Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14528 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 14528 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/05/2024
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentate e difese, giusta procura a margine del ricorso, dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, hanno eletto domicilio;
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, nel cui studio in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, ha eletto domicilio;
-controricorrente –
R.G.N. 32866NUMERO_DOCUMENTO18
U.P. 7/5/2024
Vendita –RAGIONE_SOCIALE residenziale pubblica -Ripetizione prezzo eccedente
avverso la sentenza della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE n. 2423/2018, pubblicata il 12 aprile 2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7 maggio 2024 dal AVV_NOTAIO relatore NOME COGNOME;
lette le conclusioni rassegnate nella memoria depositata -ai sensi dell’art. 378, primo comma, c.p.c. dal P.M., in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto la cassazione con rinvio della sentenza impugnata per l’accertamento dei fatti sopravvenuti dedotti ai fini della cessazione della materia del contendere; conclusioni ribadite nel corso dell’udienza pubblica;
viste le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c. e ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.;
richiamate le precedenti ordinanze interlocutorie n. 28203/2023, depositata il 6 ottobre 2023, all’esito della camera di consiglio non partecipata del 19 settembre 2023, di rimessione alla pubblica udienza e n. 3972/2024, depositata il 13 febbraio 2024, all’esito dell’udienza pubblica dell’8 febbraio 2024, di rinvio dell’udienza pubblica ai fini della controdeduzione sui documenti prodotti dalle ricorrenti nel giudizio di legittimità;
sentiti , in sede di discussione orale all’udienza pubblica, l’AVV_NOTAIO per delega dell’AVV_NOTAIO per le ricorrenti e l’AVV_NOTAIO per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. -Con ricorso depositato ai sensi dell’art. 702 -bis c.p.c., notificato il 16 gennaio 2017, COGNOME NOME adiva il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, chiedendo, nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME: a ) che fosse accertata la nullità parziale della vendita della proprietà superficiaria dell’immobile sito nel RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, località Palocco, piano di zona 53bis , INDIRIZZO, atto concluso il 28 maggio 2009 tra le resistenti, in qualità di alienanti, e la ricorrente -unitamente all’allora coniuge COGNOME NOME (nella cui quota la ricorrente era successivamente subentrata per effetto di accordo omologato di separazione consensuale) -, in qualità di acquirenti, per il prezzo di euro 282.000,00; b ) e -per l’effetto che le resistenti fossero condannate alla ripetizione, in favore della ricorrente, di quanto indebitamente pagato per la causale indicata per l’importo di euro 161.178,25 o, in via gradata, di quella diversa somma determinata ex lege emergente all’esito del giudizio.
Al riguardo, la ricorrente esponeva: che l’alloggio oggetto della proprietà superficiaria ceduta era gravato dal vincolo del prezzo massimo di cessione derivante dal combinato disposto degli artt. 35 della legge n. 865/1971, 18 del d.P.R. n. 380/2001 e 14 della convenzione RAGIONE_SOCIALE per atto pubblico del 15 aprile 1986, rep. n. 18.370, racc. n. 10.246, registrato il 30 aprile 1986, prot. n. 18.364; che il prezzo massimo, al tempo della vendita, sarebbe stato pari ad euro 120.821,75, facendo applicazione degli stessi criteri utilizzati dall’RAGIONE_SOCIALE per determinare il valore del prezzo massimo alla data
dell’11 gennaio 2016, e ciò sulla base del principio di non libera commerciabilità dei beni soggetti a siffatto vincolo.
Si costituivano in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME, le quali contestavano la fondatezza delle domande avversarie e ne chiedevano il rigetto.
In particolare, le resistenti deducevano: che la pretesa avversaria si fondava sul dettato di cui all’art. 31, comma 49 -bis , della legge n. 448/1998, comma introdotto dall’art. 5, comma 3 -bis , del d.l. n. 70/2011, convertito, con modificazioni, in legge n. 106/2011, dettato che non avrebbe avuto applicazione nel caso di specie per il principio di irretroattività della legge; che nella convenzione ab origine sottoscritta per l’edificazione dei beni in esame non era presente alcun vincolo di prezzo per la cessione dei diritti nei trasferimenti successivi; che, quand’anche la determinazione del prezzo fosse stata affetta dal vizio denunciato, con la conseguente nullità parziale del contratto per violazione del tetto relativo al prezzo calmierato di vendita, la ripetizione del prezzo in esubero sarebbe stata preclusa, in quanto avrebbe leso la clausola del buon costume, stante che, all’epoca, l’acquirente aveva inteso ottenere un cespite di cui conosceva il maggior valore di mercato; che, ad ogni modo, la ricorrente non avrebbe potuto ottenere l’intera somma richiesta, avendo acquistato la proprietà superficiaria dell’immobile in comunione con il COGNOME.
Il Tribunale adito, con ordinanza depositata l’8 marzo 2017, accoglieva le domande di parte ricorrente e, per l’effetto, dichiarava la nullità parziale del contratto di vendita, relativamente alla clausola relativa al prezzo, ne stabiliva la sostituzione automatica con il prezzo stabilito ex lege di euro
120.821,75 e condannava le resistenti, in solido, alla ripetizione, in favore della ricorrente, della somma di euro 161.178,25.
In specie, la pronuncia di prime cure sosteneva: che la ricorrente era legittimata ad invocare la pretesa nullità parziale, atteso che il titolo negoziale sulla base del quale aveva agito era rappresentato dall’accordo di separazione consensuale omologata, sicché la misura della legittimazione ad agire doveva essere valutata in termini di attualità del titolo negoziale posto a fondamento della domanda; che il citato comma 49bis non riguardava il regime dei vizi da cui sarebbe stata inficiata una diversa determinazione del prezzo massimo di cessione delle unità abitative e delle relative pertinenze, ma disciplinava piuttosto il profilo temporale per la rimozione di detti vincoli, vincoli che -in assenza della loro rimozione nei termini temporali indicati -avrebbero seguito il bene nei passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con efficacia indefinita, alla stregua del fine di garantire il diritto all’abitazione in favore dei meno abbienti, con la conseguente preclusione di operazioni speculative di rivendita; che, attesa la natura imperativa dell’art. 35, ottavo comma, della legge n. 865/1971, norma regolante interessi di natura pubblicistica, recepita dall’art. 18, quinto comma, del d.P.R. n. 380/2001 (che sanciva la nullità di ogni pattuizione lesiva del regime vincolistico del prezzo), il contratto di vendita era nullo, con la sostituzione automatica della previsione negoziale illecita; che non vi era alcuna preclusione ad agire in ripetizione per il perseguimento di uno scopo costituente offesa al buon costume, posto che -a tale fine -non avrebbe avuto rilevanza il semplice motivo interno puramente soggettivo, ma esclusivamente uno
scopo che, anche se diverso dalla causa tipica, si fosse obiettivizzato in qualche modo, il che non concerneva la fattispecie, non risultando che la ricorrente avesse conseguito eventuali vantaggi concreti dall’acquisto del bene ad un prezzo massimo diverso da quello stabilito dalla legge, avendo anzi subito un nocumento rispetto al profilo causale tipico dell’operazione negoziale, volta ad assicurare la circolarità di un alloggio RAGIONE_SOCIALE al prezzo previsto ex lege .
2. -Con atto di citazione notificato il 10 aprile 2017, COGNOME NOME e COGNOME NOME proponevano appello avverso l’ordinanza di primo grado, lamentando: 1) che erroneamente era stata fatta applicazione dell’art. 31, comma 49 -bis , della legge n. 448/1998, introdotto successivamente alla stipula del contratto di vendita; 2) che erroneamente era stata ritenuta possibile la ripetizione, posto che l’acquirente avrebbe tratto un profitto dalla compravendita al prezzo maggiorato, in quanto il pagamento asseritamente superiore al prezzo imposto avrebbe rappresentato l’opportunità di sottrarre il cespite al mercato regolamentato, né l’istante avrebbe dimostrato di possedere i requisiti di reddito necessari per ottenere il bene al prezzo convenzionato; 3) che sarebbe stato precluso, almeno in parte qua , il diritto alla ripetizione, in difetto di prova dell’onere economico sostenuto dalla ricorrente al momento dell’acquisto; 4) che erroneamente le spese di lite sarebbero state poste a carico integrale delle parti appellanti, pur in presenza di giusti motivi di compensazione, rappresentati dall’orientamento giurisprudenziale innovativo intervenuto sulle questioni dibattute.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione COGNOME NOME, la quale chiedeva che l’appello fosse rigettato, facendo proprie le valutazioni già espresse dal Tribunale.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello e, per l’effetto, confermava integralmente l’ordinanza di primo grado impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che il vincolo del prezzo massimo di cessione non era desumibile dall’art. 31, comma 49bis , della legge n. 448/1998, che non aveva in alcun modo modificato il regime dei vizi relativi al superamento di tale vincolo; b ) che, pertanto, la clausola negoziale lesiva dell’art. 35 della legge n. 865/1971, in quanto contraria a norma imperativa, era affetta da nullità parziale e sostituita di diritto per l’ec cedenza, come confermato dall’art. 18, quinto comma, del d.P.R. n. 380/2001; c ) che la seconda doglianza era inammissibile per difetto di specificità, atteso che si limitava a reiterare le obiezioni già svolte nel giudizio di primo grado, senza argomentare in senso critico sulle conclusioni esposte dall’ordinanza impugnata; d ) che, infatti, pur non identificandosi la nozione di buon costume solo nelle prestazioni contrarie alle regole della morale sessuale e della decenza -ma comprendendo anche quelle contrastanti con i principi etici costituenti la morale RAGIONE_SOCIALE in un determinato ambiente -, la parte appellante non aveva dato alcuna prova dello scopo truffaldino antiRAGIONE_SOCIALE che sarebbe stato perseguito dall’acquirente, limitandosi a rendere affermazioni generiche, relative alla sottrazione del bene al mercato regolamentato, del
tutto avulse dal contesto dei fatti di causa e dal concreto comportamento delle parti; e ) che, dopo l’omologazione della separazione consensuale, la COGNOME era divenuta proprietaria esclusiva dell’immobile ed aveva pertanto diritto alla restituzione del prezzo pagato in eccesso, senza che avessero rilevanza esterna gli accordi intercorsi tra gli ex coniugi in ordine alla ripartizione delle spese di acquisto dell’immobile; f ) che, in ordine alla possibilità per l’acquirente di affrancare l’immobile attraverso il pagamento della somma di euro 15.000,00 -somma che avrebbe rappresentato, ad avviso delle parti appellanti, l’RAGIONE_SOCIALE costo non previsto e l’RAGIONE_SOCIALE danno risarcibile , detta eccezione era stata formulata per la prima volta nel giudizio di appello e, dunque, era inammissibile, introducendo un nuovo thema decidendum , con violazione del divieto stabilito dall’art. 345 c.p.c.
-Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
L’intimata NOME ha resistito con controricorso.
4. -Le parti hanno presentato memorie illustrative ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
-Con ordinanza interlocutoria n. 28203/2023, depositata il 6 ottobre 2023, all’esito della camera di consiglio non partecipata del 19 settembre 2023, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza ai fini di delibare sulla rilevanza processuale e sostanziale dei fatti sopravvenuti e documentati addotti dalle ricorrenti.
Segnatamente, in ordine alla richiesta delle ricorrenti di applicare, nel caso di specie, la disciplina introdotta dal d.l. n.
119/2018, si è ritenuto che fosse stata posta una questione nuova, quantomeno sotto il profilo della ricorrenza della condizione non già ipotetica ma reale della procedura di rimozione del vincolo per affrancazione, su impulso delle venditrici, questione in ordine alla quale la controricorrente avrebbe dovuto avere la facoltà di contraddire in modo pieno (Cass. Sez. 2, Ordinanza interlocutoria n. 23595 del 02/08/2023).
-Le ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c., con la produzione di altri documenti.
-Quindi, con ulteriore ordinanza interlocutoria n. 3972/2024, depositata il 13 febbraio 2024, all’esito dell’udienza pubblica dell’8 febbraio 2024, la causa è stata rinviata a nuova udienza pubblica ai fini di consentire alla controricorrente istante la controdeduzione sui documenti prodotti dalle ricorrenti nel giudizio di legittimità.
-Il Pubblico Ministero ha presentato conclusioni scritte ai sensi dell’art. 378, primo comma, c.p.c.
La controricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo le ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 c.p.c. e 2035 c.c., per avere la Corte di merito escluso che l’accordo tra le parti per la vendita di un immobile, a condizioni economiche e personali diverse dai limiti prescritti per legge, costituisse un accordo illegittimo, idoneo ad
offendere il buon costume e, come tale, preclusivo della ripetizione dell’indebito.
Sicché le istanti obiettano che non sarebbe stato necessario dimostrare lo scopo truffaldino, ossia provare l’ animus del solvens , poiché la ripetizione sarebbe stata preclusa alla luce della stessa illiceità del contratto e della conseguente oggettivazione della prestazione legata al negozio specifico: il compimento dell’atto negoziale, senza la dimostrazione del possesso degli specifici requisiti volti a consentire l’acquisto a prezzo calmierato, in favore di soggetti disagiati, avrebbe rappresentato certamente una condotta immorale, poiché limitativa della circolazione del bene riservato alle categorie di acquirenti deboli tutelati.
2. -Con il secondo motivo le ricorrenti prospettano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che la contestazione esposta -secondo cui l’RAGIONE_SOCIALE danno semmai patito dall’acquirente sarebbe stato rappresentato dal costo necessario di affrancazione -fosse stata dedotta per la prima volta nel giudizio di gravame e avesse rappresentato un fatto nuovo e non già una mera argomentazione difensiva.
Al riguardo, le istanti osservano che già nella memoria depositata telematicamente il 6 marzo 2017, nel giudizio di primo grado, ai fini di sollecitare il promovimento della questione di legittimità costituzionale, era stato dedotto che l’estensione della nullità parziale ai contratti stipulati prima del 2011 avrebbe determinato un’illegittima locupletazione da parte dell’acquirente,
il quale si sarebbe trovato nella possibilità di ottenere la ripetizione di gran parte del prezzo, avendo in possesso un bene con valore di mercato alto, valore potenzialmente integro perché ottenibile attraverso l’affrancazione, i cui costi, nel caso di specie, non avrebbero superato l’importo di euro 15.000,00.
Inoltre, il riferimento ai costi di affrancazione non avrebbe integrato un’eccezione nuova, ma un mero argomento difensivo, rilevabile anche d’ufficio, non implicando un ulteriore accertamento in fatto, sicché sarebbe stata del tutto rituale la contestazione, in sede di gravame, della misura della domanda di ripetizione, in quanto eccedente il costo necessario per l’affrancazione.
3. -Con il terzo motivo le ricorrenti censurano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1298 e 2033 c.c., per avere la Corte distrettuale riconosciuto alla COGNOME il diritto alla ripetizione di somme non versate, assumendo che gli accordi intercorsi tra gli ex coniugi, in ordine alla ripartizione delle spese di acquisto dell’immobile, non avrebbero avuto, rispetto ai venditori, alcuna rilevanza.
Adducono le istanti che l’atto di vendita del 28 settembre 2009 si era perfezionato in favore degli acquirenti COGNOME NOME e COGNOME NOME, sicché avrebbe dovuto presumersi che il prezzo di acquisto si fosse diviso tra gli acquirenti in parti uguali.
E dunque solo entro tali limiti -ossia con riferimento alle sole somme effettivamente versate -l’originaria ricorrente avrebbe potuto pretendere la ripetizione.
4. -Con il quarto motivo le ricorrenti si dolgono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione o falsa applicazione degli artt. 1175, 1337, 1359, 1366 e 1375 c.c. nonché degli artt. 2 e 3 Cost. e dell’art. 54 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea firmata a Nizza il 7 dicembre 2000, per non avere la Corte del gravame individuato l’abuso del diritto perpetrato con la domanda di ripetizione, quale circostanza rilevabile d’ufficio.
E tanto perché l’acquirente avrebbe esercitato in termini contrari ai doveri di buona fede e correttezza l’azione di ripetizione della differenza di prezzo, pur potendo affrancare il bene e così ottenere un cespite libero da vincoli, con la conseguenza che la domanda di ripetizione avrebbe dovuto essere limitata entro i parametri circoscritti ai meri costi di affrancazione.
5. -Tanto premesso, si rileva, in via pregiudiziale all’esame dei motivi, che -nel corso del giudizio di legittimità -le ricorrenti hanno depositato dei documenti a comprova di un fatto sopravvenuto (successivamente dedotto con le memorie illustrative): e segnatamente l’istanza di affrancazione del vincolo al prezzo massimo in ordine alla proprietà superficiaria dell’immobile di causa, presentata da COGNOME NOME l’8 aprile 2019, ai sensi dell’art. 25 -undecies (che ha sostituito il comma 49bis dell’ar t. 31 della legge n. 448/1998 e ha inserito il comma 49quater ) del d.l. n. 119/2018, convertito, con modificazioni, in legge n. 136/2018, cui ha fatto seguito ulteriore istanza presentata il 15 novembre 2023, per conto di COGNOME NOME, procedura completatasi con la determina dirigenziale di autorizzazione del 2 gennaio 2024 e con l’atto di affrancazione del
1° febbraio 2024 ( recte di rimozione dell’obbligo convenzionale del prezzo massimo di cessione e del canone di locazione sulla proprietà superficiaria delle porzioni immobiliari censite al foglio n. 1075, particella n. 1682, subalterni nn. 508, 509 -ex subalterno n. 48 -e 65), atti anch’essi prodotti in giudizio (segnatamente, in ordine all’atto di affrancazione, sono stati prodotti la relativa certificazione notarile, prima, e l’atto di affrancazione con autentica delle firme del 1° febbraio 2024, rep. n. 9.508, racc. n. 7.229, registrato presso l’Agenzia delle Entrate di RAGIONE_SOCIALE 5 il 7 febbraio 2024, al n. NUMERO_DOCUMENTO, serie 1T, dopo).
Occorre, per l’effetto, verificare nell’ordine: a ) se tale produzione attenga all’ammissibilità del ricorso, o incida sulla proponibilità, procedibilità e proseguibilità del ricorso medesimo, ex art. 372 c.p.c.; b ) se i fatti sopravvenuti influenti in rito -ove attestati dai documenti depositati nel giudizio di legittimità -possano essere utilizzati, nel rispetto del principio del contraddittorio, come anticipato dall’ordinanza di rimessione all’udienza pubblica.
6. -Non può, allo scopo, prescindersi da una breve analisi dell’ excursus normativo e giurisprudenziale, cui attiene la vicenda interessata dalla evocata produzione documentale.
6.1. -In primis , sul piano normativo, il richiamato art. 25undecies del d.l. n. 119/2018 -che ha, tra l’altro, sostituito l’art. 31, comma 49bis , della legge n. 448/1998 -ha esteso la facoltà di richiedere l’affrancazione a tutti gli interessati, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile (ivi compresi i venditori).
La Corte cost., con sentenza n. 210/2021, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale -sollevate
dall’RAGIONE_SOCIALE, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 47, secondo comma, 77, secondo comma, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, nonché all’art. 1 Prot. add. CEDU dell’art. 25 -undecies del d.l. n. 119/2018, come convertito, e dell’art. 31, commi 49 -bis , 49ter e 49quater , della legge n. 448/1998, come risultante dal citato art. 25undecies del d.l. n. 119/2018, che modificano retroattivamente il regime della rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione degli immobili di edilizia convenzionata.
In particolare, la Consulta ha negato che sussista l’asserita lesione dell’art. 77 Cost., perché l’art. 25 -undecies mostra attinenza con la materia finanziaria.
E così ha escluso che sussista un vulnus al principio della tutela dell’affidamento, attraverso un’indebita ingerenza del legislatore nell’esercizio della funzione giurisdizionale, perché la modifica normativa censurata è stata introdotta nel 2018, mentre risale al 2015 la pronuncia n. 18135 delle Sezioni unite della Cassazione, intervenuta in un quadro normativo eterogeneo, che rende evidente che non poteva essersi consolidato un affidamento particolarmente radicato sul tenore delle disposizioni previgenti.
Né la soluzione normativa prescelta dal legislatore -ad avviso del Giudice delle leggi -appare sproporzionata rispetto al fine di correggere la discrasia esistente.
Infine, quanto alla asserita violazione del principio di ragionevolezza dell’affidamento sulla stabilità e coerenza della disciplina AVV_NOTAIO del contratto, del principio di intangibilità della sfera giuridica altrui e del diritto di proprietà, il Giudice delle leggi ha evidenziato che il venditore non modifica ex post il contenuto
dispositivo del contratto di compravendita, ma incide sul solo regime eteronomo della circolazione del bene con esso trasferito. La ratio dell’estensione soggettiva del potere di affrancazione deve, dunque, essere individuata nella tutela dell’interesse dell’alienante ad assolvere, sia pure ex post , l’impegno, contrattualmente assunto, di trasferire il bene libero da pesi e vincoli.
Con riguardo all’entità del contributo di affrancazione, secondo la Consulta, la determinazione dell’importo dovuto per la rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione scaturisce da una valutazione di politica economica che, se non travalica il normale ambito di discrezionalità, riservato al legislatore ordinario, non è sindacabile dalla Corte costituzionale, nell’ottica del contemperamento tra le finalità di cura dei bisogni abitativi e di promozione della libertà di iniziativa economica nel mercato immobiliare.
Ancora, il comma 49quater del citato art. 31, come introdotto dal d.l. n. 119/2018, ha stabilito: a ) che, in pendenza della rimozione dei vincoli, il contratto di trasferimento dell’immobile non produce effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato; b ) che l’eventuale pretesa di rimborso della predetta differenza, a qualunque titolo richiesto, si estingue con la rimozione dei vincoli, che comporta altresì la rimozione di qualsiasi vincolo di natura soggettiva.
Il comma 49bis è stato, da ultimo, modificato dall’art. 22 -bis del d.l. n. 77/2021, convertito, con modificazioni, in legge n. 108/2021, che ha previsto un tetto al corrispettivo di
affrancazione e ha individuato un termine entro cui il comune deve provvedere.
6.2. -Con riferimento ai più significativi arresti giurisprudenziali sul punto, questa Corte ha precisato che il vincolo del prezzo massimo di cessione dell’immobile in regime di edilizia agevolata ex art. 35 della legge n. 865/1971, qualora non sia intervenuta la convenzione di rimozione ex art. 31, comma 49bis , della legge n. 448/1998, segue il bene nei passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con efficacia indefinita, attesa la ratio legis di garantire la casa ai meno abbienti, senza consentire operazioni speculative di rivendita (Cass. Sez. U, Sentenza n. 18135 del 16/09/2015; già Cass. Sez. U, Sentenza n. 506 del 12/01/2011 aveva stabilito che il vincolo si estendesse anche agli atti di acquisto successivi, posto che le norme di riferimento non pongono limiti di tempo al divieto di alienazione del diritto di superficie degli alloggi di edilizia convenzionata, per un prezzo diverso da quello stabilito dai comuni o dai loro consorzi, oltre all’ingiustizia che sarebbe invece ravvisabile proprio se fosse consentito, a chi ha beneficiato del vantaggio dell’acquisizione dell’immobile per un corrispettivo agevolato, di rivendere il bene al prezzo di mercato, speculando sulla differenza).
Ancora, questa Corte ha sostenuto che il vincolo del prezzo massimo di cessione degli alloggi costruiti, ex art. 35 della legge n. 865/1971, sulla base di convenzioni per la cessione di aree in diritto di superficie, ovvero per la cessione del diritto di proprietà se stipulate, quest’ultime, precedentemente all’entrata in vigore della legge n. 179/1992, qualora non sia intervenuta la convenzione di rimozione, ex art. 31, comma 49bis , della legge
n. 448/1998, segue il bene, a titolo di onere reale, in tutti i successivi passaggi di proprietà, attesa la ratio legis di garantire la casa ai meno abbienti ed impedire operazioni speculative di rivendita; in tal caso, pertanto, la clausola negoziale contenente un prezzo difforme da quello vincolato è affetta da nullità parziale e sostituita di diritto, ex artt. 1419, secondo comma, e 1339 c.c., con altra contemplante il prezzo massimo determinato in forza della originaria convenzione di cessione (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 30951 del 27/12/2017; Sez. 2, Sentenza n. 21 del 03/01/2017).
D’altronde il prezzo di cessione degli alloggi in regime di edilizia agevolata ex art. 35 della legge n. 865/1971 è quello massimo consentito, ma non l’RAGIONE_SOCIALE possibile alle parti (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 11574 del 30/04/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 377 del 05/01/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 25320 del 09/10/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 30951 del 27/12/2017; Sez. U, Sentenza n. 18135 del 16/09/2015; Sez. 2, Sentenza n. 8138 del 28/04/2004), prezzo che peraltro non opera per le rivendite successive in assenza di una clausola, nella convenzione, di determinazione del prezzo di cessione degli alloggi ovvero dei criteri per determinarlo.
E dunque il vincolo del prezzo è eliminato soltanto per effetto di apposita convenzione ad hoc , da redigere in forma pubblica e soggetta a trascrizione: solo con la rimozione in affrancazione del vincolo ex art. 31, comma 49bis , della legge n. 448/1998, comma introdotto dall’art. 5, comma 3 -bis , del d.l. n. 70/2011, convertito, con modificazioni, in legge n. 106/2011, cessa detto vincolo. Altrimenti il vincolo segue il bene nei
successivi passaggi di proprietà a titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita, sia che si tratti delle convenzioni P.E.E.P (edilizia economica e popolare) di cui all’art. 35 della legge n. 865/1971, sia che si tratti delle convenzioni COGNOME (edilizia abitativa) di cui agli artt. 7 e 8 della legge n. 10/1977, come trasfusi negli artt. 17 e 18 del d.P.R. n. 380/2001 (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13345 del 28/05/2018; Sez. 2, Sentenza n. 28949 del 04/12/2017).
La pronuncia da ultimo citata ha anche precisato: a ) che il riferimento alla condotta asseritamente contraria a correttezza e buona fede dell’acquirente, che abbia proceduto alla rimozione del vincolo mediante l’attivazione del procedimento di affrancazione per un determinato costo, ove tale contegno sia allegato solo in appello, integra un fatto nuovo e non una mera difesa; b ) che non è ravvisabile alcun abuso del diritto nel comportamento dell’acquirente che proceda alla rimozione del vincolo di prezzo sull’immobile, eventualmente approfittando dell’importo eccedente ricevuto in restituzione dal suo dante causa, per poi rivenderlo al valore di mercato, poiché tale contegno persegue un risultato lecito attraverso mezzi legittimi, senza sproporzione o ingiustificato sacrificio per la controparte (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28949 del 04/12/2017).
Inoltre, le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che, in materia di edilizia residenziale pubblica, a seguito degli interventi legislativi di cui all’art. 5, comma 3 -bis , del d.l. n. 70/2011, introdotto in sede di conversione dalla legge n. 106/2011, e all’art. 25 -undecies del d.l. n. 119/2018, introdotto in sede di conversione dalla legge n. 136/2018, il vincolo del prezzo
massimo di cessione degli immobili permane fino a quando lo stesso non venga eliminato con la procedura di affrancazione di cui all’art. 31, comma 49 -bis , della legge n. 448/1998; tale vincolo sussiste, in virtù della sostanziale equiparazione disposta dall’art. 3, comma 63, della legge n. 662/1996 e dall’art. 31, comma 46, della legge n. 448/1998, sia per le convenzioni di cui all’art. 35 della legge n. 865/1971 (c.d. convenzioni P.E.E.P.) sia per quelle di cui agli artt. 7 e 8 della legge n. 10/1977 (c.d. convenzioni RAGIONE_SOCIALE), poi trasferiti, senza significative modifiche, negli artt. 17 e 18 del d.P.R. n. 380/2001 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 21348 del 06/07/2022).
Lo stesso arresto nomofilattico ha rilevato che la procedura di affrancazione finalizzata all’eliminazione del vincolo di prezzo per i successivi acquirenti degli immobili di edilizia residenziale pubblica, che l’art. 25 -undecies del d.l. n. 119/2018 ha esteso in favore di tutti gli interessati, è consentita, secondo la previsione del secondo comma della citata disposizione, anche in relazione agli atti di cessione avvenuti anteriormente alla data di entrata in vigore dell’art. 5, comma 3 -bis , del d.l. n. 70/2011 (13 luglio 2011); la pendenza della procedura di rimozione dei vincoli determina la limitazione degli effetti dei relativi contratti di trasferimento degli immobili, nei termini di cui all’art. 31, comma 49quater , della legge n. 448/1998 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 21348 del 06/07/2022).
Senonché, in tema di ricorso per cassazione, è consentito alla parte invocare la violazione di disposizioni legislative emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, avendo il giudizio di
legittimità ad oggetto la conformità della decisione adottata dal giudice dell’appello all’ordinamento giuridico, ma al giudice di legittimità compete anche verificare la sussistenza del concreto interesse della parte ad avvalersi della nuova disciplina sostanziale. Principio, questo, sancito in un giudizio in cui la parte, convenuta per avere ricevuto un prezzo superiore al c.d. limite legale per la cessione della proprietà superficiaria di un immobile soggetto al regime dell’edilizia agevolata, aveva invocato la sopravvenuta disciplina normativa che abrogava, con efficacia retroattiva, detto limite legale, ma a condizione che si fosse svolta la prevista procedura amministrativa di rimozione del vincolo, la cui promozione neppure era stata allegata dalla parte (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 29099 del 18/12/2020; cfr. sul punto anche Cass. Sez. U, Sentenza n. 21691 del 27/10/2016).
7. -Illustrati nei termini anzidetti la trama normativa e il panorama giurisprudenziale inerenti all’argomento che interessa, ne discende che, avendo le ricorrenti ( recte una delle ricorrenti) presentato, in data 8 aprile 2019, al RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE, una istanza volta ad ottenere l’affrancazione dal vincolo del prezzo massimo di cessione, istanza che le ricorrenti hanno depositato nel corso del giudizio di legittimità, prima del deposito della memoria illustrativa ex art. 380bis .1. c.p.c., nelle more della sua istruttoria amministrativa (ossia in pendenza della rimozione dei vincoli), cui ha fatto seguito ulteriore istanza di affrancazione prot. NUMERO_DOCUMENTO, presentata in data 15 novembre 2023, per conto di COGNOME NOME, riferita all’immobile censito al foglio n. 1075, particella n. 1682, subalterno n. 48, e sue eventuali
pertinenze, con un costo sostenuto di euro 2.198,93, il contratto di trasferimento non poteva produrre nelle more effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato. Mentre, all’esito dell’adozione del provvedimento di affrancazione -come da determina dirigenziale rep. n. QI/32/2024 del 2 gennaio 2024, prot. n. NUMERO_DOCUMENTO, di autorizzazione alla stipula delle convenzioni integrative per l’eliminazione dei vincoli relativi al prezzo massimo di cessione già gravanti sugli alloggi realizzati in aree P.E.E.P. -e del successivo atto di affrancazione prodotto del 1° febbraio 2024, il diritto della controparte di pretendere la differenza del prezzo di cessione deve ritenersi estinto e, dunque, non esigibile.
8. -Applicando tali principi al caso di specie, ne discende che deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere alla stregua dell’estinzione e della conseguente inesigibilità del diritto di pretendere la ripetizione del prezzo eccedente, atteso il perfezionamento dell’affrancazione del cespite, ai sensi del comma 49quater del citato art. 31, come introdotto dal d.l. n. 119/2018.
E tanto considerato che, secondo l’art. 25 -undecies del d.l. n. 119/2018, la procedura di affrancazione, finalizzata all’eliminazione del vincolo di prezzo per i successivi acquirenti degli immobili di edilizia residenziale pubblica, può essere attivata da tutti gli interessati, compresi gli alienanti, ed è consentita, a mente della previsione del secondo comma della citata disposizione, anche in relazione agli atti di cessione avvenuti anteriormente alla data di entrata in vigore dell’art. 5, comma 3 -bis , del d.l. n. 70/2011.
D’altronde, sul piano processuale, tali fatti sopravvenuti e la relativa produzione documentale ai sensi dell’art. 372 c.p.c. potevano essere fatti valere nel giudizio di legittimità, così come è accaduto nella fattispecie, stante la loro attinenza alla violazione di disposizioni legislative emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata e retroattive, con la conseguente applicabilità al rapporto dedotto, avendo il giudizio di legittimità ad oggetto la conformità della decisione adottata dal giudice dell’appello all’ordinamento giuridico.
