Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1719 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1719 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15348-2019 proposto da:
COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMAINDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO che li rappresenta e difende
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, nello studio degli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME ed NOME COGNOME, che li rappresentano e difendono
contro
ricorrenti –
avverso la sentenza n. 2323/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/04/2018;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato COGNOME NOME e COGNOME NOME evocavano in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Velletri, chiedendone la condanna a rimuovere due vetture collocate su una strada in comproprietà tra le parti, in modo tale da ostacolare il passaggio degli attori sulla stessa.
Resisteva il convenuto, dichiarando di non essere proprietario delle due vetture.
Veniva esteso il contraddittorio nei confronti dei due proprietari dei beni mobili di cui anzidetto, COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali invocavano il rigetto della domanda attorea.
Con sentenza n. 117/2012 il Tribunale accoglieva la domanda.
Con la sentenza impugnata, n. 2323/2018, la Corte di Appello di Roma rigettava i gravami separatamente interposti avverso la decisione di prime cure da COGNOME NOME, da un lato, e da COGNOME NOME e COGNOME NOME, dall’altro lato, previa la riunione delle due impugnazioni.
Propongono ricorso per la cassazione di tale pronuncia COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, tutti in qualità di eredi di COGNOME NOME e gli ultimi due anche in proprio, affidandosi a quattro motivi.
Resistono con controricorso COGNOME NOME e COGNOME NOME.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. e la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe reso una pronuncia priva di motivazione, nella misura in cui ha omesso: a) da un lato, di indicare quale condotta sia stata addebitata a COGNOME NOME, proprietario del terreno, il quale non aveva contestato l’esistenza della servitù di cui è causa; b) dall’altro lato, di specificare in quale condotta addebitabile a COGNOME NOME avessero concorso COGNOME NOME e COGNOME NOME, proprietari delle due vetture relitte sulla stradina di cui è causa.
Con il secondo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. e la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe reso una pronuncia priva di motivazione, nella misura in cui avrebbe omesso di indicare da quali documenti si evincerebbe che l’area di parcheggio non sarebbe in comproprietà tra le parti.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili.
La Corte di Appello afferma, infatti, che è documentalmente provata l’esistenza ‘… del diritto reale di servitù di passaggio sulle porzioni di strada privata appartenenti in via esclusiva al convenuto COGNOME (anziché di comproprietà delle parti secondo quanto erroneamente affermato nella domanda) …’ (cfr . pag. 5 della sentenza impugnata). Con tale statuizione, il giudice di seconde cure ha rigettato la domanda principale formulata dagli originari attori, odierni controricorrenti, escludendo che questi ultimi fossero comproprietari della stradina di cui è causa, ed ha affermato che quest’ultima appartiene al COGNOME NOME, e per esso, oggi, ai suoi eredi. Ha poi ritenuto provata l’esistenza di una servitù di passaggio su detto bene immobile, osservando che ‘… gli stessi documenti richiamati dall’attore
contraddicono la erronea affermazione della proprietà comune della strada, contenendo gli stessi l’accertamento della proprietà esclusiva della stessa in capo al convenuto, proprietario del fondo servente gravato dalla servitù di transito veicolare in favore dei fondi appartenenti agli attori’ (cfr . sempre pag. 5 della sentenza).
Poiché, come detto, erano gli odierni controricorrenti ad aver dedotto di essere comproprietari della stradina oggetto di causa, erano loro che avrebbero avuto interesse a contestare la statuizione con la quale il giudice di merito aveva rigettato tale assunto, ravvisando, piuttosto, la proprietà esclusiva del bene in capo al COGNOME. Gli eredi di quest’ultimo, viceversa, non hanno alcun interesse a dolersi della statuizione in esame, da un punto di vista sostanziale, non essendo portatori di alcun interesse diretto, concreto ed attuale correlato alla rimozione della stessa.
Né le censure in esame possono, in ogni caso, essere sollevate per la prima volta in questa sede, in assenza di dimostrazione, da parte degli odierni ricorrenti, di aver proposto, sul punto, specifico motivo di gravame.
Peraltro, e conclusivamente, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 1079 c.c., nonché dell’omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente rigettato il motivo di gravame con il quale COGNOME NOME aveva contestato la
decisione del Tribunale, nella parte in cui aveva accolto la actio confessoria servitutis proposta dagli odierni controricorrenti, pur in difetto di contestazione dell’esistenza del diritto reale da parte del COGNOME, il quale infatti non aveva mai contestato l’esistenza della servitù di passaggio, né aveva compiuto alcun atto idoneo a limitarne l’esercizio, non essendo stato lui a parcheggiare le vetture oggetto di causa lungo la stradina destinata al transito.
Con il quarto motivo, infine, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 1079 c.c., nonché l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe trascurato di dar rilievo alla circostanza che le due aree, rispettivamente destinate al transito ed al parcheggio dei mezzi, erano distinte e confinanti. Poiché gli attori, odierni controricorrenti, avevano contestato il parcheggio delle vetture sulla stradina qualificandolo come atto emulativo integrante una stabile occupazione di parte del sedime stradale, la domanda avrebbe dovuto essere inquadrata nell’alveo degli artt. 1102 e 833 c.c. e non invece nell’ambito dell’art. 1079 c.c., in assenza di contestazione, nel caso di specie, dell’esistenza del diritto di passaggio oggetto di causa.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono in parte infondate e in parte inammissibili.
In particolare, esse sono infondate nella parte in cui non considerano che l’ actio confessoria servitutis non presuppone la contestazione dell’esistenza del diritto reale, ma postula solo un rapporto tra il convenuto e la cosa assoggettata al predetto diritto e il compimento, da parte del primo, di condotte integranti una turbativa al suo esercizio. Va, sul punto, data continuità al principio secondo cui ‘Riguardo alla confessoria servitutis, la legittimazione dal lato passivo è in primo luogo di colui che, oltre a contestare l’esistenza della servitù,
abbia un rapporto attuale con il fondo servente (proprietario, comproprietario, titolare di un diritto reale sul fondo o possessore suo nomine), potendo solo nei confronti di tali soggetti esser fatto valere il giudicato di accertamento, contenente, anche implicitamente, l’ordine di astenersi da qualsiasi turbativa nei confronti del titolare della servitù o di rimessione in pristino ex art. 2933 c.c. Gli autori materiali della lesione del diritto di servitù possono, invece, essere eventualmente chiamati in giudizio quali destinatari dell’azione ex art. 1079 c.c., soltanto se la loro condotta si sia posta a titolo di concorso con quella di uno dei predetti soggetti o abbia comunque implicato la contestazione della servitù; altrimenti nei loro confronti possono essere esperite, ai sensi dell’art. 2043 c.c., l’azione di risarcimento del danno e, ai sensi dell’art. 2058 c.c., l’azione di riduzione in pristino con l’eliminazione delle turbative e molestie’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1383 del 11/02/1994, Rv. 485282; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3511 del 24/03/2000, Rv. 535021 e Cass. Sez. 6 -2, Ordinanza n. 1332 del 22/01/2014, Rv. 629492).
Nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto -con accertamento in fatto non utilmente censurabile in sede di legittimitàche la lesione del diritto di passaggio lamentata dagli odierni controricorrenti non costituisse semplice turbativa, ma apprezzabile pregiudizio all’esercizio del diritto stesso (cfr. pag. 7 della sentenza), in ragione della accertata ‘… estrema difficoltosità all’esercizio della servitù di passaggio derivante dalla stabile occupazione del tratto di viale dalle autovetture ivi parcheggiate …’ (cfr . pag. 6 della sentenza) ed ha di conseguenza inquadrato la domanda nell’alveo dell’art. 1079 c.c., ravvisando la legittimazione passiva del COGNOME NOME, proprietario del fondo servente, come autore morale dello spoglio, e insieme ad esso dei due proprietari dei veicoli, COGNOME NOME e
COGNOME NOME, come autori materiali (cfr. ancora pag. 6 della sentenza). Ha infine considerato anche la mancata contestazione, da parte di costoro, del diritto di servitù di cui si discute, ritenendo che la stessa fosse dovuta alla ‘… incontestabilità dell’accertamento della portata della servitù e sulla conseguente irrilevante di eventuali contestazioni sul diritto dedotto’ (cfr . pag. 6 della sentenza).
In sostanza, il giudice di merito ha ritenuto provata la proprietà della stradina oggetto di causa in capo al COGNOME NOME (oggi, ai suoi eredi); ha del pari ritenuto provata l’esistenza, sulla stessa, di una servitù di passaggio in favore dei fondi degli odierni controricorrenti, originari attori; ha configurato il parcheggio stabile di due vetture su parte del sedime della strada come atto idoneo ad integrare spoglio del diritto reale di cui anzidetto; ed ha, infine, individuato come autore morale dello spoglio il proprietario del fondo servente e come autori materiali i due proprietari dei veicoli utilizzati per compiere l’atto illecito, confermando la condanna di tutti costoro, in solido, alla rimozione degli ostacoli frapposti al libero esercizio del diritto di transito.
I ricorrenti, nell’attingere tale ricostruzione, propongono una ricostruzione alternativa del fatto e delle prove, affermando in particolare che l’area destinata al transito e quella destinata al parcheggio sarebbero diverse, senza peraltro indicare, sul punto, alcun elemento istruttorio che confermerebbe tale assunto, né dolersi del suo mancato o scorretto esame da parte del giudice di merito, né dare atto di aver sollevato tempestivamente, nel corso del giudizio di primo grado, tale questione, e di averla poi riproposta in appello mediante specifico motivo di gravame.
Le censure sono quindi inammissibili, per i profili sin qui evidenziati, dovendosi ribadire, quanto al primo aspetto, che il motivo di ricorso
non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Mentre, quanto al secondo aspetto, concernente la novità della deduzione, va ribadito che ‘In tema di ricorso per cassazione, ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dall’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, è necessario che, in ossequio al principio di autosufficienza, si provveda anche alla loro
individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8569 del 09/04/2013, Rv. 625839; conf. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015, Rv. 636120; Cass. Sez. 61, Ordinanza n. 18679 del 27/07/2017, Rv. 645334; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4980 del 04/03/2014, Rv. 630291).
Inoltre, i ricorrenti si dolgono della interpretazione della domanda scelta dal giudice di merito, senza considerare che ‘L’interpretazione della domanda deve essere diretta a cogliere, al di là delle espressioni letterali utilizzate, il contenuto sostanziale della stessa, desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dallo scopo pratico perseguito dall’istante con il ricorso all’autorità giudiziaria’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 3041 del 13/02/2007, Rv. 594291). Tale operazione ermeneutica è riservata al giudice di merito ed è sindacabile in Cassazione soltanto: ‘… a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del petitum, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la qualificazione giuridica dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di error in judicando, in
base all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o al vizio di error facti, nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.’ (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 11103 del 10/06/2020, Rv. 658078). Poiché nessuna di tali ipotesi si configura nel caso di specie, la censura relativa all’interpretazione della domanda va dichiarata inammissibile perché attinge essenzialmente un accertamento di merito in relazione al cd. ‘bene della vita’ del quale l’originaria parte attrice aveva invocato la protezione.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 2.400, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda