Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15812 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15812 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9401/2022 R.G. proposto da : COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME domiciliato digitalmente ex lege ; rappresentato e difeso dagli Avv. NOME (CODICE_FISCALE, NOME (CODICE_FISCALE e NOME (CODICE_FISCALE per procura speciale allegata al ricorso; -ricorrente- contro
COGNOME NOME, domiciliata digitalmente ex lege ; rappresentata e difesa dagli Avv. COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, NOME (CODICE_FISCALE e NOME (CODICE_FISCALE per procura speciale allegata al controricorso;
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n. 96/2022, depositata il 24/1/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME NOME COGNOME intimò sfratto per morosità nei confronti di NOME COGNOME, conduttrice dell’immobile di proprietà del primo, sito in Catania, INDIRIZZO La COGNOME interpose opposizione tardiva ex art. 668 c.p.c., contestando la sussistenza del debito (per adeguamento Istat e canoni condominiali) sul quale l’intimazione era fondata.
Il Tribunale di Catania, ritenendo non opponibile al COGNOME la scrittura privata del 13/12/2014 (con la quale la COGNOME aveva concordato con i precedenti proprietari de ll’immobile l a mancata soggezione del canone contrattualmente previsto all’adeguamento Istat), pronunciò la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della conduttrice, condannandola al rilascio del bene e al pagamento delle differenze dei canoni e degli oneri condominiali insoluti (per € 1.904,30).
La Corte d’appello di Catania riformò la decisione di primo grado, sulla base del rilievo officioso della nullità della clausola n. 3 del contratto intercorso tra le parti (alla cui stregua ‘il canone viene concordato in euro 1.200,00 mensili (..) aggiornato annualmente, anche in mancanza di espressa richiesta scritta del locatore, (..) nella misura del 100% delle variazioni accertate dall’ISTAT nell’anno precedente (..)’) per contrasto con il disposto dell’art. 32 , comma 2, della l. n. 392/1978 (secondo cui ‘le variazioni in aumento d el canone, per i contratti stipulati per durata non superiore a quella di cui all’articolo 27, non possono essere superiori al 75 per cento di quelle, accertate dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati’). Conseguentemente, considerato che la morosità della conduttrice, al momento della citazione per convalida di sfratto, ammontava all’esigua somma di € 528,00
(insufficiente ad integrare il requisito della non scarsa importanza dell’inadempimento, di cui all’art. 1455 c.c. ), la Corte etnea rigettò la domanda di risoluzione del contratto.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di quattro motivi.
Ha depositato controricorso NOME COGNOME.
Con atto del 17 febbraio 2024, il consigliere delegato ha proposto la definizione del giudizio ai sensi dell’ art. 380bis c.p.c., nel senso dell ‘ inammissibilità del ricorso, ritenendo che esso ‘propone allegazioni nuove rispetto ai precedenti gradi di merito e sollecita una rivalutazione dell’inadempimento e della morosità che costituisce giudizio di fatto, precluso in sede di legittimità’.
La parte ricorrente ha insistito per la decisione.
Entrambe le parti hanno, quindi, depositato memoria ex art. 380bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., in relazione agli artt. 27 e 32 della l. n. 392/1978 e agli artt. 658, 663, 664 e 668 c.p.c. Sostiene il Pinzone che, venendo svolta nell’immobile locato l’attività di bed & breakfast (non coincidente con quella alberghiera tout court ), nonostante la durata novennale del contratto, allo stesso non si applicherebbero gli artt. 27 e 32 della l. n. 392/1978 bensì le norme dettate per le locazioni ad uso abitativo, che non impediscono la pattuizione di un aggiornamento del canone alla stregua del 100% dell’incremento dei prezzi al consumo, come rilevati dall’ISTAT. Al medesimo risultato si giungerebbe anche a voler qualificare l’attività in discorso come ‘commerciale pura’, dal momento che, essendo stata la durata del contratto convenuta in misura superiore a quella di sei anni di cui all’art. 27, comma 1, l. n. 392/1978, comunque l’art. 32, comma 2, non verrebbe in questione, in virtù della
limitazione del suo campo di applicazione ai ‘contratti stipulati per durata non superiore a quella di cui all’articolo 27’. Il motivo è inammissibile.
Esso, infatti, omette di fornire – in violazione dell’art 366 , n. 6 c.p.c. -l’indicazione specifica del contratto di cui fa parte la clausola n. 3 (il cui contenuto è riprodotto alla pag. 8 del ricorso), sotto il profilo della c.d. localizzazione nel presente giudizio di legittimità.
Occorre evidenziare, inoltre, che la Corte d’appello di Catania ha basato la declaratoria di nullità della clausola n. 3 del contratto di locazione de quo sul principio di diritto (espresso, da ultimo, da Cass., n. 27287/2021) secondo cui ‘in base all’art. 32 della l. n. 392 del 1978, così come novellato dall’art. 1, comma 9sexies del d.l. n. 12 del 1985, conv. dalla l. n. 118 del 1985, il locatore, su conforme pattuizione con il conduttore, è abilitato a richiedere annualmente l’aggiornamento del canone per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta; pertanto, è contraria al disposto normativo la clausola che preveda una richiesta preventiva dell’aggiornamento con effetto attributivo di tutte le variazioni ISTAT che intervengano nel corso del rapporto ovvero una richiesta successiva riferita ad anni diversi da quello immediatamente precedente, e ciò perché la richiesta si pone come condizione per il sorgere del relativo diritto’. Anche da tale angolo visuale, evidente appare l’inammissibilità della censura fondata sulla deduzione relativa della destinazione dell’immobi le ad attività di bed & breakfast , dal momento che tale questione non risulta trattata dalla sentenza impugnata e della stessa non si indica l’avvenuta prospettazione in seno al giudizio di merito. In ogni caso, il motivo finalizzato com’è ad affermare l a liceità dell’entità dell’adeguamento pari al 100%, in luogo del 75% -non intercetta comunque la sopra riferita ratio decidendi , fondata (come detto) sulla necessità di richiedere l’aggiornamento anno per anno, e non già una tantum prima ancora della maturazione dei canoni.
La seconda censura (quella fondata sulla qualificazione del contratto come ‘locazione commerciale’ ) prospetta, invece, un assunto del tutto apodittico, là dove pretende di far discendere la possibilità di adeguamento del canone nella misura del 100% da un’identificazione della durata di riferimento (ai sensi e per gli effetti dell’art. 32 citato) in quella di sei anni, laddove l’art. 27 contempla anche locazioni (almeno) novennali. Si vuol dire, cioè, che, essendo previste dall’art. 27, terzo comma, l. n. 3 92 del 1978 anche locazioni di durata ultraseiennale ed in particolare di durata novennale, è palese che l’art. 32, secondo comma, richiamando genericamente la durata prevista dall’art. 27, si riferisce anche ad esse.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 1455 c.c., in relazione agli artt. 27 e 32 della l. n. 392/1978 e agli artt. 658, 663, 664 e 668 c.p.c., per non avere la Corte d’appello considerato l’ ammontare della morosità al momento in cui lo sfratto era stato convalidato, né la circostanza che la conduttrice ‘avesse arbitrariamente decurtato l’importo del canone di locazione, provvedendo al pagamento di € 600,00 mensili con l’emissione di titoli volutamente errati nell’indicazione del beneficiario, impedendogli così l’incasso e costituendo, in tal modo, evidente morosità’ (pag. 14 s. del ricorso per cassazione).
Il motivo è inammissibile, in primo luogo per la sua natura assertoria e la sua estrema genericità, evocando una circostanza asseritamente fatta valere ‘nel corso del giudizio di primo grado e di appello’, senza ulteriori specificazione e contestualizzazione. L’inammissibilità disce nde, d’altra parte, dalla considerazione che, ‘i n materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune
da vizi logici e giuridici ‘ (Cass., n. 6401/2015; v. anche Cass., n. 12182/2020). Questa Corte ha altresì affermato che ‘ in tema di apprezzamento della gravità dell’inadempimento, ai sensi dell’art. 1455 c.c., la previsione di legge è falsamente applicata laddove il giudice non individui i parametri sulla base dei quali viene affermato che l’inadempimento non può essere giudicato di scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altro contraente, senza poter prescindere dalle emergenze di causa; sicché un tal giudizio non può essere espresso in termini astratti o, comunque, incompatibili con esse ‘ (Cass., n. 13784/2024). Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha dato conto delle ragioni su cui la propria valutazione si è innestata, rappresentate dalla sproporzione tra l’entità del canone annuo (pari a € 14.976,00) e la morosità residuata dalla ‘depurazione’ del contratto della clausola nulla sull’adeguamento ISTAT (€ 528,00). Per il resto, è stato parimenti affermato, dalla giurisprudenza di legittim ità, che ‘l e cause di risoluzione di un contratto di locazione per inadempimento del conduttore debbono preesistere al momento in cui la controparte propone la domanda giudiziale, con la conseguenza che – per quanto sia consentito al giudice, in una considerazione unitaria della condotta della parte, trarre elementi circa la colpevolezza e la gravità dell’inadempimento dalla morosità che si sia protratta nel corso del giudizio – egli non può mai prescindere dall’indagine primaria sulla sussistenza dell’inadempimento al momento della domanda (nella specie, la S.C. ha cassato la decisione che aveva confermato la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore – il quale, fino all’intimazione dello sfratto per morosità, aveva corrisposto il canone in misura ridotta ex art. 3, commi 8 e 9, d.lgs. n. 23 del 2011, poi dichiarati costituzionalmente illegittimi – attribuendo rilievo, ai fini della richiesta risoluzione, alla complessiva morosità determinatasi anche successivamente alla proposizione della
domanda, senza esaminare i profili di imputabilità del pregresso inadempimento) ‘ (Cass., n. 26493/2022).
3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1419 c.c., in relazione agli artt. 27 e 32 della l. n. 392/1978 e agli artt. 658, 663, 664 e 668 c.p.c., nella parte in cui ha ritenuto doversi escludere che i coniugi COGNOME (precedenti proprietari-locatori dell’immobile ) e la COGNOME non avrebbero concluso il contratto ove privo della clausola suddetta. Di ciò non vi sarebbe alcuna prova , ed anzi ‘appare tosto il contrario ove il rapporto tra gli originari contraenti veniva disciplinato da una ulteriore scrittura privata in forza della quale i locatori originari rinunciavano all’adeguamento del canone’ (pag. 17 del ricorso per cassazione).
Il motivo (oltre ad essere anch’esso del tutto assertorio e generico) appare inammissibile per carenza di interesse, dal momento che la riforma della statuizione che ha limitato la nullità contrattuale alla clausola di adeguamento ISTAT, dall’angolo visuale dell’art. 1419 c.c., comporterebbe non già il ‘ripristino’ di tale c lausola, bensì la nullità dell’intero contratto, in conseguenza della quale in nessun modo sarebbe consentito al locatore di recuperare più dell’importo del canone (depurato dall’adeguam ento più volte richiamato).
4. Il quarto motivo di ricorso censura la violazione de ll’art. 92 c.p.c., ‘in quanto, in accoglimento dell’appello formulato dagli odierni esponenti, la Corte d’appello di Catania avrebbe dovuto riformare anche il capo relativo alle spese legali, con condanna dell’appellata , odierna resistente, al pagamento delle stesse ‘ (pag. 18 del ricorso per cassazione).
Il motivo appare incomprensibile. Vi s i parla di ‘condanna degli odierni deducenti al pagamento delle spese legali’, mentre la condanna è stata pronunciata nei confronti del solo COGNOME; si parla di ‘appello formulato dagli odierni esponenti’, mentre invece il COGNOME era appellato.
In ogni cas o, la Corte d’appello ha liquidato le spese dei due gradi di merito, ponendole a carico dell’appellato soccombente, in piana applicazione della regola di cui all’art. 91 c.p.c. Si tratta, dunque, di un ‘non motivo’, postulandosi la caducazione della statuizione sulle spese quale conseguenza dell’accoglimento dei motivi d’appello, effetto, quest’ultimo, che in ogni caso sarebbe disceso dal disposto dell’art. 336, comma 1, c.p.c.
5. Il Collegio rileva che le considerazioni svolte con riguardo a ciascun motivo sono meramente aggiuntive rispetto a quelle sommariamente svolte nella proposta di definizione accelerata, le quali comunque si condividono . Tanto giustifica l’applicazione delle conseguenze di cui al terzo comma dell’art. 380 -bis c.p.c., discendendone, pertanto, la necessità di condanna del ricorrente al pagamento non solo delle spese processuali, ma anche delle somme di cui a ll’art. 96, commi terzo e quarto, c.p.c. (liquidate in dispositivo).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente , che si liquidano in € 2.000,00, oltre a € 200,00 per esborsi, alle spese generali ed agli accessori come per legge;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, della somma di € 1.000,00 , ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c.; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende , della somma di € 500 , ai sensi dell’art. 96, quarto comma 4, c.p.c..
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento al competente ufficio
di merito, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18/2/2025.