Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20398 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 20398 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/07/2024
SENTENZA
sul ricorso n. 11777/2019 proposto da:
NOME, difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
Banca D’Italia , difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 6299/2018 depositata l’ 8/10/2018.
Udita la relazione svolta nella udienza pubblica dal consigliere NOME COGNOME; udito il P.M., nella persona del Sostituto P.G., NOME COGNOME, che ha con- cluso per il rigetto del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente e l’AVV_NOTAIO per la controricorrente.
Fatti di causa
NOME COGNOME, ex componente (privo di deleghe operative) del consiglio di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE, ha proposto – prima dinanzi al Tar e poi, in conseguenza di Corte cost. n. 95/2014, dinanzi alla Corte di appello di Roma – ricorso avverso una sanzione amministrativa di € 129.000 irrogata da Banca d’Italia in relazione alla c.d. operazione Fresh (cioè l’aumento del capitale sociale di € 950 milioni, nel quadro di un rinvigorimento patrimoniale funzionale all’ acquisizione di Banca Antonveneta), per mancate comunicazioni all’organo di vigilanza ed errate segnalazioni di vigilanza, mancato rispetto del requisito patrimoniale minimo complessivo a livello consolidato, inosservanza delle forme tecniche dei bilanci.
La Corte di appello ha rigettato l’opposizione.
COGNOME ha proposto ricorso in cassazione con sette motivi, illustrati da memoria, cui ha resistito la Banca d’Italia con controricorso e memoria.
In vista della pubblica udienza il Sostituto P.G., dott. NOME COGNOME, ha depositato conclusioni scritte nel senso del rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. -Il primo (p. 6) e il secondo (p. 10) motivo censurano la mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti dal ricorrente. Il ricorrente lamenta che la Corte di appello ha inteso il processo di opposizione non come il luogo nel quale si accertano i fatti posti fondamento della sanzione, sulla base delle prove offerte dalle parti, bensì un giudizio che, incentrandosi sull’atto, non richiede lo svolgimento di una fase istruttoria vera e propria. Ricorda che la Corte EDU ha riconosciuto alla fase di opposizione giudiziale alla sanzione della Consob (ma lo stesso vale anche per le sanzioni della Banca d’Italia ) la funzione fondamentale di porre rimedio ai difetti del procedimento amministrativo. Sostiene che tutte le prove ammissibili sono necessarie ai fini della decisione. Ripropone eccezioni di incostituzionalità della disciplina con riferimento alle garanzie costituzionali del giusto processo.
Sollecita una corrispondente pregiudiziale interpretativa dinanzi alla Corte
di giustizia UE. In particolare, si deduce violazione degli artt. 6 cedu, 24 e 111 cost., in combinato disposto con gli artt. 115, 187 e 202 c.p.c.; si sollecita una questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 co. 53 d.lgs. 72/2015, per violazione degli artt. 6 cedu, 24 e 111 cost., in relazione all’art. 145 d. lgs. 385/1993, come modificato dall’art. 1 co. 53 lett. E -L d.lgs. 72/2015 (primo motivo). Si sollecita a sollevare una questione pregiudiziale interpretativa dell’art. 145 d. lgs. 385/1993 d inanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea, per violazione dell’art. 48 Carta diritti fondamentali UE e dell’art. 6 Cedu (secondo motivo).
I primi due motivi sono inammissibili per difetto di specificità.
La Corte (p. 22) ha motivato il rigetto delle istanze istruttorie rinviando all’ordinanza del 25/7/2016. Come ha osservato il P.M., questa forma di rinvio per relationem ad atto endoprocedimentale, reso nel contraddittorio delle parti, è ammissibile. Dopo aver svolto un’ampia serie di argomentazioni teoricamente intonate, il ricorrente non giunge a riprendere specificamente il contenuto di tale provvedimento, né ad assoggettarlo a critiche dettagliate, né ad argomentare, al cospetto di ciò, il carattere di decisività delle proprie istanze istruttorie. Si aggiunga che emerge dalla narrativa della sentenza impugnata (p. 3) che, nella fase amministrativa, egli ha avuto la possibilità di prendere conoscenza degli atti istruttori funzionali al procedimento sanzionatorio.
2. Il terzo motivo (p. 15) denuncia l’erronea applicazione del principio del dovere di agire informati gravante sugli amministratori di società privi di deleghe operative. Si deduce violazione degli artt. 2381 co. 6 c.c., in combinazione con l’art. 2392 co. 2 c.c. Si fa valere che le deleghe operative erano state attribuite al Direttore generale e al Presidente del Consiglio di amministrazione e che COGNOME non ha avuto modo di avvedersi di una situazione che sarebbe poi emersa, anche per le autorità di vigilanza, quattro anni dopo.
Il terzo motivo non è fondato.
La Corte di appello ha considerato -in linea con la giurisprudenza di legittimità che il dovere dell’amministratore privo di delega di attivarsi sorge alla presenza di «un segnale di pericolo o di sintomi di patologia nelle operazioni da compiere», ovvero di «indici rilevatori, di segnali perspicui e peculiari del fatto illecito posto in essere o che sta per essere posto in essere dagli amministratori operativi» (Cass. n. 22848/2015; Cass. n. 24851/2019; Cass. n. 19566/2020 ). L’orientamento è stato corre ttamente applicato al caso attuale, giacché «due circostanze avrebbero dovuto allertare il componente del consiglio di amministrazione non titolare di deleghe ad esercitare in maniera pregnante il potere ispettivo interno, richiedendo dettagliate informazioni: in primo luogo la natura strategica dell’operazione Fresh; in secondo luogo le comunicazioni eccessivamente sintetiche fornite dagli organi delegati».
Il terzo motivo è rigettato.
3. – Il quarto motivo (p. 21) ed il quinto motivo (p. 24) censurano che sia stato applicato il rito previgente al d.lgs. n. 72/2015, anziché l’intero nuovo rito. Si rileva che il giudizio dinanzi alla Corte di appello è stato introdotto ex novo il 6/7/2015 dopo l’entrata in vigore (il 27/6/2015) del d.lgs. n. 72/2015, per cui ex art. 2 co. 5 d.lgs. 72/2015 si sarebbe dovuta applicare la disciplina dell’art. 145 co. 4, 5, 6, 7, 7 -bis nel testo introdotto dall’art. 1 co. 53 lett. E, F, G, H, I, L d.lgs. n. 72 /2015. Si considera che l’art. 11 d.lgs. n. 104/2010 (di cui si afferma il carattere di disposizione speciale rispetto all’art. 59 l. n. 69/2009) prevede lo strumento della riproposizione del processo dinanzi al giudice indicato nella declinatoria di giurisdizione e non nella riassunzione, come fa a certe condizioni l’art. 59 l. 69/2009. Pertanto, la parola «riproposizione» indica l’instaurazione di un nuovo giudizio. In particolare, si deduce la violazione delle disposizioni citate per essere stata applicata la disciplina del rito ex vecchio testo dell’art. 145 cit., con l’applicazione (ex art. 2 co. 5 cit. ultima proposizione) della sola novità concernente il carattere pubblico dell’udienza (quarto motivo). Per l’ipotesi che si
reputi corretta l’applicazione della disciplina previgente, si sollecita a sollevare la questione di costituzionalità dell’art. 2 co. 5 cit. per violazione della parità di trattamento ex art. 3 Cost., nonché dell’art. 6 Cedu, mercé l’interposizione dall’art. 117 cost. (quinto motivo) .
Il quarto e il quinto motivo sono da disattendere.
In primo luogo, il ricorrente non si confronta espressamente con l’affermazione del provvedimento impugnato (p. 19) che il «rito effettivamente osservato è quello di cui all’art. 145 d. lgs. n. 385/1993, quale novellato dall’art. 1 co. 53 d.lgs. n. 72/2015». In secondo luogo, anche in caso di riproposizione, unico è il rapporto processuale, cosicché la litispendenza rimane ancorata all’introduzione originaria del giudizio dinanzi al giudice amministrativo: «L’unicità del giudizio, dal quale discende la salvezza degli effetti della domanda originaria, riconosciuta dall’art. 59 l. 69/2009, sussiste anche quando la domanda non venga ‘riassunta’, bensì ‘riproposta’» (cfr. tra le altre cfr. Cass. n. 15223/2016). La questione di costituzionalità è manifestamente infondata, perché le differenze di disciplina processuale tra il vecchio e nuovo rito non sono censurabili, né sotto il profilo della parità di trattamento, né sotto il profilo della garanzia del giusto processo.
Il quarto e il quinto motivo sono rigettati.
4. Il sesto motivo argomenta l’applicazione del nuovo regime sanzionatorio introdotto dal d. lgs. n. 72/2015 (cfr. artt. 144-ter e 144-quater: in primo luogo sanzionato l’ente e in secondo luogo la persona fisica su lla base di presupposti specifici). Si deduce violazione dell’art. 2 co. 3 d. lgs. n. 72/2015, in relazione ai principi generali del diritto europeo e all’art. 2 co. 2 ultimo alinea reg. 2988/98/CE. Si sollecita a sollevare dinanzi alla Corte di Giustizia UE la questione pregiudiziale di interpretazione dell’art. 2 co. 3 d. lgs. n. 72/2015 rispetto ai principi di diritto europeo e, in particolare, al principio del favor rei.
Il sesto motivo è infondato.
L’ art. 2 co. 3 d.lgs. n. 72/2015 detta la disposizione transitoria di base ed è univoco nel l’ attribuire rilevanza al momento della commissione della violazione e non al momento dell’instaurazione del correlativo processo di opposizione. Cioè, le modifiche apportate dal d.lgs. n. 72/2015 al titolo VIII d.lgs. n. 385/1993 si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Banca d’Italia (ai sensi dell’art 145quater), mentre alle violazioni commesse prima (di tale data di entrata in vigore), come quelle del caso di specie, continuano ad applicarsi le norme del titolo VIII d.lgs. n. 385/1993 vigenti prima della data di entrata in vigore del d.lgs. n. 72/2015. In assenza di una connotazione penale delle sanzioni de quibus e al pari di quanto già affermato da questa Corte con riferimento alle sanzioni Consob (cfr. Cass. n. 24375/2023), rimane fermo il principio dell’irretroattività della legge più favorevole, che vige in materia di sanzioni amministrative. Pertanto, non sono persuasivi gli argomenti (applicazione diretta della direttiva UE, principio del favor rei) che sostengono l’applicazione delle nuove norme al caso attuale.
Il sesto motivo è rigettato.
Il settimo motivo (p. 37) denuncia l’incompatibilità della presunzione di colpa ex art. 3 l. 689/1981 con l’art. 48 della Carta dei diritti fondamentali UE.
L’infondatezza del settimo motivo discende già dal rigetto del terzo motivo. La condotta sanzionata è essenzialmente di tipo omissivo, per cui ai fini del giudizio di riprovevolezza è sufficiente che sia acquisita la prova della omissione, in assenza di elementi che rendono inesigibile la condotta o imprevedibile l’evento.
Il settimo motivo è rigettato.
– Non sposta il quadro il fatto nuovo allegato dal ricorrente in memoria (con richiesta subordinata di sospensione del giudizio), cioè che pendono dinanzi alla Corte EDU ricorsi su questioni giuridiche identiche a quelle oggetto del ricorso attuale.
7. – Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo uni ficato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della parte controricorrente, che liquida in € 8.300 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile,