Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8786 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 8786 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 12229-2017 proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Centrale dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME
Oggetto
Art. 8, commi 4 e 4 bis , della legge n. 223 del 1991.
Accertamento Giudice di merito
R.G.N. 12229/2017
COGNOME.
Rep.
Ud. 28/11/2023
CC
NOMENOME NOME COGNOME, NOME ADA COGNOME, NOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 113/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 13/02/2017 R.G.N. 156/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/11/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE:
con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Firenze, in accoglimento dell’impugnazione dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto l’opposizione all’avviso di addebito, proposta dall’odierna ricorrente, avente ad oggetto il recupero dei benefici contributivi previsti dalla legge nr. 223 del 1991, in favore delle imprese che assumono personale licenziato a seguito di procedura di mobilità;
la Corte di merito, richiamata la normativa di riferimento, ha osservato come non sussistessero i presupposti normativi per beneficiare delle agevolazioni contributive perché, nella sostanza, era stata realizzata «una operazione coordinata di ristrutturazione produttiva» finalizzata ad eludere il dettato normativo;
nello specifico, la Corte di appello ha valorizzato il fatto che i soci delle due società (quella che aveva licenziato i lavoratori e quella che li aveva assunti) erano riconducibili ad un nucleo familiare ristretto, formato da marito, moglie e figlia, per di più conviventi. Il dato costituiva un indice più che significativo dell’esistenza non di autonomi centri decisionali ma di un comune nucleo proprietario in grado di attuare operazioni
coordinate. Per la Corte territoriale, nello stesso senso deponeva anche la sequenza degli avvenimenti rilevanti in causa: le assunzioni erano avvenute immediatamente dopo l’inizio dell’attività della società RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e seguivano, praticamente senza soluzione di continuità, i licenziamenti da parte della società RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE; inoltre, subito dopo le assunzioni da parte di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE cessava l’attività;
in definitiva, per la Corte di appello, gli accadimenti, uniti al legame di parentela dei soci, rendevano del tutto verosimile una ristrutturazione aziendale non effettiva ma preordinata e realizzata al fine di simulare un incremento occupazionale e, quindi, per aggirare il dato normativo;
avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione la società RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, con due motivi. L’INPS ha resistito, con controricorso;
il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di cui all’art. 380 bis 1, comma 2, cod.proc.civ.
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art.8, commi 4 e 4 bis , della legge nr. 223 del 1991 anche con riferimento dell’art. 2697 cod.civ., per avere la Corte di appello ritenuto integrate le cause ostative al riconoscimento dei benefici contributivi, traendo, però, il convincimento non da interferenze nel capitale sociale o nell’amministrazione delle società ma da elementi, quali il grado di parentela, non significativi ai fini di causa;
con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.- è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Parte ricorrente imputa alla sentenza impugnata di non aver esaminato «una serie di circostanze decisive» che, viceversa, qualora valutate, avrebbero consentito di accertare il diritto ai benefici in oggetto;
i motivi possono congiuntamente trattarsi per la loro intima connessione;
essi, complessivamente, vanno respinti;
tutte le censure -anche quelle formalmente prospettate in termini di violazione di legge- mirano, in realtà, a sovvertire l’accertamento di merito compiuto dalla Corte di appello, senza tuttavia illustrare censure effettivamente riconducibili al paradigma normativo di cui all’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.;
la Corte di appello ha fatto corretta applicazione dell’art. 8, commi 4 e 4 bis , della legge n. 223 del 1991, ratione temporis vigente, che, per quanto qui più rileva, così stabilisce: «4. Al datore di lavoro che, senza esservi tenuto ai sensi del comma 1 (v. infra ), assuma a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nella lista di mobilità è concesso, per ogni mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore, un contributo mensile pari al cinquanta per cento della indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta al lavoratore . 4bis. Il diritto ai benefici economici di cui ai commi precedenti è escluso con riferimento a quei lavoratori che siano stati collocati in mobilità, nei sei mesi precedenti, da parte di impresa dello stesso o di diverso settore di attività che, al momento del licenziamento, presenta assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli
dell’impresa che assume ovvero risulta con quest’ultima in rapporto di collegamento o controllo »;
13. questa Corte ha più volte esaminato la fattispecie esonerativa delineata dalla richiamata disposizione. A tale riguardo, ha affermato che i benefici non spettano quando tra l’impresa che ha collocato i lavoratori in mobilità e quella che li assume siano configurabili gli elementi oggettivi della cessione d’azienda (v., fra le altre, Cass. n. 26836 del 2018 e i precedenti ivi richiamati). Ha precisato, anche, che il beneficio non spetta se si tratta di operazione puramente fittizia, preordinata solo a fruire indebitamente delle agevolazioni contributive; pertanto, nel caso in cui la società che assume i lavoratori in mobilità non configuri una realtà produttiva autentica bensì ricalchi sostanzialmente la stessa azienda che ha provveduto ai licenziamenti, la situazione ricade nella previsione dell’art. 8, comma 1 (in base alla quale «i lavoratori licenziati da un’azienda per riduzione di personale hanno la precedenza nella riassunzione presso la medesima azienda entro sei mesi»), e, di conseguenza, è esclusa dai benefici contributivi (Cass. nr.21469 del 2019);
14. la finalità delle agevolazioni è, infatti, quella di favorire l’occupazione dei lavoratori effettivamente espulsi dal mercato del lavoro, in coerenza con le fonti Europee (vd. l’abrogato Reg. (CE) n. 2204/2002 e il Reg. (UE) n. 651/2014) in base alle quali gli Stati membri sono stati autorizzati a prevedere, nei rispettivi ordinamenti interni, incentivi per favorire l’occupazione di determinati soggetti svantaggiati, in deroga al divieto di Aiuti di Stato disposto dall’art. 107 TFUE, purché si realizzi un «incremento occupazionale netto» di tali
categorie di lavoratori (in motiv., Cass. nr. 28361 del 2021);
15. si è, in particolare, osservato che, in presenza di fattispecie giuridiche esonerative dell’obbligo contributivo che, pur nella loro diversità, sono tutte finalizzate all’incentivo dell’occupazione, ad essere valutato non può essere solo il dato formale del rispetto degli indicatori normativi ma sempre anche quello sostanziale, collegato alla singola vicenda, onde verificare se la stessa abbia avuto la finalità di eludere la ratio della disciplina incentivante, attraverso assunzioni e licenziamenti il cui effetto finale resti privo di incidenza positiva, e dunque, di novità, sul piano occupazionale (v., fra le altre, Cass. nr. 6194 del 2022; Cass. nr. 1763 del 2021; Cass. nr. 9662 del 2019);
16. a chiarimento dell’attività di indagine rimessa al Giudice di merito, la Corte di legittimità ha precisato come il Giudice debba verificare se la vicenda concreta presenti significativi elementi che denotano la «permanenza» della preesistente struttura aziendale (quella che ha cioè licenziato), con valutazione non atomistica degli elementi istruttori: le risultanze di causa devono, piuttosto, essere esaminate nella loro convergenza globale, onde accertare se i dati acquisiti, privi di significativa pregnanza, singolarmente presi, siano in grado di acquisirla, in termini di intento elusivo della normativa, ove valutati nella loro sintesi (così in motivazione Cass. nr. 17214 del 2023);
tornando alla fattispecie concreta, la Corte di appello, come riportato nello storico di lite, ha effettuato la verifica demandata nei termini imposti dalla
normativa di riferimento. La sentenza impugnata è, dunque, immune dai mossi rilievi;
segue, complessivamente, il rigetto del ricorso, con le spese liquidate come da dispositivo;
va, altresì, dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento del doppio contributo, ove dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. nr. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 28