Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5657 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6855/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati  NOME  COGNOME,  NOME COGNOME, NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in INDIRIZZO,
pec:
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa  dall’AVV_NOTAIO NOME  AVV_NOTAIO  ed  elettivamente  domiciliata presso il domicilio digitale del medesimo,
pec:
Civile Ord. Sez. 3   Num. 5657  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
-controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 1950/2021;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
Il Tribunale di Varese, con sentenza n. 385 del 30/6/2020, in parziale accoglimento delle domande proposte dalla società RAGIONE_SOCIALE, conduttrice di un immobile sito all’interno di un centro commerciale , di proprietà della locatrice RAGIONE_SOCIALE, condannò quest’ultima a corrispondere alla conduttrice l’importo di € 15.247,700 pari alla fideiussione bancaria illegittimamente escussa in conseguenza di un preteso inadempimento della RAGIONE_SOCIALE al contratto di affitto di azienda stipulato tra le parti in data 8/11/2001 (e successive modifiche), risoltosi a seguito di disdetta comunicata da RAGIONE_SOCIALE in data 26/9/2016. Il Tribunale ritenne insussistente l’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE ed illegittima l’escussione della fideiussione, condannando la locatrice al rimborso della somma escussa. Con la medesima pronuncia il Tribunale rigettò la domanda di NOME con la quale la stessa chiedeva, previa riqualificazione del contratto stipulato tra le parti quale contratto di locazione commerciale, sottoposto alla disciplina della l. 392/78, la condanna della locatrice a versarle un importo di € 100 .740,00 a titolo di indennità di avviamento, pari a 36 mensilità dell’ultimo canone corrisposto.
Su  questo  secondo  capo  di  sentenza  la  RAGIONE_SOCIALE  propose  appello chiedendo  di  rivedere  la  qualificazione  del  contratto  quale  affitto  di ramo d’azienda, essendo l’oggetto del medesimo costituito da un locale al  rustico  di  70  mq,  sprovvisto di una parete, di pavimentazione, di
impianti igienico sanitari, di riscaldamento e di ogni componente mobile e  di  arredo  ad  eccezione  di  una  semplice  scaffalatura,  ed  essendo l’attività di RAGIONE_SOCIALE connotata da un autonomo rapporto di franchising con la società RAGIONE_SOCIALE, sicché con la RAGIONE_SOCIALE era intercorso un mero contratto di locazione commerciale.
Quest’ultima ,  nel  costituirsi  nel  giudizio  di  appello,  oppose  che  il rapporto  era  regolato  dal  contratto  di  affitto  di  ramo  d’azienda  del 24/10/2011,  data  in  cui  il  centro  commerciale  era  perfettamente funzionante da circa dieci anni sicché l’oggetto del contratto stipulato con la RAGIONE_SOCIALE non poteva ritenersi una mera locazione dell’immobile ma doveva intendersi esteso a parti accessorie ed ulteriori, servizi, etc. costituenti una azienda commerciale in senso tecnico.
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 1950 del 6/9/2021, illustrati i principi stabiliti in materia dalla giurisprudenza di questa Corte per distinguere l’affitto del ramo d’azienda dalla locazione commerciale- ha, in accoglimento dell’impugnazione, qualificato il contratto quale locazione commerciale con pertinenze, ha ritenuto applicabile l’art. 34 L. 392/78 sulla debenza dell’avviamento commerciale ed ha, per l’effetto , condannato la locatrice al pagamento in favore di COGNOME della somma di € 1 00.740.
Avverso la sentenza la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Resiste RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
La causa è stata fissata per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis. 1 c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo -Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2555, 2562, 1362, 1363 c.c. degli artt. 4 e 9 del 114 D.Lgs. n. 114/1998 in
relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c -la  ricorrente contesta alla corte del merito di non aver tenuto in considerazione il fatto che il locale fosse inserito in un centro commerciale, e che, in base alla specifica normativa regolante dette strutture, la singola unità commerciale -ai sensi del D.Lgs. 114 del 1998presuppone l’esercizio di un’impresa e dunque deve avere, tra i suoi requisiti, una struttura a destinazione specifica dotata di autonomia organizzativa ed economica.
Ne  consegue,  secondo  la  ricorrente,  che,  mentre  nella  locazione commerciale il sinallagma è costituito dalla concessione in godimento di una unità immobiliare con destinazione commerciale, e dal pagamento  del  corrispettivo, nell’affitto di azienda la locazione dell’immobile  costituisce  solo  un o  degli  elementi  di  un  complesso aziendale organizzato per l’esercizio dell’impresa.
In secondo luogo, dice la ricorrente, la corte ha violato i canoni di interpretazione del contratto di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c. non considerando che, in base all’art. 29 del contratto del 2011, così come di quelli precedentemente stipulati tra le parti, il conduttore aveva ricevuto l’immobile senza nulla pagare a titolo di avviamento commerciale e si era impegnato a non aver nulla a che pretendere, al momento della cessazione dell’affitto a medesimo titolo o buonuscita. Dunque la corte del merito, non considerando tale testuale impegno assunto dalla conduttrice, ha violato l’art. 1362 e ss. c.c.
La  prima  censura -violazione  degli  artt.  2555  e  2562  c.c.-  è inammissibile.
Nel prospettare la violazione e/o falsa applicazione delle norme degli artt. 2555, 2562, 1362 e 1363, nonché della normativa di cui al d.lgs. n. 114 del 1998, il ricorrente avrebbe dovuto in primo luogo spiegare come  la  motivazione  enunciata  dalla  sentenza  impugnata  sarebbe incorsa nel vizio denunciato.
Invece, l’illustrazione non procede al confronto delle enunciazioni della motivazione con alcuna delle dette norme.
Già tale carenza rende il motivo inidoneo ad assolvere alla funzione di mezzo di impugnazione, atteso che il motivo di ricorso per cassazione, come qualsiasi motivo di impugnazione, deve necessariamente criticare la motivazione e, per farlo, deve confrontarsi con essa.
L’illustrazione si risolve nell’assumere con la prima censura – del tutto apoditticamente che la sentenza sarebbe incorsa nella falsa applicazione delle norme indicate in epigrafe. Senonché, tale assunto si sostanzia nell’ignorare completamente la motivazione là dove ha evocato il principio di diritto enunciato da Cass. n. 18746 del 2016, per sostenere che la collocazione dell’unità concessa in godimento in un centro commerciale non ha alcuna decisività per determinare la qualificazione del rapporto come affitto di azienda. Il motivo nemmeno discute tale precedente e si risolve nel postulare in buona sostanza -come emerge dalla pag. 13 -che la qualificazione come azienda di un cento commerciale quanto ai servizi che esso assicura e che sarebbe derivante dalle norme del d.lgs. evocato, determinerebbe una sorta di automatismo quanto alla qualificazione come affitto di azienda dei rapporti inerenti alle singole unità immobiliari. Il mancato confronto con l’evocato precedente non solo rende la censura inidonea ad assolvere alla funzione di critica della motivazione, ma si risolve gradatamente anche in una palese inosservanza dell’art. 360 -bis n. 1 c.p.c. In buona sostanza la postulazione del motivo si risolve nell’assumere che ex necesse l a collocazione del bene concesso in godimento in un centro commerciale da parte di chi abbia la titolarità del centro dia luogo ad un affitto di azienda.
Riguardo alla seconda censura -quella inerente le norme degli artt. 1362 e 1363 c.c. -se ne deve segnalare la singolarità: il fatto che nulla
si sia pagato per avviamento commerciale, peraltro identificato nella consegna del bene <>, non viene evocato per sostenere quello che si dovrebbe sostenere riguardo alla questione della qualificazione del contratto, ma, in modo singolare, per corroborare l’assunto della rinuncia all’indennità di avviamento. Si dice, infatti: <>. La censura, cioè la rilevanza dell’art. 29 della pattuizione, risulta in primo luogo apodittica ed in secondo luogo incomprensibile ai fini del problema della qualificazione. Del tutto generica è, poi, l’evocazione della <> del contratto, che nemmeno vengono evocati nel loro contenuto.
Con il secondo motivo di ricorso -violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1230, 1362, 1363, 2555, 2562 c.c. in relazione all’art. 350 comma 1 n. 3 c.p.c.; omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. la ricorrente impugna il capo di sentenza che ha ritenuto ininfluente stabilire se il contratto in essere tra le parti fosse quello originario del 2001 (rinnovato nel 2006 e nel 2015) ovvero quello del 2011. Tale dato, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del merito, sarebbe tutt’altro che irrilevante perché le realtà aziendali ed il centro commerciale sono mutate in modo significativo nel tempo, sì da incidere sul rapporto intercorso tra le parti.
Il secondo motivo non contiene alcuna enunciazione esplicativa della violazione e/o falsa applicazione delle norme. L’illustrazione si sostanzia  in  una  serie  di  affermazioni  apodittiche  di  cui  sfugge l’implicazione censoria e quanto al vizio ai sensi del n. 5 dell’art. 360 si pone  al  di  fuori  di  esso:  è  sufficiente  rilevare  che  il  vizio  viene individuato nella <> (pag.16).
In ogni caso il motivo è privo di decisività e non si correla alla ratio decidendi secondo cui, ai fini del decidere, fare riferimento all’uno o all’altro testo contrattuale è irrilevante , in ragione del fatto che, quale che sia la versione cui il giudice del merito ha inteso far riferimento, in tutti i casi é corretto escludere l’affitto di azienda, che presuppone l’organizzazione -antecedente al contratto ed imputabile al locatore- di tutti gli elementi necessari per l’esercizio dell’impresa . La corte del merito ha correttamente ritenuto, con una statuizione che non è neppure impugnata, che l’avviamento commerciale non preesisteva alla locazione dell’immobile ma fu apportato esclusivamente dall’azienda della conduttrice che avviò l’impresa in franchising con RAGIONE_SOCIALE.
Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile e la ricorrente va condannata alle spese del giudizio di cassazione in favore della parte controricorrente, liquidate come in dispositivo.
Va, infatti, disattesa l’eccezione di tardività del controricorso, che in modo  sorprendente  vorrebbe  far  decorrere  il  termine  per  il  suo deposito dalla consegna del ricorso per la notificazione, avvenuta il 1° marzo 2022 e non dalla data di ricevimento, che è stata il 7 marzo.
Si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,  da  parte  della  ricorrente,  di  una  somma  a  titolo  di contributo unificato pari a quella versata per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna  parte  ricorrente  al  pagamento,  in  favore  della  parte controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione che liquida in € 4000, oltre accessori come per legge e spese generali al 15 %, con distrazione a favore del suo difensore.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo  unificato  pari  a  quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile