Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 19813 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 19813 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
Oggetto
LOCAZIONE USO DIVERSO
Canone locatizio Credito relativo al suo adeguamento Decreto ingiuntivo – Opposizione Reiezione
R.G.N. 3113/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 30/1/2025
Adunanza camerale sul ricorso 3113-2021 proposto da:
COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME ma domiciliato ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica de i propri difensori come in atti, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COMUNE DI AVEZZANO, in persona del Sindaco e legale rappresentante ‘ pro tempore ‘, domiciliat o ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica dei propri difensori come in atti, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME ;
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 979/20 d ella Corte d’appello d e L’Aquila depositata in data 10/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale 30/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
, del
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di sei motivi, per la cassazione della sentenza n. 979/20, del 10 luglio 2020, della Corte d’appello de L’Aquila, che nel respingerne il gravame esperito avverso le sentenze n. 55/17 e n. 240/19, rese dal Tribunale di Avezzano, rispettivamente, il 23 gennaio 2017 e il 6 maggio 2019 -ha confermato la reiezione dell’opposizione proposta dal Sorgi avverso il provvedimento monitorio che gli aveva ingiunto il pagamento, in favore del Comune di Avezzano, della s omma di € 11.020,00, a titolo di adeguamento dei canoni di affitto di terreni ad uso agricolo, dall’odierno ricorrente condotti il locazione in virtù di contratto concluso, sin dal 10 febbraio 1958, con il dante causa , ‘ iure hereditario ‘, del Comune, il Notaio NOME COGNOME
Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di essersi opposto al suddetto decreto ingiuntivo, emesso in accoglimento del ricorso con il quale il Comune -sul presupposto che i terreni ‘ de quibus ‘ fossero stati ricompresi, a partire dall’anno 2000, nel Piano Regolatore Generale del medesimo Ente municipale in zona F1.2, sicché la loro utilizzazione per finalità agricole avrebbe dovuto formare oggetto di assegnazione tramite stipula dei contratti agrari in deroga, ex artt. 23 della legge 11 febbraio 1971, n. 11 e 45 della legge 3 maggio 1982, n. 203 -aveva chiesto il pagamento delle differenze di canone dal 2006 al 31 maggio 2012, data, quest’ultima, di avvenuto rilascio dei terreni.
A fondamento della propria pretesa creditoria, l’ingiungente aveva allegato un computo operato con ‘Relazione di Stima’ dell’8 febbraio 2011, recepita nel verbale della Deliberazione di Giunta del 24 maggio 2011, n. 149, recante, appunto, la valutazione del canone di affitto di aree edificabili, utilizzate provvisoriamente per finalità agricole.
Nell’opporsi al provvedimento monitorio, il COGNOME aveva eccepito, in primo luogo, il difetto di legittimazione del Comune di Avezzano, sostenendo che esso aveva perduto la titolarità del lascito ereditario. Difatti, nel testamento olografo del COGNOME, la nuda proprietà dei terreni ‘ de quibus ‘ era stata legata al Comune con onere di destinarli ‘in perpetuo al servizio di un Istituto Tecnico Agrario Statale già costituito o da costituirsi in Avvezzano, entro e non oltre cinque anni dalla morte degli usufruttuari’, prevedendosi che i terreni, nel caso -che il Sorgi assumeva verificatosi -di inottemperanza all’onere, sarebbero stati ereditati dall’Opera Don Orione di Avezzano.
In ogni caso, il Sorgi sosteneva la non debenza delle somme richieste, per aver corrisposto -sino al rilascio, effettuato il 31 maggio 2012 -il canone contrattualmente stabilito e mai né aggiornato né ricontrattato, rimanendo invariato per tutta la durata del rapporto (rinnovatosi ad ogni scadenza, fino a quando il conduttore non aveva manifestato la volontà di recedere dal contratto), peraltro del tutto adeguato alla natura dei terreni, di scarsa produttività e adibiti ad una piccola coltivazione di foraggio. Solo con nota del 2 febbraio 2011, il Comune comunicava -ai sensi del Regolamento comunale del 26 ottobre 2010, n. 86 -la determinazione di condizioni d’affitto diverse e più esose, richiedendo il pagamento di canoni pregressi a titolo di adeguamento; pretesa, peraltro, immediatamente contestata dal COGNOME, che comunicava pure la volontà di recedere dal contratto.
Egli, inoltre, neppure mancava di contestare l’illegittimità della procedura, richiamata dal Comune per la valutazione del canone dovuto, ovvero quella di cui all’art. 18, comma 2 -bis , del Regolamento del ‘Patrimonio Immobiliare e della Tosap’ del Comune di Avezzano, giacché utilizzabile -a dire del Sorgi -solo per la determinazione dei canoni dei nuovi contratti di affitto, nonché per la regolarizzazione di situazioni di fatto non sostenute da idoneo titolo di detenzione, non applicabile retroattivamente a situazioni regolate, invece, da contratto.
Infine, l’opponente denunciava la violazione da parte del Comune -dei principi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 cod. civ., per mancanza di qualsiasi comunicazione della volontà di procedere all’aumento del canone e per aver preteso, retroattivamente, il pagamento di inesistenti canoni pregressi.
Costituitosi in giudizio il Comune per richiedere il rigetto dell’opposizione, l’esito del primo grado consisteva, innanzitutto, nella pronuncia di sentenza non definitiva (la n. 55/17), che respingeva l’eccezione di difetto di legittimazione attiva del Comune, sul rilievo che il medesimo -entro cinque anni dalla morte dell’ultima usufruttuaria, avvenuta il 23 febbraio 2000 avesse determinato, con delibera n. 47 del 22 febbraio 2005, la destinazione del lascito COGNOME a servizio dell’ex I.RAGIONE_SOCIALES., così adempiendo all’onere testamentario. Con successiva sentenza definitiva (n. 240/19), il Giudice di prime cure rigettava l’opposizione, sostenendo che in assenza dell’assegnazione dei fondi suddetti mediante la stipula di contratti agrari in deroga ex artt. 23 della l. n. 11 del 1971 e 45 della l. n. 203 del 1982 -il conduttore fosse obbligato al pagamento della differenza dei canoni d’affitto relativi alle annualità dal 2006 al 2011, reputando congrua la valutazione di stima già posta a fondamento del decreto ingiuntivo.
Esperito gravame avverso le due sentenze dal Sorgi, per sostenere, tra l’altro, che l’adempimento del legato riguardava solo una parte del lascito COGNOME, risultando esclusi proprio i terreni oggetto di causa, il giudice d’appello lo respingeva.
Avverso la sentenza della Corte aquilana ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME, sulla base -come detto -di sei motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione del combinato disposto degli artt. 649 e 1353 cod. civ., relativamente ai modi di acquisto del legato onerato e condizione risolutiva espressa.
Si censura la sentenza impugnata là dove ha ritenuto ‘irrilevanti’ tutte ‘le argomentazioni svolte dal Sorgi in ordine all’asserito inadempimento dell’onere di destinazione gravante sul Comune quale legatario dei terreni oggetto del contratto di locazione’, sostenendo che ‘a fondare la legittimazione del Comune’ sia il fatto che l’odierno ricorrente ‘abbia sempre versato all’Ente locale i canoni per l’affitto dei terreni, non abbia mai contestato la proprietà di essi in capo all’Ente medesimo ed abbia proce duto al rilascio in suo favore’.
Ribadisce, per contro, il ricorrente che, in presenza dell’inadempimento del modus imposto dal testatore ‘andava, invero, applicato l’art. 649 cod. civ., secondo cui la proprietà della cosa oggetto di legato si trasmette al legatario in maniera automatica’, ciò che sarebbe accaduto nel caso di specie, essendo stato onerato il lascito, in favore del Comune, attraverso una vera e propria clausola risolutiva espressa, anch’essa operante automaticamente al verificarsi della condizione stessa.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero l’inadempimento del modus testamentario.
Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale si è limitata a rigettare il motivo di gravame, relativo al difetto di legittimazione del Comune, dando rilievo unicamente al comportamento di esso COGNOME, consistito nell’effettuare il pagamento del canone e nel procedere al rilascio in favore dell’Ente locale, senza invece considerare l’inadempimento del modus testamentario.
Si ribadisce, inoltre, come la delibera comunale n. 47 del 22 febbraio 2005 -richiamata dal Comune a sostegno dell’avvenuto adempimento del modus -smentisca quanto da esso sostenuto, riguardando solo in parte il lascito COGNOME. A ciò, inoltre, dovrebbe aggiungersi -secondo il ricorrente -che anche i testi escussi hanno escluso l’attuazione della delibera suddetta.
Significativa mente, dunque, per giustificare la ‘parzialità’ della destinazione voluta dal COGNOME, il Comune ha sostenuto -in modo del tutto infondato, si denuncia -l’intervenuta prescrizione del diritto di far dichiarare il Comune stesso decaduto dal lascito.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione della legge n. 203 del 1983, dell’art. 6 del d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228 e del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, assumendo la validità del contratto sottoscritto con il COGNOME, a fronte della nullità, per difetto di forma scritta, del contratto con il Comune di Avezzano.
Evidenzia il ricorrente che il Comune, con nota del 31 gennaio 1975, comunicava di subentrare nel contratto già corrente tra esso COGNOME e il COGNOME, tanto che il conduttore continuava ad
adempiere nei confronti dell’Ente locale l’obbligazione di pagamento del canone.
Orbene, la sentenza impugnata ha ritenuto fondata la pretesa azionata dal Comune in INDIRIZZO, relativa all’adeguamento del canone, in ragione dell’inapplicabilità della legge n. 203 del 1982, per aver perso i terreni oggetto della locazione il carattere della ruralità a seguito di quanto stabilito nel Piano Regolatore Generale.
Nondimeno, il ricorrente osserva che, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 228 del 2001, la legge n. 203 del 1983 si applica anche ai terreni demaniali, o soggetti al regime dei beni demaniali di qualsiasi natura o del patrimonio indisponibile appartenenti ad enti pubblici, ciò che impedisce di considerare esso COGNOME come un occupante ‘ sine titulo ‘.
D’altra parte, errerebbe ulteriormente la Corte territoriale nel far discendere dall’inapplicabilità della legge n. 203 del 1982 la pretesa del Comune all’adeguamento del canone, ‘ossia a titolo contrattuale’, atteso che, in difetto di un contratto avente forma scritta -come richiesto dal r.d. n. 2440 del 1923 -intervenuto con l’Ente locale, ‘non è data individuare la fonte contrattuale sottesa alla pronuncia’.
In realtà, il Comune ha giustificato la propria richiesta di adeguamento sulla base di atti amministrativi che hanno mutato la destinazione dei terreni, atti, però, mai comunicati al Sergi.
Né potrebbe valere a giustificare la pretesa azionata dal Comune la disciplina da esso richiamata nella Relazione di Stima dell’8 febbraio 2011, recepita nel verbale della Deliberazione di Giunta del 24 maggio 2011, n. 149, che fa riferimento all’art. 18, comma 2bis , del Regolamento comunale del ‘Patrimonio Immobiliare e della Tosap’. Esso, infatti, concerne solo la determinazione dei canoni dei nuovi contratti di affitto, nonché la regolarizzazione di situazioni di fatto non sostenute da idoneo
titolo di detenzione, non applicabile retroattivamente a situazioni regolate, invece, da contratto.
3.4. Il quarto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., per ‘mancata identificazione della fonte contrattuale dei canoni pregressi’.
La sentenza, si assume, sarebbe irriducibilmente illogica, là dove afferma che i terreni, per poter essere utilizzati per finalità agricole, dovessero essere ‘oggetto di assegnazione tramite stipula di contratti agrari in deroga, ex art. 23 l. n. 11 del 1971, e 45 l. n. 203 del 1982’, invece mai stipulati, ritenendo, nel contempo, la natura contrattuale di una pretesa di pagamento senza individuarne, però, la fonte.
3.5. Il quinto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione degli artt. 1175, 1206 e 1375 cod. civ., nonché del principio del legittimo affidamento e dell’art. 21 -bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, deducendo la mancanza di tempestività delle comunicazioni al Sergi e la colpa del Comune nei ritardi accumulati.
Assume il ricorrente che, anche ad ammettere l’inapplicabilità della legge n. 203 del 1982, il giudice d’appello ‘avrebbe dovuto valutare la correttezza dell’iter amministrativo con riferimento a l principio del legittimo affidamento -che si assume costituire ‘ ius receptum ‘ a livello sovranazionale nonché a quello di buona fede contrattuale’, prima di ‘dichiarare la legittimità della richiesta creditoria’ del Comune.
Nell’impugnare la sentenza del Tribunale, infatti, il COGNOME aveva evidenziato come solo nel 2011 il Comune si fosse attivato per la regolarizzazione della situazione dei terreni per cui è causa, così creando un grave danno al conduttore che, in quella data, si
vedeva richiedere il pagamento della somma di € 11.200,00 a titolo di adeguamento per il quinquennio precedente, pur avendo in buona fede corrisposto, annualmente, il canone contrattualmente stabilito.
Ciò nondimeno, la Corte aquilana ‘non ha colto le doglianze’, così incorrendo in violazione degli artt. 1175, 1206 e 1375 cod. civ., nonché del principio del legittimo affidamento, sostenendo che il Comune si fosse più volte attivato per la regolarizzazione del rapporto e l’adeguamento del canone, all’uopo richiamando le deposizioni testimoniali, mentre solo un teste ha riferito di presunte richieste del 2009, richiamandosi, però, ad una convocazione del 9 novembre 2009 che il Sergi afferma, per contro, di non aver ricevuto.
In conclusione, anche ad ammettere che l’adeguamento fosse dovuto, è stato solo a causa dell’inerzia del Comune nel comunicare le nuove condizioni contrattuali che si è determinato il suo presunto debito, atteso che se la comunicazione fosse avvenuta nel 2006 il Sergi avrebbe potuto recedere dal contratto, come poi fatto nel 2011.
3.6. Infine, il sesto motivo, formulato in via subordinata per l’ipotesi di mancato accoglimento dei precedenti, denuncia ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in ragione dell’errore nella lettura dell’elabor ato peritale e per travisamento delle conclusioni rassegnate dal consulente tecnico d’ufficio, dalle quali la sentenza impugnata ha dissentito senza adeguata motivazione, là dove l’ausiliario aveva indicato un congruo canone annuo in € 1.200,00 (in luogo degli € 1.803,00 indicati dal Comune), per un totale di € 7.700,00, e non di € 11.020,00.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, il Comune di Avezzano, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va rigettato.
8.1. Il primo motivo è inammissibile, e comunque non fondato.
8.1.1. Esso pone una questione che è, per così dire, ‘eccentrica’ rispetto alla ‘ ratio decidendi ‘ della sentenza impugnata, donde la sua inammissibilità (cfr., tra le molte, Cass. Sez. 6-1, ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01; in senso conforme Cass. Sez. 6-3, ord. 3 luglio 2020, n. 13735, Rv. 658411-01; Cass. Sez. 2, ord. 9 aprile 2024, n. 9450, Rv. 670733-01).
La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto irrilevante la questione relativa al (supposto) inadempimento del ‘ modus ‘, affermando che la legittimazione del Comune si fondava sulla circostanza che il rapporto contrattuale era proseguito nei confronti dell’Ente locale, in favore del quale il Sergi aveva
continuato a corrispondere i canoni e, poi, ad effettuare il rilascio della ‘ res locata ‘.
Si tratta, peraltro, di affermazione che -al netto di un non pertinente riferimento alla mancata contestazione della proprietà, in capo al Comune, dei terreni locati -è conforme a quanto statuito da questa Corte, secondo cui ‘il conduttore non può opporre al locatore la mancanza di titolarità di un diritto reale sulla cosa per sottrarsi all’adempimento degli obblighi nascenti dal contratto, rilevando la suddetta titolarità solo allorquando si controverta degli effetti del medesimo nei rapporti interni tra le parti, come nel caso in cui vi sia controversia fra il locatore e il terzo che si affermi proprietario dell’immobile e si debba decidere dei conseguenti effetti sul rapporto locativo’ (da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 3 ottobre 2023, n. 27910, Rv. 669106-01).
Inoltre , ‘ ad abundantiam ‘, deve sottolinearsi che assai dubbia appare la possibilità per il Sergi di invocare -peraltro, ‘ ope exceptionis ‘ -l’avvenuta risoluzione della disposizione testamentaria in favore del Comune per inadempimento del ‘ modus ‘, se è vero che ‘la legittimazione a chiedere la risoluzione della disposizione testamentaria gravata dall’onere compete esclusivamente ai soggetti che, per effetto di detta risoluzione, subentreranno nella posizione giuridica dell’onerato inadempiente’ ( Cass. Sez. 2, sent. 11 giugno 1975, n. 2306, Rv. 376143-01).
Quanto, infine, alla questione relativa alla configurazione del ‘ modus ‘ quale clausola risolutiva espressa, di essa non vi è traccia né nella sentenza impugnata, né nella ricostruzione dei motivo di appello come operata nello stesso ricorso, donde la necessità di dare seguito al principio secondo cui ‘ove una determinata questione giuridica -che implichi un accertamento di fatto -non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di
legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare « ex actis » la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa’ (Cass. Sez. 2, ord. 24 gennaio 2019, n. 2038, Rv. 652251-02; in senso conforme Cass. Sez. Lav., ord. 1° luglio 2024, n. 18018, Rv. 671850-01).
8.2. Il secondo motivo, invece, non è fondato.
8.2.1. Diversamente da questo lamentato dal ricorrente, la sentenza impugnata non ha omesso di esaminare il ‘fatto’ ( o meglio, più propriamente, l a ‘questione’, ciò che rende dubbia la stessa ammissibilità della censura proposta a norma dell’ art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.; cfr., ‘ ex multis ‘, Cass. Sez, 6-1, ord. 6 settembre 2019, n. 22397, Rv. 655413-01) costituito dall’inadempimento del ‘ modus ‘ .
Si legge, infatti, nella sentenza impugnata (cfr. pag. 3) che ‘vanno considerate del tutto irrilevanti (…) tutte le argomentazioni svolte dal Sorgi in ordine all’asserito inadempimento dell’onere di destinazione gravante sul Comune quale legatario dei terr eni oggetto del contratto di locazione’, ovvero la ‘destinazione del lascito in perpetuo al servizio di un Istituto Tecnico Agrario Statale costituito o costituendo entro cinque anni’, sicché nessun omesso esame può addebitarsi alla Corte abruzzese.
8.3. Il terzo motivo è, nuovamente, inammissibile, per una duplice -concomitante -ragione.
8.3.1. Esso, infatti, per un verso, pone una questione ‘nuova’ , qual è quella relativa all’assenza di un contratto ‘di forma scritta’ tra il Comune di Avezzano ed esso Sergi, questione della quale non vi è traccia nella sentenza impugnata.
Pertanto, se è vero che il rilievo officioso della nullità è consentito in ogni stato e grado del processo, non solo quando oggetto del giudizio sia un’impugnativa negoziale (Cass. Sez. Un., sent. 12 dicembre 2014, n. 26242, Rv. 633504-01), ma anche quando sia fatto valere un inadempimento contrattuale (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 30 giugno 2016, n. 12996, Rv. 640305-01), tale rilievo, innanzi a questa Corte, incontra ‘il limite del divieto degli accertamenti di fatto, sicché nel giudizio di cassazione la nullità è rilevabile solo se siano acquisiti agli atti tutti gli elementi di fatto dai quali possa desumersene l’esistenza’ (Cass. Sez. 2, ord. 29 luglio 2019, n. 20438, Rv. 654889-01; in senso conforme anche Cass. Sez. 3, ord. 13 febbraio 2020, n. 3556 e Cass. Sez. 3, ord. 9 novembre 2020, n. 25084, entrambe non massimate).
8.4. Il quarto motivo di ricorso -che denuncia un vizio di motivazione -non è fondato.
8.4.1. La motivazione, infatti, sussiste, avendo la Corte territoriale individuato la fonte della pretesa all’adeguamento del canone nella sopravvenuta ‘natura del contratto, che nella specie era divenuta pubblica, siccome correlata alla perdita di ruralità dei terreni e alla loro trasformazione in beni demaniali pubblici’.
Si tratta motivazione che rispetta il ‘minimo costituzionale’ (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonché, ‘ ex multis ‘, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01), in ordine alla quale non può prospettarsi
il difetto di motivazione, ormai ravvisabile solo nella ‘quadruplice’ ipotesi individuata dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. Un., sent. n. 8053 del 2014, cit .), ovvero: ‘la «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico» e la «motivazione apparente»; il «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e la «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile»’ (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 5 marzo 2024, n. 5792, al § 10.9, pag. 24), nessuna delle quali è ravvisabile, nel caso che occupa.
Nella specie, infatti, potrebbe, al più, ipotizzarsi un difetto di ‘sufficienza’ della motivazione, vale a dire un’evenienza non più idonea a integrare il vizio di cui all’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., essendo stata tale ipotesi espunta dalla tassonomia di cui all ‘art. 360 cod. proc. civ. (tra le molte, Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01; Cass. Sez. 1, ord. 3 marzo 2022, n. 7090, Rv. 664120-01), in quanto conferiva a questa Corte ‘un potere assoluto su qualunque decision e di merito, attesa l’insuperabile indeterminatezza della nozione di motivazione insufficiente, con il conseguente incremento del rischio di randomizzazione del giudizio’ (così , nuovamente, Cass. Sez. Un., sent. n. 5792 del 2024, cit ., al § 10.9.).
8.5. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile.
8.5.1. Il motivo, infatti, prospetta un vizio di violazione di legge -segnatamente, degli artt. 1175, 1206 e 1375 cod. civ., e dell’art. 21 -bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, gli uni come l’altro evocati per ipotizzare una lesione del principio del legittimo affidamento -che si fonda, però, sulla preventiva evocazione di una serie di emergenze probatorie (in particolare, della prova testimoniale), delle quali sollecita, in questa sede, la rivalutazione.
Una simile censura, tuttavia, si pone fuori del perimetro del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3) , cod. proc. civ., se è vero che esso ‘consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’e rronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della no rma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità’ (‘ ex multis ‘, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 652549-02). E ciò in quanto il vizio di sussunzione ‘postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso’, sicché è estranea alla sua denuncia ‘ogni critica che investa la ricos truzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito’ (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414 -01; in senso analogo, più di recente, Cass. Sez. 3, ord. 16 luglio 2024, n. 19651, Rv. 671812-01). Ne consegue, quindi, che il ‘discrimine tra l’ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa e l’ipotesi della erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa’ (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 26 febbraio 2021, n. 5442).
D’altro canto, la censura oggetto del presente motivo non è svolta nemmeno adducendo la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., e, inoltre, senza neppure riferire se e dove le argomentazioni ‘ in iure ‘ qui fatte valere fossero state
prospettate, donde, ance sotto questo profilo, la sua inammissibilità.
8.6. Infine, il sesto motivo non è fondato.
8.6.1. Invero, il consulente tecnico d’ufficio secondo quanto si legge nello stesso ricorso -ha individuato, ai fini della determinazione del canone d’affitto, una ‘forbice’, per ettaro, compresa tra un minimo di € 150,00 e un massimo di € 250,00; sicché pur indicando, a suo giudizio, ‘congruo’ il valore di € 200,00, ciò non esclude affatto l’adeguatezza del valore di € 240,00, preso a riferimento dal Comune e poi dalla sentenza impugnata, la quale si è mantenuta entro i valori indicati dall’ausiliario.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
A carico del ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condannando NOME COGNOME a rifondere, al Comune di Avezzano, le spese del presente giudizio
di legittimità, liquidate in € 2.0 00,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della