Sicché al giudice di legittimità compete anche verificare la sussistenza del concreto interesse della parte ad avvalersi della nuova disciplina sostanziale, incidente sulla persistenza del diritto rivendicato a pretendere la ripetizione.
Ed invero, l’art. 372 c.p.c., in tema di deposito di documenti nuovi in sede di legittimità, nonostante il testuale riferimento alla sola inammissibilità del ricorso, consente la produzione di ogni documento incidente sulla proponibilità, procedibilità e proseguibilità del ricorso medesimo, inclusi quelli diretti ad evidenziare l’acquiescenza del ricorrente alla sentenza impugnata per comportamenti anteriori all’impugnazione, ovvero la cessazione della materia del contendere per fatti sopravvenuti che elidano l’interesse alla pronuncia sul ricorso, conformemente alla richiesta delle stesse ricorrenti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3934 del 29/02/2016; Sez. L, Sentenza n. 14657 del 23/06/2009; Sez. 2, Sentenza n. 21122 del 05/08/2008; Sez. 3, Sentenza n. 824 del 18/01/2006; Sez. 1, Sentenza n. 13565 del 24/06/2005).
Alla luce del complessivo quadro normativo e giurisprudenziale delineato (successivo all’azione giudiziale
originariamente intrapresa), la sopravvenienza dei fatti emarginati (e segnatamente l’avvenuta affrancazione, indipendentemente dalle condizioni ivi previste) giustifica la declaratoria di cessazione della materia del contendere.
In ordine alle ulteriore obiezioni sollevate dalla controricorrente nella memoria illustrativa, si osserva, per un verso, che già la presentazione della prima istanza di affrancazione, a cura delle alienanti (cui è seguita la presentazione, nel corso del giudizio di legittimità, di altra istanza, secondo la nuova procedura semplificata introdotta, il cui procedimento si è concluso con l’adozione dell’atto di affrancazione), determinava la sospensione della disposta ripetizione dell’indebito (stante che, in pendenza della rimozione dei vincoli, il contratto di trasferimento dell’immobile non avrebbe potuto produrre effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato, con la correlata determinazione di uno stato di quiescenza, inibitorio della sostituzione automatica del prezzo pattuito con il tetto massimo) e, per altro verso, che la previsione nella determina dirigenziale, cui ha fatto seguito l’atto di affrancazione, di possibili ulteriori oneri da corrispondere (ove, all’esito del riscontro sui dati forniti e autocertificati dall’istante e a tale istante imputabili, essi fossero risultati erronei) non integra alcuna ragione liquida (né prospettata come tale) di nullità dell’atto di affrancazione secondo i modelli individuati dall’art. 1418 c.c. (nullità virtuale, strutturale e testuale).
9. -Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza virtuale o potenziale e si liquidano come da dispositivo entro lo scaglione compreso tra euro 52.000,01 ed euro 260.000,00.
Orbene, ove non fosse sopravvenuta l’affrancazione curata dalle alienanti, la disposta ripetizione dell’indebito oggettivo per eccedenza del prezzo pattuito rispetto al tetto massimo consentito avrebbe dovuto trovare conferma per le ragioni innanzi esposte: a ) non rappresentando la previsione di un corrispettivo superiore una ragione di nullità parziale per contrarietà della causa alla clausola AVV_NOTAIO del buon costume, come tale preclusiva della ripetizione, essendo invece prevista la sostituzione automatica di detta clausola in conseguenza della violazione di una norma imperativa; b ) dovendo essere estesa la misura della ripetizione all’intero importo differenziale tra prezzo pattuito e prezzo massimo dovuto, senza alcuna incidenza decisiva dei costi di affrancazione; c ) essendo irrilevante la quota di ripartizione interna tra gli ex coniugi degli esborsi sostenuti per il pagamento del prezzo pattuito, a fronte della legittimazione esclusiva alla ripetizione dell’odierna controricorrente, quale unica proprietaria del cespite dopo l’omologazione della separazione consensuale tra coniugi; d ) non integrando la pretesa di ripetizione delle somme corrisposte in eccedenza, rispetto al tetto massimo calmierato, alcuna forma di abuso del diritto, violativa della clausola di buona fede oggettiva.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara la cessazione della materia del contendere in conseguenza della sopravvenuta estinzione del diritto di COGNOME NOME a pretendere la ripetizione della differenza tra
prezzo di cessione e prezzo massimo dell’immobile venduto di edilizia convenzionata.
Condanna le ricorrenti, in solido, alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese di tutti i gradi del giudizio, che liquida -per il giudizio di primo grado -in complessivi euro 10.259,00, di cui euro 259,00 per esborsi, oltre accessori come per legge, nonché -per il giudizio d’appello in complessivi euro 13.635,00, oltre accessori come per legge, e -per il giudizio di legittimità -in complessivi euro 8.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, nella camera di consiglio della Seconda