisprudenziali sulla natura e le caratteristiche del contratto autonomo di garanzia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito stabilito che le fideiussioni in esame non potessero considerarsi contratti autonomi di garanzia in quanto non contenevano la clausola di pagamento a prima richiesta, ma la sola rinuncia al beneficio della preventiva escussione, compatibile con il contratto di fideiussione, e in quanto risultava una inequivocabile connessione negoziale tra il contratto garantito e la garanzia, del tutto incompatibile con il contratto autonomo di garanzia.
Ad avviso della ricorrente, i giudici non avevano, invece, considerato che la caratteristica della garanzia autonoma è proprio l’assenza dell’elemento della accessorietà, in quanto il garante si impegna con essa a pagare il beneficiario senza opporre eccezioni in ordine alla validità o all’efficacia del rapporto sottostante, e che la sua funzione è quella di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento del debitore principale, quand’anche la sua prestazione sia un fare infungibile, e la sua causa quella di trasferire il rischio economico di un’operazione da un soggetto ad un altro, mentre con il contratto di fideiussione si garantisce la medesima prestazione principale altrui e si tutela l’interesse all’esatto adempimento della medesima prestazione principale. Inoltre, intervenendo la fideiussione come contratto autonomo di garanzia tra il fideiussore e il creditore è sottratta alla
facoltà di scioglimento attribuita al commissario straordinario ai sensi dell’art. 50 d.lgs. n. 270 del 1999.
Nella specie, le fideiussioni, che dovevano garantire, in primo luogo, la restituzione da parte di RAGIONE_SOCIALE delle somme ricevute da RAGIONE_SOCIALE e poi tutte le obbligazioni assunte dalla RAGIONE_SOCIALE, possedevano tutte le caratteristiche della garanzia autonoma, in quanto la Banca aveva rinunciato alla garanzia della preventiva escussione del debitore principale ex art. 1944 cod. civ. e ad eccepire la decorrenza del termine ex art. 1957 cod. civ. e si era obbligata a pagare l’importo dovuto sulla base della documentazione allegata a comprova entro il termine di 45 giorni dal ricevimento della richiesta, senza eccepire alcunché in merito alla validità del rapporto sottostante, sicché il commissario straordinario non avrebbe potuto deciderne lo scioglimento, che peraltro era intervenuto dopo la richiesta di escussione.
2.2 Il secondo motivo è inammissibile.
Preliminarmente, occorre rigettare l’istanza, proposta dalla BPER Banca, avente ad oggetto la correzione della ricostruzione del fatto contenuta nella sentenza impugnata.
Infatti, la speciale disciplina, dettata dagli artt. 287 e seguenti cod. proc. civ., per la correzione degli errori materiali incidenti sulla sentenza, la quale attribuisce la competenza all’emanazione del provvedimento correttivo allo stesso giudice che ha emesso la decisione da correggere, mentre non è applicabile quando contro la decisione stessa sia già stato proposto appello dinanzi al giudice del merito, in quanto l’impugnazione assorbe anche la correzione di errori, è invece da osservarsi rispetto alle decisioni impugnate con ricorso per cassazione, atteso che il giudizio relativo a tale ultima impugnazione è di mera legittimità e la Corte di cassazione non può correggere errori materiali contenuti nella sentenza del giudice di merito, al quale va, pertanto, rivolta
l’istanza di correzione, anche dopo la presentazione del ricorso per cassazione (Cass., Sez. 2, 19/5/2021, n. 13629).
Venendo alla censura, occorre osservare come il n. 6 dell’art. 366 cod. proc. civ. imponga di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777), mediante la riproduzione diretta o indiretta del contenuto che sorregge la censura, precisando, in quest’ultimo caso, la parte del documento cui quest’ultima corrisponde (Cass., Sez. 5, 15/07/2015, n. 14784; Cass., Sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679) e i dati necessari all’individuazione della sua collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777).
Nella specie, la censura non precisa i contenuti della fideiussione e questo impedisce la verifica della correttezza dell’operato dei giudici di merito, i quali hanno qualificato il contratto intercorso con l’istituto di credito in termini di fideiussione e non di contratto autonomo di garanzia, dando rilievo sia alla mancata previsione, in quello in esame, di una clausola a prima richiesta, essendo stata pattuita una rinuncia alla preventiva escussione ritenuta compatibile con il contratto di fideiussione, sia alla connessione esistente tra la dinamica negoziale del contratto garantito e la garanzia stessa, di cui era espressione la previsione di cui all’art. 3 del contratto dicente ‘a seguito di documentata e motivata richiesta scritta da parte della promissaria acquirente da inviarsi’, sia al dato letterale che faceva continuamente richiamo all’istituto della fideiussione.
Peraltro, l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali
di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione), sicché, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26/10/2007, n. 22536).
D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12/7/2007, n. 15604; Cass. 22/2/2007, n. 4178), con la conseguenza che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati, atteso che, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., Sez. 2, 15/5/2018, n. 11823; Cass. 7500/2007; 24539/2009).
In conclusione, dichiarata l’inammissibilità delle due censure, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità, che liquida nella misura di euro 18.000,00, in favore della Firema Trasporti S.p.A. in Amministrazione Straordinaria, e di euro 20.000,00 in favore della BPER Banca s.p.a., per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda