Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 31253 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 31253 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
R.G. 2275/2023
COGNOME
Rep.
C.C. 11/7/2024
C.C. 14/4/2022
AFFITTO DI AZIENDA.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2275/2023 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE e COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliata presso gli indirizzi PEC indicati dai difensori
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE SAN MARTINO, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicati dai difensori -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di GENOVA n. 1091/2022 depositata il 27/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11/07/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Il 12 settembre 2001 vennero stipulati due contratti fra la MD RAGIONE_SOCIALE (successivamente ridenominata RAGIONE_SOCIALE e poi incorporata nella RAGIONE_SOCIALE) e l’Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino (cui è succeduto ex lege l’I.R.C.C.S. Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino).
Con il primo contratto la società concesse in sublocazione all’ente pubblico una unità immobiliare sita in Genova, INDIRIZZO e con il secondo la stessa RAGIONE_SOCIALE locò alla Azienda Ospedaliera una «universalità di beni mobili» costituita da una pluralità di apparecchiature mediche diagnostiche e terapeutiche.
Seguì nel 2005 un ulteriore contratto di sublocazione di ulteriori immobili.
Negli immobili e con tali apparecchiature l’Azienda Ospedaliera organizzò il «Centro Poliambulatoriale Pammatone».
Alla prima scadenza i contratti vennero rinnovati, fino al 31 maggio 2011; a quella successiva essi, invece, non furono espressamente rinnovati.
La RAGIONE_SOCIALE incorporante la società locatrice, sostenendo che fosse intervenuta una rinnovazione tacita, chiese ed ottenne dal Tribunale di Genova, in tempi diversi, tre decreti ingiuntivi:
il primo sia per «conguaglio canone di locazione di universalità di beni mobili per il periodo 1/7/2011 -30/9/2011» (per un ammontare di euro 1.323.255,00), sia per i canoni di ottobre e novembre 2011 relativi alla sublocazione dell’immobile (per un importo di euro 37.096,02);
il secondo per i canoni di agosto e settembre 2011 relativi alla sublocazione dell’immobile (per un importo di euro 38.329,38);
il terzo sia per «conguaglio canone di locazione di universalità di beni mobili per il periodo 1/4/2011 -30/6/2011» (per un ammontare di euro 218.719,80), sia per i canoni di giugno e luglio 2011 relativi alla sublocazione dell’immobile (per un importo di euro 36.819,38).
Avverso ciascuna delle tre ingiunzioni di pagamento l’Azienda Ospedaliera propose altrettante opposizioni: in tutti e tre i casi con un unico ricorso, ai sensi delle norme sul rito del lavoro.
Il Tribunale di Genova pronunciò separate sentenze con le quali dichiarò inammissibili, per ragioni di rito, le opposizioni (di cui al primo e al terzo dei suelencati decreti ingiuntivi) relative ai pretesi canoni di locazione mobiliare: ritenne infatti che, dovendo per tale parte l’opposizione introdursi con atto di citazione secondo il rito ordinario e dovendo conseguentemente aversi riguardo alla data (non del deposito in cancelleria ma) della notifica all’opposta del ricorso in opposizione, questa doveva considerarsi tardiva poiché avvenuta al di là del termine decadenziale di 40 giorni.
Per la speculare ragione ritenne invece ammissibili le opposizioni in quanto relative ai canoni di sublocazione dell’immobile e nel merito revocò, per tale parte, i decreti ingiuntivi ma, nondimeno, condannò l’Azienda Ospedaliera al pagamento di un’indennità (per ciascuno dei tre periodi considerati nei tre decreti ingiuntivi) sul rilievo che la locazione non si era rinnovata alla scadenza del 31 maggio 2011 (non avendo l’ente subconduttore manifestato formalmente la propria volontà di rinnovare i contratti) e tuttavia, anche dopo tale data, l’ente aveva continuato ad occupare i locali tramite l’ASL 3.
Ciascuna delle tre decisioni è stata appellata: a) in via principale dalla RAGIONE_SOCIALE, che ha insistito per la condanna della conduttrice al pagamento delle somme controverse a titolo di canone di locazione; b) in via incidentale dall’I.R.C.C.S. San Martino, nel frattempo succeduto ex lege all’Azienda Ospedaliera.
La Corte d’appello di Genova, con altrettante separate sentenze, ha riformato quelle di primo grado relative ai giudizi nei quali si faceva questione anche dei canoni di locazione dei beni mobili, ritenendo che per tale parte, diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, le opposizioni fossero ammissibili (non conseguendo dalla erronea scelta del rito alcuna sanzione processuale) e che fossero altresì fondate (non prevedendo il relativo contratto alcuna rinnovazione tacita dopo la scadenza del 31 maggio 2011).
Per il resto (ossia per la parte relativa ai canoni di sublocazione immobiliare) la Corte territoriale ha confermato le decisioni del Tribunale, precisando però che l’I.R.C.RAGIONE_SOCIALE San Martino doveva ritenersi tenuto al pagamento delle somme cui era stato condannato non a titolo di indennità per mancata riconsegna dei locali, bensì perché la sublocazione immobiliare, soggetta all’applicazione dell’art. 28, primo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, si era tacitamente rinnovata alla scadenza, in assenza di disdetta espressa.
Contro ciascuna delle tre sentenze d’appello l’I.R.C.CRAGIONE_SOCIALE San Martino ha proposto separati ricorsi per cassazione, ciascuno articolato in quattro motivi.
La RAGIONE_SOCIALE ha resistito ad ognuno con controricorsi e, avverso le due sentenze nelle quali si trattava anche il tema dei canoni pretesi per la locazione di beni mobili, ha proposto ricorsi incidentali, ciascuno per tre motivi.
Ad essi l’I.R.C.C.S. ha resistito con controricorsi.
Questa Corte, con le tre ordinanze interlocutorie n. 12351, n. 12352 e n. 12353 del 2020, rilevando l’esistenza di una questione inerente alla possibilità di configurare, fra i contratti stipulati dalle parti, «un collegamento funzionale tale da consentire una considerazione unitaria dell’operazione negoziale, qualificabile come affitto d’azienda», ha rinviato le cause a nuovo ruolo,
assegnando termine di giorni quaranta dalla comunicazione delle ordinanze medesime, ai sensi dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., per consentire alle parti di interloquire sul punto.
Dopo di che, trattati i ricorsi in pubblica udienza, li ha riuniti e decisi con un’unica sentenza (4 giugno 2021, n. 15603) nella quale ha accolto il primo, il secondo e il terzo motivo dei ricorsi principali proposti dall’IRCCS San Martino, con assorbimento dei rimanenti, ha rigettato i ricorsi incidentali della RAGIONE_SOCIALE, ha cassato le tre sentenze in relazione ai motivi accolti e ha rinviato la decisione alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione.
5.1. Nella sentenza questa Corte -dopo aver ricordato le divergenti tesi del Tribunale e della Corte d’appello in ordine al rito applicabile alle tre opposizioni al decreto ingiuntivo, cui avevano fatto seguito decisioni tra loro contrarie -ha tuttavia osservato che entrambi i giudici erano partiti dalla premessa dell’esistenza di due autonomi rapporti contrattuali, mentre nelle ordinanze interlocutorie si era fatto riferimento alla possibilità di un diverso inquadramento giuridico.
La sentenza ha quindi chiarito che, all’esito del contraddittorio sollecitato sul punto, doveva essere confermata la tesi, differente da quella fatta propria da entrambi i giudici di merito, secondo cui sussisteva un collegamento funzionale tra i due contratti stipulati tra le parti, tale per cui il contratto doveva essere unitariamente qualificato come affitto di azienda. Siffatta diversa impostazione non è stata ritenuta preclusa dal fatto di avere luogo in sede di legittimità, non essendovi alcun ostacolo in tal senso, e non potendosi ritenere sussistente il giudicato sulla pregressa qualificazione.
Muovendo da tale premessa, questa Corte ha ritenuto che, pur essendo errato il ragionamento svolto dalla Corte d’appello in ordine alla necessità di non applicare regole processuali distinte per i giudizi di opposizione ai decreti ingiuntivi, la sentenza impugnata
poteva, sul punto, essere ugualmente confermata, anche se con una diversa motivazione. E pertanto, trattandosi di «corrispettivi da imputare ad unitario negozio qualificato, con riferimento ad entrambe le pattuizioni da ricondurre ad unità, come rapporto di affitto, l’opposizione a decreto ingiuntivo andava soggetta al rito locatizio (art. 447bis cod. proc. civ.) anche per gli importi riferiti ai macchinari e doveva pertanto considerarsi, anche per tale parte, alla stregua della cronologia implicitamente ma pacificamente dedotta, tempestiva».
Sulla base di questa conclusione, la sentenza n. 15603 ha anche -specularmente e per la stessa ragione -accolto il secondo e il terzo motivo dei ricorsi dell’IRCCS San Martino, perché, non trovando applicazione la disciplina degli artt. 27 e 28 della legge n. 392 del 1978 per il contratto di affitto di azienda, non era «fondatamente predicabile una rinnovazione tacita del contratto». Restavano dunque assorbiti gli altri motivi dei ricorsi principali; mentre a proposito del terzo motivo dei ricorsi incidentali la sentenza ha rilevato che, «al di là e ancor prima della natura meramente fattuale della critica, la qualificazione unitaria del rapporto esclude a priori che possa predicarsi la rinnovazione della sola parte di essa relativa ai beni mobili».
Quanto alle spese processuali, infine, questa Corte ha ritenuto di dover compensare integralmente le spese del giudizio di cassazione, in conseguenza della diversa qualificazione negoziale operata in sede di legittimità.
A seguito della decisione di cassazione l’IRCCS San Martino ha riassunto il giudizio in sede di rinvio, nel quale si è costituita anche la società RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’appello di Genova, con sentenza 27 ottobre 2022, n. 1091, in riforma della sentenza n. 2832 del 2013 del Tribunale di Genova, ha rigettato le domande della RAGIONE_SOCIALE relative sia ai canoni di sublocazione dell’immobile sito a Genova, INDIRIZZO
Partigiane, sia ai canoni di locazione dell’universalità di beni mobili sia all’indennità di cui all’art. 1591 cod. civ.; ha condannato la Black Oils s.p.a. alla restituzione, in favore dell’IRCCS San Martino, della somma di euro 61.058,82, da cui detrarre la somma di euro 24.239,44, oltre interessi; ha compensato tra le parti, nella misura di metà, le spese dei vari gradi di giudizio, condannando la parte attrice in riassunzione a rifondere a favore della parte convenuta in riassunzione la metà delle spese dei due gradi di merito, del giudizio di cassazione e di quello di rinvio.
6.1. La Corte d’appello, riassunti i termini delle precedenti decisioni di merito, ha innanzitutto rilevato che la statuizione della sentenza d’appello in base alla quale doveva ritenersi ammissibile l’opposizione all’ingiunzione relativa ai canoni di locazione dell’universalità di mobili era stata confermata dalla Corte di cassazione, anche se con correzione della motivazione. Nel merito, il rigetto del terzo motivo del ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE, comportava «la conferma definitiva della statuizione di appello cui detto motivo si riferisce: con la quale veniva rigettata la domanda di Black Oils s.p.a. relativa ai canoni locazione dell’universalità di mobili, e anche dell’interpretazione della clausola su cui la statuizione di rigetto si fonda».
Passando, poi, ad esaminare la questione riguardante il pagamento dei canoni di sublocazione dell’immobile, il giudice di rinvio ha rilevato che, alla luce della sentenza di cassazione, che aveva escluso l’applicabilità all’affitto di azienda degli artt. 27 e 28 della legge n. 392 del 1978, la rinnovazione tacita del contratto era da escludere e si doveva solo decidere se fosse dovuto o meno, ai sensi dell’art. 1591 cod. civ., il canone per i mesi di giugno e luglio 2011. L’esistenza di tale ragione di debito è stata però esclusa dalla Corte d’appello, in base al rilievo per cui risultava dagli atti che la società RAGIONE_SOCIALE, dante causa della RAGIONE_SOCIALE, aveva in data 22 giugno 2011 stipulato con la ASL 3 di
Genova «una scrittura privata con la quale aveva acconsentito a che la ASL permanesse nella disponibilità dei locali (oggetto del contratto di sublocazione) per lo svolgimento delle attività attualmente in corso»; e tale consenso prestato dalla società MD alla permanenza della ASL nei locali implicava «necessariamente che ne avesse previamente riacquistato la disponibilità», data la natura definita inequivocabile di quella scrittura privata.
Detto questo -e dopo aver richiamato, con ampiezza di argomenti, la contraria tesi della RAGIONE_SOCIALE e il contenuto delle clausole contenute nei due contratti riguardanti la durata degli stessi e le condizioni di rinnovo -la Corte genovese ha ricordato che l’IRCCS San Martino aveva già con l’appello incidentale sollevato la questione dell’esistenza del citato accordo tra la controparte e la ASL 3 volto a consentire a quest’ultima di continuare a utilizzare i locali oggetto della sub-conduzione a suo favore, il che ovviamente escludeva la rinnovazione tacita della sublocazione.
6.2. La sentenza ha poi provveduto alla rilettura della decisione di cassazione, per delinearne con precisione i confini.
A questo riguardo, la Corte di merito ha escluso che la Corte di legittimità si fosse pronunciata «in modo vincolante solo in rito, con riguardo all’applicabilità del rito locatizio» ed ha affermato che la decisione n. 15603 del 2021 non aveva richiesto al giudice di rinvio di determinare la durata del rapporto, ma aveva espressamente affermato il contrario, e cioè che il contratto, unitariamente inteso, era cessato alla scadenza del 31 maggio 2011, escludendone la rinnovazione automatica.
In altri termini, quindi, la sentenza di cassazione aveva escluso sia la proroga del contratto di sublocazione dell’immobile che di quello riguardante l’universalità di mobili. E comunque ha ribadito la Corte genovese -anche volendo ipotizzare la permanenza di un residuo spazio di accertamento della volontà delle parti
relativamente alla durata del rapporto, la proroga andava in ogni caso esclusa. Dalla lettura della clausola n. 2 del contratto di sublocazione dell’immobile, infatti, emergeva «esattamente il contrario», e cioè che non era prevista la rinnovazione automatica in mancanza di disdetta alla prima scadenza, bensì la mera facoltà della sublocatrice a detta prima scadenza di ottenere proroga di ulteriore termine nei limiti di vigenza del contratto di locazione principale. D’altra parte, la sentenza di cassazione aveva espressamente affermato che la qualificazione unitaria dei due contratti come ‘affitto di azienda’ impediva l’applicazione della disciplina vincolistica relativamente alla rinnovazione automatica, quale era stata ritenuta possibile dalla Corte d’appello nella sentenza poi cassata.
Quanto, poi, al contratto di locazione dell’universalità di beni mobili, la Corte genovese -richiamate le proprie precedenti argomentazioni -ha chiarito che già la sentenza cassata aveva escluso la proroga oltre la data del 31 maggio 2011. La sentenza di cassazione, a sua volta, rigettando il terzo motivo del ricorso incidentale, aveva impedito definitivamente «l’interpretazione della clausola in questione come contenente la previsione della possibilità di rinnovazione automatica, essendosi per effetto di tale rigetto formato il giudicato sulla interpretazione che della clausola in questione aveva dato la Corte d’appello».
In conclusione, quindi, il giudice di rinvio ha affermato che «lo sforzo interpretativo che la convenuta in riassunzione sollecita conduce in realtà a risultati opposti a quelli dalla stessa auspicati, posto che, delle clausole relative alla durata dei due contratti, l’una esclude il rinnovo automatico, l’altra lo ammette per una sola volta alla prima scadenza (dovendosi solo precisare che è del tutto irrilevante la questione del passaggio in giudicato degli accertamenti contenuti nelle sentenze del Tribunale circa la mancata prova dell’invio di tempestiva disdetta, proprio perché è
da escludersi la rinnovazione automatica in mancanza di disdetta)».
6.3. La Corte territoriale, infine, si è occupata del problema dell’applicabilità dell’art. 1591 cod. civ. alla fattispecie in esame.
Dopo aver premesso che non si era formato alcun giudicato in ordine al riconoscimento, in favore della Black Oils s.p.a., della spettanza di tale indennità, la sentenza ha ribadito, da un lato, che quest’ultima doveva essere considerata come rientrata nel possesso del bene immobile alla data del 31 maggio 2011 e, dall’altro, che il rigetto del relativo motivo di ricorso per cassazione proposto dalla RAGIONE_SOCIALE s.p.a. aveva determinato la formazione del giudicato interno su questo punto (rilevabile anche d’ufficio).
In considerazione del rigetto delle domande della RAGIONE_SOCIALE, la Corte ha disposto che essa fosse condannata a restituire all’IRCCS San Martino le somme ricevute in esecuzione della sentenza di primo grado.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Genova propone ricorso la RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a nove motivi.
Resiste l’IRCCS San Martino di Genova con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 12 delle preleggi, dell’art. 2909 cod. civ. e degli artt. 1362 e ss. cod. civ., in relazione all’errata applicazione del principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 15603 del 2021.
La società ricorrente premette che la censura ivi formulata costituisce il presupposto logico indispensabile dei successivi motivi secondo e terzo e ha ad oggetto la corretta interpretazione del dispositivo della sentenza di cassazione, con particolare riferimento alla statuizione secondo cui il contratto unitario di affitto di azienda
non si era rinnovato alla scadenza del 31 maggio 2011. Dopo aver premesso che le regole di interpretazione fissate dall’art. 12 delle preleggi devono applicarsi anche agli enunciati contenuti nelle sentenze di legittimità, la parte ricorrente individua come unico significato oggettivo della sentenza suindicata quello per cui non esistevano, nella specie, due contratti, bensì un’unica operazione negoziale, inquadrata nella figura dell’affitto di azienda. La sentenza di cassazione, perciò, aveva solo escluso l’automatico rinnovo del contratto ai sensi degli artt. 27 e 28 della legge n. 392 del 1978, ma nulla aveva disposto in ordine all’effettiva durata del contratto di affitto di azienda. Ciò starebbe a significare che, nella specie, non si era formato il giudicato né sull’interpretazione della clausola operata nella prima sentenza di appello, secondo cui «il rinnovo del contratto di locazione di universalità di beni immobili poteva avvenire solo per un quinquennio», né sulla circostanza che l’unitario contratto di affitto di azienda potesse essere stato prorogato, anche se non per legge. Secondo la società ricorrente, quindi, la sentenza di cassazione aveva chiesto al giudice di rinvio di determinare la durata del contratto di affitto di azienda, per cui l’unico vincolo era costituito dal rito applicabile e dall’impossibilità di far valere le regole degli artt. 27 e 28 della legge n. 392 del 1978.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 384 cod. proc. civ., come censura posta in subordine.
In via subordinata, la parte ricorrente ribadisce che la Corte di cassazione, pronunciando la sentenza n. 15603 del 2021, non aveva deciso la causa nel merito, ma aveva demandato al giudice di rinvio il compito «di esaminare ex novo gli aspetti della controversia collegati alla nuova unitaria qualificazione del rapporto (affitto di azienda)». Tale limite, connaturato alla natura stessa del
giudizio di cassazione, avrebbe fatto sì che al giudice di rinvio fossero posti solo due vincoli, costituiti l’uno dal tipo di contratto individuato (affitto di azienda) e l’altro dall’inapplicabilità dei citati artt. 27 e 28 della legge n. 392 del 1978.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ., in riferimento all’art. 1597, secondo comma, cod. civ. in tema di rinnovazione del contratto di locazione o affitto.
Secondo la ricorrente, posti gli effettivi limiti derivanti dalla sentenza di cassazione, il giudice di rinvio avrebbe dovuto dar vita al contraddittorio sul merito della nuova questione rilevata d’ufficio dalla pronuncia di legittimità. La Corte d’appello, inoltre, non avrebbe indicato quali fossero i criteri ermeneutici in base ai quali era pervenuta alla conclusione per cui il contratto di affitto di azienda era cessato alla data del 31 maggio 2011 e per quali ragioni aveva individuato un contrasto tra le clausole relative alla durata del contratto di sublocazione immobiliare e quelle sulla durata del contratto di locazione di universalità di beni mobili. Alla luce della deliberazione n. 2672 del 10 ottobre 2006 dell’Azienda ospedaliera (poi divenuta IRCCS) risultava, infatti, che il contratto, giunto alla scadenza del 31 luglio 2006, era stato rinnovato alle stesse condizioni; e l’art. II del contratto avente ad oggetto l’universalità di beni mobili sarebbe perfettamente collimante con l’altro. D’altra parte, la lettera di disdetta inviata dall’IRCCS San Martino il 28 maggio 2010 non era stata «mai ricevuta» dall’odierna ricorrente, e sul punto vi sarebbe ormai il giudicato. Né potrebbe essere impedita la proroga dal fatto che si trattava di un contratto concluso con la P.A., perché la continuazione dell’originario rapporto si compirebbe, secondo la ricorrente, «in forza di una specifica clausola del contratto precedentemente concluso».
I primi tre motivi di ricorso devono essere esaminati congiuntamente in considerazione della stretta connessione che li unisce.
Essi, infatti, si concentrano su questioni di interpretazione della sentenza n. 15603 del 2021 di questa Corte, che costituisce il punto di partenza dal quale si deve necessariamente prendere avvio.
Dalla lettura e conseguente interpretazione di quella pronuncia emergono i seguenti incontestabili elementi: 1) la sentenza ha stabilito la procedura da applicare alle tre opposizioni ai decreti ingiuntivi, individuata per tutte nel rito del lavoro; elemento, questo, per cui le opposizioni sono state ritenute tutte tempestive e la prima sentenza d’appello è stata in relazione a tal profilo ‘salvata’, benché errata in diritto, grazie alla correzione della motivazione; 2) il contratto è stato ritenuto unico e qualificato come affitto di azienda; 3) la sentenza (p. 14) ha cassato la decisione impugnata perché la Corte d’appello contrariamente a quanto statuito dal Tribunale, che aveva applicato l’art. 1591 cod. civ. -aveva riconosciuto la spettanza dei canoni perché la sublocazione si era tacitamente rinnovata alla scadenza, decisione che questa Corte ha ritenuto scorretta, perché gli artt. 27 e 28 della legge n. 392 del 1978 non si applicano all’affitto di azienda (chiarissimo è il dissenso rispetto al contenuto della decisione impugnata, risultante dalla p. 5 della sentenza n. 15603); 4) la sentenza ha infine rigettato (come si deduce chiaramente dalla motivazione e dal dispositivo) anche il terzo motivo del ricorso incidentale della Black Oils s.p.a. (p. 14), sul rilievo che, oltre ad essere un motivo fattuale , la qualificazione unitaria escludeva che si potesse rinnovare la sola parte del contratto relativa ai beni mobili.
Questa essendo la corretta ricostruzione e interpretazione della precedente decisione di questa Corte, se ne devono trarre le
seguenti conclusioni: 1) deve intendersi ormai passata in giudicato la prima decisione della Corte d’appello (p. 5) là dove aveva stabilito che il canone di locazione dell’universalità dei beni mobili non poteva essere preteso dalla società oggi ricorrente, perché non c’era stata rinnovazione tacita dopo il 31 maggio 2011 (corretta è, quindi, la decisione del giudice di rinvio là dove ha rilevato che sul punto si era maturato il giudicato, derivante dal rigetto del terzo motivo del ricorso incidentale della società RAGIONE_SOCIALE; v. p. 13 e poi, più chiaramente, p. 21 della sentenza oggi impugnata); 2) è passata in giudicato anche l’esclusione dell’applicazione degli artt. 27 e 28, per cui non era predicabile una rinnovazione tacita del rapporto ; 3) la qualificazione del complesso rapporto contrattuale come costituente un unico contratto -quello, appunto, di affitto di azienda -escludeva che il giudice di rinvio potesse occuparsi della prosecuzione solo di uno dei due presunti contratti (il che dà conto dell’infondatezza del nucleo centrale delle censure specificamente contenute nel terzo motivo di ricorso, che insistono nell’ipotizzare una diversificazione tra i due contratti che non era, evidentemente, più sostenibile in sede di rinvio).
Rileva il Collegio, in definitiva, che l’unica questione effettivamente impregiudicata, per il giudice di rinvio, era quella sull’applicabilità o meno dell’art. 1591 cod. civ. (oggetto dei successivi motivi di ricorso dal quarto al settimo, sui quali ci si soffermerà nei punti successivi).
Volendo dare il massimo spazio alle ragioni della parte oggi ricorrente, qualche dubbio poteva (in astratto) rimanere solo sul se la Corte d’appello dovesse o meno stabilire, in sede di rinvio, qualcosa in ordine alla proroga o all’eventuale durata del contratto di affitto di azienda. Ma, anche volendo ammettere (per mera ipotesi) che residuasse ancora un qualche margine decisorio su questo secondo punto, la decisione di rinvio ha fugato ogni dubbio, per le ragioni che si andranno tra poco ad indicare.
Rileva il Collegio che, peraltro, tutti e tre i motivi si caratterizzano per una singolarità: non individuano la motivazione sottoposta a critica, salvo alla fine ed all’inizio delle pag. 45 -46. E, fra l’altro , la critica a tale motivazione si svolge prospettando la valutazione di una serie di risultanze documentali, con una inammissibile postulazione di sindacato sulla ricostruzione del fatto.
Un’ulteriore specifica singolarità presenta il terzo motivo, là dove evoca l’art. 183, comma quarto, cod. proc. civ., appoggiandone l’evocazione al comma terzo dell’art. 394 c od. proc. civ. , senza considerare che quest’ultimo parla di ‘conclusioni’, previsione che non si vede come possa avere attinenza con provocazione del contraddittorio sul merito della questione insorta a seguito del rinvio.
I primi tre motivi di ricorso, dunque, sono tutti privi di fondamento.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. in tema di giudicato.
La società ricorrente premette di essersi costituita nel giudizio di rinvio reiterando le domande formulate nei precedenti gradi, fra le quali quella di condanna dell’IRCCS San Martino al risarcimento del danno derivante dalla ritardata restituzione dell’azienda affittata (beni mobili e immobili). Il giudice di rinvio avrebbe respinto la domanda sul presupposto che su di essa vi era il giudicato costituito dalla sentenza di cassazione, ma tale statuizione sarebbe errata. Il giudicato, invece, si era formato sul debito, di natura contrattuale, derivante dal rinnovo del contratto di affitto di azienda, mentre la causa petendi fatta valere con la domanda di cui all’art. 1591 cit. è collegata alla mancata riconsegna del bene locato, cioè all’abusiva occupazione del medesimo (vi sarebbe anche diversità di petitum , l’uno costituito dal canone locativo e l’altro dal risarcimento del danno).
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. in tema di giudicato, sotto una diversa prospettazione.
Sempre in riferimento alla domanda proposta in base all’art. 1591 cod. civ., la società ricorrente dichiara essere «pacifica in causa» la circostanza per cui parte dell’azienda oggetto del contratto era stata «autonomamente concessa dall’Azienda ospedaliera San Martino all’ASL 3 genovese» e quella per cui la ricorrente era «rimasta estranea a tale accordo». Il Tribunale di Genova, infatti, aveva dato conto del fatto che l’IRCCS aveva consentito alla ASL l’utilizzo di una parte dei locali e che il concedente non aveva mai offerto la riconsegna anche parziale dei locali stessi. Il giudice di rinvio, invece (pp. 14 e 23 della sentenza), ha escluso che l’IRCCS San Martino dovesse pagare l’indennità di cui all’art. 1591 cit. in base alla diversa argomentazione secondo cui era stata la RAGIONE_SOCIALE, cioè la dante causa della RAGIONE_SOCIALE, ad acconsentire che la ASL permanesse nella disponibilità dei locali; il che presupponeva che la locatrice fosse rientrata nel possesso degli stessi. Senonché, sostiene la ricorrente, la statuizione del Tribunale secondo cui l’IRCCS non aveva offerto la restituzione dei locali sarebbe passata in giudicato, per cui il giudice di rinvio avrebbe violato le regole sul giudicato sostanziale.
Con il sesto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. in tema di giudicato sotto un’ulteriore prospettazione.
La società ricorrente richiama, a sostegno della propria tesi, il fatto che il giudicato sulla mancata restituzione dovrebbe derivare dal provvedimento emesso dal Presidente del Tribunale di Genova, in data 20 giugno 2013, che aveva affrontato il problema di chi
fosse l’effettivo soggetto creditore della riconsegna dell’immobile. Nell’ambito della procedura di offerta reale promossa dalla ASL 3 genovese nei confronti di entrambe le parti oggi in causa, il Presidente del Tribunale aveva scritto, nel citato provvedimento, che la società RAGIONE_SOCIALE era creditrice della restituzione dell’immobile locato «solo nei confronti dell’Azienda ospedaliera San Martino, suo unico conduttore». Su tale punto vi sarebbe il giudicato, trattandosi di «una questione attinente ai diritti soggettivi delle parti». L’affermazione, contenuta invece nella sentenza impugnata, secondo cui l’odierna ricorrente era nella disponibilità dei beni quando venne perfezionato l’accordo con la ASL 3 sarebbe, pertanto, in contrasto col giudicato suindicato.
Con il settimo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.
Anche questo motivo torna sulla questione dell’effettivo conseguimento del possesso dei beni in capo alla ricorrente e osserva che il provvedimento del Presidente del Tribunale di Genova citato nel sesto motivo dimostrerebbe che nel giugno 2013 la ASL 3 genovese era ancora nel possesso dei beni ad essa concessi in sublocazione dall’Azienda ospedaliera San Martino. La ricorrente rileva che il precedente motivo di ricorso può essere esaminato anche da questo diverso profilo, perché dal citato provvedimento del Presidente del Tribunale di Genova deriverebbe la prova che i beni oggetto di locazione dovevano essere restituiti dalla ASL 3 all’Azienda ospedaliera San Martino e non alla società RAGIONE_SOCIALE. Vi sarebbe, dunque, la prova dell’abusiva detenzione e del diritto della ricorrente all’indennizzo di cui all’art. 1591 citato.
I motivi di ricorso dal quarto al settimo devono essere esaminati congiuntamente, data l’evidente connessione che li unisce.
Per poterne saggiare la fondatezza, è indispensabile muoversi da quanto ha accertato e stabilito il giudice di rinvio in coordinamento con la precedente sentenza di questa Corte.
La Corte d’appello di Genova ha costruito la propria motivazione sui seguenti passaggi fondamentali: 1) ha riletto e interpretato le clausole sulla proroga dei contratti, osservando che quanto al contratto di sublocazione di immobile la durata era regolata dalla clausola n. 2, la quale non prevedeva affatto «la rinnovazione automatica in mancanza di disdetta alla prima scadenza del 31 luglio 2006, ma la mera facoltà della sublocatrice a detta prima scadenza di ottenere proroga di un ulteriore termine nei limiti di vigenza del contratto di locazione principale»; 2) quanto, invece, al contratto di locazione dell’universalità di mobili, proprio la clausola II del contratto, oggi invocata dalla parte ricorrente, prevedeva una sola rinnovazione, per cui dopo la prima scadenza del 31 luglio 2006 non sarebbe potuta intervenire un’ulteriore proroga dopo la data del 31 maggio 2011; 3) ha rilevato, come si è già detto in precedenza, che il rigetto del terzo motivo dei ricorsi incidentali della Black Oils s.p.a. aveva determinato la formazione del giudicato sull’interpretazione di quella clausola data dalla stessa Corte d’appello nel precedente giudizio; 4) ha poi accertato in punto di fatto, con una valutazione che è di merito, e quindi incensurabile siccome argomentata in modo corretto e senza vizi logici, che la permanenza nei locali da parte della ASL 3 genovese fu concordata con la MD, cioè con la RAGIONE_SOCIALE, e non con l’IRCCS San Martino, il che vuol dire che la MD era rientrata nel possesso dei beni (tale sillogismo è del tutto corretto).
Alla luce di questa complessa ricostruzione fattuale -la quale, da un lato, si fonda sul decisum di cui alla sentenza n. 15603 del 2021 di questa Corte e, dall’altro, su di un accertamento di merito non sindacabile in sede di legittimità -risulta in modo evidente
come i motivi di ricorso qui in esame siano tutti manifestamente infondati.
Ed invero, non bisogna dimenticare che, mentre la decisione del Tribunale aveva fondato la condanna dell’IRCCS San Martino al pagamento dell’indennità di cui all’art. 1591 cod. civ. sulla convinzione che questo avesse continuato ad occupare i locali in questione, dopo la data del 31 maggio 2011, tramite la ASL 3, la prima sentenza della Corte d’appello era pervenuta sì alla stessa condanna, ma in base alla diversa ratio decidendi secondo cui la sublocazione immobiliare si era tacitamente rinnovata alla prima scadenza. Una volta caducata, a seguito della sentenza di questa Corte, la decisione d’appello in relazione a questo punto, il giudice di rinvio era chiamato ad un nuovo accertamento sull’esistenza o meno della protrazione dell’occupazione dell’immobile (il che dà conto dell’infondatezza, in particolare, del quinto motivo di ricorso); e a tale domanda la Corte genovese ha dato risposta negativa, osservando, come si è detto poc’anzi, che già in data 22 giugno 2011 era stata la MD, dante causa della RAGIONE_SOCIALE, a stipulare con la ASL 3 un contratto che autorizzava quest’ultima a permanere nel possesso dei locali. Il che viene a significare che la MD era rientrata nella disponibilità dell’immobile, sicché la pretesa dell’odierna ricorrente di ottenere il pagamento dell’indennità di cui all’art. 1591 cit. per il protrarsi dell’occupazione non aveva alcun fondamento giuridico.
Questo essendo il quadro giuridico-fattuale della complessa vicenda, risultano infondate le argomentazioni contenute, in particolare, nel sesto e settimo motivo di ricorso, le quali vorrebbero far discendere , fra l’altro con prospettazione di difficile comprensione, l’esistenza del giudicato sulla persistenza dell’occupazione da parte dell’IRCCS San Martino dalle affermazioni contenute in un precedente provvedimento del Presidente del Tribunale di Genova, in relazione ad un contesto giuridico diverso
(la procedura di offerta reale). Il giudicato, infatti, non si determina in relazione a singole affermazioni contenute in un provvedimento (del quale, peraltro, non viene neppure specificato se sia o meno divenuto definitivo), ma solo su punti e capi appositi della domanda giudiziale; e i motivi qui in esame si rivelano, sotto questo profilo, anche non autosufficienti, perché non consentono di comprendere se e in quali limiti le affermazioni contenute nel menzionato provvedimento presidenziale possano avere natura di capo autonomo della decisione idoneo al giudicato (motivi sesto e settimo).
Vanno pertanto rigettati i motivi quarto, quinto, sesto e settimo.
Con l’ottavo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 394 cod. proc. civ., per asserita violazione dei limiti del giudizio di rinvio.
Sostiene la ricorrente che la Corte d’appello, accogliendo la domanda dell’IRCCS San Martino, proposta per la prima volta in sede di rinvio, di restituzione della somma corrisposta per canoni di locazione ai sensi dell’art. 1591 cod. civ., avrebbe violato i limiti del giudizio di rinvio, nel quale non possono essere proposte domande nuove.
10.1. Il motivo non è fondato.
La Corte osserva che è corretto il richiamo, contenuto nel controricorso, all’art. 389 cod. proc. civ., a norma del quale le domande di restituzione o riduzione in pristino e ogni altra conseguente alla sentenza di cassazione si propongono al giudice di rinvio e, in caso di cassazione senza rinvio, al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata, non potendo simili domande essere considerate nuove (v. in argomento, tra le altre, la sentenza 27 aprile 2021, n. 11115).
Nel caso specifico, la sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dell’IRCCS San Martino, della somma di cui all’art. 1591 cod. civ. era stata riconosciuta -anche se, come si è detto, sulla base di fondamenti giuridici diversi -sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello nel primo giudizio. Una volta intervenuta la sentenza di cassazione, della questione doveva occuparsi necessariamente il giudice di rinvio; e dopo la pronuncia di quest’ultimo, che ha ritenuto non spettante all’odierna ricorrente il diritto a percepire quel corrispettivo, è divenuta ammissibile la domanda di restituzione da parte dell’IRCCS, che ben poteva essere proposta in sede di rinvio. Ed è appena il caso di ricordare che su tale domanda il giudice non può provvedere d’ufficio, dovendo comunque chi agisce in ripetizione dimostrare l’avvenuto versamento.
Con il nono motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., a proposito della liquidazione delle spese.
Ed invero la Corte d’appello, condannando l’odierna ricorrente, in sede di giudizio di rinvio, al pagamento della metà delle spese di ciascuno dei gradi di giudizio, ivi compreso quello di cassazione, non avrebbe considerato che la Corte di cassazione aveva già deciso nel senso di compensare le spese di quel grado; per cui la decisione avrebbe violato il contenuto della sentenza di cassazione.
11.1. Il motivo è fondato.
Questa Corte, pronunciando la sentenza n. 15603 del 2021 più volte citata, pur avendo cassato con rinvio la sentenza della Corte genovese, ha deciso di regolare immediatamente le spese del giudizio di cassazione, disponendone la compensazione. Ne consegue che il giudice di rinvio non poteva provvedere autonomamente alla regolazione di quelle spese, sulle quali si era già perfezionato il giudicato interno. L’errore della Corte d’appello –
da ricondurre ad un palese e giustificabile lapsus -può essere emendato in questa sede, senza necessità di un ulteriore rinvio, cassando la sentenza in relazione a questo solo punto e decidendo la causa nel merito, ribadendo la compensazione delle spese del precedente giudizio di cassazione già disposta da questa Corte.
In conclusione, sono rigettati i motivi di ricorso dal primo all’ottavo, mentre è accolto il nono.
La sentenza impugnata è cassata in relazione e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, disponendo la compensazione delle spese del precedente giudizio di cassazione.
In considerazione della modesta rilevanza, nell’economia della decisione, dell’unico motivo accolto, la Corte ritiene equo disporre la compensazione integrale anche delle spese dell’odierno giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta i motivi di ricorso dal primo all’ottavo, accoglie il nono, cassa la sentenza impugnata in relazione e, decidendo nel merito, compensa le spese del precedente giudizio di cassazione; compensa , inoltre, anche le spese dell’odierno giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza