Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5537 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5537 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22440/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE); -ricorrente- contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentate e difese dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di GENOVA n. 502/2020, depositata il 4/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
1. Nel 2015 NOME COGNOME conveniva in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME, deducendo: di avere acquistato dalle convenute nel 2005 un appartamento, sito in Santa Margherita Ligure, collocato al piano terra di un edificio con annessa porzione di terreno a giardino e terrazzo, nonché posto macchina; che nel 2008 si verificavano gravi infiltrazioni e vistose crepature in diversi punti dell’appartamento sia nella parte interna che nella parte esterna e su incarico del condominio l’immobile veniva visionato da un tecnico (COGNOME), il quale precisava che i dissesti potevano essere considerati analoghi a quelli verificatisi circa cinque anni prima, quando l’immobile era ancora di proprietà delle convenute, invero nel 2002 lo stesso COGNOME su incarico dell’amministratore del condominio aveva riscontrato gravi lesioni nelle pareti interne, nei pavimenti e nella facciata principale di due unità immobiliari dell’edificio, addebitandole alla scarsa stabilità della fondazione del fabbricato, così che aveva affermato la necessità di una serie di opere di rafforzamento degli elementi strutturali del medesimo fabbricato; che nel 2003 il condominio affidava la realizzazione delle opere di consolidamento a una ditta, su progetto e direzione dello stesso COGNOME, opere che furono iniziate prima della vendita dell’immobile; che nel 2008 l’attrice provvedeva a fare redigere una perizia dello stato dei luoghi da un tecnico, che riscontrava un cedimento delle fondazioni della parte anteriore e retrostante dell’edificio con traslazione verso il mare; che l’attrice instaurava quindi un procedimento di accertamento tecnico preventivo, conclusosi con una relazione nella quale il consulente riscontrava la presenza di cedimenti in atto nell’edificio con un quadro fessurativo in evoluzione, il che comportava l’esecuzione di un intervento di arresto dei movimenti nel più breve tempo possibile e si riscontrava come l’intervento effettuato nel 2003 non avesse consolidato l’edificio; che venivano effettuati
lavori di sottofondazione dell’edificio che però non davano i risultati sperati, tanto che il Comune di Santa Margherita, con ordinanza del 16 aprile 2014, dichiarava l’inagibilità di tutto l’edificio e con successiva comunicazione del 3 giugno 2014 intimava all’amministratore e ai condomini di incaricare un tecnico per predisporre le opere necessarie alla messa in sicurezza dell’edificio. L’attrice adduceva quindi la responsabilità per inadempimento delle venditrici, ricorrendo nella fattispecie gli estremi di una vendita aliud pro alio , atteso che a causa dei gravi vizi l’immobile, costruito su una frana in movimento, era del tutto inutilizzabile sin dal 2008; chiedeva quindi di condannare le venditrici in solido a corrisponderle le somme necessarie per l’esecuzione dei lavori per rendere agibile l’immobile e al risarcimento di tutti i danni provocati per il mancato utilizzo dello stesso dal 2008 fino al completo ripristino. Il Tribunale di Genova, con sentenza n. 1475 del 2017, rigettava le domande proposte da COGNOME.
La sentenza è stata impugnata da COGNOME. Con la sentenza 4 giugno 2020, n. 502, la Corte d’appello di Genova ha rigettato il gravame.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ricorre per Cassazione. Resistono con controricorso NOME e NOME COGNOME. La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in sei motivi, tra loro strettamente connessi.
Il primo motivo denuncia ‘nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.’: la motivazione della Corte d’appello, laddove afferma che l’immobile nel momento in cui era stato compravenduto non presentava difetti strutturali
così gravi da renderlo inservibile e inagibile, è meramente apparente avendo escluso la sussistenza di difetti strutturali che lo rendevano inservibile e inagibile in maniera del tutto apodittica.
Il secondo motivo denuncia ‘nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.’: nel caso in esame ci si trova al di fuori dell’attività di valutazione delle prove in quanto, nel ritenere che l’immobile acquistato quando è stato compravenduto non presentava difetti strutturali così gravi da renderlo inservibile e inagibile, la Corte d’appello ha posto in essere un errore di percezione, prescindendo dall’esame della perizia dell’ing. COGNOME del 27 gennaio 2003; la Corte è inoltre incorsa in una errata percezione del contenuto della relazione del 27 febbraio 2004 del geometra COGNOME consulente tecnico d’ufficio nella procedura di accertamento tecnico preventivo, nella quale il perito aveva evidenziato una grave condizione statica dell’immobile provocata da un dissesto fondazionale.
Il terzo motivo fa valere ‘nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 24 Cost. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.’: la sentenza impugnata va censurata anche laddove non ha ammesso la consulenza tecnica d’ufficio richiesta dalla ricorrente in quanto la consulenza era l’unico mezzo possibile non solo per accertare la presenza nell’immobile di difetti strutturali tali da renderlo inagibile o comunque inservibile, ma anche per quantificare tutti i danni subiti, la motivazione data al riguardo dalla Corte d’appello è meramente apparente, in quanto manifestamente incoerente illogica e contraddittoria.
