Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8182 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8182 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 28/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3568/2016 R.G. proposto da Associazione professionale Avvocati NOME, NOME e NOME COGNOME , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende , unitamente all’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
– controricorrente –
e contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione
– intimato –
avverso il decreto n. cron. 831/2016 del Tribunale di Terni, depositato il 22.1.2016;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25.2.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’ Associazione professionale Avvocati NOME NOME e NOME COGNOME (d’ora innanzi anche l’Associazione) , propose impugnazione contro l’ammissione al passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE del credito insinuato da Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. (d’ora innanzi anche Monte Paschi o la banca) per complessivi € 1.381.816,67, derivanti da finanziamenti concessi alla società poi fallita. A sostegno dell’impugnazione l’Associazione prospettò che la banca avesse provocato danni alla società finanziata, non mantenendo gli impegni presi per la concessione di un finanziamento ben superiore, recedendo arbitrariamente dalle aperture di credito concesse, applicando interessi usurari ed effettuando prelievi non richiesti dalla titolare dei conti.
Il Tribunale di Orvieto dichiarò l’impugnazione inammissibile, perché tardiva, ma il decreto, su ricorso dell’Associazione , venne cassato con rinvio al Tribunale di Terni, il quale rigettò l’impugnazione nel merito.
Contro il decreto del Tribunale di Terni l’Associazione ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
Monte dei Paschi si è difesa con controricorso, mentre il fallimento è rimasto intimato.
Il ricorso è trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi de ll’ art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., l’Associazione denuncia
la violazione del l’art. 1362 c.c., nonché dell’art. 1381 c.c. e degli artt. 244 e 210 c.p.c., anche in relazione all’art. 94 disp. att. c.p.c., con coinvolgimento degli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e degli artt. 24 e 111 Cost .
La ricorrente si duole che il Tribunale: le abbia attribuito una carente allegazione del danno asseritamente provocato dalla banca alla società poi fallita; non abbia considerato la violazione della promessa del fatto del terzo quale fonte dell’obbligazione risarcitoria (con riferimento al finanziamento che avrebbe dovuto essere concesso da Banca Verde S.p.A.); non abbia ammesso le prove testimoniali da lei dedotte e l’ordine di esibizione richiesto, in quanto ritenuti generici.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Si nota innanzitutto il cumulo disordinato di una pluralità di censure, sia con riferimento al tipo di vizio denunciato (n. 3 e n. 4 dell’art. 360, comma 1, c.p.c.), sia con riguardo ai numerosi e non connessi parametri normativi asseritamente violati.
Inoltre, nonostante tale pletora di riferimenti normativi, il motivo è volto in sostanza a criticare l’accertamento del fatto e, in particolare, l’affermazione del Tribunale secondo cui «la ricorrente non ha offerto alcuna prova della fondatezza delle proprie doglianze, limitandosi a formulare richieste di assunzione di prove costituende, talora inammissibili e comunque irrilevanti ai fini della decisione».
L’accertamento negativo dei fatti posti a fondamento della domanda è di per sé insindacabile con il ricorso per cassazione e, rispetto ad esso, assume valore accessorio, e non decisivo, l’ulteriore rilievo del Tribunale in merito alla inadeguata allegazione del danno subito dalla società fallita e del nesso causale tra tale danno e i comportamenti illeciti attribuiti alla
banca. Insufficiente allegazione che, del resto, è in qualche modo confermata dalla stessa affermazione -ribadita anche nel ricorso per cassazione -secondo cui il pregiudizio economico sarebbe stato «quantomeno equivalente … all’ammontare del mancato finanziamento». Infatti, un contratto di finanziamento non comporta alcun incremento patrimoniale in capo al soggetto finanziato, posto che, contemporaneamente all ‘ acquisita disponibilità della somma erogata, sorge il debito per la restituzione della somma stessa e degli interessi. È dunque evidente che il danno conseguente alla mancata erogazione del finanziamento va cercato altrove e che non può essere identificato e quantificato in misura pari all’importo non erogato.
Per quanto riguarda la mancata ammissione dei mezzi istruttori, il giudizio sulla superfluità o genericità della prova testimoniale è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto, che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici ovvero su palesi incongruenze di ordine logico (Cass. nn. 34189/2022; 34547/2024). Nel caso di specie, i principi giuridici applicati dal Tribunale di Terni sono sicuramente corretti, non essendo ammissibile la prova testimoniale, se non «dedotta mediante indicazione specifica … dei fatti» (art. 244 c.p.c.), e potendo disporsi l’ordine di esibizione soltanto con «la specifica indicazione del documento» da esibire (art. 94 disp. att. c.p.c.). E, anche in concreto, la descrizione nel ricorso per cassazione dei mezzi di prova richiesti e non ammessi, lungi dal porre in luce incongruenze di ordine logico nella decisione del giudice di merito, non fa che confermare che si trattava di richieste del tutto generiche.
Il secondo motivo di ricorso censura, con riferimento all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 1815,
comma 2, c.c. e 644 c.p., nonché error in procedendo per violazione degli artt. 61, 192, 210 e 244 c.p.c.
Il motivo si concentra sulla parte del decreto impugnato in cui il Tribunale ha escluso l’usura che, secondo la ricorrente, la banca avrebbe commesso nei confronti della società poi fallita. In particolare, la ricorrente nega che quella prospettata nell’impugnazione dell’ammissione al passivo fosse la c.d. usura in concreto (o soggettiva), per la sussistenza della quale è richiesto che il soggetto usurato si trovi «in condizioni di difficoltà economica o finanziaria» (art. 644, comma 2, c.p.).
2.1. Il motivo è inammissibile.
Anche in questo caso la ricorrente coglie solo un aspetto accessorio, e non quello essenziale, della motivazione del Tribunale, il quale -oltre alla mancata allegazione di una situazione di difficoltà economica del preteso usurato -ha rilevato l ‘assenza di prova del fatto principale (l’usura, intesa come pattuizione di interessi sproporzionati a danno del soggetto finanziato) e l’inammissibilità delle generiche prove offerte, in particolare con riferimento alla pretesa riconducibilità di una pluralità di contratti «ad un’operazione negoziale complessivamente unitaria, realizzata mediante la stipulazione di contratti collegati».
Pertanto, non è stato negato soltanto il presupposto (condizione soggettiva del debitore) per l’usura in concreto, ma è stata negata l’usura tout court , che la ricorrente aveva prospettato e prospetta, non con riguardo al contenuto intrinseco di uno o più contratti, bensì come risultato finale di un complesso di asseriti comportamenti del personale della banca, anche difformi rispetto alle previsioni contrattuali.
Quanto alla decisione di non ammettere le prove offerte in merito alla prospettata usura, valgono le medesime
considerazioni già svolte trattando dell’inammissibilità del primo motivo di ricorso.
Il terzo motivo denuncia error in procedendo , ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per incongrua applicazione dell’art. 210 c.p.c. e dell’art. 94 disp. att. c.p.c. , anche in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. e agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. Inoltre, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. si prospetta la violazione degli artt. 1834, comma 2, 1852 e 2033 c.c. , nonché dell’art. 2697 c.c.
Oggetto di attenzione sono, in questo caso, i giroconti con prelevamenti da conti correnti asseritamente riferibili alla società poi fallita che si assumono effettuati dalla banca senza ordine o autorizzazione della società medesima.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Il Tribunale ha accertato, in fatto, che uno dei prelievi (per circa € 600.000) era stato effettuato per trasferire i fondi su un altro conto della medesima società poi fallita. Pertanto, non si era trattato di una sottrazione di fondi a danno di quella società. Né ha alcun valore, in questa sede, la pur esatta osservazione che «l’accredito su tale conto non si traduce in un incremento del patrimonio del correntista» (pag. 23 del ricorso per cassazione), posto che il fatto da provare non era certo «un incremento del patrimonio del correntista», bensì, al contrario, il suo depauperamento, provocato dalla banca e implicante un obbligo risarcitorio a suo carico, da opporre in compensazione del credito ammesso al passivo.
Per gli altri prelievi, il Tribunale ha escluso che vi fosse la prova della riferibilità alla società poi fallita dei conti correnti dai quali vennero effettuati i prelievi per giroconto, dovendosi intendere implicitamente ribadito, anche con riferimento a questa parte della domanda, il già espresso insindacabile
giudizio di inammissibilità delle generiche prove offerte a sostegno.
Il quarto motivo denuncia nuovamente error in procedendo (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.), con riferimento alla violazione degli artt. 91, comma 1, e 92, comma 2, c.p.c.
La censura riguarda la liquidazione delle spese di lite, a carico della ricorrente, in unica somma complessiva (invece che separatamente per le varie fasi: primo giudizio di merito, primo giudizio di legittimità, secondo giudizio merito), nonché senza distinguere le spese e le varie voci delle competenze e applicando il principio della soccombenza senza tenere conto del successo della ricorrente sulla questione della tempestività della impugnazione, inizialmente negata dal Tribunale di Orvieto.
4.1. Anche quest’ultimo motivo è inammissibile .
Innanzitutto, la soccombenza va apprezzata con riguardo all’esito finale dell’intero processo e non separando le singole fasi, sicché legittimamente il Tribunale ha attribuito alla società ricorrente il carico integrale delle spese di lite (Cass. nn. 17134/2023; 1570/2023; 1407/2020; 15506/2018).
In secondo luogo, la censura sulla liquidazione unitaria e indistinta delle spese per l’intero processo quantunque esprimente una tesi in sé corretta -è inammissibile per genericità, posto che non viene nemmeno prospettato che il Tribunale, così facendo, abbia superato i massimi liquidabili in base alle tariffe e ai parametri via via vigenti. Con l’ulteriore precisazione che il valore della causa non sarebbe «indeterminabile», come indicato dalla ricorrente, ma pari all’importo del credito la cui ammissione al passivo è stata integralmente contestata con l’ impugnazione (€ 1.381 .816,67).
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in
dispositivo in favore di Monte Paschi, mentre nulla occorre provvedere sulle spese con riguardo alla parte rimasta intimata.
Si dà atto che, in base al l’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore di Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 10.000 per compensi, oltre alle spese generali al 15%, a € 200 per esborsi e agli accessori di legge;
dà atto, ai sensi dell ‘ art.13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del