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Affitto d’azienda senza consenso: revoca amministratori

Una sentenza della Corte d’Appello ha confermato la revoca per giusta causa di due socie amministratrici di una S.n.c. per aver concesso in affitto d’azienda l’unico complesso aziendale senza il consenso della terza socia. La Corte ha stabilito che tale operazione, modificando sostanzialmente l’oggetto sociale, richiede il consenso unanime di tutti i soci ai sensi dell’art. 2252 c.c., poiché trasforma la natura dell’attività da produttiva a finanziaria. Lo statuto societario, inoltre, non prevedeva una deroga a tale principio per l’affitto d’azienda.

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Affitto d’Azienda: Quando la Mancanza di Consenso Porta alla Revoca degli Amministratori

L’affitto d’azienda è uno strumento contrattuale cruciale per la vita di un’impresa, ma le sue implicazioni possono essere profonde, specialmente all’interno di società di persone. Una recente sentenza della Corte d’Appello ha ribadito un principio fondamentale: affittare l’unica azienda di una società senza il consenso di tutti i soci costituisce una grave violazione dei doveri degli amministratori, tale da giustificarne la revoca per giusta causa. Analizziamo insieme questo caso emblematico per capire le regole e le conseguenze di una decisione così importante.

I Fatti di Causa: Una Decisione Controcorrente

Il caso riguarda una società in nome collettivo (S.n.c.) gestita da tre sorelle, due delle quali ricoprivano anche il ruolo di amministratrici. La società era proprietaria e gestiva un’unica azienda, un complesso turistico-alberghiero. Ad un certo punto, a causa di dissidi interni, le due socie amministratrici hanno deciso di concedere in affitto d’azienda l’intero complesso a una società terza. Questa decisione è stata presa senza ottenere il consenso formale della terza socia, la quale, pur essendo a conoscenza delle tensioni e di una generica intenzione di riorganizzare la società, non aveva mai approvato specificamente l’operazione.

Sentendosi esclusa da una scelta così fondamentale per il futuro della società, la socia non amministratrice ha citato in giudizio le sorelle, chiedendone la revoca dalla carica per giusta causa. Il Tribunale di primo grado le ha dato ragione, e le amministratrici hanno proposto appello.

La Decisione della Corte d’Appello sull’Affitto d’Azienda

La Corte d’Appello ha rigettato l’appello, confermando in toto la decisione del primo giudice. Il cuore della controversia ruotava attorno a due questioni principali: la natura dell’atto di affitto e l’interpretazione dello statuto societario.

La Modifica dell’Oggetto Sociale

Le amministratrici sostenevano che l’affitto non modificasse l’oggetto sociale. La Corte ha respinto questa tesi, chiarendo che l’affitto d’azienda, quando riguarda l’unico asset operativo della società, non è un semplice atto di gestione. Al contrario, esso determina una “cessazione dell’esercizio diretto dell’impresa”. In pratica, la società si trasforma: da soggetto che svolge attivamente un’attività turistica, diventa un mero percettore di rendite (il canone di affitto). Questa trasformazione da attività produttiva a finanziaria è una modifica sostanziale dell’oggetto sociale.

L’Interpretazione dello Statuto Societario

Le appellanti hanno anche invocato una clausola dello statuto (l’art. 6) che, a loro dire, permetteva loro di compiere l’atto con il consenso della maggioranza (due socie su tre). La Corte ha però analizzato attentamente la clausola, notando che essa elencava in modo tassativo gli atti di straordinaria amministrazione che potevano essere compiuti a maggioranza (es. compravendita di immobili, accensione di mutui). L’affitto d’azienda non era presente in questo elenco. Di conseguenza, per tale operazione, tornava ad applicarsi la regola generale del codice civile.

Le Motivazioni: Il Principio dell’Unanimità

La Corte ha fondato la sua decisione sul principio cardine dell’art. 2252 del codice civile, valido per le società di persone. Tale norma stabilisce che il contratto sociale può essere modificato soltanto con il consenso di tutti i soci, salvo diverso accordo. Poiché l’affitto dell’unica azienda è stato qualificato come una modifica di fatto dell’oggetto sociale – e quindi del contratto sociale – era indispensabile il consenso unanime delle tre socie. La Corte ha sottolineato che una generica disponibilità della terza socia a trovare una soluzione ai conflitti interni non poteva in alcun modo essere interpretata come un consenso preventivo e formale a una specifica operazione di affitto, con un determinato contraente e a precise condizioni. La decisione unilaterale delle amministratrici ha quindi costituito una grave e palese violazione dei loro doveri di correttezza e diligenza, legittimando la loro revoca.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza offre una lezione chiara per tutti gli amministratori di società di persone: le decisioni che snaturano l’attività principale dell’impresa non possono essere prese alla leggera o a colpi di maggioranza, a meno che lo statuto non lo consenta esplicitamente e in modo inequivocabile. L’affitto d’azienda dell’unico asset societario è un atto di straordinaria amministrazione che incide sulla stessa ragion d’essere della società. Pertanto, richiede il coinvolgimento e l’approvazione formale di tutti i soci. Agire diversamente espone gli amministratori a gravi responsabilità personali, inclusa la revoca dalla carica per giusta causa e potenziali azioni di risarcimento del danno.

L’affitto dell’unica azienda di una società di persone è un atto di ordinaria o straordinaria amministrazione?
Secondo la Corte, si tratta di un atto di straordinaria amministrazione, poiché modifica in modo sostanziale l’oggetto sociale, determinando la cessazione dell’esercizio diretto dell’impresa e trasformando l’attività da produttiva a finanziaria.

Per affittare l’unica azienda di una S.n.c. è necessario il consenso di tutti i soci?
Sì. La sentenza stabilisce che, trattandosi di un atto che modifica il contratto sociale, è richiesto il consenso unanime di tutti i soci ai sensi dell’art. 2252 c.c., a meno che l’atto costitutivo non preveda espressamente una deroga per questa specifica operazione.

Una generica disponibilità a ‘riorganizzare’ la società espressa da un socio equivale a un consenso formale per l’affitto d’azienda?
No. La Corte ha chiarito che una manifestazione di disponibilità a risolvere i conflitti interni non costituisce un’adesione espressa a una specifica proposta contrattuale. Il consenso deve essere formale, inequivocabile e riferito alla specifica operazione posta in essere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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