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Affitto ramo d’azienda: quando è simulazione?

La Corte d’Appello di Roma ha esaminato un caso di presunta simulazione di un contratto di affitto ramo d’azienda, che l’affittuario sosteneva essere una semplice locazione commerciale per ottenere una riduzione del canone. La Corte ha respinto l’appello, stabilendo che la presenza di elementi come l’avviamento, l’uso di autorizzazioni amministrative e di aree comuni qualifica il contratto come affitto d’azienda, giustificando un canone maggiore. La sentenza chiarisce che l’oggetto del contratto, inteso come complesso di beni organizzati per l’esercizio d’impresa, è il criterio decisivo per distinguere le due figure contrattuali.

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Affitto Ramo d’Azienda o Locazione? La Sentenza che Chiarisce la Simulazione

Capire la differenza tra un affitto ramo d’azienda e una semplice locazione commerciale è fondamentale per qualsiasi imprenditore. Una recente sentenza della Corte di Appello di Roma offre un’analisi dettagliata su come distinguere queste due figure contrattuali, con importanti implicazioni su canoni, risoluzione per inadempimento e onere della prova. Questo caso dimostra che non è il nome dato al contratto a contare, ma la sostanza dei beni e dei diritti concessi in godimento.

I Fatti di Causa

La vicenda legale ha origine dal contratto stipulato tra una società proprietaria di un complesso polifunzionale e una cooperativa che gestiva un centro estetico al suo interno. Il contratto era stato qualificato come ‘affitto di ramo d’azienda’. A un certo punto, la cooperativa (l’affittuaria) smette di pagare i canoni, accumulando un debito significativo.

Citata in giudizio dalla proprietaria per il pagamento degli arretrati e la risoluzione del contratto, la cooperativa si difende sostenendo una tesi precisa: il contratto di affitto ramo d’azienda era in realtà una simulazione. Secondo l’affittuaria, l’accordo mascherava una semplice locazione di immobile a uso commerciale. Di conseguenza, il canone pattuito sarebbe stato eccessivo e avrebbe dovuto essere ricalcolato secondo i parametri delle locazioni commerciali, chiedendo inoltre la restituzione delle somme versate in eccesso.

La Decisione e l’Analisi della Corte d’Appello sull’Affitto Ramo d’Azienda

Il Tribunale di primo grado aveva dato ragione alla società proprietaria, condannando la cooperativa al pagamento dei canoni e dichiarando risolto il contratto. La cooperativa ha quindi presentato appello, basandosi su tre motivi principali, tutti respinti dalla Corte d’Appello.

1. La Presunta Risoluzione Pregressa del Contratto

L’appellante sosteneva che il contratto si fosse già risolto di diritto in una data precedente, a seguito di uno scambio di comunicazioni tra le parti. La Corte ha respinto questa tesi, osservando che il comportamento successivo delle parti (facta concludentia) dimostrava una volontà contraria. Infatti, l’affittuaria era rimasta nell’immobile per quasi un anno dopo tale scambio di lettere e la proprietaria non aveva insistito per la restituzione. Questo comportamento, secondo i giudici, equivaleva a una revoca tacita della volontà di risolvere il contratto.

2. La Simulazione del Contratto di Affitto Ramo d’Azienda

Questo era il punto centrale della controversia. La Corte ha stabilito che non vi era alcuna simulazione e che il contratto era un legittimo affitto ramo d’azienda. La motivazione si basa sull’oggetto effettivo dell’accordo. Il contratto non concedeva solo l’uso dei muri (‘il locale’), ma un complesso di beni e diritti organizzati per l’esercizio dell’impresa, tra cui:

* L’avviamento, sia attuale che potenziale.
* Il diritto di subentrare nell’autorizzazione amministrativa esistente per l’esercizio dell’attività.
* Il godimento di impianti, aree e servizi comuni del centro polifunzionale (parcheggi, aree di sosta, etc.).

Questi elementi, secondo la Corte, vanno ben oltre una semplice locazione commerciale e costituiscono un’azienda o un suo ramo, cioè un complesso di beni funzionalmente collegati e potenzialmente produttivi. L’onere di provare la simulazione spettava all’affittuaria, che però non ha fornito prove sufficienti a dimostrare un accordo simulatorio.

3. La Nullità degli Assegni in Garanzia

L’appellante aveva contestato la validità di alcuni assegni post-datati consegnati alla proprietaria. La Corte ha ritenuto la censura inammissibile perché tardiva, ma ha anche chiarito che, ai sensi della legge assegni, la post-datazione non rende nullo il titolo di credito in sé, ma solo l’eventuale patto di garanzia sottostante, consentendo al creditore di esigerne immediatamente il pagamento.

Le Motivazioni

La Corte d’Appello ha fondato la sua decisione sul principio che per distinguere un affitto ramo d’azienda da una locazione commerciale, è necessario guardare alla volontà delle parti e alla natura dei beni oggetto del contratto. Se l’accordo ha per oggetto un complesso di beni organizzati, anche solo potenzialmente, per la produzione di beni o servizi, si tratta di un affitto d’azienda. L’inclusione nel contratto di elementi immateriali come l’avviamento e diritti come il subentro in licenze amministrative è un indice decisivo in tal senso. La difesa dell’appellante è stata giudicata generica, poiché non ha specificato quale sarebbe stato il canone ‘equo’ per una locazione né ha provato che l’intento comune delle parti fosse quello di stipulare un contratto diverso da quello apparente.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio cruciale: la qualificazione giuridica di un contratto non dipende dal nomen iuris (il nome) che le parti gli attribuiscono, ma dal suo oggetto effettivo. Gli imprenditori devono prestare la massima attenzione nella redazione di questi accordi. Se si concede in godimento non solo un immobile, ma un insieme di beni e diritti (materiali e immateriali) che costituiscono un’unità funzionale per l’esercizio di un’attività, il contratto sarà considerato un affitto ramo d’azienda. Ciò comporta un regime giuridico differente rispetto alla locazione, specialmente in termini di determinazione del canone, obblighi delle parti e cause di risoluzione. La mancata prova di un intento simulatorio condiviso lascia prevalere la qualificazione che emerge dal contenuto oggettivo del contratto.

Quando un contratto è un affitto di ramo d’azienda e non una semplice locazione commerciale?
Si ha un affitto di ramo d’azienda quando l’oggetto del contratto non è solo l’immobile (‘le mura’), ma un complesso di beni organizzati (inclusi avviamento, autorizzazioni, impianti, servizi comuni) che consentono l’esercizio di un’attività d’impresa. La semplice locazione riguarda invece il godimento del solo immobile.

Se le parti si accordano per risolvere un contratto ma poi non agiscono di conseguenza, l’accordo è ancora valido?
No. Secondo la sentenza, se dopo uno scambio di comunicazioni volto a risolvere il contratto, le parti mantengono comportamenti incompatibili con tale volontà (ad esempio, il conduttore rimane nell’immobile e il locatore non ne chiede la restituzione per un lungo periodo), si può ritenere che la volontà di risolvere sia stata revocata per ‘facta concludentia’ (comportamenti concludenti).

Un assegno post-datato dato in garanzia è nullo?
La sentenza chiarisce che la post-datazione non causa la nullità dell’assegno come titolo di credito. Può essere nullo il ‘patto di garanzia’ sottostante, ma l’assegno stesso rimane un valido strumento di pagamento che il creditore può esigere immediatamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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