Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10080 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10080 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 19303/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa giusta procura in calce al ricorso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso il loro studio.
-ricorrenti-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura
rilasciata su foglio separato unito telematicamente e giuridicamente al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notifiche relative al presente procedimento a ll’ indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
E
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso, ope legis, dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è legalmente domiciliata
-controricorrente –
avverso l ‘ordinanza del la Corte di appello di Brescia n. 904/2020, depositata il 9/4/2020
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/4/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con delibera del CIPE n. 121 del 2001, del 21/12/2001, veniva inserito tra le infrastrutture strategiche anche il raccordo autostradale tra il casello di Ospitaletto, il nuovo castello di Poncarale e l’aeroporto di Montichiari.
Con delibera di giunta comunale n. 99/2003, del 18/9/2003, veniva approvata la variante al piano urbanistico.
Tale delibera classificava i terreni in oggetto, di cui al foglio 9, particella 590, della società alberghiera, poi RAGIONE_SOCIALE, in zona E/7 1 «edifici extra-agricoli in zona agricola», con attribuzione delle
possibilità di edificare una nuova struttura alberghiera e servizi annessi per una cubatura di metri cubi 9000, «prescrivendo che le aree libere dovranno essere destinate a parco creando una collinetta piantumata verso la SP 19».
Con la delibera di giunta regionale del 6/4/2004 veniva assegnata la volumetria.
In data 1/10/2004 la società depositava in comune di Travagliato la richiesta di permesso di costruire (piano attuativo) per la realizzazione di un nuovo albergo sui mappali 412,409,66,41,40,65 del foglio 9.
In data 18/3/2005, con delibera n. 24/2005, pubblicata il 10/11/2005 nella Gazzetta Ufficiale 262/2005, il CIPE approvava, anche ai fini della pubblica utilità, il progetto definitivo della raccordo autostradale.
In data 26/9/2005, con delibera di giunta comunale n. 163, veniva approvato il piano di lottizzazione, ossia il piano attuativo del comparto E7/1.
In data 10/11/2005 veniva pubblicata la delibera CIPE n. 24/05.
Il 14/11/2005 il Comune di Travagliato con delibera della giunta comunale n. 209 del 2005, approvava il piano attuativo definitivo del comparto E7/1.
Il 25/7/2006 veniva sottoscritta la convenzione urbanistica tra il Comune di Travagliato e la società RAGIONE_SOCIALE inerente la domanda a lottizzare presentata in data 1/10/2004, con oggetto la realizzazione di un complesso alberghiero con volumetria massima di metri cubi 9000.
Si trattava sempre di destinazione urbanistica E7/1, edificazione extra agricola in zona agricola.
In data 31/10/2006 la società RAGIONE_SOCIALE depositava in comune la DIA per la realizzazione delle opere di urbanizzazione, per una spesa di euro 232.410,00.
Il 28/10/2009 veniva emesso il decreto di occupazione temporanea n. 2/2009 preordinata all’esproprio, ex art. 22bis del d.P.R. n. 327 del 2001, di una porzione del mappale 590 foglio 9 di cui una parte da espropriare e la rimanente da occupare temporaneamente, ex art. 49 del d.P.R. n. 327 del 2001.
In data 27/11/2009 veniva redatto il verbale di immissione in possesso relativo a due porzioni del mappale 590 del foglio 9 (superficie complessiva di mq 18.887): la prima di mq 4230 da espropriare per la viabilità di progetto e la seconda di mq 974 da occupare temporaneamente.
In data 10/11/2012 scadeva la dichiarazione di pubblica utilità, a seguito di proroga biennale intervenuta.
Il 10/2/2017 la RAGIONE_SOCIALE trasmetteva al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (Mit) l’integrazione documentale relativa al mappale 674 del foglio 9 con superficie di mq 4230, in quanto tra le particelle 673 e 674 insisteva la servitù per ossigenodotto ALIP, già posato.
La società emetteva diffida il 17/7/2015, presentando ricorso al Tar.
Il Tar, con sentenza n. 714/2017, dell’1/6/2017, condannava il Mit alla restituzione del fondo oppure ad emettere provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001.
Il Mit offriva per l’acquisto del terreno in data 18/9/2017 la somma di euro 74.357,80.
La società rifiutava con atto del 6/10/2017.
Successivamente, la società con pec del 5/2/2018 chiedeva l’attivazione del commissario ad acta .
Il Mit comunicava la disponibilità all’acquisto ai sensi dell’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, il 24/4/2018, sempre per la somma di euro 74.357,80.
La società con pec delle 18/9/2017 rifiutava l’offerta.
In data 22/5/2018 veniva emesso il provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001.
La somma offerta complessivo era di euro 74.357,80, di cui euro 12.820,83 per occupazione senza titolo; euro 52.875,00 per indennizzo da acquisizione sanante; euro 5287,50 pari al pregiudizio non patrimoniale; euro 3375,00 per servitù di ossigenodotto RAGIONE_SOCIALE
In data 2/7/2018 la nuova concessionaria dell’autostrada, Autovia Padana, depositava le somme presso la ragioneria territoriale dello Stato.
Il PGT (Piano di Governo del territorio) vigente alla data del decreto di acquisizione sanante (22/5/2018) classificava il mappale 590 in «aree agricole e di valore paesaggistico – ambientale», attribuendo le disposizioni particolari di cui a *8 che rimandavano al piano attuativo ed alla convenzione.
A seguito di DIA, presentata il 31/10/2006, erano state realizzate le opere di urbanizzazione previste dalla convenzione urbanistica (rotatoria, allargamento INDIRIZZO e sottoservizi), quale monetizzazione delle aree a standard non cedute, per un importo previsto di euro 232.410,00
La società presentava opposizione alla stima avverso il provvedimento di acquisizione sanante sulla base di tre motivi: si trattava di terreni edificabili; era stato sottostimato l’asservimento che, invece, era di euro 1.140.000,00; non era stato riconosciuto il deprezzamento che ammontava ad euro 4.251.333,00.
In realtà, nella zona di cui al comparto E7/1 si poteva realizzare una struttura alberghiera, sicché il valore era di euro 300,00 m²,
moltiplicato per mq 4230, per l’importo complessivo di euro 1.269.000,00.
Si costituiva il Mit deducendo che con delibera del CIPE n. 121/2001 il raccordo autostradale era stato individuato quale infrastruttura strategica, cosicché ai sensi dell’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 190 del 2002, in attuazione della legge obiettivo, 21 dicembre 2001, n. 443, l’approvazione del progetto preliminare dell’infrastruttura comportava l’automatica variazione degli strumenti urbanistici vigenti.
La delibera CIPE del 18/3/2005 era stata pubblicata il 10/11/2005, privando di qualsiasi rilevanza la successiva approvazione, in data 14/11/2005, del piano di lottizzazione di riferimento da parte del Comune di Travagliato, inidonea a determinare l’estinzione degli effetti modificativi sugli strumenti urbanistici vigenti determinati dall’approvazione del progetto preliminare.
Si costituiva in giudizio anche la società di progetto RAGIONE_SOCIALE eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva.
La Corte d’appello di Brescia, con ordinanza n. 904/2020, depositata il 9/4/2020, accoglieva parzialmente la domanda della società, determinando l’importo dovuto alla 3G in complessivi euro 102.436,45, di cui euro 72.417,60 per pregiudizio patrimoniale, euro 7241,76 per pregiudizio non patrimoniale, euro 19.914,84 per occupazione senza titolo ed euro 2862,25 per indennizzo da asservimento per ossigenodotto.
5.1. Il CTU proponeva quattro diverse ipotesi con riferimento ai vincoli gravanti sul terreno: 1) vincoli CIPE decaduti + convenzione urbanistica valida; 2) vincoli CIPE decaduti + convenzione urbanistica non valida; 3) vincoli CIPE vigenti + convenzione
urbanistica valida; 4) vincoli CIPE vigenti + convenzione urbanistica non valida.
Per il CTU, l’espropriazione e i relativi vincoli non comportavano «in nessun caso l’impossibilità di realizzare la capacità edificatoria prevista pari a mc 9000» (cfr. pag. 29 della motivazione della ordinanza della Corte d’appello).
Tuttavia, per il CTU il terreno era «privo di capacità edificatoria», mentre la sua destinazione urbanistica era «turistica alberghiera ed in particolare a parco, dato che la fascia di rispetto dell’esistente strada provinciale impedisce comunque la realizzazione di fabbricati su tale mappale».
Ai fini del computo del valore del terreno si procedeva con la determinazione del valore dell’intera proprietà 3G prima dell’esproprio che risultava essere pari ad euro 1.654.054,00.
Si sommavano, dunque, il valore della volumetria; il valore dei terreni agricoli; i costi di urbanizzazione e le spese sostenute.
Si determinava quindi l’incidenza della superficie del parco rispetto alla superficie commerciale, applicando la percentuale di ragguaglio pari al 5% alla superficie territoriale «come da prassi commerciale corrente al netto della superficie occupata dal fabbricato pari a circa mq 1500».
Dalla superficie territoriale di mq 18.887 si sottraeva la superficie del fabbricato di mq 1500, ottenendosi la somma di mq 17.387.
Di tale somma si calcolava il 5% , pari a mq 870.
Il Parco convertito in SLP (Superfice lorda di pavimento) era appunto mq 870.
Il totale della SLP commerciale era di mq 3870.
L’incidenza del parco era allora di 22,5%, ossia mq 870/mq 3870.
Di qui il valore attuale del terreno «che sarà adibito a parco dell’albergo senza considerare l’esproprio» per un valore unitario di euro 21,40 m².
Si muoveva dal valore dell’intera proprietà pari ad euro 1.654.054,00, computando l’incidenza commerciale del parco pari al 22,5%, ottenendo il valore del terreno adibito a parco pari ad euro 372.162,15, diviso per la superficie del terreno di mq 17.387,00, per un valore unitario, appunto, di euro 21,40 m².
Si procedeva poi a considerare la superficie del mappale stesso diminuito del 20% «come da prassi per la presenza della fascia di rispetto della strada SP 19», giungendo ad un valore del terreno espropriato pari a mq 4230 X euro 21,40 m² X 0,8, per un totale complessivo di euro 72.417,60 (pari ad euro 17,12 al metro quadrato).
5.2. La Corte territoriale evidenziava che la legittimazione passiva spettava al Mit, il quale aveva «avviato e condotto a termine il procedimento» di cui all’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001.
5.3. Quanto al merito, la Corte d’appello riportava il testo del decreto di acquisizione sanante, ove si faceva espresso riferimento alla legge n. 443 del 21/12/2001 (legge obiettivo) alla delibera del CIPE n. 121 del 21/12/2001, oltre che alla delibera del CIPE n. 24/05 del 18/3/2005, pubblicata il 10/11/2005.
Ne desumeva che era evidente «la volontà della PA procedente di dare continuità alle determinazioni precedentemente espresse» essendo stato individuato il raccordo autostradale quale infrastruttura strategica.
Del resto, il procedimento di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001 rappresentava uno speciale procedimento semplificato, di carattere eccezionale, volto a ripristinare la legalità amministrativa con effetto non retroattivo, il cui scopo era quello,
autonomo, di soddisfare attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico.
Tale provvedimento, divenuto definitivo per omessa impugnazione dinanzi al giudice amministrativo, aveva reso efficaci e vincolanti le sue determinazioni estese anche «al ripristino, sia pure con effetto ex nunc e non ex tunc , dei presupposti, di rilevanza giuridica, ivi richiamati»; da ciò conseguiva «la sicura applicabilità, anche per il terreno per cui è causa, delle delibere CIPE richiamate in decreto, con efficacia, come si è detto, non retroattiva».
Chiariva poi la Corte territoriale che nel PRG vigente vi era la seguente destinazione urbanistica: «zona comparto E7/1 è ammessa la nuova costruzione di struttura alberghiera e servizi annessi (autorimesse interrate, zona fitness e palestra, reception ecc.) per una cubatura di mc 9000 oltre l’esistente. Altre prescrizioni: le aree libere dovranno essere destinate a parco creando una collinetta piantumata verso la SP 19. All’interno del parco è possibile la realizzazione di una piscina al servizio della struttura alberghiera. Parte del mappale ricade nella fascia di rispetto stradale regolata dall’art. 56 delle norme tecniche allegate al vigente piano regolatore generale».
Per la Corte territoriale, sul piano cronologico, «formazione e perfezionamento del piano attuativo del comparto E7/1 hanno avuto luogo in data successiva rispetto a quella (10 novembre 2005) di pubblicazione della delibera CIPE n. 24/05 che ha approvato il progetto definitivo del raccordo autostradale secondo il regime speciale della cosiddetta legge obiettivo».
Ha però chiarito la Corte d’appello che il fenomeno di sostituzione e di adeguamento degli elaborati urbanistici alle disposizioni della delibera del CIPE operava solo in quanto si ravvisasse «la sussistenza di una situazione di rilevante incompatibilità tra le prescrizioni dei
decreti attuativi della legge obiettivo e quelle della disciplina urbanistica ed edilizia locale».
Al contrario – aggiungeva la Corte di merito – «in assenza di incompatibilità tra la disciplina urbanistica locale e regolamentazione derivante dall’attuazione della legge obiettivo non può concepirsi invalidità, neppure sopravvenuta, della prima, sotto il profilo della violazione di legge».
Proprio questa situazione si sarebbe verificata nella fattispecie.
Dalla relazione del CTU emergeva, poi, con riferimento ai vincoli generali a seguito della delibera CIPE del 10/11/2005 che, oltre a quelli derivanti dall’esproprio sanante e dalla presenza di un ossigenodotto a confine con i mappali 673 e 674, sarebbero di rilievo quelli derivanti dalla fascia di rispetto stradale derivante dal raccordo autostradale, che si estende dal confine tra il mappale 673 e 674 sul mappale 673 di proprietà 3G per una larghezza che, secondo il CTU, sarebbe pari a metri 30, nel caso di proprietà dotata di strumenti urbanistici attuativi esecutivi, o di metri 60, in caso contrario».
Chiariva inoltre la Corte d’appello che, anche a voler ammettere la fondatezza dell’osservazione della società, per cui la fascia di rispetto doveva essere di 60 m., tuttavia l’osservazione non sarebbe rilevante «posto che la struttura alberghiera progettata avrebbe dovuto, secondo progetto essere realizzata comunque a distanza superiore a ml 60 dal confine della proprietà stradale», con l’ulteriore precisazione per cui «la collinetta, prevista nella disciplina urbanistica e nella convenzione di lottizzazione deve ritenersi legittimamente collocabile nella cosiddetta zona di rispetto, purché a distanza non inferiore a metri 6 dal confine della proprietà stradale», ai sensi della strada, ossia dell’art. 26, comma 6, d.P.R. n. 495 del 1992.
Non poteva ravvisarsi alcuna incompatibilità tra la disciplina urbanistica vigente e quella espressa nella delibera CIPE in attuazione della legge obiettivo.
Proprio per tali ragioni veniva escluso il deprezzamento del mappale residuo 673 ex art. 33 del d.P.R. n. 327 del 2001.
Quanto al valore del terreno, si doveva considerare l’attuale PGT in zona E3 agricola con la sigla *8 e volumetria preassegnata pari a mc 9.000 con la destinazione agricola.
Si muoveva dalla valutazione del compendio immobiliare nel suo insieme, per poi procedere alla valutazione della parte destinata parco, sulla base di un’incidenza di quest’ultima sul valore dell’intera proprietà pari al 22,5%; si divideva poi il risultato ottenuto per la superficie mq del terreno, così pervenendo alla relativa valutazione unitaria in euro 21,40 m² (poi euro 17,12 al metro quadrato, tenendosi conto della fascia di rispetto autostradale).
La Corte d’appello evidenziava che la società ricorrente richiedeva «che invece il CTU avrebbe dovuto procedere mediante analisi sintetico-comparativa, determinando il valore a mq del terreno sulla base dei valori risultanti da recenti vendite di aree limitrofe ed analoghe con la destinazione alberghiera».
Veniva superata l’obiezione per entrambi i profili: quanto alla classificazione, perché il CTU si era uniformato a quella espressa negli strumenti urbanistici vigenti; quanto all’analisi sintetico comparativa, in quanto quest’ultima era metodo di valutazione valido in caso di espropriazione dell’intero bene immobile, unitariamente considerato, con conseguente radicale compromissione delle potenzialità di sviluppo correlate alla sua conformazione, ma «non invece nel caso di espropriazione di una sola striscia di terreno, tenuta a prato (come da verbale di immissione nel possesso), la cui
perdita non avrebbe in alcun modo impedito la realizzazione della struttura alberghiera progettata».
In ragione dell’accoglimento dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata da RAGIONE_SOCIALE la società ricorrente veniva condannata a rifondere le spese di giudizio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la società di RAGIONE_SOCIALE depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso il Mit.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., degli articoli 42bis , comma 3,32, comma 1 e 37 d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 e s.m.i. e dei principi in materia di stima dell’indennità per aree edificabili (l’ordinanza merita di essere riformata nella parte in cui, nel recepire acriticamente la CTU, ha quantificato l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale considerando l’area oggetto del provvedimento di acquisizione sanante come non edificabile)».
In realtà, per la ricorrente, sin dal ricorso introduttivo di primo grado si era evidenziata l’oggettiva e incontestabile natura edificabile di terreni per cui è causa.
La destinazione previgente veniva rinvenuta nella zona comparto E7/1, e successivamente nell’area E/3 – Ambientale Paesaggistica, con le disposizioni particolari, indicate come 8.
A giudizio della ricorrente, dunque, l’attuale PGT confermava espressamente la possibilità nell’area della «realizzazione di una struttura alberghiera di circa 2983,00 m²».
Il CTU ha preliminarmente riconosciuto tale circostanza affermando che «i terreni in oggetto alla data dell’esproprio sanante (22/5/2018) sono classificati dal PGT in zona E3 agricola con la sigla 8 e volumetria preassegnata pari a mc 9.000 con la destinazione alberghiera».
Tuttavia, anziché procedere alla stima delle aree in base alla loro incontestabile natura edificabile, il CTU aveva stimato le aree «come parco» in quanto «l’esproprio sanante e i relativi vincoli correlati con quegli urbanistici come precedentemente descritto, non comportano in nessun caso l’impossibilità di realizzare la capacità edificatoria prevista pari a mc. 9000», e quindi «il mappale 674 (ex 590) oggetto di acquisizione «è privo di capacità edificatoria». Sarebbe erroneo il metodo seguito dal CTU e recepito dalla Corte territoriale che si sarebbe tradotto in un «artificio del tutto astratto, andando a parcellizzare le singole superfici facenti parte del compendio per ‘traslare’ la volumetria sulla parte rimanente».
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., degli articoli 42-bis, comma 3,32, comma 1 e 37 d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 e s.m.i. sotto altro profilo nonché dei principi in materia di stima dell’indennità con il metodo sinteticocomparativo (l’ordinanza merita di essere riformata anche nella parte in cui, limitandosi a recepire acriticamente la CTU, ha ritenuto non applicabile il criterio di stima sintetico-comparativo invocato dalla ricorrente e, di conseguenza, non ha tenuto conto dello specifico comparabile per aree analoghe dal quale risulta un valore unitario nettamente superiore a quello qui stimato».
La Corte d’appello, infatti, ha considerato il valore dell’intera proprietà prima dell’acquisizione, pari ad euro 1.654.054,00,
ritenendo i terreni in parte con destinazione alberghiera con valore di euro 125,00 m².
L’incidenza della superficie del parco rispetto a quella commerciale è stata calcolata al 22,50%.
Si è poi diviso il valore così ottenuto per euro 372.162,15 per la superficie complessiva pari a mq 17.387, ottenendo il valore unitario di euro 21,40 m², poi ridotto del 20% per la presenza della fascia di rispetto, giungendo così al valore finale di euro 17,12 al metro quadrato.
Sarebbe stato seguito dunque una sorta di ibrido fra il criterio differenziale (pur avendo escluso il deprezzamento) e il metodo analitico.
Del resto, sottolinea la ricorrente, gli stessi c.t. di parte avevano trasmesso al CTU un apposito atto di compravendita di terreni analoghi dal quale risultava il valore unitario di euro 141,00 m².
È vero, dunque, che il giudice può scegliere il metodo di volta in volta più appropriato alle caratteristiche del bene da stimare, con il solo limite costituito dall’obbligo di motivare convenientemente le proprie conclusioni.
Ma nella specie, ad avviso della ricorrente, «la motivazione fornita dalla Corte d’appello è del tutto errata».
Il CTU, infatti, avrebbe ritenuto applicabile il metodo sinteticocomparativo solo in caso di esproprio integrale «fondendo così i criteri di stima del valore venale dei terreni con il metodo differenziale utilizzabile in caso di deprezzamento».
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., degli articoli 42bis , comma 3 e 32, comma 1 d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 e s.m.i. (In subordine, l’ordinanza merita di essere riformata nella parte in cui, nel recepire
acriticamente la CTU, ha quantificato l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale applicando una decurtazione del 20% del valore venale dei terreni del tutto ingiustificata e senza tener conto delle accertate possibilità di utilizzazione intermedia rispetto a quelle puramente agricole).
In subordine, dunque, la ricorrente evidenzia che, anche ove la Corte confermi la natura non edificabili delle aree, «la stima concreta del valore venale non è corretta».
La riduzione del 20% è avvenuta, ad avviso del CTU, «come da prassi, per la presenza della fascia di rispetto della strada SP19».
La Corte d’appello si è limitata a recepire la stima del CTU, senza effettuare una propria valutazione.
Il valore del terreno è stato di euro 17,12 al metro quadro, proprio in ragione della decurtazione del 20%, rispetto al valore di euro 21,40 m².
Tuttavia, per la ricorrente, anche nella ipotesi in cui le aree non siano ritenute edificabili, tuttavia le stesse «non potranno mai essere considerate agricole» dovendo essere valutata la possibilità di utilizzazione intermedia, in base alla stessa prospettazione del CTU, potendo le aree essere adibite «a parco attrezzato a servizio del progetto alberghiero e relative opere di mitigazione necessarie per la concreta attuazione dello stesso».
Per la Corte territoriale infatti «le aree libere dovranno essere destinate a parco creando una collinetta piantumata verso la INDIRIZZO. All’interno del parco è possibile la realizzazione di una piscina servizio della struttura alberghiera».
Sulle aree non edificabili, peraltro, la presenza di fascia di rispetto era del tutto irrilevante.
Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3, c.p.c., degli articoli 42bis , commi 1 e 3 e 33 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, e s.m.i. nonché dell’art. 26 del d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 e s.m.i. (L’ordinanza merita di essere riformata anche nella parte in cui è escluso il deprezzamento della proprietà residua non acquisita ritenendo ancora attuabile la realizzazione del progetto alberghiero ivi assentito perché l’opera di mitigazione di prevista (c.d. collinetta) sarebbe realizzabile nella fascia di rispetto stradale)».
Per la ricorrente l’opera pubblica ha creato nuove fasce di rispetto e vincoli di inedificabilità in precedenza non presenti sull’area, che hanno impedito la realizzazione dell’intervento alberghiero progettato e assentito dagli enti competenti, tanto che la ricorrente aveva già sostenuto gli oneri di urbanizzazione per euro 232.410,08.
La nuova opera avrebbe impedito la realizzazione della collinetta piantumata e attrezzata con funzione di mitigazione ambientale prevista quale opera necessaria dalla convenzione urbanistica del 2006.
Tale collinetta doveva essere costruita proprio nell’area poi occupata ed acquisita.
Per il CTU, però, qualora la collinetta non sia collocabile in fascia di rispetto, il progetto dell’albergo non avrebbe potuto essere comunque attuato così come assentito dall’amministrazione, ma «avrebbe dovuto essere modificato, traslando l’edificio rispetto alla posizione prevista e autorizzata.
Per la ricorrente l’occupazione «determinando lo spostamento della collinetta, ha determinato di fatto l’impossibilità di attuare il progetto alberghiero così come progettato dalla ricorrente e-si ripete-già assentito dal Comune».
Esisteva il deprezzamento, in relazione alla permanenza o meno dell’attuabilità del progetto alberghiero, trattandosi ovviamente di
«quello progettato e autorizzato (non un altro costruito ipoteticamente a tavolino dal CTU che si è improvvisato anche progettista)».
La Corte d’appello si è limitata ad affermare che la collinetta doveva ritenersi legittimamente collocabile nella cosiddetta zona di rispetto, purché a distanza non inferiore a metri 6 dal confine della proprietà stradale.
Tuttavia, per la ricorrente, la collinetta costituisce «un vero e proprio manufatto», non comparabile alla piantagione di alberi e quindi non collocabile nella fascia di rispetto stradale».
Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., degli articoli 42bis , commi 1 e 3 e 33 d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 s.m.i. Nonché dell’art. 26 del d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 e s.m.i. Sotto altro profilo (l’ordinanza merita di essere riformata anche nella parte in cui ha ritenuto irrilevante la previa individuazione dell’ampiezza della fascia di rispetto applicabile nel caso di specie, che il CTU ha erroneamente ritenuto pari a 30 m)».
Per il CTU, l’ampiezza della fascia di rispetto stradale derivante dal nuovo raccordo autostradale sarebbe pari a metri 30, nel caso di proprietà dotata di strumenti urbanistici attuativi esecutivi, o di metri 60, in caso contrario, ma ciò sarebbe irrilevante in quanto «la struttura alberghiera progettata avrebbe dovuto, secondo progetto, essere realizzata comunque a distanza superiore a ml 60 dal confine della proprietà stradale».
Pertanto, per la ricorrente, a prescindere dalla possibilità o meno di realizzare la collinetta nella fascia di rispetto, l’ampiezza di quest’ultima è certamente rilevante per la stima in considerazione dei vincoli che ne derivano.
Tuttavia, la realizzazione dell’opera e la creazione del relativo corridoio e la successiva fascia di rispetto (ove ritenuta pari a 60 m) «avrebbero comunque impedito la costruzione dell’albergo perché la fascia si sarebbe sovrapposta all’edificio progettato escludendo qualsiasi possibilità di realizzarlo».
La Corte di merito, dunque, ha erroneamente reputato irrilevante la concreta individuazione dell’ampiezza della fascia di rispetto.
Peraltro, la distanza di 60 m cui si riferisce la Corte d’appello è quella che separa il corpo alberghiero progettato dalla SP 19 preesistente «e non dalla nuova e futura sede autostradale».
Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., degli articoli 42bis , commi 1 e 3 e dell’art. 32 d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 e s.m.i., nonché del principio di irrilevanza del vincolo preordinato all’esproprio (l’ordinanza merita di essere riformata anche nella parte in cui ha affermato che il piano attuativo per la realizzazione dell’albergo sarebbe stato presentato dopo l’approvazione del progetto dell’opera con la delibera CIPE n. 24/2005, che avrebbe di acquisito efficace, sia pure ex nunc , per effetto del decreto di acquisizione sanante)».
Diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello l’effetto del provvedimento di acquisizione sanante «non è certo quello di far rivivere gli atti del procedimento non perfezionato», ma soltanto quello di «ripristinare la legalità ponendo fine all’occupazione senza titolo e consentendo la realizzazione dell’opera».
Non vi poteva essere, allora «nessuna riesumazione dei vincoli precedenti».
I vincoli dettati dalla delibera CIPE del 2005 sono venuti meno.
Inoltre, la formazione del piano attuativo è stata avviata prima della delibera del CIPE.
La specifica volumetria sfruttabile è avvenuta con la delibera della giunta regionale del 6/4/2004; il progetto dello specifico intervento alberghiero è stato presentato in data 1/10/2004; il piano di lottizzazione è stato adottato dal Comune con la delibera n. 163 del 26/9/2005.
Pertanto, l’intervento è stato avviato ben prima dell’approvazione del progetto definitivo di raccordo autostradale, avvenuto con la delibera del CIPE pubblicata il 10/11/2005.
Con il settimo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., degli articoli 42-bis, commi 1 e 3 e 33 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 s.m.i. Sotto ulteriore profilo (l’ordinanza merita di essere riformata anche nella parte in cui non si è pronunciata sulla domanda di deprezzamento dovuto ai vincoli derivanti dalla realizzazione dell’opera, in particolare della relativa fascia di rispetto)».
La Corte d’appello non si è soffermata sulle pesanti limitazioni derivanti dall’ampliamento della fascia di rispetto ed alla modifica della tipologia di strada (originariamente una provinciale, adesso autostrada), a prescindere dalla realizzabilità o meno del progetto alberghiero.
Il CTU ha ammesso che la variazione sostanziale generata dalla delibera del CIPE sulla proprietà 3G consiste, sia nella riduzione delle zone dove è possibile posizionare le costruzioni a causa dell’esproprio sanante, sia nella istituzione delle fasce di rispetto.
Sarebbe stato attestato il visibile avvicinamento della sede autostradale (di oltre 20 m) e, di conseguenza, della relativa fascia di rispetto.
La Corte d’appello avrebbe dovuto trarne le dovute conseguenze, in relazione alla sussistenza del deprezzamento della parte residua del bene.
Il collegamento funzionale tra la parte oggetto di acquisizione sanante e quella residua è pacifico e incontestato, trattandosi di parte di un comparto unitario con destinazione alberghiera.
Con l’ottavo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., dell’art. 132 c.p.c.: carenza assoluta e contraddittorietà manifesta della motivazione sulla destinazione urbanistica dei terreni, sui criteri seguiti per la quantificazione del valore venale dell’immobile e sulla stima del deprezzamento (l’ordinanza merita di essere riformata anche per difetto assoluto di motivazione su tutti i profili rilevanti per la definizione del giudizio)».
In sostanza, si sarebbe in presenza di una motivazione meramente apparente.
La CTU è stata contestata dettagliatamente dalla ricorrente, con richiesta di rinnovazione delle operazioni peritali, ovvero di convocazione a chiarimenti del CTU.
La Corte d’appello ha deciso la controversia senza esaminare dettagliatamente nelle contestazioni della ricorrente, ma neanche la stessa CTU.
Il mero richiamo motivazionale alle conclusioni esposte dalla CTU, in presenza di specifiche contestazioni non è sufficiente.
Con il nono motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dell’art. 29, comma 4, d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 e dell’art. 42bis , comma 1, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 e s.m.i. (L’ordinanza merita di essere riformata anche nella parte in
cui ha accolto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla società di progetto RAGIONE_SOCIALE».
Per la ricorrente, infatti, ha errato la Corte d’appello a rigettare l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla società RAGIONE_SOCIALE
Non è corretto il richiamo esclusivo alla decisione del Tar Lombardia, pubblicata il 1/6/2017, quando la concessione precedente (con Autostrade Centro Padane) era scaduta e non era ancora efficace quella con il nuovo concessionario (Autovia Padana)».
Proprio Autovia Padana ha provveduto al deposito dell’indennizzo offerto.
La nota del Ministero del 24/4/2018, ove si prevedeva che Autovia Padana fosse tenuta alla gestione del raccordo autostradale e ad ogni operazione necessaria suo perfezionamento, ivi inclusi i procedimenti espropriativi e/o di acquisire di terreni, non aveva affatto solo rilievo interno.
La circostanza che il procedimento di cui all’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001 è stato avviato e concluso autonomamente dal Mit, sarebbe smentito proprio dalla nota del 24/4/2018.
L’avvenuto deposito da parte di Autovia Padana della somma offerta dal ministero attesta certamente l’assunzione della corrispondente obbligazione.
Con il decimo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. dell’art. 91 c.p.c. (l’ordinanza merita di essere riformata, infine, anche nella parte in cui ha condannato la ricorrente RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese di lite di euro 15.680,25).
Così facendo la Corte di merito non avrebbe considerato, quantomeno ai fini delle spese, gli elementi indicati nel motivo
precedente dai quali si ricavano oggettiva incertezza in ordine al soggetto effettivamente legittimato passivo al pagamento dell’indennizzo.
Va affrontato preliminarmente l’ottavo motivo di ricorso per cassazione, in quanto pregiudiziale rispetto tutti gli altri, tenendo esclusivamente alla dedotta motivazione apparente della ordinanza della Corte d’appello.
11.1. Il motivo è infondato.
11.2. Invero, la motivazione dell’ordinanza della Corte d’appello è presente, non solo in senso grafico, ma anche nella indicazione delle ragioni logiche e giuridiche sottese alla decisione adottata.
Infatti, in tale motivazione la Corte d’appello affronta ogni aspetto della complessa vicenda, con una motivazione sufficiente, piena di riferimenti alle risultanze della CTU espletata, consentendo a questa Corte di cogliere la portata effettiva della decisione, a prescindere dalla correttezza della stessa.
Tra l’altro, vale il principio, più volte ribadito da questa Corte, per cui come rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico d’ufficio sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o in toto, le indagini, sostituendo l’ausiliare del giudice; l’esercizio di tale potere, non è sindacabile in sede di legittimità, ove ne sia data adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici; peraltro, il provvedimento con il quale il giudice dispone la rinnovazione delle indagini non è priva di efficacia l’attività espletata dal consulente sostituito (Cass., n. 14789 del 2020; Cass. n. 27247 del 14/11/2008; Cass., 20/8/2019, n. 21525).
Il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di un’esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova CTU, atteso che il rinnovo
dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria un’espressa pronuncia sul punto (Cass., sez. 3, 29/9/2017, n. 22799).
Vanno poi affrontati congiuntamente i motivi sesto e settimo, per strette ragioni di connessione, che sono infondati.
12.1. Ed infatti, la realizzazione del raccordo autostradale in oggetto è stato individuato come infrastruttura strategica a seguito della delibera del CIPE n. 121/2001 del 21/12/2001.
Il CIPE, poi, con delibera del 18/3/2005, pubblicata il 10/11/2005, ha approvato il progetto definitivo del raccordo autostradale, costituendo infrastruttura strategica.
Solo in data 14/11/2005 il Comune ha approvato il piano attuativo definitivo del comparto E7/1.
In precedenza, è stata approvata in data 3/6/2004 la variante al PRG, con classificazione dei terreni in oggetto in zona E7/1 («edifici extra agricoli in zona agricola»).
Con la possibilità di edificare una nuova costruzione di struttura alberghiera e servizi annessi (autorimesse interrate, zona fitness e palestra, reception, ecc.) per una cubatura di mc 9000 oltre l’esistente prescrivendo che le aree libere dovranno essere destinate a parco creando una collinetta piantumata verso la INDIRIZZO).
Pertanto, in base alla normativa all’epoca vigente non v’è dubbio che le previsioni del CIPE superino quanto previsto dagli strumenti urbanistici.
Tanto più che la delibera del CIPE n. 24/2005 del 18/3/2005 è stata pubblicata il 10/11/2005, quindi prima del 14/11/2005, quando il Comune di Travagliato con la delibera della giunta comunale n. 209, esaminate le osservazioni, ha approvato il piano attuativo definitivo del comparto E7/1.
13. Ed infatti, l’art. 3 del d.lgs. 20/8/2002, n. 190, in attuazione della legge obiettivo (legge 21/12/2001 n. 443 per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici ed interesse nazionale) in vigore dal 10/9/2002 al 6/10/2005, prevedeva al comma 7 che «l’approvazione determina, ove necessario ai sensi delle vigenti norme, l’accertamento della compatibilità ambientale dell’opera e perfeziona, ad ogni fine urbanistico ed edilizio, l’intesa Stato-Regione sulla sua localizzazione, comportando l’automatica variazione degli strumenti urbanistici vigenti ed adottati; gli enti locali provvedono alle occorrenti misure di salvaguardia delle aree impegnate e delle relative eventuali fasce di rispetto. Ai fini ambientali, si applica l’art. 18, comma 6».
L’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 190 del 2002, come vigente dal 7/10/2005 al 30/6/2006, ha chiarito che «gli immobili su cui è localizzata l’opera sono assoggettati al vincolo preordinato all’esproprio ai sensi dell’art. 10 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, di cui al decreto del presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327; il vincolo si intende apposto anche in mancanza di espressa menzione. Gli enti locali provvedono alle occorrenti misure di salvaguardia delle aree impegnate e delle relative eventuali fasce di rispetto e non possono rilasciare, in assenza della attestazione di compatibilità tecnica da parte del soggetto aggiudicatore, permessi di costruire, né altri titoli abilitativi nell’ambito del corridoio individuato con l’approvazione del progetto ai fini urbanistici e delle aree comunque impegnate dal progetto stesso».
Insomma, come detto, le previsioni della delibera del CIPE prevalgono sugli strumenti urbanistici vigenti che vengono automaticamente variati.
Del resto, anche successivamente la normativa ha mantenuto la medesima struttura, in relazione alle opere strategiche.
L’art. 165 (Progetto preliminare. Procedura di valutazione di impatto ambientale e localizzazione) del d.lgs. 12/4/2006, n. 163, prevede al comma 7, nella versione in vigore all’epoca dei fatti, che «l’approvazione determina, ove necessario ai sensi delle vigenti norme, l’accertamento della compatibilità ambientale dell’opera e perfeziona, ad ogni fine urbanistico ed edilizio, l’intesa Stato-regione sulla sua localizzazione, comportando l’automatica variazione degli strumenti urbanistici vigenti e adottati; gli immobili su cui è localizzata l’opera sono assoggettati al vincolo preordinato all’esproprio ai sensi dell’art. 10 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327; il vincolo si intende apposto anche in mancanza di espressa menzione; gli enti locali provvedono alle occorrenti misure di salvaguardia delle aree impegnate e delle relative eventuali fasce di rispetto e non possono rilasciare, in assenza della attestazione di compatibilità tecnica né altri titoli abilitativi nell’ambito del corridoio individuato con l’approvazione del progetto ai fini urbanistici e delle aree comunque impegnate dal progetto stesso. A tale scopo, l’approvazione del progetto preliminare è resa pubblica mediante pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della regione (o nella Gazzetta Ufficiale) ed è comunicata agli enti locali interessati a cura del soggetto aggiudicatore».
È evidente, dunque, che già la semplice approvazione del progetto preliminare dell’infrastruttura strategica da parte del CIPE comporta una deroga legale alla disciplina urbanistica degli enti locali, tanto è vero che tale approvazione impone «l’automatica
variazione degli strumenti urbanistici vigenti adottati», con la previsione di obblighi di salvaguardia in capo agli enti locali, che non possono rilasciare, in assenza della attestazione di compatibilità tecnica da parte del soggetto aggiudicatore, permessi di costruire nell’ambito del corridoio individuato con l’approvazione del progetto.
Del resto, nell’ambito del procedimento istruttorio vengono «sentiti i comuni nel cui territorio si realizza l’opera».
Va poi richiamato l’art. 166 (Progetto definitivo. Pubblica utilità dell’opera), comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, nella versione ratione temporis applicabile, ove si prevede che «il progetto definitivo delle infrastrutture è integrato da una relazione del progettista attestante la rispondenza al progetto preliminare e alle eventuali prescrizioni dettate in sede di approvazione dello stesso con particolare riferimento alla compatibilità ambientale e alla localizzazione dell’opera».
Si stabilisce al comma 5 dell’art. 166 richiamato che «l’approvazione del progetto definitivo, adottata con il voto favorevole della maggioranza dei componenti il CIPE, sostituisce ogni altra autorizzazione, approvazione parere comunque denominate consente la realizzazione e, per gli insediamenti produttivi strategici, l’esercizio di tutte le opere, prestazioni e attività previste nel progetto approvato. In caso di dissenso della regione o provincia autonoma, si provvede con le modalità di cui all’art. 165, comma 6. Gli enti locali provvedono all’adeguamento definitivo degli elaborati urbanistici di competenza ed hanno facoltà di chiedere al soggetto aggiudicatore o al concessionario o contraente generale di porre a disposizione di elaborati a tali fini necessari».
Si conferma, dunque, la prevalenza della destinazione urbanistica impressa con l’approvazione del progetto definitivo da parte del CIPE, rispetto a quella individuata dagli strumenti
urbanistici generali, tanto che gli enti locali «provvedono all’adeguamento definitivo degli elaborati urbanistici di competenza», mentre l’approvazione del progetto definitivo «sostituisce ogni altra autorizzazione, approvazione parere».
15. Va condivisa, dunque, l’affermazione della Corte d’appello per cui il provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, una volta intervenuto, pur avendo efficacia soltanto ex nunc , non trattandosi di un’ipotesi di sanatoria con effetti ex tunc , si è mantenuto però nel solco delle disposizioni adottate sulla base della delibera del CIPE che ha approvato il progetto definitivo dell’insediamento strategico, costituito dalla realizzazione del raccordo autostradale.
15.1. Costituisce principio ormai pacifico quello per cui l’art. 42 -bis del d.P.R. n. 327 del 2001 costituisce una sorta di «procedimento espropriativo semplificato ed eccezionale», che dunque assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio, sintetizzando in un unico atto lo svolgimento dell’intero procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma (Corte cost., 30 aprile 2015, n. 71; Cass., sez.un., 29 ottobre 2015, n. 22096; Cass., sez.un., 25 marzo 2016, n. 6017; Cass., sez.un., 6 febbraio 2019, n. 6526; Cons. Stato, Adunanza Plenaria, n. 2 del 2016). Si tratta dunque di una procedura espropriativa «eccezionale» e «complessa», prevedendosi un provvedimento specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, con la valutazione comparativa con i contrapposti interessi privati, evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione.
Si è chiarito, infatti, che in materia di espropriazione per pubblica utilità, la cd. acquisizione sanante di cui all’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001 ha natura di procedimento espropriativo semplificato
di carattere eccezionale, volto a ripristinare la legalità amministrativa con effetto non retroattivo, il cui scopo non è quello di sanatoria di un precedente illecito perpetrato dall’Amministrazione, bensì quello, autonomo, di soddisfare attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione delle opere già realizzate ” sine titulo “; ne consegue che l’adozione di tale provvedimento presuppone una valutazione discrezionale degli interessi in conflitto qualitativamente diversa da quella tipicamente effettuata nel normale procedimento espropriativo, non limitata genericamente alla eccessiva difficoltà od onerosità delle possibili soluzioni ma volta ad accertare l’assenza di ragionevoli alternative all’acquisizione -prima fra tutte la restituzione del bene – in relazione alle quali il proprietario deve essere posto in grado di svolgere il proprio ruolo partecipativo secondo le regole generali sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo (Cass., Sez. U., 6/2/2019, n. 3517).
Non v’è dubbio che costituisca una ragione di interesse pubblico il mantenimento e la gestione del raccordo autostradale già realizzato, proprio in base alle delibere del CIPE, che ne hanno individuato la natura strategica.
È proprio quanto afferma la Corte d’appello che, trascrivendo gran parte del provvedimento di acquisizione sanante, di cui all’art. 42bis del d.P .R. n. 327 2001, rileva che, proprio attraverso tali richiami espressi, «si rende con ciò manifesta la volontà della PA procedente di dare continuità alle determinazioni precedentemente espresse, in attuazione del disposto della cd legge obiettivo (legge n. 443 del 21/12/2001), nella delibera CIPE n. 121 del 21/12/2001, con la quale si era individuato il raccordo autostradale tra il casello di Ospitaletto (A4), il nuovo casello di Poncarale (a 21) e l’aeroporto di Montichiari quale infrastruttura strategica nonché nella successiva
delibera CIPE 24/05 del 18/3/2005 (pubblicata il 10/11/2005 sulla Gazzetta Ufficiale 262/2005 RG) con la quale era stato approvato, anche ai fini della pubblica utilità, il progetto definitivo del predetto raccordo».
Pertanto, proprio in ragione dell’omessa impugnazione in sede di giurisdizione amministrativa dei provvedimenti del CIPE, gli stessi devono ritenersi efficace vincolanti, sicché il provvedimento di acquisizione sanante «deve intendersi esteso non solo al trasferimento del diritto dominicale in favore del patrimonio indisponibile dell’autorità procedente, ma anche al ripristino, sia pure con effetto ex nunc e non ex tunc , dei presupposti, di rilevanza giuridica, ivi richiamati».
Ha precisato correttamente la Corte territoriale che «da ciò consegue la sicura applicabilità, anche per il terreno per cui è causa, delle delibere CIPE richiamate in decreto, con efficacia, come si è detto, non retroattiva».
Di qui vi è il superamento delle quattro ipotesi diverse formulate dal CTU, in quanto diventa rilevante «il momento in cui è stato adottato il decreto di esproprio, ed a tale momento le predette delibere CIPE risultavano, per le ragioni sopra esposte, senz’altro efficaci (e quindi non decadute)».
16. Non v’è stato, poi, alcun deprezzamento per la fascia di terreno nella quale non doveva essere realizzato l’albergo, in quanto sin dall’inizio, con il PRG, e successivamente con il PGT, anche a seguito delle delibere del CIPE che hanno qualificato il raccordo autostradale come opera strategica, l’albergo, nella misura consentita di mc 9000, poteva comunque essere realizzato, come affermato, con valutazione pienamente meritale, dalla Corte d’appello, che ha aderito alle conclusioni del CTU.
Sul punto, la Corte d’appello ha riportato la certificazione sensi dell’art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001, in relazione al certificato di destinazione urbanistica, rilasciato dal comune di Travagliato il 30/11/2009 su richiesta della società alberghiera GM, in cui nel PRG risultava «zona comparto E/7 – come definito dall’art. 51. 3.3 delle NTA allegata al PRG di seguito riportate: interventi ammessi: manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo, accorpamento, ampliamento, ristrutturazione urbanistica ed edilizia, ricostruzione è inoltre ammessa la nuova costruzione di struttura alberghiera e servizi annessi (autorimesse interrate, zona fitness e palestra, reception ecc.) per una cubatura di mc 9000 oltre l’esistente. Altre prescrizioni: le aree libere dovranno essere destinate a parco creando una collinetta piantumata verso la INDIRIZZO. All’interno del parco è possibile la realizzazione di una piscina al servizio della struttura alberghiera. Parte del mappale ricade nella fascia di rispetto stradale regolata dall’art. 56 delle norme tecniche allegate al vigente piano regolatore generale».
La possibile realizzazione dell’albergo, anche a seguito delle previsioni delle delibere del CIPE, risulta affermata dalla Corte d’appello, la quale ha sottolineato che, anche in ordine alla osservazione di parte ricorrente sulla necessità di rispettare la fascia di metri 60, «la stessa non risulterebbe non di meno rilevante, posto che la struttura alberghiera progettata avrebbe dovuto, secondo progetto, essere realizzata comunque a distanza superiore a ml 60 dal confine della proprietà stradale».
Del resto, lo stesso ricorrente a pagina 12 del ricorso per cassazione riporta il passaggio della CTU per cui «l’esproprio sanante e i relativi vincoli correlati con quelli urbanistici come precedentemente descritto, non comportano in nessun caso l’impossibilità di realizzare la capacità edificatoria prevista pari a mc
9000 e quindi l’mappale 674 (ex 590) oggetto di acquisizione ‘è privo di capacità edificatoria’».
Ha affermato la Corte di appello a pagina 51 della sentenza che «la situazione, così come sopra indicata, va ricondotta nella casistica del CTU all’ipotesi 3.1, con conseguente esclusione dell’indennizzo per danno da deprezzamento del mappale residuo 673, non espropriato».
I motivi primo, secondo e terzo di ricorso per cassazione, che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono fondati nei termini di seguito riportati.
18.1. La Corte territoriale ha ritenuto che i terreni in contestazione non siano edificabili.
Tuttavia, è la stessa Corte d’appello ad affermare che nel certificato di destinazione urbanistica di cui all’art. 30 del d.P.R. n. 380 del 6/6/2001, si precisa, con riferimento al comparto E7/1, che «è inoltre ammessa la nuova costruzione di struttura alberghiera e servizi annessi (autorimesse interrate, zona fitness e palestra, reception ecc.) per una cubatura di mc 9000 oltre l’esistente».
Il certificato però prevede anche altre prescrizioni, per cui «le aree libere dovranno essere destinate a parco creando una collinetta piantumata verso la S.P. 19 n. 19. All’interno del parco è possibile realizzazione di una piscina al servizio della struttura alberghiera».
Anche il PGT ha confermato la destinazione vigente (zona comparto E7/1), consentendo la realizzazione di una struttura alberghiera, tanto è vero che la ricorrente aveva ottenuto l’approvazione del piano attuativo finalizzato alla realizzazione di tale struttura di circa mq 2983,00, con la sottoscrizione di convenzione urbanistica, e provvedendo anche a pagare gli oneri di urbanizzazione pari ad euro 232.410,00.
Pertanto, pare indiscutibile che i terreni siano in realtà almeno parzialmente edificabili.
E che sia possibile la costruzione dell’albergo risulta anche dall’affermazione della Corte d’appello per cui i vincoli derivanti dalle delibere del CIPE, che hanno individuato nel raccordo autostradale un’opera di infrastruttura strategica, non sono incompatibili con la realizzazione dell’albergo.
Ha affermato, infatti, la Corte territoriale che, seppure è vero che l’approvazione del progetto definitivo dell’infrastruttura strategica abbia sostituito l’ordinaria autorizzazione, «è altrettanto vero che detto fenomeno di sostituzione e di adeguamento intanto può ritenersi operante e vincolante in quanto si ravvisi la sussistenza di una situazione di rilevante incompatibilità tra le prescrizioni dei decreti attuativi della legge obiettivo e quelle della disciplina urbanistica ed edilizia locale, così che l’eventuale attuazione di quanto da questa consentito possa tornare di impedimento o di grave ostacolo alla realizzazione dell’opera pubblica di interesse strategico», potendosi solo in tal caso procedere alla disapplicazione dell’atto amministrativo.
La Corte d’appello poi considera che non vi sarebbero ostacoli alla realizzazione dell’albergo né in conseguenza dei vincoli generali a seguito della delibera del CIPE delle 10/11/2005, né per la presenza di un ossigenodotto a confine tra i mappali 673 e 674, e neppure in relazione alla fascia di rispetto stradale.
Deve trovare applicazione la giurisprudenza di questa Corte per cui, in tema di determinazione dell’indennità di occupazione legittima di terreni agricoli, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del criterio del valore agricolo medio (VAM), la stima deve essere effettuata in base al criterio del valore venale pieno, con
la possibilità di dimostrare che il fondo, pur senza raggiungere il livello dell’edificatorietà, sia suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso rispetto a quello agricolo, tale da attribuire allo stesso una valutazione di mercato che rispecchi possibilità di utilizzazione intermedie tra quella agricola e quella edificatoria – fattispecie relativa all’occupazione di un’area destinata ad attrezzature sportive, campi da gioco ed attrezzature varie – (Cass. Sez.U., 19/3/2020, n. 7454).
L’edificabilità va invece esclusa ove la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità), in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica d’edificazione (Cass., Sez.U., n. 7454 del 2020).
E’ invece inammissibile la doglianza in ordine all’applicazione del metodo analitico, in luogo di quello sintetico comparativo, in quanto la Corte d’appello ha fornito la motivazione della scelta del metodo (espropriazione parziale che mantiene la destinazione di quella residua).
Il quarto e il quinto motivo, che vanno affrontati congiuntamente per strette ragioni di connessone, sono inammissibili.
Con piena valutazione di merito, infatti, non censurabile in questa sede, la Corte territoriale ha ritenuto che la collinetta da realizzare non costituisca una costruzione o un edificio, proprio per le sue minime dimensioni.
Del resto, la difesa della Autovia Padana ha evidenziato che, in realtà, si è in presenza di «una movimentazione di terra finalizzata alla realizzazione di una mera collinetta sulla quale andranno
piantumate essenze arboree» – pagina 23 del controricorso trattandosi dunque «di una ridotta movimentazione di terra finalizzata alla realizzazione di un’opera di mitigazione ambientale, per dirla con le parole di giudici amministrativi, parrebbe una limitazione della proprietà privata del tutto scissa rispetto agli obiettivi di tutela salvaguardati dall’apposizione della fascia di rispetto»).
Ciò risulta in linea con la giurisprudenza amministrativa per la quale il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 legge 24 luglio 1961, n. 729 non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni, con la conseguenza che le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti (Cons. Stato, sez. IV, 28/2/2018, n. 1250; Cons. Stato., sez. IV, 2062/2013; Cons. Stato, sez. I, 282/2016).
Nel caso esaminato dal giudice amministrativo si trattava, però, della richiesta di annullamento, da parte di una società, del provvedimento emanato dalla provincia concernente l’approvazione di un progetto per la realizzazione di una discarica di inerti;
quest’ultima rientrava nella fascia di 60 m sia pure al di sotto dell’autostrada, mentre le opere correlate prevedevano che, nel sedime della discarica, dovesse essere inglobato un pilone dell’autostrada stesso.
In particolare, la disciplina vincolistica detta prescrizioni di tipo restrittivo, da cui deve desumersi che la fascia di rispetto stradale non solo non tollera la presenza di opere edilizie stricto sensu , ma deve essere tenuta totalmente libera da qualsiasi ingombro che possa impedire e/o compromettere la piena fruibilità della stessa in relazione alla circolazione di persone e mezzi che impegnano l’asse viario e le opere ad esse pertinenziale (Cons. Stato, m. 4466 del 2016).
La «collinetta» di cui si discute, però, a giudizio della Corte di appello, pienamente meritale, è stata «prevista con finalità di mitigazione» e «non può essere assimilata ad un edificio o comunque ad un fabbricato ad uso produttivo o civile, e va perciò assimilata alla piantagione di alberi, e quindi può essere collocata nell’area di rispetto, a distanza non inferiore a metri 6 dal confine della proprietà stradale».
Una volta, dunque – seguendo l’assunto della corte d’appello che la «collinetta» risulta realizzabile a distanza di metri sei dal raccordo autostradale (e non a trenta o sessanta metri dallo stesso) viene neutralizzata la paventata conseguenze per cui «la collinetta deve essere realizzata a ridosso del fabbricato con l’effetto conseguente di soffocare l’albergo».
Risulta infondato il nono motivo di impugnazione.
La Corte d’appello ha correttamente ritenuto la legittimazione passiva del MIT, escludendo quella della società RAGIONE_SOCIALE
La Corte territoriale ha, infatti, affermato che la legittimazione passiva spetta al MIT, in quanto soggetto «che ha avviato e condotto
a termine il procedimento previsto» dall’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 2001.
Ha anche chiarito il giudice di merito che la nota del Mit 24/4/2018, con cui si prevedeva che Autovia Padana, in quanto subentrata quale concessionaria, nell’anno 2017, alla gestione del raccordo, ivi inclusi i procedimenti espropriativi e/o di acquisizione di terreni, doveva ritenersi valevole soltanto nei rapporti interni, tramite ed Autovia Padana.
Neppure rilevava la circostanza per cui a partire dal 1 marzo 2018, era divenuta efficace la concessione stipulata tra il Mit e auto via (quale concessionario subentrante) per la gestione, da parte di quest’ultima, del collegamento autostradale, in quanto «il procedimento ablatorio è stato avviato e concluso autonomamente dal Mit».
Tale conclusione perfettamente collimante con la giurisprudenza di questa Corte in ordine all’individuazione del soggetto legittimato passivo in caso di adozione del provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001.
Si è ritenuto, infatti, che nell’ambito del procedimento di acquisizione sanante ex art. 42bis citato, sono legittimati passivi, oltre al proprietario del bene immobile, necessariamente ed esclusivamente l’ente che ha adottato il provvedimento di acquisizione che contiene la determinazione delle diverse voci indennitaria, il quale coincide con la «autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico» (Cass., Sez.U., 20/7/2021, n. 20691).
In tal senso si è pronunciato anche il Consiglio di Stato, con sentenze n. 862 del 2016 e n. 437 2015; in quest’ultima decisione si è precisato che «laddove non si addivenga alla emissione di un simile provvedimento, la eventuale responsabilità risarcitoria
fermata non potrebbe che rimanere ad esclusivo carico dell’amministrazione che, ratione temporis, si rese protagonista dell’illecito».
Non è fondato neppure il decimo motivo.
La Corte d’appello, nel porre a carico della 3G le spese di giudizio, nel rapporto con la società di progetto RAGIONE_SOCIALE non ha fatto altro che applicare il principio della soccombenza, stante il difetto di legittimazione passiva di Autovia Padana.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Pone a carico della ricorrente le spese del giudizio di legittimità relative al rapporto tra la società leggi e la società RAGIONE_SOCIALE per la quale è stato confermato in questa sede il difetto di legittimazione passiva.
P.Q.M.
accoglie i motivi primo, secondo e terzo, nei termini di cui in motivazione; rigetta i restanti;
cassa la sentenza impugnata in ordine motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore di RAGIONE_SOCIALE le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 6.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 aprile 2025