Il quarto motivo denuncia ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti
in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.’: il vizio motivazionale derivante dall’esame della relazione del 2003 dell’ingegnere COGNOME si appalesa anche laddove la Corte d’appello ha ritenuto di non condividere la tesi della ricorrente, allora appellante, secondo cui la stessa non sarebbe stata informata degli interventi che avevano interessato l’immobile.
5) Il quinto motivo contesta ‘violazione degli artt. 1453 e 1494 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.’: la Corte d’appello nel ritenere che l’immobile nel momento in cui era stato compravenduto non presentava difetti strutturali così gravi da renderlo inservibile e inagibile si è posta in contrasto con i principi in tema di aliud pro alio ; la consegna di aliud pro alio è infatti configurabile non soltanto quando la cosa consegnata sia completamente difforme da quella contrattata, appartenendo a un genere del tutto diverso, ma anche quando sia assolutamente priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente o abbia difetti che la rendano inservibile.
6) Il sesto motivo denuncia ‘violazione degli artt. 1218, 1453, 1455, 1494 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.’: a fronte della contestazione dell’acquirente circa la difformità fra quanto pattuito e quanto consegnato dovevano essere le venditrici a specificare e provare che il bene venduto era agibile e quindi funzionale alla destinazione abitativa, in difetto di una prova siffatta l’adempimento risultava sfornito di prova idonea e le conseguenze dell’incerta dimostrazione dell’esattezza qualitativa dell’oggetto della prestazione delle venditrici dovevano essere accollate a quest’ultime.
Anzitutto vanno rigettate le censure presenti nei motivi 1) e 3) di mancanza o apparenza della motivazione. L’articolata motivazione della pronuncia impugnata (v. in particolare le pagg. 15-17 del provvedimento) rispetta infatti il canone costituzionale di cui all’art. 111 della carta fondamentale e, come tale, è sottratta al sindacato di questa Corte, essendo denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v. Cass., sez. un., n. 8038/2018).
Vanno poi considerate inammissibili le censure presenti nei motivi 1), 3), 4), 5) e 6) di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. Secondo quanto prescrive l’art. 348 -ter , ultimo comma, c.p.c., disposizione applicabile ratione temporis al caso in esame, qualora la sentenza d’appello abbia confermato la decisione di primo grado basandosi sulle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto poste a base della decisione impugnata, il ricorso per Cassazione non può essere proposto ai sensi del numero 5 dell’art. 360 c.p.c.
Quanto alle denunciate violazioni di norme di diritto, di cui ai motivi 5) e 6), come la denuncia di nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c. di cui al motivo 2), si sostanziano anch’esse in censure rivolte al motivato accertamento in fatto compiuto dalla Corte d’appello. In particolare, per quanto concerne la sussistenza nell’immobile compravenduto di difetti strutturali così gravi da renderlo inservibile e inagibile, la Corte d’appello ha sottolineato come l’ordinanza del Comune di Santa Margherita sia intervenuta nove anni dopo la stipulazione del contratto e come la perizia di COGNOME del 2002 non avesse individuato deficit strutturali così gravi da non potervi porre rimedio e come gli ulteriori cedimenti successivamente verificatesi siano stati attribuiti
dal consulente d’ufficio proprio all’inidoneità delle soluzioni suggerite e alla cattiva esecuzione delle opere e come la circostanza che l’area presentasse una suscettività di dissesto molto elevata (frana attiva) sia divenuta nota al condominio solo nel 2010; la Corte d’appello ha inoltre sottolineato come crepe di varia ampiezza ed estensione fossero state ben visibili all’epoca della vendita e come la consulenza depositata nel 2004 nella procedura di accertamento tecnico preventivo non facesse alcun riferimento alla presenza di una frana attiva; circa poi la mancata conoscenza da parte della ricorrente degli interventi che avevano interessato l’immobile, la Corte d’appello ha rilevato come tale assunto sia stato sconfessato dall’istruttoria orale e in particolare dalle dichiarazioni dei testimoni NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, risultanze istruttorie dalle quali, ad avviso del giudice d’appello, si ricava che le venditrici avevano ‘palesato e documentato tutte le problematiche afferenti l’immobile, fornendo tutta la documentazione di cui erano in possesso all’acquirente’, che d’altro canto aveva potuto constatare lo stato di dissesto dell’immobile, essendo molto evidenti le crepe che lo interessavano, come dimostra la documentazione fotografica in atti. Le censure della ricorrente si risolvono pertanto in una richiesta di diversa valutazione degli elementi probatori presentati nel processo, richiesta inammissibile nel giudizio di cassazione (cfr., ex multis , Cass. n. 20553/2021).
Quanto, infine, al mancato accoglimento della richiesta di disporre una ulteriore consulenza tecnica d’ufficio di cui al motivo 3), va sottolineato che si tratta di un potere discrezionale del giudice di merito che, nel caso in esame, ha motivato il mancato accoglimento dell’istanza, in quanto il lungo tempo trascorso dal momento della stipulazione del contratto non consentiva di accertare le condizioni dell’immobile del 2005 (circa la discrezionalità del giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo
strumento della consulenza tecnica e la sua censurabilità unicamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. si veda da ultimo Cass. n. 25281/2023).
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio a favore delle controricorrenti che liquida in euro 5.800, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione