Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 13539 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 13539 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8208/2021 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (EMAIL), NOME COGNOME (EMAIL) e NOME COGNOME (EMAIL);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (EMAIL), NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2955/2020 della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA, depositata l’11 /01/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7/03/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 11/01/2021, la Corte d’appello di Venezia, in accoglimento dell’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE e in riforma della decisione di primo grado, dopo aver rilevato l’infondatezza dell’eccezione sollevata da NOME COGNOME circa il carattere simulato del contratto di affitto di due rami d’azienda intercorso tra il COGNOME (quale affittuario) e la RAGIONE_SOCIALE (quale concedente), ha disposto il rigetto delle domande originariamente proposte in via riconvenzionale dal COGNOME, dichiarando cessata la materia del contendere in relazione alla domanda della RAGIONE_SOCIALE volta al rilascio delle aziende concesse in godimento e disponendo, per il resto, la conferma della decisione di primo grado;
a fondamento della decisione assunta, per quel che ancora rileva in questa sede, la corte territoriale ha rilevato come il primo giudice avesse erroneamente affermato il carattere relativamente simulato del contratto di affitto di azienda stipulato tra le parti (al quale lo stesso giudice di primo grado ha ritenuto di attribuire natura locatizia), atteso che la volontà delle parti, per come manifestata nelle relative dichiarazioni negoziali, doveva intendersi nel senso di prevedere la concessione in godimento di un complesso di beni produttivo (nella specie, di un’azienda alberghiera), e non già la concessione limitata al godimento dei soli immobili individuati nel contratto;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione ;
la RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso, cui ha fatto seguito il deposito di memoria;
considerato che :
con l ‘unico motivo di impugnazione proposto, il ricorrente censura la sentenza impugnata per erronea applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1369, 1571 e 2555 c.c., per avere la corte territoriale erroneamente qualificato il contratto stipulato tra le parti come contratto di affitto di azienda, valorizzando elementi meramente accessori e di contorno, senza rendersi conto dell’effettiva natura del bene posto a oggetto del negozio concluso tra le parti, nella specie limitato al solo godimento degli immobili ivi previsti, senza alcuna considerazione degli stessi in relazione a una loro eventuale destinazione in chiave produttiva;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione degli atti negoziali debba ritenersi indefettibilmente riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità unicamente nei limiti consentiti dal testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c., ovvero nei casi di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c.;
in tale ultimo caso, peraltro, la violazione denunciata chiede d’essere necessariamente deAVV_NOTAIOa con la specifica indicazione, nel ricorso per cassazione, del modo in cui il ragionamento del giudice di merito si sia discostato dai suddetti canoni, traducendosi altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti, in una mera proposta reinterpretativa in dissenso rispetto all’interpretazione censurata; operazione, come tale, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 17427 del 18/11/2003, Rv. 568253);
nel caso di specie, l’odierno ricorrente si è limitato ad affermare, in modo inammissibilmente apodittico, il preteso tradimento, da parte dei giudici di merito, della comune intenzione delle parti (ai sensi dell’art. 1362 c.c.), nonché la scorrettezza dell’interpretazione complessiva attribuita ai termini dell’atto negoziale (ex art. 1363 c.c.), oltre alla violazione del principio della ragionevole estensione delle espressioni generali e dell’indicazione esemplificativa (ex artt. 1364 e 1365 c.c.), dei canoni interpretativi della buona fede (art. 1366 c.c.) e dell’interpretazione delle espressioni polisenso più ‘conveniente’ alla natura e all’oggetto del contratto (art. 1369 c.c.), orientando l’argomentazione critica rivolta nei confronti dell’interpretazione della corte territoriale, non già attraverso la prospettazione di un’obiettiva e inaccettabile contrarietà, a quello comune, del senso attribuito ai testi e ai comportamenti negoziali interpretati, o della macroscopica irrazionalità o intima contraddittorietà dell’interpretazione complessiva dell’atto (così come della rilevabilità ictu oculi di un’interpretazione contraria a buona fede o del tutto sconveniente, rispetto alla natura o all’oggetto del contratto), bensì attraverso l’indicazione degli aspetti della ritenuta non condivisibilità della lettura interpretativa criticata, rispetto a quella ritenuta preferibile, in tal modo travalicando i limiti propri del vizio della violazione di legge ( ex art. 360, n. 3, c.p.c.) attraverso la sollecitazione della corte di legittimità alla rinnovazione di una non consentita valutazione di merito dei fatti di causa;
sul punto, è appena il caso di rilevare come la corte territoriale abbia proceduto alla lettura e all’interpretazione delle dichiarazioni negoziali in esame nel pieno rispetto dei canoni di ermeneutica fissati dal legislatore, non ricorrendo ad alcuna attribuzione di significati estranei al comune contenuto semantico delle parole, né spingendosi a una ricostruzione del significato complessivo dell’atto negoziale in
termini di palese irrazionalità o intima contraddittorietà (sulla base di un’ipotetica lettura macroscopicamente contraria ai canoni della buona fede o della convenienza oggettiva), per tale via giungendo alla ricognizione di un contenuto negoziale sufficientemente congruo, rispetto al testo interpretato, e del tutto scevro da residue incertezze, piuttosto armonizzando, con coerenza, il senso letterale delle parole utilizzata in sede contrattuale al comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto, sì da sfuggire integralmente alle odierne censure avanzate dal ricorrente in questa sede di legittimità;
ciò posto, l’odierna censura in altro non si risolve, se non in una proposta di rilettura nel merito dei fatti di causa, sulla base di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
sulla base di tali premesse, rilevata, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 10.800,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione