Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6955 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6955 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data RAGIONE_SOCIALEicazione: 15/03/2025
ORDINANZA
Sul ricorso R.G.N. 26599/2018
promosso da
Comune di Nocera Umbra , in persona del Sindaco pro tempore , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO in virtù di procura speciale in atti;
– ricorrente in via principale – contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO in virtù di procura speciale in atti;
controricorrente e ricorrente in via incidentale -contro
RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore
; – intimata – avverso la sentenza della Corte d ‘ appello di Perugia n. 411/2018, RAGIONE_SOCIALEicata il 04/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME; letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In data 06/04/2000 il Comune di Nocera Umbra stipulava il contratto di appalto per la ‘realizzazione delle opere per infrastrutture a rete all’interno del P.I.R. delle Frazioni Colpet rana, Gaifana e Lanciano (lotto n. 5) ‘ con la RAGIONE_SOCIALE, di seguito RAGIONE_SOCIALE), per un importo complessivo di £ 2.895.960.833 ( € 1.495.638,95 ).
Con atto di citazione notificato il 29/11/2005, la RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio il Comune, deducendo che quest’ultimo non aveva consentito l’ultimazione dei RAGIONE_SOCIALE in INDIRIZZO, chiedendo la risoluzione (parziale) del contratto per inadempimento del Comune stesso, con condanna al pagamento della somma di € 39.226,03 pari al 10% dei ‘magisteri’ non realizzati (in conseguenza della risoluzione del contratto) e al risarcimento di tutti i danni conseguentemente patiti o del corrispettivo dovuto per le sei ri serve iscritte in corso d’opera, oltre al risarcimento dei danni cagionati dall’illegittima sospensione dei lavoro relativi alla loc. Gaifana.
Nel costituirsi, il Comune eccepiva il difetto di giurisdizione e/o competenza del giudice adito, per essere la controversia devoluta alla cognizione della RAGIONE_SOCIALE arbitrale per i RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEici istituita presso l’RAGIONE_SOCIALE e, in subordine, chiedeva il rigetto delle domande attoree, formulando domanda riconvenzionale, con la quale chiedeva la condanna dell’impresa al pagamento della penale di cui all’art. 5 e di una ulteriore somma a titolo di maggior danno per il ritardo nella consegna delle opere relative alle frazioni di Lanciano e Colpetrana, oltre che per la mancata consegna delle opere relative alla frazione di Gaifana.
Nel corso del giudizio di primo grado veniva espletata CTU.
Con sentenza n. 1141/2016, RAGIONE_SOCIALEicata il 27/05/2016, il Tribunale di Perugia, dichiarava risolto il contratto d’appalto per fatto e colpa della committente, condannando il Comune di Nocera Umbra al risarcimento dei danni subiti dalla RAGIONE_SOCIALE, liquidati in complessivi € 457.992,35, oltre interessi, nonché alla refusione delle spese di lite e di CTU, rigettando la domanda riconvenzionale formulata dal l’Amministrazione comunale.
Avverso la predetta sentenza, proponeva impugnazione il Comune di Nocera Umbra.
Si costituiva, quale successore della RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE), con la quale si era fusa per incorporazione la RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE, dichiarata estinta dopo la fusione per incorporazione), in qualità di cessionaria del credito controverso a seguito di concordato ex art. 78 d.lgs. n. 270 del 1999, che aveva riguardato la RAGIONE_SOCIALE, di cui il Tribunale di Venezia con sentenza del 13/08/2011 aveva dichiarato lo stato d’insolvenza, poi seguito dall’amm issione alla procedura di amministrazione straordinaria con decreto del 29/09/2011.
Con l’appello principale veniva dedotta la nullità della sentenza di primo grado, per le seguenti ragioni: la decisione era stata assunta da un GOT in una causa il cui valore superava il limite stabilito dal Presidente dal Tribunale con provvedimento del 23/09/2013, in applicazione della risoluzione del CSM del 25/01/2012 e dell’art. 43 bis dell’Ordinamento giudiziario; la pronuncia nei confronti di COGNOME in primo grado era nulla, perché quest’ultima era stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria, perdendo la legittimazione ad agire, senza che il commissario straordinario avesse partecipato al giudizio; la COGNOME era priva di legittimazione ad agire, perché con il concordato omologato in corso di causa era stato trasferito tutto l’attivo della procedura, ivi comprese le azioni giudiziarie pendenti, tra le quali non era compresa l’azione oggetto del
presente giudizio, visto che il commissario straordinario non era intervenuto nel processo. Veniva, poi, nuovamente proposta l’eccezione di difetto di giurisdizione e/o competenza per effetto della clausola arbitrale e quella d’intervenuta transazione. Nel merito, il Comune chiedeva la riforma della sentenza impugnata con rigetto delle domande avversarie e l ‘accoglimento della domanda riconvenzionale.
Con sentenza n. 411/2018, la Corte d’ appello di Perugia, affermata la legittimazione ad intervenire della COGNOME COGNOME, respinta ogni altra eccezione pregiudiziale e preliminare, in parziale riforma della sentenza impugnata, veniva dichiarata l’improcedibilità delle domande proposte in via riconvenzionale dal Comune di Nocera Umbra contro la RAGIONE_SOCIALE, con conferma della sentenza impugnata, salvo che per il riconoscimento del concorso di colpa della RAGIONE_SOCIALE, nella misura di ½, in relazione alle domande di risarcimento del danno di cui alle riserve nn. 1 e 2 dalla stessa formulate. Le spese di lite venivano compensate.
La pronuncia di secondo grado è stata impugnata per cassazione dal Comune di Nocera Umbra, che ha formulato otto motivi di ricorso.
COGNOME ha resistito con controricorso formulando contestuale ricorso incidentale, affidato a due motivi.
Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva.
All’esito dell’adunanza in camera di consiglio, c on ordinanza interlocutoria n. 12207/2024 del 06/05/2024, questa Corte ha ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti di COGNOME, ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria con decreto del Tribunale di Venezia del 29/09/2011, parte attrice nel giudizio di primo grado, risultando il ricorso per cassazione proposto nei confronti della COGNOME NOME COGNOME, intervenuta nel corso del giudizio di appello in qualità di cessionaria del credito litigioso, che a sua volta ha presentato ricorso incidentale nei Confronti del
Comune di Nocera Umbra, senza che nessuna delle parti avesse evocato nel presente giudizio di legittimità la cedente.
Integrato il contraddittorio ad opera della ricorrente principale e anche di quella incidentale, la RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
La ricorrente incidentale ha depositato ulteriore memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Parte ricorrente in via principale ha formulato i seguenti motivi di impugnazione:
«NULLITÀ DELLA SENTENZA PER VIZIO DI COSTITUZIONE DEL GIUDICE ED INCAPACITÀ DEL GOT A PRONUNCIARE LA SENTENZA IMPUGNATA, IN RELAZIONE ALL’ART. 360 N. 4 C.P. – VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 158 C.P.C., CO. 2, IN RELAZIONE ALL’ART. 360 N. 3 C.P.C.»
«NULLITÀ DELLA SENTENZA EMESSA NEI CONFRONTI DI SOGGETTO ESTINTO, IN RELAZIONE ALL’ART. 360 N. 4 C.P.C. VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 43 L.F., DEGLI ARTI. 18 E 19 D.LGS. 270/1999 E DELL’ART. 2 D.L. 347/2003, IN RELAZIONE ALL’AURT. 360 N. 3 C.P.C.»
«NULLITÀ DELLA SENTENZA EMESSA NEI CONFRONTI DI SOGGETTO CARENTE DI LEGITTIMAZIONE, OVVERO CARENZA DI LEGITTIMAZIONE ATTIVA DELLA RAGIONE_SOCIALE E DELLA RAGIONE_SOCIALE, IN RELAZIONE ALL’ ART. 360 N. 4 C.P.C. – VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 75 E 81 C.P.C. E DEGLI ARTT. 300, 305 .P.C., IN RELAZIONE ALL’ART. 360 N. 3 C.P.C.»
«CARENZA DI GIURISDIZIONE DEL TRIBUNALE ADITO IN RELAZIONE ALL’ART. 360 N. 1 C.P.C.- VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DEL COMBINATO DISPOSTO DEGLI ARTT. 32 L. 109/1994 E 150 D.P.R. 554/1999, NONCHÉ DELL’ART. 5, CO. 16 SEXIES L. 80/2005, IN RELAZIONE ALL’ART. 360 N. 3 C.P.C.»
«VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DECLI ARTT. 1362 E 1965 C.C. IN RELAZIONE ALL’ART. 360 N. 3 C.P.C.»
«VIOLAZIONE O FALSA APPUCAZIONE DEGI.I ARTT. 194, 195 E 196 C.P.C., NONCHÉ DEGLI ARTT.101, 115 E 116 C.P.C., IN RELAZIONE ALL’ART. 360 N. 3 C.P.C. -VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 2697 C.C., IN RELAZIONE ALL’ART. 360 N. 3 C.P.C.»
«VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 1218, 1453, 1175, 1375, 1206 E 2697 C.C., NONCHÉ DEGLI ARTT. 115 E 116 C.P.C., IN RELAZIONE ALL’ART. 360 N. 3 C.P.C. – OMESSO ESAME CIRCA FATTI DECISIVI PER IL GIUDIZIO CHE SONO STATI OGGEITO DI DISCUSSIONE TRA LE PARTI, IN RELAZIONE ALL’ART. 360 N. 5 C.P.C.»
«VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 1224 C.C. IN RELAZIONE ALL’ART. 360 N. 3»
Parte controricorrente ha proposto i seguenti motivi di ricorso incidentale:
«Primo motivo -Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 Non sussumibilità della fattispecie concreta nell’ambito della norma …omissis…
Secondo motivo di appello incidentale condizionato – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 -erronea interpretazione della norma.»
Occorre preliminarmente rilevare che, nel ricorso principale il Comune ha riproposto la domanda riconvenzionale, formulata nei precedenti gradi, illustrandone le ragioni di merito, che però è stata dichiarata improcedibile dal giudice di appello, con una statuizione che non è stata impugnata.
Com’è noto, il giudizio di legittimità è un giudizio a critica vincolata, sicché, in assenza della formulazione di un motivo di
impugnazione sulla statuizione che ha deciso, in rito, su tale domanda, ogni ulteriore richiesta è inammissibile.
Il primo motivo di ricorso principale è inammissibile.
Il Comune ha censurato la decisione della Corte d’appello, nella parte in cui non ha accolto la deduzione di nullità della sentenza di primo grado, pronunciata da un G.O.T. in una causa che il cui valore non era inferiore (superava il valore di € 1.000.000,00 di euro) al limite di € 26.000,00, posto dal Presidente del Tribunale con provvedimento del 23/09/2013, in applicazione della Risoluzione del CSM del 25/01/2012 e dell ‘ art. 43 bis dell’Ordinamento Giudiziario (r. d. n. 41 del 1941), quale limite di valore delle cause che nel triennio 2012/2014 potevano essere decise dai G.O.T.
La Corte d’Appello ha ritenuto di non accogliere la domanda di nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c., assumendo che «non può ritenersi integrata alcuna violazione dell’art. 43 bis r.d. n. 41 del 1941 perché questa disposizione non pone limiti di valore per le cause che possono essere decise dai G. O. T. e le circolari del CSM, in quanto fonte subordinate alla legge, non possono valere a derogare a detta disposizione di legge introducendo limiti nella stessa non previsti, rimanendo fermo il fatto che, al di là dell’eventuale contrasto con le previsioni del provvedimento del Presidente del Tribunale attuativo della Circolare in materia del CSM, non è mancata l’assegnazione da parte sua della presente causa al G.O.T. che ha poi preso la decisione impugnata» .
La parte ha meramente riproposto la deduzione formulata in appello, senza fornire alcun argomento a sostegno della dedotta nullità, così violando il disposto dell’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., con una mera affermazione in diritto, peraltro in contrasto con l’opinione già espressa dal Giudice di legittimità, alla quale la pronuncia di merito risulta essersi adeguata.
Questa Corte ha, infatti, affermato che, quando un giudice onorario, appartenente all’ufficio giudiziario, decida una causa in materia che, secondo la ripartizione tabellare, sia sottratta alla sua potestà decisoria, il provvedimento non è nullo (salvo che si tratti di procedimenti possessori o cautelari ante causam , espressamente esclusi dall ‘ art. 43 bis r.d. n. 12 del 1941), in quanto la decisione assunta dal G.O.T. in violazione delle tabelle organizzative dell’ufficio non incide sulla composizione dell’ufficio giudiziario, né la dedotta nullità è prevista alcuna norma di legge, configurandosi, invece, una semplice irregolarità (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 19660 del 03/10/2016).
5. Il secondo motivo di ricorso principale è infondato.
La Corte d’appello ha respinto l’eccezione di nullità della sentenza del Tribunale, per essere stata pronunciata nei confronti della RAGIONE_SOCIALE che, nel corso del giudizio di primo grado era stata destinataria della dichiarazione di insolvenza e, poi, ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria, così perdendo, secondo il Comune, la legittimazione processuale.
La Corte di appello ha statuito come segue: «Va rilevato che, se non la dichiarazione dello stato di insolvenza -perché l’amministrazione dell’impresa non è stata affidata al commissario giudiziale rimanendo in capo alla RAGIONE_SOCIALE (C.d.S., VI, 11/6018) con l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria e conseguente nomina del commissario straordinario, la RAGIONE_SOCIALE ha perduto- ipso iure, è da ritenere, in base al nuovo testo dell’art. 43 l.fall., da ritenere applicabile alla procedura di amministrazione straordinaria: arg. ex art. 19 III co. d. lgs. n. 270/99 – la capacità di stare in giudizio, passando questa al commissario. La sentenza emessa in favore della RAGIONE_SOCIALE non è però nulla perché, secondo quello che appare l’orientamento preferibile, l ‘ ammissione dell ‘ impresa alla procedura di amministrazione straordinaria con la nomina del commissario straordinario, come la sua dichiarazione di
fallimento con la nomina del curatore, non comporta né l’ incapacità processuale né la perdita della legittimazione attiva ad causam – ciò che importerebbe in effetti la nullità della sentenza, rilevabile anche d’ ufficio in ogni stato e grado del processo salvo la formazione del giudicato interno – ma soltanto l’inopponibilità della sentenza alla procedura, la sola legittimata a farla valere, come in genere per gli atti posti in essere dal fallito dopo la sua dichiarazione di fallimento (art. 44 l. fall). La sentenza vincola perciò comunque la controparte della società ammessa alla procedura concorsuale, essendo libera questa procedura di avvalersene se del caso. L’ eccezione di nullità sollevata dal Comune, non tardiva per la ragione sopra vista, appare però per quanto detto infondata.»
Secondo il Comune, la Corte di merito ha reso una motivazione illogica e contraddittoria, non rendendo comprensibile la ratio decidendi , poiché, dopo aver affermato che, con l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria e la nomina del commissario, la RAGIONE_SOCIALE aveva perso la capacità di stare in giudizio, passando questa al commissario, ha, poi, affermato che ciò non ha comportato l’incapacità processuale e la perdita della legittimazione attiva.
Il ricorrente ha, inoltre, dedotto che la decisione ha comunque violato l’art. 43 l.fall. e gli artt. 18 e 19 d.lgs. n. 270 del 1999, perché l’assoggettamento alla procedura di amministrazione straordinaria comporta l’accertamento dei crediti nei confronti dell’impresa in sede concorsuale e, se è affidata la gestione al commissario giudiziale, si determinano anche gli effetti degli artt. 42, 43, 44, 46 e 47 l.fall., con la precisazione che , ai sensi dell’art. 2, comma 2 bis , d.l. n. 347 del 2003, il decreto di ammissione immediata alla procedura di amministrazione straordinaria determina già lo spossessamento del debitore e l’affidamento al commissario straordinario della gestione dell’impresa e
dell’amministrazione dei beni dell’imprenditore, con gli effetti sopra indicati.
Ad opinione del ricorrente, in sintesi, nella procedura in questione, si applica l’art. 43 l. fall. e, come nel caso di fallimento, non può parlarsi di mera inopponibilità della sentenza alla procedura, poiché il giudizio doveva essere interrotto e eventualmente riassunto dal commissario straordinario, a cui era stata affidata la gestione dell’impresa e l’amministrazione dei beni dell’imprenditore .
5.1. È infondata la censura riferita alla dedotta illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Com’è noto, in virtù della vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c. non è più consentita l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. «per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio» , ma soltanto «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» .
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la richiamata modifica normativa ha avuto l’effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In particolare, la riformulazione appena richiamata deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 prel., come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248 del 30/06/2020).
Nel caso di specie, come emerge da quanto sopra riportato, la Corte di merito, dopo aver descritto gli effetti dell ‘ammissione della procedura concorsuale, secondo il disposto dell’art. 43, comma 1, l.fall., ha chiaramente precisato che, comunque, la prosecuzione del giudizio, nonostante l’intervenuta ammissione a detta procedura, non determina la nullità della sentenza, perché l’imprenditore non perde la capacità processuale e la legittimazione attiva, essendo la sentenza soltanto inopponibile alla procedura concorsuale, unica legittimata a far valere tale inopponibilità, essendo libera di avvalersi o meno della sentenza stessa.
5.2. È infondata anche la censura contenuta nello stesso motivo, riferita alla dedotta violazione di legge, sia pure nei termini che seguono.
Deve precisarsi che, nella specie è incontestato che, nel corso del giudizio di primo grado, la RAGIONE_SOCIALE sia stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria con la nomina del commissario straordinario, senza che il processo sia stato interrotto, essendo stata, anzi, pronunciata sentenza nei confronti della stessa RAGIONE_SOCIALE.
Come di recente chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, in caso di apertura del fallimento l’interruzione del processo è
automatica, ai sensi dell ‘ art. 43, comma 3, l.fall., anche se il termine per la riassunzione o prosecuzione decorre dal momento in cui la dichiarazione giudiziale di interruzione sia portata a conoscenza di ciascuna parte (Cass., Sez. U., Sentenza n. 12154 del 07/05/2021).
In virtù del combinato disposto degli artt. 43, l. fall. e 19 d.lgs. n. 270 del 1999, come sopra anticipato, anche l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, come la dichiarazione di fallimento, comporta l’automatica interruzione del processo.
Ove la dichiarazione giudiziale di interruzione del processo manchi, e il processo prosegua, si determina la nullità di tutti gli atti successivi all’evento interruttivo, compresa la sentenza di primo grado, ai sensi degli artt. 298 e 304 c.p.c. (Cass., Sez. U., Sentenza n. 12154 del 07/05/2021).
Si tratta, tuttavia, di nullità relativa, soggetta alla disciplina dell’art. 157 c.p.c., e dunque non rilevabile d’ufficio, ed eccepibile solo dalla parte colpita dall’evento (Cass. Sez. U., sentenza n. 12154 del 07/05/2021; conf. da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 27688 del 02/10/2023), e non anche dalle altre parti che, non risentendo di alcun pregiudizio dall’evento interruttivo , non sono legittimati a far valere, come motivo di nullità della sentenza pronunciata, la violazione delle norme che disciplinano l’interruzione del processo, le quali sono dirette a tutelare solo la parte nei cui confronti si verifica l’evento interruttivo e che da esso può essere pregiudicata (v., in generale, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 34867 del 25/11/2022; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 18804 del 02/07/2021).
Non assume, infatti, rilievo la circostanza che, ai sensi dell’art. 43, comma 3, l.fall., l’ apertura del fallimento determina l’interruzione automatica del processo pendente, poiché la disciplina della nullità conseguente alla mancata interruzione è diversa dalla disciplina dell ‘ interruzione, dovendosi applicare il
disposto dell’art. 157, comma 1, c.p.c., secondo il quale non può pronunciarsi una nullità senza istanza di parte, se la legge non dispone che sia denunciata d’ufficio.
Nel caso di specie la nullità è stata fatta valere dalla controparte dell’impresa dichiarata insolvente, che non è la parte interessata dall’evento interruttivo, la quale, pertanto, non può ritenersi legittimata a far valere tale vizio.
A prescindere dalla disciplina processuale dell’interruzione, questa Corte ha, inoltre, evidenziato che la sentenza adottata nei confronti dell’imprenditore fallito è inopponibile al fallimento, in virtù di quanto stabilito da ll’ art. 43, comma 1, l.fall., ove è previsto che, per effetto della dichiarazione di fallimento, «nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di tipo patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore».
In particolare, secondo il giudice di legittimità, la sentenza pronunciata nei confronti del fallito non è nulla, né inutiliter data , bensì soltanto inopponibile alla massa dei creditori, in quanto l’eventuale definizione del processo, pur non potendo in alcun modo vincolare tali soggetti, rimasti estranei al suo svolgimento, è pienamente efficace nei confronti del fallito una volta tornato in bonis (cfr. Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 21363 del 09/10/2014; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8238 del 04/04/2013; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 27829 del 22/11/2017; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7076 del 03/03/2022).
Applicandosi all ‘ impresa ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria il disposto dell’art. 43 l.fall., il principio appena enunciato vale anche in quest’ultima ipotesi, come correttamente risulta avere statuito la Corte d’appello.
Il terzo motivo di ricorso principale è inammissibile.
6.1. Il ricorrente ha censurato la statuizione della Corte d’appello con la quale è stata respinta l’eccezione di difetto di legittimazione della COGNOME NOME COGNOME, quale avente causa della
RAGIONE_SOCIALE, deducendo che alla RAGIONE_SOCIALE era stato ceduto tutt o l’attivo della procedura di amministrazione giudiziaria, comprese le azioni giudiziarie pendenti, ma i diritti per cui è causa non erano compresi nella cessione, sicché l’unico legittimato continuava ad essere il commissario giudiziale della RAGIONE_SOCIALE, ammessa alla procedura, di cui ha affermato l’estinzione, senza che nessuno fosse subentrato ad essa nei crediti in questione.
Lo stesso ricorrente ha dedotto che l’estinzione della RAGIONE_SOCIALE e anche l’estinzione della RAGIONE_SOCIALE a seguito della fusione per incorporazione dovevano far ritenere rinunciati i crediti oggetto del presente giudizio, tenuto conto che la RAGIONE_SOCIALE non si era costituita nel giudizio di primo grado e la RAGIONE_SOCIALE nulla aveva iscritto in bilancio in relazione al credito cont roverso prima dell’estinzione , aggiungendo che o la sentenza di primo grado doveva ritenersi nulla perché emessa nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, soggetto non più titolare del presunto credito, oppure la domanda riconvenzionale del Comune doveva ritenersi procedibile nei confronti del successore a titolo particolare della RAGIONE_SOCIALE.
In argomento , la Corte d’appello ha statuito come segue: «Va poi osservato che la COGNOME è effettivamente successore a titolo particolare della RAGIONE_SOCIALE, e come tale legittimata ad intervenire in giudizio ex art. 111 c.p.c., perché la cessione dell”attivo della RAGIONE_SOCIALE in favore della RAGIONE_SOCIALE, poi incorpor ata dalla COGNOME COGNOME, ha riguardato tutti i crediti della RAGIONE_SOCIALE, conosciuti o meno che fossero dalla procedura ed indipendentemente anche dal fatto (‘ anche giudizi pendenti ‘ ) che per la tutela del credito fosse già pendente un giudizio. L’estinzione della RAGIONE_SOCIALE per cancellazione dal registro delle imprese – nella nota 19-1-17 il Comune parlava invero di estinzione della RAGIONE_SOCIALE, ma si tratta verosimilmente di un refuso: la COGNOME ha parlato di estinzione per cancellazione della RAGIONE_SOCIALE dopo la sua incorporazione da parte di essa COGNOME COGNOME, e non della
COGNOME; evento del resto del tutto incredibile se la procedura di amministrazione straordinaria è, come appare pacifico, ancora pendente – non comporta poi – non si pone una questione di interruzione perché non si tratta di soggetto che fosse parte del giudizio – la rinuncia del credito per cui è causa, affermata dal Comune in ragione della pretesa mancata indicazione dello stesso nel bilancio approvato prima della estinzione di detta società, atteso che l’estinzione è avvenuta dopo la sua incorporazione da parte della COGNOME NOME COGNOME, subentrata perciò nella titolarità del credito in questione. L’eccezione del Comune di difetto di legittimazione attiva della società intervenuta. L’eccezione del Comune di difetto di legittimazione attiva della società intervenuta appare perciò infondata. Sono piuttosto le domande riconvenzionali del Comune, riproposte in questa sede con l’atto d’appello, ad essere, come può essere rilevato d’ufficio anche in questo grado d’appello (arg. Cass. 08/21565), improcedibili nelle forme ordinarie nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, dovendo i crediti verso la società ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria essere fatti valere secondo il procedimento previsto dagli articoli 93 e seguenti della legge fallimentare, sostituito al curatore il commissario straordinario (art. 53 d. lgs. n. 270/99). Va pertanto emessa la relativa pronuncia di improcedibilità delle domande riconvenzionali del Comune, fermo peraltro il possibile rilievo come eccezioni dei fatti posti a fondamento di dette domande.»
6.3. Il ricorrente ha semplicemente riproposto le proprie argomentazioni, esposte in modo del tutto generico, senza neppure spiegare le ragioni per le quali le affermazioni della Corte di merito, appena riportate, non potevano essere condivise (l’intervenuta cessione dei crediti in questione, la pendenza della procedura concorsuale, l’estinzione della RAGIONE_SOCIALE dopo la fusione per incorporazione, ecc..), così operando una censura che difetta di specificità, in violazio ne dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.
7. Il quarto motivo di ricorso principale è inammissibile.
La Corte d’appello ha ritenuto infondata l’eccezione con la quale il Comune aveva dedotto l’operatività della clausola compromissoria contenuta in contratto, pur senza attribuire valore di giudicato alla pronuncia del Collegio arbitrale, che aveva declinato la propria competenza, statuendo in particolare come segue: «E tuttavia l’eccezione del Comune va respinta perché la disposizione di cui all’art. 3 II co. d.l. n. 180/98, conv. l. 267/98, in base alla quale il collegio arbitrale ha declinato la propria competenza, non può ritenersi abrogata, come afferma l’appellante, dal co. 4 bis introdotto nell’art. 32 l. n. 109/94 dall’ art. 7, co. l, lett. v), l. n. 166/02. L’art. l co. 2 quater della successiva l. n. 62/03, di conversione del d.l. n. 15/03, conferma la disposizione, da ritenere mai venuta meno, di cui all’art. 3 Il co. d. l. n. 180/98 citato e l’art. 5 co. XVI sexies l. n. 80/05, che ha modificato l’art. 32 l. n. 109/94 nei co. 2, 2 bis e 2 ter, pur esso richiamato dal Comune, appare irrilevante ai fini in questione, atteso che queste nuove disposizioni appaiono applicabili alle procedure arbitrali consentite in via generale dal I co. di detto articolo e non implicano affatto un’abrogazione implicita della disposizione in questione. Una tale abrogazione non sembra intervenuta neanche con la disciplina di cui all’art. l co. 19 della l. n. 190/127, peraltro abrogata dall’art. 217 d. lgs. n. 50/16. Ma questa disciplina appare comunque irrilevante in questa sede atteso che si tratta di disciplina entrata in vigore successivamente all’introduzione del presente giudizio e perciò inapplicabile ex art. 5 c.p.c. al presente giudizio.» .
Il Comune ha, invece, dedotto che l ‘art. 5 comma 16 sexies e ss. l. n. 80 del 2005 (che ha convertito il d.l. n. 35 del 2005), entrato in vigore prima della introduzione del presente giudizio, ha novellato l’art. 32 l. n. 109 del 1994 , emendando il comma 2 ed inserendo o commi 2 bis e 2 ter , così rendendo nuovamente operativo l’arbitrato anche nel settore delle opere RAGIONE_SOCIALEiche.
La parte ha semplicemente enunciato la ritenuta operatività della clausola compromissoria genericamente indicata come presente in contratto, senza spiegare per quali ragioni le modifiche apportate all’art. 32 l. n. 109 del 1994 dalla l. n. 80 del 2005 dovessero essere interpretate nel senso che avevano di nuovo reso possibile l’arbitrato nella controversia in questione, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello .
Il motivo, così come formulato, deve, dunque, ritenersi inammissibile per difetto di specificità, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c.
8. Il quinto motivo è inammissibile.
Il ricorrente h a censurato la sentenza d’appello nella parte in cui ha escluso che il giudice di primo grado avesse omesso di pronunciarsi sulla eccepita transazione, che il Comune aveva dedotto come risultante dall’atto di sottomissione sottoscritto dalla RAGIONE_SOCIALE il 31/12/2002, e ha anche escluso che tale atto avesse il valore giuridico che il Comune aveva affermato.
In particolare, l a Corte d’appello , ha ritenuto che il Tribunale avesse vagliato tale eccezione mediante il richiamo a quanto affermato sul punto dal CTU ( « l’atto di sottomissione firmato dalla dotta non ha avuto effetto di sanatoria rispetto a tutte le riserve, ma solo alle opere di variante» ) e comunque ha escluso che con tale atto l’appaltatrice avesse rinunciato alle riserve già iscritte in relazione ai RAGIONE_SOCIALE fino ad allora eseguiti, precisando che nell’atto non vi era alcun riferimento alle riserve, mentre le rinunce devono essere inequivoche e, nel caso di specie, era improbabile la ricostruzione del Comune, visto che l’impegno ad eseguire i RAGIONE_SOCIALE di aveva comportato un aumento del corrispettivo solo dell ‘1%.
La critica riferita alla ritenuta omessa pronuncia del primo giudice è inammissibile, poiché non tiene conto del fatto che la Corte d’appello ha comunque riesaminato la questione relativa alla
interpretazione dell’atto sottoscritto il 31/12/2002 , statuendo sul punto.
La censura all’interpretazione operata , in ordine a tale questione, dalla Corte d’appello, poi, per quanto menzioni gli artt. 1362 e 1365 c.c., non contiene una specifica illustrazione delle ragioni giuridiche della critica operata, ma si risolve nella rappresentazione della ritenuta migliore interpretazione dell’atto, che costituisce una questione di merito, non sindacabile in sede di legittimità.
Il sesto motivo di ricorso, riferito al mancato rinnovo della CTU, è inammissibile.
Com’è noto, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o in toto , le indagini, sostituendo l’ausiliare del giudice e l’ esercizio di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti in cui è censurabile la relativa motivazione (Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 2103 del 24/01/2019; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 21525 del 20/08/2019)
Il ricorrente ha riproposto in questa sede le contestazioni formulate alla CTU, deducendo che avrebbero potuto essere valutate dal giudice almeno ai fini dell’accoglimento della richiesta di rinnovo, ma il Giudice del gravame ha statuito sulle stesse, respingendole, ed anche sulla richiesta di rinnovo, con provvedimento motivato, che la parte ha contestato mediante la mera riproposizione degli argomenti già motivatamente respinti dalla Corte di merito, accompagnati da valutazioni in fatto che attengono al merito della vertenza, inammissibili in sede di legittimità.
Il settimo motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente ha censurato la statuizione di merito nella parte in cui ha accolto la domanda di risoluzione del contratto di appalto per violazione da parte del Comune del dovere di cooperare all’adempimento della prestazione che l’appaltatore era chiamato ad eseguire.
La Corte d’appello ha ritenuto di accogliere la domanda di risoluzione ritenendo imputabile al Comune l’impossibilità di eseguire i RAGIONE_SOCIALE in INDIRIZZO per la mancata disponibilità delle aree sulle quali realizzare i manufatti, trattandosi di aree di terzi non occupate se non in parte con atto del 29/03/2002.
Ai fini del risarcimento del danno collegato alle riserve 1 e 2, riferite ai ritardi nel completamento dei RAGIONE_SOCIALE in loc. Colpertana e Lanciano, la Corte d’appello ha, poi, dato rilievo agli errori di progetto del Comune (mancata previsione di edifici pericolanti con la conseguente necessità della loro messa in sicurezza, imprecisa individuazione delle aree da destinare ai RAGIONE_SOCIALE che aveva implicato la necessità di procedere agli espropri; ritardi con i quali sono state approvate le necessarie varianti al progetto) e, ritenendo non provate alcune delle circostanze dedotte dal Comune per addebitare tutto alla RAGIONE_SOCIALE (mancato tempestivo inizio dei RAGIONE_SOCIALE, svolgimento delle opere con maestranze scarse, incapacità di organizzarsi per eseguire i RAGIONE_SOCIALE dove era possibile), ha dato importanza, quale fatto imputabile all’impresa, alla mancata considerazione dell’inadeguatezza del progetto (sia intrinseca sia in relazione alle aree sulle quali il progetto avrebbe dovuto essere realizzato), in assenza di prova che, nonostante i rilievi di detta inadeguatezza, le fosse staro imposto di procedere ugualmente all’esecuzione (p. 21-23 della sentenza impugnata).
10.1. Deve dichiararsi inammissibile il motivo, nella parte in cui è dedotta la violazione degli att. 115 e 116 c.p.c.
Come più volte evidenziato da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una ritenuta erronea valutazione del materiale istruttorio, compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (v. da ultimo Cass., Sez. 1, Sentenza n. 6774 del 01/03/2022).
10.2. Inoltre, con riferimento agli altri profili di censura, si deve considerare che il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023).
Come ribadito di recente dalle Sezioni Unite, deve, infatti, ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass.,
Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021).
Nella specie, le censure ai sensi dell’art. 3 60, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c. si risolvono in critiche alla valutazione in fatto operata motivatamente dal giudice di merito, che ha illustrato le ragioni per le quali non ha ritenuto provate le circostanze dedotte dal Comune, riproposte al Giudice di legittimità, cui ha richiesto un inammissibile riesame in fatto delle risultanze di causa.
Anche l’ottavo motivo , riferito al dedotto cumulo tra interessi legali e interessi moratori, è inammissibile.
La Corte di merito ha, infatti, ritenuto che la corrispondente censura proposta in grado di appello fosse infondata perché tale cumulo non vi era, derivando la critica da una errata lettura della statuizione del primo giudice, che doveva essere letta in coerenza con quanto indicato dal CTU, ove sono stati computati gli interessi legali (o meglio, gli interessi compensativi al tasso legale) sulle somme dovute in base alle riserve 1 e 2 e gli interessi moratori sulla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno.
La parte ha riproposto in sede di legittimità la medesima censura formulata in appello, ribadendo che la sentenza aveva operato il cumulo tra interessi legali e interessi moratori, senza tenere conto del tenore della decisione della Corte d’appello sul punto, così non cogliendo la ratio della decisione impugnata che, invece, aveva escluso che vi fosse tale cumulo.
Il primo motivo di ricorso incidentale è inammissibile.
La ricorrente incidentale ha censurato la statuizione del giudice di appello sula danno lamentato con le riserve 1 e 2, per violazione dell’art. 1218 c.c., ritenendo che il giudice di merito avesse erroneamente fatto riferimento alla presunzione di colpa in esso prevista, poiché ciò che la RAGIONE_SOCIALE aveva lamentato era il mancato adempimento dell’obbligo di cooperazione del creditore e non la responsabilità per il ritardo nel completamento dell’opera,
aggiungendo che, pertanto, non poteva ritenersi operante la presunzione di colpa che esiste per il secondo.
C ome sopra evidenziato, la Corte d’appello ha ritenuto, con riferimento al danno lamentato nella riserva 1 e 2, che esso era addebitabile, per quanto riguardava il Comune, agli errori progettuali a cui l’ente locale aveva dato (in parte) tardivo rimedio con l’adozione delle varianti , e, per quanto riguardava l’impresa, dal mancato rilievo dell’inadeguatezza del progetto (p. 21-23 della sentenza impugnata), così dando applicazione all’art. 1227 c.p.c. e attribuendo pari responsabilità delle parti nella causazione del danno sulla base della responsabilità che ha ritenuto accertata.
La ricorrente incidentale ha assertivamente dedotto che il danno doveva essere valutato diversamente, senza spiegare dove e perché la Corte d’appello, con la decisione in concreto assunta , neppure considerata negli elementi posti a fondamento della stessa, avesse violato la norma richiamata.
La critica non risulta neppure aver colto la ratio della decisione, tenuto conto che la Corte d’appello non ha fatto ricorso alla presunzione di co lpa dell’impresa, ma ha distribuito la responsabilità del danno descritto nelle riserve 1 e 2, sulla base del concorso che ha ritenuto, in fatto, accertato di committente e appaltatore.
Per queste stesse ragioni risulta inammissibile anche il secondo motivo di ricorso incidentale.
Secondo la ricorrente incidentale, la Corte di appello, da una parte, ha giustificato la risoluzione del contratto per la presenza di impedimenti all’esecuzione dei RAGIONE_SOCIALE imputabili al Comune nelle località di Colpertana e Lanciano , dall’altra, non ha fatto discendere da tali accertamenti il riconoscimento che l’appaltatore aveva fornito la prova liberatoria della sua responsabilità.
La parte non ha colto la ratio della decisone, che ha fondato l’accoglimento della domanda di ris oluzione in ragione dell’addebit o
al Comune dell’impossibilità di ultimare i RAGIONE_SOCIALE in INDIRIZZO. Gaifana, ritenendo, invece, la concorrente responsabilità delle parti nel ritardo con cui sono terminati i RAGIONE_SOCIALE in loc. Copertana e Lanciano.
Il conclusione, il ricorso principale deve essere respinto e quello incidentale deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese di lite devono essere compensate in considerazione della reciproca soccombenza.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa interamente tra le parti le spese di lite; applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, dà atto, in pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione