Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11036 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11036 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7497/2021 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
COOPERATIVA DI COGNOME NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 2112/2020 depositata il 16/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME. 2021-07497
FATTI DI CAUSA
– Il ricorso riguarda la sentenza del 16.11.2020 con cui la Corte d’appello di Firenze ha respinto l’appello avverso la sentenza resa in rigetto dell’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso il decreto con cui il Tribunale di Firenze le aveva ingiunto il pagamento della somma complessiva di 7.441,10 euro a titolo di residua quota sociale ancora da versare alla RAGIONE_SOCIALE di cui era stata socia dal 1.6.2015 all’8.5.2017. La sig. COGNOME aveva eccepito la nullità del rapporto associativo per coartazione della volontà essendo stata vittima di raggiri e artifici posti in essere dai vertici della cooperativa per indurla insieme ad altri lavoratori alla sottoscrizione del contratto sociale pena la perdita del rapporto di lavoro e dedotto l’assenza di un reale vincolo associativo oltre alla nullità dello stesso per indeterminatezza dell’ammontare del capitale sociale sottoscritto e delle trattenute in busta paga operate a titolo di versamento della quota sociale, ed, infine, aveva dedotto l’inesistenza del credito stante l’inefficacia nei suoi confronti (non più socia dal 30.4.2017) della delibera del 23.6.2017 con la quale era stata disposta -previa riduzione del capitale per perdite d’esercizio registrate nel bilancio al 31.12.2016 -la rideterminazione di ogni singola quota sociale ed imputazione a ciascuna di euro 7.000,00 a copertura della perdita.
Il Tribunale di Firenze respingeva l’opposizione sulla base delle seguenti considerazioni: a) nel verbale di c.d. cambio appalto, redatto alla presenza delle rappresentanze sindacali, era stato stabilito che tutti i lavoratori di RAGIONE_SOCIALE, azienda uscente, venissero assunti dalla RAGIONE_SOCIALE, senza alcuna modifica delle pregresse condizioni contrattuali e che, stante la natura di
società cooperativa dell’azienda subentrante, era fatta salva la volontà del lavoratore di accettare l’ammissione a socio della cooperativa stessa; b) di tutti i lavoratori impiegati nell’appalto di cui all’elenco dell’accordo sindacale, solo una minima parte – tra cui l’opponente -aveva presentato domanda di ammissione a socio; c) il predetto verbale di appalto recava in calce la sottoscrizione di alcuni lavoratori tra i quali l’opponente che non aveva disconosciuto la propria firma; d) nulla l’opponete aveva eccepito in ordine alle trattenute in busta paga periodicamente effettuate, né, prima del decreto ingiuntivo e dopo la cessazione del rapporto di lavoro, aveva mai richiesto la restituzione dell’importo versato; e) l’opponente aveva rilasciato deleghe per partecipare all’assemblea dei soci; f) la delibera del 23 giugno 2017 relativa all’approvazione del bilancio 2016 con determinazione dei criteri di copertura delle perdite di esercizio del 2016 e riduzione del capitale sociale era vincolante per l’opponente, ancora socia per quella annualità essendo receduta del rapporto societario dopo il 31/12/2016.
Perciò risultava confermata la sussistenza del rapporto associativo oltre che di quello di lavoro subordinato, nonché il concreto esercizio dei diritti sociali parte della COGNOME, né risultava una coartazione della sua volontà al fine di indurla alla sottoscrizione del modulo di adesione a socio data la produzione del verbale di cambio appalto sottoscritto dall’opponente che non aveva disconosciuto la propria firma e che aveva sempre esercitato i diritti sociali di partecipazione ad assemblee e nulla opposto alle trattenute in busta paga relative al pagamento della quota sociale; né potevano trovare accoglimento le istanze istruttorie perché le circostanze relative alla coartazione della volontà erano smentite dalla documentazione in atti e perché i capitoli di prova erano generici o valutativi o irrilevanti.
3.La Corte d’appello ha respinto il gravame proposto contro detta sentenza dalla sig. COGNOME osservando che:
non ricorrevano i presupposti per la richiesta sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c. in pendenza del processo penale avviato nei confronti del Presidente e Vicepresidente della RAGIONE_SOCIALE e di alcuni loro collaboratori per il reato di cui all’art. 603 bis c.p., in mancanza del requisito della indispensabilità logico-giuridica dell’antecedente avente asseritamente carattere pregiudiziale, e di sovrapponibilità soggettiva dei due giudizi, giacché tra le parti lese individuate in quello penale non era indicata la COGNOME;
la mancata concessione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c. non era rilevante, giacché per giurisprudenza costante di legittimità il giudice può invitare le parti a precisare le conclusioni ed assegnare la causa in decisione; e, comunque, anche in relazione alle prove reiterate (già indicate nell’atto introduttivo) o integrate in sede d’appello (cap. da 11 -14) si trattava di capitoli che indicavano « soltanto che il teste dovrebbe riferire di aver visto la appellante firmare numerosi fogli e chiedere informazioni sulla richiesta di ammissione a socio e sulla quota nonché la risposta datoriale che tale firma sarebbe stata indispensabile per l’assunzione e che i soldi trattenuti le sarebbero stati restituiti alla cessazione del rapporto » il che- secondo la Corte territoriale- si poneva ben lungi dal dimostrare la coartazione della volontà;
pur essendo effettivamente erronea l’affermazione del primo giudice secondo il quale il verbale di cambio appalto recherebbe la sottoscrizione non disconosciuta dell’opponente, laddove il medesimo era risultato sottoscritto solo dal sindacalista che rappresentava i lavoratori, la sentenza non doveva essere riformata ma meritava conferma p oiché molti altri documenti smentivano la dedotta assenza il vincolo associativo o anche la prospettata coartazione della volontà di sottoscrivere il contratto sociale pena la perdita del rapporto di lavoro (a prescindere dal fatto che le due prospettazioni erano antitetiche e contraddittorie perché alludere all’assenza del rapporto associativo urtava sul
piano logico con l’idea di un contratto semmai annullabile per vizio della volontà), invero: (i) non risultava nemmeno chiarito sul piano delle preventive allegazioni quale sarebbe stata la condotta di coartazione che certamente non poteva essere desunta dalla risposta ai generici capitoli da 1 a 14 « limitandosi tale capitolato di prova solo ad evidenziare che l’azienda era in difficoltà economiche e, quindi, era utile per poter assumere tutti che diventassero soci, il che, oltre a non essere smentito ma anzi confermato dalle successive vicende della società, non attestava alcuna reale coartazione della volontà »; (ii) « anche ammesso non concesso che tale asserita coartazione fosse frutto di una strategia della Cooperativa ( ” che secondo l’appellante ‘ nel prospettare implicitamente ed esplicitamente la mancata assunzione qualora non venisse accettata la condizione di socio ha costretto di fatto i lavoratori a sottoscrivere l’adesione” ) risultava stridente la circostanza – correttamente valorizzata dal Tribunale -che, invece, furono davvero pochi lavoratori a presentare la domanda di ammissione », risultando incontestata la circostanza che solo 60 lavoratori su 500 presentarono la domanda di ammissione a socio; (iii) in base alla documentazione prodotta, la domanda di ammissione a socio era stata sottoscritta dalla sig. COGNOME e detta specifica sottoscrizione non era mai stata disconosciuta, come non erano mai state contestate le trattenute in busta paga relative alla quota sociale né il rilascio delle deleghe per la partecipazione all’assemblea dei soci, circostanze incompatibili con la dedotta assenza di adesione consapevole alla compagine sociale o con una partecipazione coartata; (iv) era da escludersi, poi, l’ipotesi del dolo cui l’appellante faceva un fugace riferimento senza alcuna ulteriore spiegazione- giacché il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati (mai descritti in concreto) siano stati tali che senza di essi l’altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso, ovvero quando abbiano ingenerato nel deceptus
una rappresentazione alterata della realtà, onde non è sufficiente qualunque influenza psicologica sull’altro contraente; sicché la prospettazione del dolo (già carente sul piano descrittivo e della allegazione), oltre che non provata, non era neppure dimostrabile con le prove testimoniali richieste.
4 . -Contro la sentenza la sig. NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato a quattro motivi di cassazione. La RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Il primo motivo di ricorso denuncia ai sensi dell’art.360, comma 1 n. 5 . c.p.c. omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, perché la Corte d’appello avrebbe precluso all’appellante -come già nel primo grado di giudizio- la possibilità di assolvere l’onere probatorio sulla base di motivazioni apparenti o perplesse, così determinando una sostanziale omissione di fatto decisivo controverso costituito dalla nullità annullabilità del rapporto associativo di ammissione a socio della cooperativa per vizio della volontà; il fatto storico di cui la ricorrente lamenta l’omesso esame sarebbe l’avvenuta coartazione della volontà della lavoratrice, costretta a firmare una domanda di ammissione a socio della cooperativa pena il perdere il posto di lavoro, fatto che sarebbe risultato provato in giudizio attraverso le testimonianze non ammesse.
1.1- Il motivo è inammissibile.
Anzitutto nella specie si verte in un caso di pronuncia c.d. doppia conforme per cui il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile, ai sensi dell’art. 360 comma 4 c.p.c. se il ricorrente non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro
diverse (Cass. 2630 del 2024; Cass. n. 5947/2023; Cass. n. 26774/2016) il che qui non è avvenuto.
Inoltre è evidente che in questo caso la ricorrente non contesta l’omesso esame del fatto decisivo e controverso costituito dalla avvenuta coartazione della volontà della lavoratrice costretta a formare una domanda di ammissione a socio della Cooperativa che invero è stato ampiamente considerato e valutato dalla Corte territoriale- bensì il rigetto della richiesta di ammissione delle prove testimoniali -in tesi della ricorrente -idonee a dimostrare la sussistenza di quel fatto, ovvero una questione del tutto diversa sul piano processuale e, quindi, anche sul piano del relativo sindacato di legittimità, che non può essere invocato ai sensi della norma indicata laddove il fatto storico indicato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (v Cass. Sez. Un. n. 8053/2014, confermata da innumerevoli pronunce di questa Corte); « poiché -come ben spiegato nella predetta pronuncia delle Sezioni Unitela sentenza, sotto il profilo della motivazione, si sostanzia nella giustificazione delle conclusioni, oggetto del controllo in sede di legittimità è la plausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze . L’implausibilità delle conclusioni può risolversi tanto nell’apparenza della motivazione, quanto nell’omesso esame di un fatto che interrompa l’argomentazione e spezzi il nesso tra verosimiglianza delle premesse e probabilità delle conseguenze e assuma, quindi, nel sillogismo, carattere di decisività: l’omesso esame è il “tassello mancante” alla plausibilità delle conclusioni rispetto alle premesse date nel quadro del sillogismo giudiziario. Ciò non significa che possa darsi ingresso, in alcun modo, ad una surrettizia revisione del giudizio di merito, dovendosi tener per fermo, mutatis mutandis, il rigoroso insegnamento di questa Corte secondo cui: “in sede di legittimità il controllo della motivazione in fatto si compendia nel verificare che il discorso giustificativo svolto dal
giudice del merito circa la propria statuizione esibisca i requisiti strutturali minimi dell’argomentazione (fatto probatorio – massima di esperienza – fatto accertato) senza che sia consentito alla Corte sostituire una diversa massima di esperienza a quella utilizzata o confrontare la sentenza impugnata con le risultanze istruttorie, al fine di prendere in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione ” (Cass. n. 14953 del 2000)».
Perciò la motivazione con cui il giudice di merito respinge le istanze istruttorie può essere censurata sotto il profilo del vizio motivazionale, ma solo nei ristretti limiti che la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, è stata interpretata da questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al « minimo costituzionale » del sindacato di legittimità sulla motivazione, per cui è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella « mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico », nella « motivazione apparente », nel « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili » e nella « motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile », esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di « sufficienza » della motivazione (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).
2.Il secondo motivo denuncia, poi, ai sensi dell’art.360, comma 1 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 132 n. 4 c.p.c. motivazione perplessa ed apparente, laddove la Corte territoriale ha escluso che essa COGNOME NOME fosse stata coartata a sottoscrivere il contratto sociale.
Il motivo è inammissibile, per le ragioni dette sopra giacché la Corte d’appello – come risulta dalla sintesi della motivazione resa sul punto poco sopra riportata – ha sottoposto approfondita analisi la documentazione in atti, da cui risultava che la ricorrente aveva sottoscritto la domanda di ammissione a socia, aveva subito le trattenute in busta paga sotto la voce « quota societaria » per oltre due anni senza alcuna contestazione, aveva concesso deleghe per la partecipazione alle assemblee sociali, e si è soffermata in modo approfondito sulle richieste istruttorie della COGNOME osservando che « i primi sei capitoli indicano solo una possibile, ma di per sé illegittima contestualità tra il contratto di assunzione e l’adesione a socio oltre che le difficoltà economiche dell’azienda; i cap. da 7 a 9 sono irrilevanti; i cap. da 10 a 14 indicano soltanto che il teste dovrebbe riferire di aver visto l’appellante ‘firmare numerosi fogli’ e chiedere informazioni sulla richiesta di ammissione a socio e sulla quota, nonché la risposta datoriale che tale firma sarebbe stata ‘indispensabile per l’assunzione e che i soldi trattenuti Le sarebbero stati restituiti alla cessazione del rapporto’, il che si pone ben lungi dalla dimostrazione della coartazione della volontà ». A conforto del diniego di ammissione della prova testimoniale la Corte distrettuale ha aggiunto – come si è già sopra accennato, ed in piena conformità con l’accertamento già operato dal Tribunale che « ci sono molti altri documenti che smentiscono la dedotta ‘assenza’ del vincolo associativo o anche la prospettata coartazione della volontà per farle sottoscrivere il contratto sociale a pena della perdita del rapporto di lavoro » e che « comunque non risulta nemmeno chiarito, sul piano delle preventivi allegazioni, quali sarebbero state le condotte di coartazione. Certamente tali condotte non potrebbero essere desunte dalla risposta ai generici capitoli da 1 a 14 nei quali la dedotta coartazione non viene nemmeno descritta (…) anche ammesso e non concesso che tale asserita coartazione fosse frutto di una ‘strategia’ della
RAGIONE_SOCIALE (…) allora risulta veramente stridente la circostanza (…) che invece furono davvero pochi lavoratori a presentare la domanda di ammissione » e che, infine in base alla documentazione prodotta risultava che la sottoscrizione della sua domanda di ammissione a socio non è mai stata disconosciuta, né erano state mai contestate (prima del giudizio) le trattenuta in busta paga sotto la voce «quota sociale cooperativa» e nemmeno il rilascio di deleghe per la partecipazione alle assemblee, « comportamenti del tutto incompatibili con la sua dedotta assenza di adesione consapevole alla compagine sociale o con una partecipazione ‘coartata’ ».
Pertanto, è nel caso di specie del tutto evidente che la motivazione della sentenza impugnata c’è, è piana e comprensibile, ed è come tale insindacabile in questa sede.
3.Il terzo motivo, che denuncia ai sensi dell’art. art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., nullità della sentenza e del procedimento per mancata concessione dei termini ex art. 183 comma 6 c.p.c., è inammissibile poiché la decisione sul punto è retta da una doppia ratio decidendi, per cui – anche a prescindere dalla ratio fondata sull’applicazione della giurisprudenza costante di legittimità (v. Cass. n. 4767/2016; Cass. n. 7474/2017; Cass. n. 8287/2017; Cass. n. 32577/2023) secondo cui il giudice può invitare le parti a precisare le conclusioni ed assegnare la causa in decisione (laddove, evidentemente, la decisione possa essere assunta a prescindere dall’attività istruttoria richiesta e, quindi, non si fondi, poi, su una accertata carenza probatoria circa i fatti costitutivi della domanda o delle eccezioni) -nella seconda parte dell’argomentazione la Corte d’appello osserva «comunque» che, anche in relazione alle prove reiterate (già indicate nell’atto introduttivo) o integrate in sede d’appello (cap. da 11 -14) si trattava di capitoli che indicavano « soltanto che il teste dovrebbe riferire di aver visto la appellante firmare numerosi fogli e chiedere
informazioni sulla richiesta di ammissione a socio e sulla quota nonché la risposta datoriale che tale firma sarebbe stata indispensabile per l’assunzione e che i soldi trattenuti le sarebbero stati restituiti alla cessazione del rapporto », il che- secondo la Corte territorialesi poneva ben lungi dal dimostrare la coartazione della volontà. Orbene a detta seconda ratio la ricorrente muove solo censure che attengono alla valutazione compiuta dal giudice di merito sulla base della ricognizione delle allegazioni e delle risultanze delle prove documentali, valutazione di stretta competenza del giudice del merito che la ricorrente non può pretendere di sottoporre nuovamente in questa sede di legittimità ove tale valutazione può essere censurata solo per vizio motivazionale e nei limiti già detti.
4.Il quarto mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 295 c.p.c. in quanto La Corte avrebbe errato nel non sospendere il giudizio a fronte della pendenza del procedimento penale a carico dei vertici amministrativi della RAGIONE_SOCIALE e dei loro collaboratori poiché il capo di imputazione in tale processo vedrebbe un gruppo di lavoratori vittime di una chiara operazione illecita in occasione dell’ennesimo cambio d’appalto a seguito del quale si sono ritrovati soci di una cooperativa Toscana e debitori di un importo superiore a quanto guadagnato in un anno. Reputa la ricorrente che nella motivazione sia solo ipotizzata la carenza di indispensabilità la logico- giuridica dell’antecedente avente carattere pregiudiziale e che non emergerebbe esattamente il motivo per cui la Corte non abbia ritenuto vi fosse nel caso di specie la necessità di sospendere il processo onde evitare il pericolo di un conflitto di giudicati giacché in tale processo gli imputati agli imputati era ascritto il reato di concorso in intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro per avere, in sede di loro assunzione, approfittato della difficoltà dei lavoratori già impiegati dalla precedente società
appaltatrice nel reperire un nuovo posto di lavoro e della loro situazione di necessità, per indurli a sottoscrivere, unitamente al contratto di lavoro a tempo determinato, anche un contratto di adesione alla compagine sociale con impegno a versare la quota sociale nella misura di euro 8.250, importo pari o comunque di poco inferiore al reddito annuale netto percepito da ciascuno di essi, modalità che celerebbe – dietro al fittizio rapporto associativo – un rapporto di lavoro subordinato a basso costo.
La Corte avrebbe omesso di considerare che il fatto storico oggetto del processo era analogo a quello dedotto in questo giudizio per il quale la sig. COGNOME successivamente al ricorso in appello, aveva proposto anch’ella denuncia. L’identità del fatto materiale renderebbe evidente l’indispensabilità giuridica della sospensione onde evitare il possibile conflitto di giudicati, rischio sulla cui insussistenza il giudice di merito non avrebbe reso una idonea motivazione che sarebbe del tutto inesistente laddove i due processi erano geneticamente fisiologicamente collegati da pregiudizialità,
4.1- Il motivo è infondato oltre che inammissibile.
Va anzitutto rilevato, sotto il primo aspetto, che la motivazione che si assume inesistente è nella specie presente, completa ed articolata, laddove la Corte di merito ha escluso che ricorressero i presupposti per la richiesta sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c. in pendenza del processo penale avviato nei confronti del Presidente e Vicepresidente della RAGIONE_SOCIALE e di alcuni loro collaboratori in mancanza del requisito della indispensabilità logicogiuridica dell’antecedente fattuale e della sovrapponibilità soggettiva tra processo penale a quello civile in corso, giacché tra le parti lese individuate in quello penale non era indicata la COGNOME che non era parte di quel giudizio. Dunque ha reso una duplice spiegazione a riguardo della propria decisione circa la non necessità di non sospendere il giudizio, da un lato sottolineando
che non vi era identità soggettiva, dall’altro affermando che «tra i fatti materiali oggetto di accertamento del giudizio penale ed i fatti costitutivi del diritto fatto valere nel giudizio civile deve ravvisarsi non una generica influenza o una mera dipendenza logica, ma deve esistere un nesso di pregiudizialità tecnica tale per cui il fatto reato viene a investire direttamente uno o più degli elementi costitutivi della fattispecie giuridica oggetto del giudizio civile non rileva, quindi, la eventuale coincidenza dei fatti materiali, ma occorre che l’effetto giuridico dedotto nel processo civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto di imputazione nel giudizio penale, in modo che la sentenza pronunciata nel processo penale possa esplicare nel caso concreto efficacia di giudicato nel processo civile », decisione che risulta aderente alla fattispecie laddove il fatto costitutivo dedotto nel processo civile era la coartazione della volontà della volontà della lavoratrice, o l’uso di artifici e raggiri per indurla in errore.
Pertanto, la censura si rivela anche inammissibile laddove la ricorrente non si confronta, in effetti, con la ratio decidendi che sostanzialmente ignora, deducendo, peraltro, un fatto -l’aver proposto successivamente al ricorso in appello anch’ella una denuncia per i medesimi fatti contro la RAGIONE_SOCIALE -che, oltre ad essere inconferente rispetto alla pretesa pregiudizialità logico giuridica del processo penale in corso, non risulta fosse stata neppure sottoposto al giudice di merito. Si può aggiungere che nella memoria la sig. COGNOME ha insistito per l’accoglimento del motivo sulla base delle stesse motivazioni, senza peraltro riferire che il processo penale in questione si è concluso con l’assoluzione degli imputati, come precisato dalla controricorrente.
5.- In conclusione il ricorso va respinto. Quanto alle spese di lite -che la ricorrente ha chiesto siano compensate in caso di rigetto del ricorso in considerazione della fragilità reddituale della lavoratrice, delle condizioni concrete entro le quali si è ingenerata la vicenda,
della precarietà insita nei rapporti di lavoro negli appalti, del costo duplicato dell’accesso alla Giustizia nelle controversie avanti al Tribunale delle imprese (laddove il CU avanti al Tribunale del lavoro è dimezzato), l’importo ingiunto a fronte dell’esigua durata del rapporto di lavoro, quali gravi ed eccezionali ragioni di ordine equitativo – reputa il Collegio che, stante la sentenza n. 77/2018 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 92, secondo comma, c.p.c. nella parte in cui non consente, nelle ipotesi di soccombenza totale, di compensare parzialmente o per intero le spese di lite anche ove ricorrano gravi ed eccezionali ragioni, diverse da quelle tipizzate dal legislatore desunte dalla peculiarità del caso concreto, sussistano ragioni di provvedere alla compensazione totale delle spese in ragione della peculiarità della fattispecie come sopra sintetizzate. Ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; dichiara interamente compensate tra le parti le spese di lite. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° Sezione