Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33868 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33868 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 8574/2019 r.g. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al presente ricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notifiche all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-ricorrente –
contro
Comune di Frattamaggiore, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME della Civica Avvocatura, giusta
procura speciale rilasciata in calce al controricorso, i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni presso gli indirizzi di posta elettronica certificata indicati
– controricorrente –
E
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura rilasciata su foglio separato del quale è estratta copia informatica per immagine inserita nella busta telematica contenente la presente comparsa
-controricorrente-
avverso l ‘ordinanza della Corte di appello di Napoli, depositata in data 25/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/12 /2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Il Tar Napoli, con sentenza n. 414 del 2018, annullava gli atti espropriativi del fondo in proprietà dei fratelli NOME COGNOME e NOME COGNOME, sito in Frattamaggiore, con originario identificativo catastale di cui al foglio 6, particella 1590, della superficie complessiva di mq 750, inserito nel comparto del PEEP ed assegnato «in proprietà differita» alla RAGIONE_SOCIALE.
Su tale terreno erano già stati realizzati in parte immobili di servizio da parte della RAGIONE_SOCIALE, assegnataria dei suoli per i progetti di edilizia popolare.
Il Comune adottava, dunque, la delibera consiliare n. 17 del 25/7/2018 di acquisizione sanante, ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, con i seguenti mutati identificativi catastali: foglio 6, particella n. 2793 di mq 555, poi incorporata nella particella 2854, in parte edificata; foglio 6, particella 2792 di mq 195, ricadente interamente nelle aree ad urbanizzazione del PEEP.
L’indennizzo veniva fissato in complessivi euro 166.640,63.
Con la determina dirigenziale n. 443 del 28/9/2018 veniva disposto il versamento della somma presso la Cassa depositi e prestiti.
La delibera di acquisizione sanante veniva notificata agli espropriati a mezzo del servizio postale, in data 22/8/2018 a NOME COGNOME e in data 20/9/2018 a NOME COGNOME. In data 6/8/2018 il provvedimento veniva notificato al difensore degli attori, Avv. NOME COGNOME.
Avverso il provvedimento di acquisizione sanante i Fontana intraprendevano due procedimenti giudiziari: il primo dinanzi al Tar Campania di Napoli, con ricorso n. 4393 del 2018, tuttora pendente, censurando la pretesa di legittimità dello stesso; l’altro, ex articoli 29 del d.lgs. n. 150 del 2011 e 53 del d.P.R. n. 327 del 2001, con opposizione alla stima riguardo all’indennizzo dinanzi alla Corte d’appello di Napoli.
Si costituiva il Comune di Frattamaggiore eccependo preliminarmente la pregiudizialità del giudizio amministrativo pendente dinanzi al Tar Campania n. 4393 del 2018 e l’inammissibilità del ricorso perché tardivamente proposto, dovendo considerarsi come dies a quo il termine di 30 giorni dal 6/8/2018,
data di invio del decreto a mezzo p.e.c. all’avvocato COGNOME mandatario dei ricorrenti nella fase stragiudiziale.
Si costituiva in giudizio anche la RAGIONE_SOCIALE chiedendo sospendersi il giudizio ex art. 295 c.p.c., stante la pendenza del giudizio amministrativo proposto dal ricorrente avverso la delibera di acquisizione sanante.
La Corte d’appello di Napoli, con ordinanza non definitiva del 25/11/2019, dichiarava inammissibile il ricorso per tardività nei confronti di NOME COGNOME.
In particolare, evidenziava che solo l’opposizione proposta da NOME COGNOME in data 17/10/2018 poteva ritenersi tempestiva, avendo la stessa ricevuto il decreto di acquisizione sanante il 20/9/2018.
Era, invece, tardivo il ricorso proposto da NOME COGNOME avendo egli ricevuto la notifica del decreto di acquisizione sanante il 22/8/2010.
Tuttavia – chiariva la Corte territoriale – trovava applicazione il principio giurisprudenziale per cui l’opposizione del singolo comproprietario contro la stima dell’indennità era idonea ad estendere il giudizio alla determinazione dell’intero diritto.
Pertanto, il comproprietario opponente poteva domandare il deposito per l’intero dell’indennità giudizialmente determinata.
La Corte d’appello disponeva con la separata ordinanza per il prosieguo del giudizio promosso da NOME COGNOME sospendendo il giudizio ex art. 295 c.p.c, in attesa della decisione del Tar Campania.
NOME COGNOME veniva condannato alle spese del giudizio sia in favore del comune che in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Avverso tale ordinanza definitiva ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME.
Hanno resistito con controricorso il Comune di Frattamaggiore e la società RAGIONE_SOCIALE
È rimasta intimata NOME COGNOME.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione del disposto di cui all’art. 3, comma 4, della legge n. 241 del 1990; rimessione in termini».
In particolare, la Corte d’appello ha ritenuto tardiva l’opposizione presentata da NOME COGNOME in data 17/10/2018, avendo egli ricevuto la notifica del provvedimento di acquisizione sanante già il 22/8/2018, sicché, dovendosi tenere conto della sospensione feriale di 31 giorni, l’opposizione doveva essere proposta entro il 30/9/2018.
In realtà, per il ricorrente, nella nota ricevuta in data 22/8/2018 dal Comune di Frattamaggiore era difficile comprendere quale fosse il termine per presentare l’opposizione alla stima dinanzi alla Corte d’appello.
Infatti, in tale nota si invitavano i proprietari a comunicare «all’amministrazione nel termine perentorio di 30 giorni a decorrere dalla ricezione della presente l’eventuale loro assenso al pagamento del sopra determinato indennizzo: in ipotesi affermativa verrà conseguentemente adottata apposita determina di liquidazione entro 30 giorni dal manifestato assenso. In mancanza, ovvero nel silenzio eventualmente serbato sul punto, sarà dato luogo al deposito del medesimo indennizzo presso il competente MEF».
Tale nota «non conteneva, quindi, alcuna indicazione del termine perentorio e dell’autorità cui fare ricorso, come invero prescritto dall’art. 3 comma 4 della legge 241/1990».
Il ricorrente specificava «che un uomo di media cultura può facilmente dedurre che i primi 30 giorni sono destinati a decidere se accettare o meno e che l’eventuale (ma non indicato termine per ricorrere) non può che iniziare dopo il 30º giorno dalla ricezione».
Con la conseguente scusabilità dell’errore.
In presenza di un errore nel provvedimento comunicato, con l’indicazione di un termine inesatto e/o di un giudice privo di giurisdizione, dovrebbe ritenersi la scusabilità in re ipsa .
Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta «l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; errore scusabile; obbligo di rimessione in termini ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge n. 241 del 1990».
La Corte d’appello avrebbe disatteso la questione della scusabilità dell’errore «circa il termine per adire la stessa».
Con il ricorso introduttivo del giudizio si era chiarito che «avverso il provvedimento di determinazione dell’indennizzo per acquisizione sanante (non essendo indicato nel detto provvedimento né il termine né l’autorità da adire) i signori COGNOME NOME e COGNOME NOME intendono proporre il presente giudizio di opposizione alla stima».
Con la memoria depositata in data 13/10/2019, a seguito della eccezione sollevata dal Comune, il ricorrente aveva aggiunto che l’opposizione doveva essere proposta, a pena di inammissibilità, entro il termine di 30 giorni dalla notifica del decreto di esproprio, «con l’ovvia conseguenza che il detto termine può decorrere solo da una notifica effettuata al soggetto espropriato nelle forme degli atti processuali civili e giammai a mezzo pec ovvero raccomandata con ricevuta di ritorno».
La nota del 6/8/2018 del Comune non conteneva l’indicazione del termine perentorio e dell’autorità cui fare ricorso.
La Corte territoriale avrebbe omesso «di valutare la scusabilità dell’errore sia in relazione al termine di cui all’art. 3 comma 4 della legge 241/1990 sia in relazione alla forma della notifica (raccomandata AR inve che nelle forme degli atti processuali civili)».
Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente si duole della «violazione e falsa applicazione dell’art. 105 c.p.c., in relazione all’art. 156 c.p.c.».
La Corte d’appello ha ritenuto che nell’ipotesi di espropriazione di un bene indiviso spettante in proprietà a più soggetti, l’opposizione proposta dal singolo comproprietario avverso la stima estendeva i suoi effetti anche nei confronti dei comproprietari non opponenti o rimasti estranei al giudizio, pur non essendo litisconsorti necessari.
Tuttavia, per il ricorrente, «la posizione del Fontana andava considerata quale intervento volontario di cui all’art. 105, comma 1, c.p.c.».
I tre motivi di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono fondati, nei termini di cui motivazione.
4.1. Anzitutto, si evidenzia – contrariamente all’assunto di controparte- l’ammissibilità del ricorso, sussistendo l’interesse ad agire del ricorrente.
È vero, infatti, che allorché si proceda all’espropriazione di un bene indiviso, l’opposizione del singolo comproprietario alla stima dell’indennità effettuata in sede amministrativa estende i suoi effetti anche agli altri comproprietari, con la conseguenza che il giudice deve determinare l’indennità in rapporto al bene considerato nel suo complesso ed unità, e non alle singole quote spettanti ai compartecipi (Cass., sez. 1, n. 31177 del 2017; Cass., n. 16614 del 2013).
Tuttavia, non può certo precludersi al ricorrente ogni attività processuale per la difesa dei propri diritti.
Per l’orientamento costante di legittimità l’interesse ad agire, che deve essere concreto ed attuale (al fine di distinguere tra le azioni di mera iattanza e quelle oggettivamente dirette a conseguire il bene della vita consistente nella rimozione dello stato di giuridica incertezza in ordine alla sussistenza di un determinato diritto vedi Cass., sez. L, sentenza, 20 aprile 1995, n. 4444; in ordine al requisito della sussistenza della utilità concreta derivante dalla decisione cfr. Cass., sez. 1, sentenza 10 aprile 2012, n. 5656; ciò vale anche per le azioni di mero accertamento, pure se negative, tese a negare la sussistenza del diritto altrui: Cass., sez. 1, sentenza, 30 luglio 2015, n. 16162; Cass., sez. 6-5, ordinanza 18 febbraio 2020, n. 3991 per cui non è sufficiente l’esistenza di un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione della lite), e deve essere accertato anche d’ufficio dal giudice (Cass., sez. 3, sentenza 29 settembre 2016, n. 19268; Cass., sez. 1, sentenza, 30 luglio 2015, n. 16162; Cass., sez. 6-1, ordinanza 24 giugno 2014, n. 14268), consiste nell’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice (Cass., 13 giugno 2014, n. 13485; Cass., 18 febbraio 2020, n. 3991), poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore; si è precisato che l’interesse ad agire è requisito per la trattazione del merito della causa (Cass., sez. 2, 30 giugno 2006, n.2006) e che il suo accertamento, da compiersi in via preliminare e prescindendo da ogni indagine sul merito della causa e dal suo prevedibile esito (Cass., 29 settembre 2016, n. 19268), va distinto dalla valutazione relativa al diritto sostanziale fatto valere in giudizio (Cass., sez. 3, sentenza 29 settembre 2005, n. 19152; Cass., sez. 1, sentenza 23 novembre 1990, n. 11319).
Proprio in ragione del suo titolo di proprietario del fondo sussiste l’interesse ad agire da parte di NOME COGNOME in sede di giudizio di opposizione alla stima, anche se già ha agito avverso la determinazione della stima un altro comproprietario.
Non si può certo conculcare il suo diritto ad una difesa autonoma rispetto a quella degli altri comproprietari.
In realtà, a prescindere dalle formali doglianze del ricorrente, questi in realtà si è doluto dell’applicazione dell’istituto della decadenza di cui agli articoli 54 del d.P.R. n. 327 del 2001 e dell’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011.
5.1. Deve premettersi che questa Corte ha in precedenza ritenuto che, in materia di espropriazione per pubblica utilità, l’indirizzo nomofilattico che afferma, per un verso, la devoluzione alla competenza della Corte d’appello in unico grado della controversia sulla determinazione e corresponsione dell’indennizzo previsto per la cd. “acquisizione sanante”, per altro verso l’applicazione in via estensiva del termine di trenta giorni dalla notificazione del decreto di esproprio, contemplato dall’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011 ai fini del ricorso per la determinazione della giusta indennità, non integra un cd. “overruling processuale”, connotandosi, piuttosto, alla stregua di indirizzo giurisprudenziale di legittimità ampliativo – in assenza di un precedente e stabile orientamento -, di facoltà e poteri processuali che la parte abbia mancato di esercitare per un’erronea e autolimitativa interpretazione delle norme processuali (Cass., sez. 1, 14/4/2023, n. 10018; Cass., sez. 1, 20/4/2023, n. 10638).
Va, però, in questa sede precisato che tale orientamento deve confrontarsi con il recente mutamento giurisprudenziale di questa Corte (Cass., sez. 1, 18/12/2023, n. 35287), per cui il termine di trenta giorni di cui all’art. 54, comma 2, del d.P.R. n. 327 del 2001 ed all’art. 29, comma 3, del d.lgs., n. 150 del 2011, non trova
applicazione per l’opposizione alla stima definitiva relativa al provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001.
I motivi di censura vanno, allora, letti nella nuova cornice giurisprudenziale disegnata da questa Corte (Cass., sez. 1, n. 35287 del 2023).
6. Pur dovendosi ricordare che per questa Corte (Cass., sez. L, 5/7/2024, n. 18435) la rimessione in termini, sia nella norma dettata dall’art. 184bis c.p.c. che in quella di più ampia portata contenuta nell’art. 153, comma 2, c.p.c., come novellato dalla l. n. 69 del 2009, richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà (ipotesi qui non riscontrabile, soprattutto in presenza all’epoca di un contrasto giurisprudenziale sull’individuazione del termine per proporre opposizione alla stima ex articolo 42bis del d.P .R. n. 327 del 2000 – Cass., sez. 6-2, 9/11/2021, n. 32827), tuttavia la Corte d’appello ha errato nel non reputare applicabile al giudizio di opposizione alla stima avverso il decreto di acquisizione sanante di cui all’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001 il termine di prescrizione decennale, in luogo del termine di 30 giorni di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001.
Infatti, per questa Corte – dopo oscillazioni giurisprudenziali – il termine perentorio previsto dall’art. 54, comma 2, del d.P.R n. 327 del 2001 e, successivamente, dall’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2011, per l’opposizione alla stima definitiva dell’indennità di esproprio, non è applicabile alla contestazione relativa alla determinazione dell’indennizzo contenuta nel provvedimento acquisitivo adottato a norma dell’art. 42bis del d.P .R n. 327 del 2001, con la conseguenza che il soggetto attinto dal decreto di acquisizione ha facoltà di contestare la liquidazione e chiederne la
determinazione giudiziale nel termine ordinario di prescrizione; infatti, l’art. 29 citato, pur essendo successivo, non effettua alcun rinvio al precedente art. 42bis del menzionato d.P.R n. 327, non risultando peraltro, in ogni caso, consentite interpretazioni estensive e analogiche di norme che condizionano l’esercizio del diritto di azione con riferimento a termini di decadenza e inammissibilità non specificamente previsti dalla legge; al contempo, se la comune natura indennitaria del credito pecuniario dell’espropriato e del soggetto attinto dal decreto di acquisizione può valorizzarsi per giustificare la giurisdizione ordinaria e la competenza funzionale della Corte d’appello, quale giudice delle indennità in materia, ciò non consente di superare le diversità strutturale dei relativi procedimenti amministrativi (Cass., sez. 1, 18/12/2023, n. 35287).
L’opposizione alla stima era, dunque, tempestiva.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 dicembre